Comunicato numero 105. Nascita del Battista e breve su San Giuseppe

Stimati Associati e gentili Sostenitori, sempre utilizzando la preziosa «Vita di Gesù Cristo» dell’Abate Giuseppe Ricciotti - riposi in pace -, oggi studieremo brevemente la «Nascita di Giovanni il Battista» e la figura di «San Giuseppe sposo di Maria».

• § 235. Narrati i due episodi paralleli, Luca subito appresso mette in contatto fra loro le due protagoniste. Maria, a cui era stato addotto come prova ciò ch’era avvenuto ad Elisabetta, andò a visitare la sua parente, sia per felicitarsi con lei, sia perché le parole dell’Angelo avevano lasciato chiaramente intravedere che particolari legami avrebbero congiunto i due nascituri come già avevano congiunto le due madri. Per recarsi da Nazareth alla «regione montagnosa» della Giudea (§ 226) il viaggio non era breve: supponendo che la città di Zacharia fosse realmente Ain-Karim, vi s’impiegavano circa tre giorni di carovana. Forse Maria già aveva fatto quel viaggio recandosi a Gerusalemme per le «feste di pellegrinaggio» (§ 74), e in qualche occasione aveva anche visitato la sua parente soggiornando alquanto presso di lei. Ma subito dopo l’annunciazione vi si recò con sollecitudine, entrò inaspettata in casa di Zacharia e salutò Elisabetta. A quell’incontro le due madri furono oggetto di particolari illuminazioni divine. A Zacharia l’Angelo aveva preannunziato che il suo figlio nascituro sarebbe stato ripieno di Spirito santo ancor nel seno di sua madre; costei a sua volta, racchiusasi nel suo riserbo equivalente alla mutolezza di Zacharia, credeva forse che il suo stato di gestante non fosse noto ad alcuno, come a lei non era certamente noto lo stato di gestante di Maria. Ma l’arrivo di Maria fece improvvisa luce su tutto. «E avvenne che, appena Elisabetta udì il saluto di Maria, sobbalzò l’infante nel seno di lei: ed Elisabetta fu ripiena di Spirito santo, e gridando ad alta voce disse: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del seno tuo! E donde a me questo, che venisse la madre del mio Signore a me? Ecco infatti, appena la voce del tuo saluto fu nelle mie orecchie, sobbalzò in esultanza l’infante nel seno mio! E beata colei la quale credette che vi sarà adempimento alle cose dette a lei da parte del Signore!”» (Luca, I, 41-45). Prima di quell’incontro molte delle cose avvenute erano chiare alle due donne in misura diversa fra loro, ma non poche altre cose rimanevano ancora velate in una misteriosa penombra: quell’incontro fu come una subitanea aurora che getti la sua vivida luce tutt’intorno e faccia riconoscere nitidamente il paesaggio. Era il paesaggio dei disegni di Dio. Elisabetta si trovava conosciuta dentro al suo riserbo, conosceva a sua volta il segreto di Maria, e riconosceva in lei la madre del suo Signore.

• § 236. In Oriente la gioia porta facilmente al canto e all’improvvisazione poetica. Avevano improvvisato anticamente, in occasioni solenni, Maria sorella di Mosè, Debora la profetessa, Anna madre di Samuele, i cui carmi erano conservati nelle Scritture sacre e noti certamente a Maria; e anche fra i Semiti odierni non di rado la donna diventa declamatrice davanti a gioie o a dolori grandi, ed esprime i propri sentimenti in accenni brevi ma incisivi, retti da un vago ritmo più che da rigoroso metro, ispirantisi ordinariamente a temi tradizionali con un’impronta più o meno personale. E in quell’ora di giubilo pure Maria si mostrò poetessa; ispirandosi fra altre Scritture soprattutto al carme di Anna (II Samuele, 2, 1 segg.), ella declamò il suo Magnificat (Luca, I, 46-55): «Magnifica l’anima mia il Signore, ed esulta lo spirito mio sul Dio salvatore mio, poiché rimirò sulla bassezza della schiava sua. Ecco, invero, da ora mi chiameranno beata tutte le generazioni, poiché fece a me cose grandi il Possente, e santo (è) il nome suo. E la misericordia di lui di età in età per quei che lo temono. Operò potenza col braccio suo, disperse orgogliosi nel pensamento del cuor loro. Tirò giù potenti dai troni, e in alto mise bassi; affamati riempì di beni, e ricchi rimandò vuoti. Soccorse Israele servo suo, rammentandosi di misericordia: conforme parlò ai padri nostri, ad Abramo ed alla sua stirpe in eterno». [Alcuni autori - come Loisy, Harnack e Burkitt   - attribuiscono il Magnificat a Santa Elisabetta. Si tratta di una fantasiosa stranezza istigata dall’amore di novità, ndR]. L’originale di questo carme fu certamente in semitico, e in realtà sono state proposte varie ritraduzioni (molto facili del resto) dall’odierno testo greco in ebraico. Le reminiscenze letterarie bibliche vi sono insistenti. Ma più insistente ancora è, nel campo psicologico, il contrasto tra bassezza e grandezza, tra tapinità [meschinità, ndR] esaltata e orgoglio depresso, tra fame saziata e sazietà affamata: Maria scorge in se stessa soltanto bassezza da schiava, ma trova anche che il braccio potente di Dio ha sollevato la piccolezza di lei collocandola sul trono, compiendo in lei cose grandi, tanto ch’ella prevede che la chiameranno beata in tutte le generazioni. Si poteva immaginare una predizione più «inverosimile» di questa? Era circa l’anno 6 av. Cr., e una fanciulla di neppur 15 anni, sprovvista di beni di fortuna e d’ogni altro titolo sociale, sconosciuta ai suoi connazionali e dimorante in un villaggio egualmente ad essi sconosciuto, proclamava fiduciosamente che la chiameranno beata tutte le generazioni. C’era da prenderla in parola quella fanciulla vaticinante, con la sicurezza assoluta di vederla smentita fin dalla prima generazione! Oggi sono passati venti secoli, e il confronto fra la predizione e la realtà si può fare. Ormai la storia ha tutto l’agio di riscontrare se Maria ha previsto giusto, e se realmente l’umanità oggi esalti lei più che Erode il Grande allora arbitro della Palestina, e più che Caio Giulio Cesare Ottaviano Augusto allora arbitro del mondo.

• § 237. Presso Elisabetta Maria rimase tre mesi, cioè fino al tempo del parto della ospitante, e poi tornò a Nazareth: non risulta con certezza se era ancora in casa di Zacharia al tempo del parto, essendovi ragioni pro e contro. A suo tempo Elisabetta partorì un figlio, e sparsasi la notizia del caso straordinario, parenti e vicini vennero a congratularsi con lei. L’ottavo giorno dalla nascita, come era prescrizione (§ 69), si doveva circoncidere il neonato e imporgli il nome; ma, su quest’ultimo punto, sorse dissenso. Di solito s’imponeva il nome del nonno, per continuare l’onomastica di famiglia e nello stesso tempo evitare confusioni col padre; ma in quel caso straordinario, con un padre muto e vecchio quanto un nonno, si poteva ben fare un’eccezione all’usanza e continuare l’onomastica di famiglia imponendo al figlio il nome del padre. Tutti infatti sostenevano che il bambino doveva chiamarsi Zacharia; la madre, invece, sosteneva che doveva chiamarsi Giovanni, ed ella ne sapeva ben la ragione (§ 226). Ma gli zelanti amici non si spiegavano quella stranezza, tanto più che nessuno nel casato di Zacharia si chiamava Giovanni. Sulla decisione della madre poteva prevalere solo quella del padre: quindi gli zelanti si rivolsero al padre. Ma egli era muto, e forse anche sordo, e perciò solo a mezzo di gesti gli fecero comprendere la loro domanda. Il muto allora chiese una tavoletta cerata, di quelle usate per brevi scritture, e vi scrisse sopra: «Giovanni è il suo nome». Il nome era fissato, e tutti rimasero meravigliati. Ma, ormai, anche il segno di prova e di purificazione dato dall’angelo a Zacharia, cioè la sua mutolezza, non aveva più ragione di essere, perché tutto si era adempiuto, e la futura sorte del neonato era stata delineata bastevolmente dalle varie circostanze della sua nascita. Quindi, subito dopo fissato il nome del figlio (Luca, I, 64), Zacharia riacquistò la favella e parlò benedicendo Dio. Tutti gli astanti, stupiti, previdero grandi cose riguardo al bambino, e Zacharia fu riempito di Spirito santo e profetò dicendo: «Benedetto il Signore, Iddio d’Israele, ecc». È il cantico Benedictus (Luca, I, 68-79), usitatissimo nella liturgia cristiana, che esalta l’adempimento delle promesse di salvezza fatte da Dio ad Israele, e vede nel neonato il precursore di questo adempimento, essendo egli colui che andrà innanzi al Signore a preparare le vie di lui. Il salvatore dunque era imminente, essendo già comparso il suo battistrada. Se il mondo potente d’allora, in Israele e fuori d’Israele, non sapeva ancora nulla né dell’uno né dell’altro, ciò non aveva importanza, perché le vie del salvatore e del suo battistrada non erano le vie del mondo, e non già i potenti andava Dio scegliendo per attuare il suo piano di salvezza, bensì gli ignoti, gli appartati, gli umili, quali erano Zacharia, Elisabetta, Maria. Una sola cosa aveva accettato Dio dal mondo dei potenti d’allora, quasi condizione indispensabile al piano di salvezza, cioè la pace: e allora nel mondo regnava la pace, sotto l’autorità di Roma. Prima di lasciare la narrazione del neonato Giovanni per riprendere quella di Maria, Luca fa un anticipo cronologico comunicando sommariamente che «il bambino cresceva e s’afforzava di spirito e stava nei deserti fino al giorno della sua manifestazione ad Israele» (Luca, I, 80). I deserti a cui qui si allude, e in cui Giovanni si sarà trasferito quand’era giovanetto già maturo, erano probabilmente le regioni a sud-est di Gerusalemme note come il deserto della Giudea (cfr. Matteo, III, 1).

Giuseppe sposo di Maria 

• § 238. Finora il nostro informatore è stato Luca, ma a questo punto è necessario anche ascoltare Matteo, che narra lo stesso fatto del concepimento di Gesù molto più stringatamente, non senza però aggiungervi qualche elemento nuovo. Nella narrazione di Matteo figura in primo piano Giuseppe, che invece nella narrazione di Luca era stato appena nominato: ora, come riguardo a Luca argomentiamo a buon diritto che la principale informatrice sia stata Maria stessa o immediatamente o per il tramite di San Giovanni (§ 142), così riguardo a Matteo possiamo ragionevolmente supporre che per questo argomento egli sia ricorso a informatori della Galilea, già in relazioni particolari con Giuseppe, quale poteva essere ad esempio Giacomo il “fratello” di Gesù. Per Matteo, Maria è fidanzata di Giuseppe e prima che coabitino (§ 231) diviene gravida; circa la soprannaturalità del concepimento Giuseppe non è preavvisato, ma solo s’avvede del fatto già compiuto (Matteo, I, 18). Questa scoperta non poté avvenire se non dopo il ritorno di Maria dalla visita a Elisabetta, cioè fra il quarto e il quinto mese di gravidanza; tornata ella a Nazareth, da cui era partita subito dopo l’Annunciazione, le sue condizioni fisiche furono ben presto rilevate da Giuseppe che ne ignorava i precedenti. Ora «Giuseppe, suo marito, essendo giusto e non volendo esporla, deliberò di dimetterla segretamente» (Matteo, I,19). Dopo ciò che già sappiamo circa le condizioni giuridiche dei fidanzati-coniugi presso i Giudei (§ 231), i termini sono chiari: Giuseppe, come legittimo marito, avrebbe potuto dimettere Maria consegnandole la scritta di divorzio, il quale provvedimento avrebbe avuto per conseguenza di esporre la ripudiata alla pubblica disistima; ma, per evitare ciò, Giuseppe pensa di dimetterla segretamente, e prende questa deliberazione essendo (egli) giusto. Di tutto il periodo, quest’ultima frase è la più importante e la vera chiave di spiegazione. In un caso di quel genere un Giudeo retto e onesto, che fosse stato convinto della colpevolezza della donna, le avrebbe consegnato senz’altro la scritta di divorzio, stimandosi non solo in diritto, ma forse anche in dovere, di agire così, poiché una silenziosa e inerte tolleranza poteva sembrare approvazione e complicità. Giuseppe invece, appunto essendo giusto, non agisce così; dunque, egli era convinto dell’innocenza di Maria, e per conseguenza giudicò procedimento iniquo sottoporla al disonore di un divorzio pubblico. D’altra parte come poteva Giuseppe spiegare lo stato attuale di Maria? Avrà egli pensato ad una violenza patita da lei incolpevolmente durante i tre mesi d’assenza? Il silenzio programmatico di Maria su quel punto - silenzio spontaneo presso una riservata fanciulla in quelle condizioni - poteva ben suscitare un sospetto di questo genere. Oppure, avvicinandosi anche più alla realtà, Giuseppe intravide nell’accaduto alcunché di soprannaturale, di divino? Noi non sappiamo, perché Matteo non dice nulla al riguardo: solo che dalla deliberazione di Giuseppe, di rompere il suo legame con Maria segretamente cioè senza danneggiare la fama di lei, concludiamo che agì sia da persona convinta dell’innocenza di Maria, sia da giusto.

• § 239. La perplessità di Giuseppe non fu lunga. Quando però egli ebbe preso questa deliberazione, ecco che un Angelo del Signore gli comparve in sogno, dicendo: «Giuseppe figlio di David, non temere di prendere con te Maria, tua moglie, poiché il generato in lei è da Spirito santo; partorirà poi un figlio, e lo chiamerai col nome di Gesù, egli infatti salverà il suo popolo dai loro peccati» (Matteo, I, 20-21). Il sogno era stato un mezzo non infrequente nell’Antico Testamento con cui Dio aveva comunicato i Suoi voleri agli uomini; Matteo, l’Evangelista più interessato per l’Antico Testamento (§§ 125, 234), ricorda varie comunicazioni divine per mezzo di sogni (oltre questa, cfr. Matteo, II, 12. 13. 19.22; 27, 19) che non sono ricordate dagli altri Evangelisti. Il nome di Gesù da imporsi al nascituro era già stato comunicato alla madre (§ 230): qui si aggiunge il motivo di questa imposizione, salverà, ecc., fondata sul significato etimologico del nome stesso. Dopo questa dichiarazione imperativa dell’Angelo, Giuseppe prese in casa sua Maria. Si saranno celebrate le cerimonie solite in simili nozze; parenti ed amici saranno accorsi per la meschina festicciuola esteriore, ma rimasero certamente ignari dell’arcano segreto che si celava in seno a quella nuova famiglia. E Giuseppe, l’uomo della tribù di Giuda e del casato di David, il carpentiere di mestiere, fu capo legale di quella famiglia. Fine. 

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.