Comunicato numero 121. L’elezione dei quattro

Stimati Associati e gentili Sostenitori, è possibile reperire su internet la nostra ultima pubblicazione «L’inferno è dogma o favola?» (ISBN: 978-88-900747-4-5) del Monsignore cieco Gaston de Ségur, del quale abbiamo già ripubblicato la preziosa opera «La Rivoluzione». La società contemporanea profonde ignoranza - conseguenza ineluttabile del Modernismo e della Laicità - anche perché sforna milioni di libri ed articoli densi di errori più o meno gravi: una vera pestilenza per lo spirito e per il corpo. Una impervia società che ipocritamente - quasi a voler mascherare la sua natura intimamente bruta - si gloria della parola «cultura» e si vanta di ogni «flato» che viene diffuso. Ma è forse questo il giusto termometro per misurare la vera cultura? La cultura si può misurare col solo numero dei libri e degli articoli prodotti? Non è forse vero che un buon libro - unito alla grazia di Dio - aiuta l'uomo nell'umiltà e nella sapienza; mentre, al contrario, le cattive pubblicazioni fanno l’uomo ancor più superbo e radicato nella sua ignoranza? È nostra intenzione, al contrario dei «flati» moderni, coltivare l’umiltà cristiana anche mediante la pubblicazione della sola buona stampa. Preghiamo Iddio di renderci e di conservarci umili, proprio come lo fu Mons. de Ségur, sapiente teologo, che nel suo libro «L’inferno è dogma o favola?» umilmente accetta il pensiero di Dio, si sottomette all’immutabile dogma cattolico e ci restituisce un saggio - sull’eterna dannazione -  insieme nobile, erudito e profondamente semplice. Ne caldeggiamo vigorosamente la lettura, oltre che per la nostra personale edificazione, anche per le finalità apologetiche. È cosa buona e giusta che il vero cristiano - entro i doveri del proprio stato e consapevole dei propri limiti - sappia controbattere, con perizia di dottrina ma con l’umiltà del semplice, alle varie correnti di pensiero bestemmiatore di Nostro Signore e della Sua docenza. Miasmatiche e perverse ideologie - diffuse sempre più capillarmente - sulla vita eterna, nello specifico sull’inferno e sulla dannazione. Ci troviamo a lottare contro gli increduli, contro gli utopisti, contro i superstiziosi e contro i tanti che, accecati dalle proprie passioni, ingannati dai cattivi maestri, abbagliati dalla falsa scienza del Modernismo, diffondono una sorta di peste intellettuale e morale cosicché - non facciamo fatica a desumerlo - trascinano con se stessi nell’inferno numerose ed ignare vittime.

• Ciò premesso, la settimana scorsa ci eravamo lasciati col nostro buon Gesù che «guarisce la suocera di Pietro» e, «nonostante le insistenze dello stesso Pietro e della sua famiglia», decide di spostarsi altrove: «Egli deve annunziare la buona novella del regno di Dio».  L’Abate Giuseppe Ricciotti - autore della «Vita di Gesù Cristo» che stiamo utilizzando - oggi ci descrive la vocazione dei primi quattro Discepoli in «L’elezione dei quattro».

• § 302. A questo punto San Luca (5, 1-11) narra la vocazione dei quattro principali Discepoli, Simone Pietro con suo fratello Andrea, e Giovanni con suo fratello Giacomo; al contrario gli altri due Sinottici (Matteo, 4, 18-22; Marco, 1, 16-20) collocano questa narrazione, molto più breve, proprio al principio dell’operosità di Gesù in Galilea, subito dopo la notizia dell’imprigionamento di Giovanni il Battista. La serie seguita da Luca appare più verosimile cronologicamente. È infatti da notare che né Matteo né Marco hanno parlato in precedenza di relazioni fra Gesù ed i quattro, ma esse sono state già accennate da Luca e spiegate ampiamente da Giovanni (§ 278 segg.); d’altra parte questa vocazione presuppone che l’operosità di Gesù sia già iniziata da qualche tempo, perché attorno a lui si accalca molta folla desiderosa di vederlo e udirlo, e ciò non si spiegherebbe agevolmente se si riferisse ai primi giorni del ritorno di Gesù in Galilea, subito dopo l’imprigionamento di Giovanni il Battista: essa dunque avvenne quando il ministero esercitato da Gesù già da qualche tempo gli aveva procurato larghi consensi nella Galilea. Ma specialmente le notizie date da Giovanni importano un’altra e più seria questione: se i quattro erano già stati al seguito di Gesù in Giudea, e poi in Galilea a Cana ed a Cafarnao, come mai qui Gesù sembra chiamarli a sé per la prima volta? Che questa sia la prima volta, è certo l’impressione che si ha da Matteo e Marco; tuttavia essa va corretta e integrata con quanto dicono gli altri due Evangelisti. Quanto alle notizie di San Giovanni, che è l’Evangelista integratore per eccellenza, esse ci permettono di concludere che Gesù anche nella scelta dei discepoli, come nella sua manifestazione messianica, procedette gradualmente. Dapprima egli accettò i quattro che spontaneamente in Giudea erano passati a lui dalla sequela di Giovanni il Battista: ma anche così accettati essi non rimasero costantemente uniti a lui né lo seguirono in tutte le sue peregrinazioni attraverso la Galilea, da lui fatte in massima parte da solo (§ 301); più tardi invece, allorché i quattro furono sufficientemente edotti del genere di vita che richiedeva da essi Gesù e si mostrarono disposti ad accettarla, egli li legò definitivamente a sé con una formale elezione. La quale avvenne in questa maniera, secondo la narrazione di Luca ch’è la più ampia e particolareggiata delle tre.

• § 303. Una mattina Gesù, trovandosi lungo la sponda occidentale del lago di Tiberiade, fu circondato da numerosa folla che desiderava udirlo parlare; ma la folla era tanta che, per trattenerla e insieme per farsi udire più comodamente, egli ricorse a un mezzo assai pratico. Quando quel lago è calmo, è quasi immobile né produce alcun frastuono che impedisca di udire chi parli a voce alta: perciò, allontanandosi di qualche metro dalla spiaggia su una barca, si poteva di là parlare benissimo alla folla che sarebbe rimasta schierata sulla spiaggia ad ascoltare. Così fece Gesù. Lì presso c’erano due barchette, i cui padroni erano scesi a terra e stavano riattando le reti; uno di essi era appunto Simone Pietro. Questo particolare suggerisce due conclusioni probabili: che l’episodio avvenisse nei pressi di Cafarnao (§ 300), e che Simone Pietro avesse sospeso in quel tempo la sua saltuaria sequela appresso a Gesù per ritornare frattanto al proprio mestiere insieme col fratello Andrea, onde provvedere ai bisogni della propria famiglia. Quando Gesù ebbe terminato di parlare da quella tribuna dondolante, provvide anche a ricompensare chi gliel’aveva fornita, e voltandosi a Simone gli disse di prendere il largo per gettare le reti. Senonché l’invito di Gesù dovette sembrare al destinatario un’involontaria ironia: proprio la notte testé scorsa era stata una nottataccia, e Simone aveva faticato assai con i suoi compagni senza prender nulla. Tuttavia, giacché aveva parlato il maestro, egli non si sarebbe rifiutato: ma avrebbe accondisceso giusto per deferenza verso di lui e senza alcuna fiducia nel nuovo tentativo; la luce del giorno infatti era un nuovo ostacolo, e se di notte era andata male di giorno sarebbe andata anche peggio. E così le reti furono gettate. Subito però si cominciò a imbarcare tanto pesce, che gli attrezzi non reggevano a tutto quel peso e le maglie delle reti si disfacevano. Si gettò allora una voce ai compagni dell’altra barca, rimasta inoperosa, affinché corressero a dare una mano; la barca venne, ma si continuò ancora a lungo a caricare, tanto che tutte e due le barche rimasero colme di pesce quasi da affondare. Il lago di Tiberiade era nell’antichità, ed è ancora oggi, assai ricco di pesce. Nell’antichità ne parla già Flavio Giuseppe (Guerra giud., III, 508, 520), e della pesca viveva gran parte dei rivieraschi occidentali: poco a nord di Tiberiade, la borgata di Magdala («Torre») era chiamata dai rabbini «Torre dei pesci» (Migdal Nunajā) e dagli ellenisti Tarichea ... cioè «Salamoie di pesce», con chiara allusione all’industria principale dei paesani. Oggi, chi ha visitato i luoghi può aver visto pescatori del lago fare buona pesca all’amo in pochi minuti, come può aver sentito parlare di colpi di paranza o di sciabica particolarmente fortunati, tanto da portare a terra parecchi quintali di pesce. Ma non è detto che sia, o sia stato, sempre così: anche i pescatori di Tiberiade hanno avuto in ogni tempo giornate e nottate di cattiva fortuna, in cui sembra che tutti i pesci siano emigrati dal lago. Quella pesca di Simone fu fortunata per caso? Simone, che se ne intendeva, non era di questa opinione e aveva previsto un risultato ben diverso; e non fu il solo, perché anche i pescatori dell’altra barca, che erano Giacomo e Giovanni, rimasero sbalorditi del risultato effettivo. Il focoso Simone si gettò allora ai piedi di Gesù esclamando: «Allontanati da me, perché sono un indegno peccatore!» - Ma Gesù replicò: «Non ti spaventare! D’ora in poi sarai pescatore d’uomini». Dunque, ciò ch’era avvenuto aveva, oltre il resto, anche il valore d’un simbolo per il futuro. Scesi infine tutti a terra, lo stesso invito fu rivolto a Giacomo e Giovanni che col loro padre Zebedeo erano «soci» di pesca con Simone e suo fratello Andrea, e le due coppie di fratelli, lasciato barche e tutto, seguirono da quel giorno costantemente il maestro. Libro utilizzato: «Vita di Gesù Cristo» - Imprimatur 1940, 7a Edizione, Rizzoli & C. Editori, Milano e Roma, 1941, dell’Abate Giuseppe Ricciotti - riposi in pace!

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.