Comunicato numero 138. La prima moltiplicazione dei paniStimati Associati e gentili Sostenitori, siamo giunti finalmente alla seconda Pasqua pubblica di Nostro Signore e, sempre con l’ausilio della preziosa «Vita di Gesù Cristo» dell’Abate Ricciotti, vedremo i principali avvenimenti narrati dagli Evangelisti, fino all’ultima Festa dei tabernacoli.

• § 372. Durante gli avvenimenti fin qui visti era passato del tempo, e si doveva stare allora a circa la metà di marzo; perciò era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei (Giovanni, 6, 4), cioè quella dell’anno 29, seconda Pasqua del ministero pubblico di Gesù (§ 177). A questo punto, quasi contemporaneamente, giungono a Gesù gli Apostoli di ritorno dalla loro missione (§ 354) e la notizia della morte di Giovanni il Battista (§ 355). I primi, oltre ad essere spossati dalle fatiche sostenute, erano così assillati da folle accorrenti a loro che neppur di mangiare avevano tempo (Marco, 6, 31). D’altra parte la tragica fine di Giovanni aveva profondamente attristato Gesù. In conseguenza quindi d’ambedue i fatti, egli prese con sé i reduci dalla missione e si allontanò con loro da Cafarnao in cerca di riposo per essi e di solitudine per sé, e partirono in barca per un luogo deserto in disparte (Marco, 6, 32) che stava nei pressi di una città chiamata Bethsaida (Luca, 9, 10, greco). Era la città che poco prima il tetrarca Filippo aveva ricostruito interamente chiamandola Giulia (Bethsaida-Giulia) in omaggio alla famigerata figlia di Augusto (§ 19); era anche la patria delle due coppie di fratelli, Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni (§ 279). Il luogo sembrava adatto. Non apparteneva alla giurisdizione di Antipa ma a quella di Filippo, e quindi Antipa non avrebbe potuto agire contro di Gesù del quale già era sospettoso come di un Giovanni risuscitato (§ 357); inoltre la città, situata di là dal Giordano poco sopra il suo sbocco nel lago, aveva più ad oriente una vasta estensione quasi disabitata che poteva offrire solitudine e riposo; infine dai pressi di Cafarnao, attraversando il lago obliquamente, si sarebbe raggiunto dopo breve navigazione il posto designato. Ma la partenza di Gesù con il suo gruppo fu notata dalle folle di Cafarnao, le quali dalla direzione presa dalla barca capirono facilmente qual era la mèta; allora molti presero la via di terra, risalendo lungo la curva settentrionale del lago e attraversando il Giordano nel punto dove il fiume entra nel lago, e così riuscirono a prevenire la barca di Gesù. Quando egli scese a terra nella solitudine d’oltre Bethsaida-Giulia trovò le turbe che già l’attendevano. Probabilmente, durante il viaggio a piedi, i volenterosi partiti da Cafarnao erano cresciuti di numero; nell’imminenza infatti della Pasqua tutta la regione era già percorsa da carovane dirette a Gerusalemme e composte di Galilei orientali, i quali colsero quell’occasione per ascoltare di nuovo Gesù che non vedevano da qualche tempo. L’incontro con tanta folla fece subito svanire il progetto di solitudine e di riposo; tanto più che Gesù, appena vide i volenterosi accorsi, si impietosì su di essi e si dette a guarire miracolosamente gli infermi e parlare a tutti del regno di Dio. Frattanto le ore passavano; il gruppo di Gesù doveva esser partito da Cafarnao di buon mattino e nella stessa mattinata era approdato alla sponda opposta: ma l’incontro con le turbe, le implorazioni dei malati e degli infelici, le loro guarigioni, i discorsi sul regno, avevano consumato l’intera giornata e già si era fatta molta ora (Marco, 6, 35). Le turbe, dimentiche di tutto, non si stancavano né si staccavano da Gesù; però i pratici Apostoli s’avvicinarono a Gesù e gli fecero osservare che il posto era solitario, l’ora tarda, e quindi sarebbe stato opportuno licenziare le turbe affinché si sparpagliassero nelle borgate più vicine per trovarsi un po’ di vitto e di alloggio. Gesù rispose: «Date voi (stessi) da mangiare a loro!». La risposta appariva molto strana: prima di tutto non c’era pane, e poi forse non c’era neppure denaro sufficiente per comprarlo; Filippo, fatto un calcolo sommario, fece osservare un po’ ironicamente che neppure se ci fosse stato pane per la rilevante somma di duecento denari d’argento (più di duecento lire oro) sarebbe bastato per darne appena un boccone a ciascuno. Gesù non rispose ai calcoli di Filippo, ma cambiando tono chiese: «Quanti pani avete?». Rispose Andrea fratello di Pietro: «C’e’ qui un ragazzetto che ha cinque pani d’orzo e due pesci»; anch’egli però volle aggiungere all’informazione un serio richiamo alla realtà: «ma che è ciò per tanti?». Ma neanche ai calcoli di Andrea replicò Gesù.

• § 373. Tutt’attorno si stendeva a perdita d’occhio la prateria, in pieno rigoglio alla stagione pasquale d’allora: sembrava un mare di verde ondeggiante, da cui affioravano qua e là a guisa di Cicladi (come isole, ndR) i raggruppamenti della folla. A un tratto Gesù ordinò agli Apostoli che facessero adagiare la folla sull’erba; quando tutti furono adagiati in tanti circoli, ciascuno di una cinquantina o di un centinaio di persone, l’aspetto della scena si delineò più nitidamente: il testimone Pietro, che l’avrà descritta con predilezione nella sua catechesi orale, la rassomiglia a uno sterminato giardino in cui gli adagiati formavano aiuole (ed) aiuole e l’interprete di Pietro ripete a parola la sua comparazione (Marco, 6, 40). Ma ancora non si vedeva a che mirasse quell’ordine: adagiarsi sui divani avveniva nei conviti di lusso (§ 341), ma lì fra quell’erba quali vivande si potevano imbandire? Gesù però, «presi i cinque pani e due pesci, avendo guardato su nel cielo, benedisse e spezzò i pani, e (li) dava ai discepoli affinché apprestassero a quelli: anche i due pesci spartì a tutti». E mangiarono tutti e furono satollati. Il carattere tradizionale del convito giudaico era stato osservato sia nell’adagiarsi, sia nella preghiera premessa e nello spezzamento del pane che spettavano al padre di famiglia; ma fu osservato anche al termine con la raccolta degli avanzi, la quale si praticava ad ogni desinare giudaico: «e raccolse i pezzi con cui si riempirono dodici sporte, e (gli avanzi) dei pesci». Con la comodità del ripartimento in «aiuole» fu facile fare un calcolo della folla: ed erano coloro che mangiarono i pani cinquemila uomini (Marco, 6, 41-44); Matteo conferma ch’erano cinquemila, ma da antico gabelliere ama precisare: senza (contare) donne e bambini (Matteo, 14, 21). Nel Discorso della montagna Gesù aveva ammonito: «Non vi affannate dicendo “Che mangeremo?” o “Che berremo?” o “Di che ci revestiremo?” (...) sa invero il vostro Padre celeste che abbisognate di tutte queste cose. Cercate invece prima il regno e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (§ 331). Questa ammonizione si dimostrò esattissima in quella prateria di Bethsaida. Tutta quella gente nella intera giornata aveva cercato il regno e la sua giustizia, ossia il pane dello spirito, ma senza pensarvi ritrovò anche il pane del corpo; tuttavia questo pane del corpo fu un soprappiù secondarissimo, un episodio accessorio della scena, mentre il fatto eccezionale di quella giornata fu la ricerca generosa del regno e la sua trionfale espansione. Giustamente fu messo in rilievo - e proprio da un razionalista (Loisy) - che tutta questa narrazione nel IV Vangelo è dominata dall’idea del Cristo considerato come pane di vita spirituale. [Tuttavia l’acuta osservazione (del Loisy) è tendenziosa, e finisce totalmente guastata dalla tesi a cui (egli) mira. Per il Loisy la moltiplicazione dei pani sarebbe un’allegoria mistica (benché sia riportata anche da tutti e tre i Sinottici) e vorrebbe simboleggiare la stessa dottrina del successivo discorso di Gesù sul pane vivo; ma né la moltiplicazione e né il discorso sarebbero realtà storiche. (Secondo Loisy, lugubre antesignano della pseudo-esegesi dei modernisti, i fatti miracolosi narrati dagli Evangelisti sarebbero ordinariamente metafore o allegorie, e non avrebbero nulla di veramente storico, ndR). (Anche in questo caso, la conclusione del Loisy) è la solita petitio principii («petizione di principio» o «risposta con la premessa»: indica un ragionamento fallace nel quale la proposizione che deve essere provata è supposta implicitamente o esplicitamente nelle premesse, ndR). Dalla nota 1 alla pagina 445]. Vista l’importantissima nota, torniamo al corpo del testo: E appunto questo dovevamo aspettarci dal «Vangelo spirituale» (§ 160), il quale molto più che agli episodi vistosi e sonori bada ai sottili insegnamenti profondi, e mette particolarmente in luce le analogie tra fatti materiali ed i princìpi spirituali.

• § 374. Egualmente però dovevamo aspettarci che le folle rimasero colpite molto più dal fatto materiale che dal resto. Avevano esse inteso parlare la giornata intera del «regno» e ne erano state commosse, infine avevano visto moltiplicarsi fra le mani di quel banditore del «regno» il cibo dei loro corpi. La conclusione fu immediata, in conformità con le loro aspettative messianiche (§ 362): chi operava prodigi siffatti, poteva altrettanto facilmente sterminare eserciti nemici come Isaia, poteva ricoprire di tenebre un’intera regione come Mosè, attraversare fiumi all’asciutto come Giosuè, correre vittorioso su tutta la terra come il pagano Ciro chiamato “messia” dallo stesso Dio d’Israele (Isaia, 45, 1), poteva insomma attuare in pochissimo tempo il tanto sospirato «regno del Messia» a maggior gloria d’Israele. Dunque, egli era l’atteso Messia: la sua potenza lo rivelava indubbiamente tale. Davanti ad una conclusione così chiara e stringente, quegli ardenti Galilei passarono subito all’azione: «Gli uomini pertanto, veduto il miracolo che aveva fatto dicevano: “Questo è veramente il profeta veniente (§ 339) nel mondo!”. Gesù dunque, conosciuto che stavano sul punto di venire a rapirlo affin di farlo re, si appartò di nuovo nella montagna egli solo» (Giovanni, 6, 14-15). Questa notizia, preziosa per il suo bel colorito storico, è anche più preziosa perché trasmessa dal solo Evangelista che oggi si vorrebbe (a torto) far passare per un incessante ideatore di astratte allegorie; qui invece abbiamo la realtà storica più cruda, proprio quella realtà che Gesù aveva previsto da lungo tempo e che si era proposto di evitare con la sua condotta prudenziale (§ 301).

• § 375. Anche quella sera Gesù si era premunito contro il pericolo. Appena terminata la refezione, prima ancora che i focosi elettori avessero deciso la proclamazione regale, «Gesù subito costrinse i discepoli suoi ad entrare nella barca e a preceder(lo) al di là alla volta di Bethsaida, finché egli licenzia la turba» (Marco, 6, 45). In altre parole Gesù, avendo notato l’eccitazione della folla e riconosciutine gl’intendimenti, volle in primo luogo preservarne i suoi discepoli rinviandoli avanti a sé a Cafarnao, e inoltre rimanere  solo per esser più spedito nel suo contegno con gli eccitati messianisti politici. Il suo contegno da solo, come ci ha detto l’altro Evangelista, fu quello già seguito altre volte (§ 301), cioè di sottrarsi nascostamente; buona parte della notte fu poi passata da lui sulla montagna a pregare (Matteo, 14, 23). Frattanto i discepoli navigavano verso Cafarnao.

• [Dalla nota 1 alle pagine 446-448: Cafarnao è nominata espressamente come meta dei naviganti da San Giovanni (6, 17). Ma poiché nel citato Marco (6, 45) Gesù, stando sulla prateria a oriente di Bethsaida, ordina ai discepoli di precederlo al di là alla volta di Bethsaida, si è supposto che esistesse un’altra Bethsaida sulla riva occidentale del lago, oltre a Bethsaida-Giulia a oriente del Giordano. Senonché né la città è mai nominata nell’antichità, né il supporla ha autorevoli appoggi documentari o archeologici. Quanto all’ordine dato da Gesù ai discepoli di precederlo tragittando alla volta di Bethsaida (se pur le parole sono tutte genuine, e non contengono una glossa), non è necessario vedervi designata la meta ultima del tragitto, ma si spiega benissimo come indicazione della direzione generica che dovevano prendere quelli che stavano sulla prateria, poiché si trattava di una «retromarcia» e, nel venire, i discepoli erano passati vicino a Bethsaida-Giulia. Nell’accennata ipotesi, la Bethsaida occidentale sarebbe stata in un’insenatura che il lago fa a Khan Minijeh, presso al Monte delle beatitudini e a Tabgha (§ 316). Tabgha deve il suo nome all’appellativo bizantino Heptapegon («sette fonti»), con cui si designò l’antica fonte termale chiamata «Cafarnao» da Flavio Giuseppe (Guerra giud., III, 519); in questa zona, già ritenuta come prediletta da Gesù e messa in relazione col vicino Monte delle beatitudini, furono idealmente trasferiti luoghi evangelici della riva orientale del lago quando, ai tempi bizantini, cominciò ad esser difficile e pericoloso per i pellegrini cristiani visitare quei luoghi di là dal lago: fra essi fu anche Bethsaida. Ne sorsero confusioni ben grosse, come appare dai seguenti passi del Suriano (§ 261, nota): «Item, la città de Bethsaida, ovvero Tiberya (!), in la qual nasetero Pietro e Andrea, e chiamase Midine el Tiberie (in Trattato di Terra Santa e dell’Oriente, pag. 139). Item, la città de Bethsaida, ovvero Genesareth (!), ne la quale nascete Pietro et Andrea: la qual è sul lito del Mar di Galilea (...) Similiter dove Christo suscitò la fiola de l’Archisinagogo (!) fo facta una chiesta in memoria del miracolo; le qual chiesie etiam sono scargate. In questa città etiam sono li bagni: l’acqua de li quali è tanto calida che cote le ova, e non se usan de presente (ivi, p. 144). - Item, la città de Tiberya, la qual anticamente se chiamava Genesareth (!), ecc. (ivi, p. 145)»].

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.