Comunicato numero 146 bis. Ultime fondamentali catechesi di Gesù in GalileaProsegue ... Ultimi giorni in Galilea. § 406. Dopo i precedenti fatti Gesù «s’aggirava per la Galilea, e non voleva che alcuno (lo) sapesse» (Marco, 9, 30); era, dunque, una peregrinazione impiegata soltanto alla formazione spirituale dei discepoli che l’accompagnavano, mentre l’annunzio della buona novella alle turbe non entrava nel suo scopo. Quella formazione richiese ben presto una nuova ammonizione circa la sorte terrena del Messia, per dissipare sempre meglio i sogni di messianismo politico tenacemente albergati in quegli spiriti giudaici: «Il figlio dell’uomo sta per essere consegnato in mano agli uomini, e l’uccideranno, e al terzo giorno risusciterà». Il risultato della nuova ammonizione dimostra quanto fosse necessaria, giacché i discepoli «furono afflitti assai» (Matteo, 17, 22-23), e un altro Evangelista aggiunge che «non capivano questa parola, ed era velata per essi affinché non la percepissero; e temevano d’interrogare lui circa questa parola» (Luca, 9, 45). Più tardi il gruppo s’indirizzò a Cafarnao, e vi giunse mentre i discepoli, un po’ appartati da Gesù, erano tutti infervorati in una seria discussione fra loro (§ 408). Nella borgata l’arrivo fu notato dai gabellieri, i quali s’affrettarono ad accertarsi se Gesù aveva pagato il tributo per il Tempio di Gerusalemme: tutti gli Israeliti adulti erano, infatti, obbligati a pagare annualmente, per la manutenzione del Tempio, mezzo siclo d’argento: ossia due dramme (§ 534). La colletta si faceva ordinariamente prima della Pasqua, ma nelle zone più distanti come la Galilea si protraeva o si suppliva fino a prima della Pentecoste e dei Tabernacoli; essendo stato Gesù assente da Cafarnao da molto tempo, e avvicinandosi la festa dei Tabernacoli, i gabellieri vennero a riscuotere. Si rivolsero essi a Pietro domandandogli: «Il vostro maestro non paga (il) didramma?». E Pietro, con la sua solita foga: Ma certamente: ed entrò nella casa ove stava Gesù per parlargliene. Ma Gesù lo prevenne: «Che te ne pare, Simone? I re della terra da chi percepiscono tasse o censo? Dai loro figli o dagli estranei?». E Pietro rispose: «Dagli estranei». Gesù allora replicò: «Dunque i figli sono esenti!». L’applicazione al caso di Gesù era chiara: Egli era il figlio di Dio, e perciò non era tenuto al tributo per la casa terrena del suo Padre celeste. Tuttavia Gesù continuò: «Ma affinché non li scandalizziamo, andato (tu) al mare getta un amo, e il primo pesce che viene su prendi(lo), e apertagli la bocca troverai uno statere. Prendilo, e dallo ad essi per me e te» (Matteo, 17, 24-27). Lo statere, infatti, equivaleva a un siclo intero, cioè a quattro dramme; così si soddisfaceva ai tributi di Gesù e di Pietro insieme. L’oratore del Discorso della montagna aveva esortato ad imitare gli uccelli del cielo e i gigli del campo, e a non preoccuparsi di cose materiali ma soltanto del regno di Dio e della sua giustizia: là egli aveva predicato a parole, qui commenta con le opere le sue parole dimostrandole sagge, come aveva già fatto nelle due moltiplicazioni dei pani. Forse in quel momento il peculio comune del gruppo degli Apostoli era ridotto a pochi spiccioli; Gesù, senza ricorrere a prestiti, rinvia Simone a quella Provvidenza che fornisce il cibo agli uccelli e il vestito ai gigli, e la Provvidenza avalla l’ipoteca addossata su lei dal Discorso della montagna.

• § 407. Vivono ancora oggi abbondantissimi nel lago di Tiberiade i pesci del genere dei Chronidi i quali seguono un ciclo d’incubazione singolarissimo, facilmente riscontrabile soprattutto nella specie chiamata Chronis Simonis, volgarmente “pesce di S. Pietro”. La femmina di questo pesce depone fra la vegetazione subacquea le uova, in numero di circa 200; più tardi il maschio raccoglie queste uova fra le sue branchie e specialmente nella sua bocca, conservandole ivi molto tempo, fino a che il ciclo evolutivo sia terminato e i piccoli, raggiunta la lunghezza media di 10 millimetri, possano vivere indipendentemente: questo ufficio d’incubazione ha procurato al maschio anche il nome di Chronis paterfamilias. Nell’ultimo periodo dell’incubazione, quando gli embrioni sono abbastanza sviluppati, la gola del maschio incubatore è divenuta mostruosamente sproporzionata al resto del suo corpo, ed è così rigonfia che assai spesso le mascelle non si rinserrano più. Quando poi è giunto il tempo di mandar via liberi i piccoli, il maschio incubatore ne provoca l’uscita introducendosi nella bocca qualche oggetto che espelle man mano i piccoli e che rimane al loro posto per qualche tempo. Questo oggetto è di solito un ciottolo, ma in sua vece lo stesso servizio potrebbe esser fatto da una moneta, ad esempio da uno statere o siclo antico. Fu questo il caso del pesce pescato da Simone con lo statere in bocca? Non potremmo dirlo; sappiamo soltanto che il moltiplicatore dei pani fece assegnamento sulla Provvidenza anche questa volta, sebbene in altra maniera, e la Provvidenza pagò puntualmente l’ipoteca emessa su di lei dal Discorso della montagna. Dei successivi seguaci di Gesù forse nessuno fece assegnamento sulla banca della Provvidenza più fiduciosamente di San Francesco d’Assisi, e la sua esperienza gli permetteva di dire ch’era una banca puntualissima nei pagamenti. C’è da chiedersi se il figlio di Bernardone non fosse un esegeta più acuto dei moderni critici del Vangelo.

• § 408. L’incarico dato a Pietro si ricollegava in qualche modo con la discussione che i discepoli avevano avuta fra loro quand’erano giunti a Cafarnao; ciò forse apparve dal loro contegno o da qualche frase mozza, cosicché Gesù li interrogò direttamente: «Di che ragionavate per strada?». La domanda li mise in imbarazzo: si vergognavano essi di rispondere, perché oggetto della discussione era stato chi di loro fosse il maggiore nel regno dei cieli. C’era motivo infatti da discutere, non tanto riguardo a Pietro già preferito a Cesarea di Filippo e anche adesso per il pagamento dello statere, quanto riguardo agli altri: ciascuno avrà portato le sue buone ragioni per dimostrare che, quando il maestro si fosse assiso sul suo trono messianico rilucente di ori e tempestato di gemme, il seggio più onorifico e più vicino al trono spettava a sé e non al compagno con cui discuteva. Dopo un breve silenzio di pudore, uno prese coraggio e disse a Gesù di che si era discusso: Chi sarebbe stato il primo? Nell’interpellato parlò nuovamente l’oratore del Discorso della montagna, il capovolgitore. Primo - egli rispose - sarebbe stato l’ultimo di tutti, il servo e lo schiavo di tutti. Proprio in quel momento passa a caso per la stanza un bambino; Gesù lo chiama a sé, lo accarezza, lo mette nel mezzo di quegli uomini maturi, e guardandoli uno per uno in faccia sentenzia: «In verità vi dico, se non vi mutiate e diventiate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli! Chiunque pertanto si abbasserà come questo bambino, costui è il maggiore nel regno dei cieli» (Matteo, 18, 3-4). Proseguendo poi a proposito del bambino preso a modello, Gesù affermò che chi accoglieva nel nome di lui un bambino come quello accoglieva lui stesso, come accogliendo lui si accoglieva il Padre celeste che lo aveva inviato (§ 483). Questa larghezza d’accoglienza non sembrò chiara a Giovanni. Poco prima egli e gli altri Apostoli non avevano accolto, anzi avevano a bella posta ostacolato, un tale che scacciava demonii nel nome di Gesù: poteva certo ammettersi che quel tale si servisse del nome del maestro per esorcizzare, ma in tal caso egli avrebbe dovuto entrare nel gruppo di discepoli e accompagnarsi con loro; siccome però non aveva voluto unirsi, gli Apostoli lo avevano ostacolato. Gesù disapprovò l’agire degli Apostoli; essi non avrebbero dovuto ostacolare quel tale, perché (in quel momento, ndR) chi non era contrario a loro era favorevole a loro (Marco, 9, 38-40).

• § 409. Alla rinfusa, poi, in quei giorni impiegati nella formazione spirituale dei discepoli Gesù impartiva loro altre norme, man mano che se ne presentava l’occasione (Marco, 9, 41 segg., e paralleli): Chi darà un bicchiere d’acqua ai discepoli di Gesù in quanto tali, non rimarrà senza ricompensa. Chi scandalizza uno di coloro, che credendo in Gesù sono ridiventati piccoli come bambini, sarà meglio per lui che legatagli con una corda al collo una mola asinaria sia gettato in mare; a questo servizio si prestava benissimo la mola inferiore (delle due pietre che formavano la macina da grano mossa da asini), la quale pietra era bucata per far scorrere in basso la farina, e attraverso il foro sarebbe passata la corda. Si deve far attenzione a non disprezzare uno dei piccoli in ispirito, perché i loro angeli tutelari contemplano sempre il volto del Padre celeste. Se un fratello ha mancato, sia ripreso in segreto a quattr’occhi: se ascolta, è stato guadagnato un fratello. Se non ascolta, si prendano uno o due testimoni per regolarsi conforme alla prescrizione della Legge mosaica (Deuteronomio, 19, 15-17). Se ancora non ascolta, sia deferito alla Chiesa; e se non ascolta neppure la Chiesa, sia considerato com’è considerato nel giudaismo un pagano e un pubblicano, ossia come un estraneo alla comune vita spirituale. Però quanto gli Apostoli, costituenti la Chiesa, legheranno o scioglieranno sulla terra sarà anche legato o sciolto in cielo (§ 397). Quando due concordino sulla terra a chiedere qualche cosa, sarà loro concessa dal Padre celeste. Poiché dove siano congregati due o tre in nome di Gesù, anche Gesù è in mezzo a loro. La primitiva catechesi, trasmettendoci queste sentenze, mostrò di scorgere in esse le norme che dovevano regolare la vita sociale dei seguaci di Gesù e lo stampo su cui doveva plasmarsi la Chiesa delle prime generazioni. Ma la norma di denunziare il fratello colpevole e pervicace risvegliò nel cervello di Pietro una difficoltà: «Signore, quante volte peccherà contro di me il mio fratello e io gli rimetterò? Fino a sette volte?». Il numero sette era tipico e sacro nel giudaismo, e qui Pietro si mostra ancora magnanimo, giacché nel secolo appresso Rabbi b. Jehuda sentenzierà che Dio perdona fino alla terza volta ma non la quarta (Joma, 86 b, Bar.; allusione ad Amos, 2, 4). Con tutto ciò la magnanimità di Pietro sembra pusillanimità a Gesù, il quale replica: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette!», cifra convenzionale per indicare una quantità illimitata. Secondo Pietro, infatti, il precetto del Discorso della montagna di offrire l’altra guancia a chi dia uno schiaffo doveva valere solo sette volte, e all’ottavo schiaffo il precetto era abolito; invece, secondo l’oratore del Discorso della montagna, l’ottavo schiaffo era sempre il primo e quindi il precetto era sempre valido. E perché mai?

• § 410. Il perché fu spiegato da Gesù con una parabola. C’era un potente re che un bel giorno volle fare il bilancio di cassa, e perciò chiamò alla resa dei conti i suoi ministri. Fra i primi si presentò uno che doveva consegnare ben 10.000 talenti: somma addirittura spaventosa, e specialmente per quei tempi, giacché equivarrebbe a più di 60 milioni di lire in oro (anno 1941, ndR). Il debitore naturalmente non aveva tal somma; e allora il re, per recuperarne almeno una minima parte, ordinò che si vendessero sia il debitore con la moglie e i figli come schiavi, sia tutti i suoi possedimenti. In sostanza, la sentenza era benigna per quei tempi, perché al debitore e ai suoi familiari era lasciata ancora la vita, mentre il re perdeva la massima parte del suo credito. Ma a udire quella decisione il debitore si gettò ai piedi del re, implorando non tanto con la solita teatralità orientale quanto con la sincerità dell’uomo rovinato per sempre: «Sii longanime con me, e ti restituirò ogni cosa!». Il re, ch’era di cuore molto buono, ne ebbe compassione, e senz’altro rimandò libero il debitore rimettendogli l’intero debito. - L’uomo tornava davvero a respirare e ad esser uomo: era scampato dalla schiavitù, e per di più aveva guadagnato ben 10.000 talenti! Senonché, appunto questa fierezza l’accecò. Uscito dalla terribile e fortunata udienza, egli s’imbatté in un suo collega che gli era debitore di cento denari, somma di poco più che 100 lire in oro (ivi.); appena lo vede, gli salta addosso, lo prende per il collo da soffocarlo quasi, e si dà a gridare: «Pagami il tuo debito!». Il povero collega gli si getta ai piedi esclamando: «Sii longanime con me, e ti restituirò!». Ma quello non dette ascolto, e lo fece mettere in prigione fino a che avesse pagato. Il fatto addolorò gli altri impiegati di corte, che lo riferirono al re. Allora il re fece chiamare il debitore graziato e gli disse: «Servo malvagio! Io ti ho rimesso tutto quell’enorme debito perché ti raccomandasti; e non dovevi, dunque, anche tu aver compassione del tuo collega?». E, adiratissimo, il re lo fece consegnare, non già ai soliti carcerieri, ma ai torturatori fino a che non avesse pagato l’intero debito. E Gesù concluse: «Così anche il mio Padre celeste farà con voi, se non rimettiate ciascuno al suo fratello dai vostri cuori». Pare che questa volta gli Apostoli non chiedessero a Gesù la spiegazione della parabola, tanto era chiara. Il re è Dio; la spaventosa somma condonata dal re al ministro sono le mancanze condonate da Dio all’uomo; la trascurabile somma brutalmente richiesta dal collega al collega sono i piccoli torti di uomo ad uomo. Cosicché, ed è questo l’insegnamento conclusivo della parabola, il perdono di Dio all’uomo esige imperiosamente il perdono dell’uomo all’uomo. E quanto Gesù aveva già concluso nel Pater noster: «Rimetti a noi i debiti nostri come anche noi rimettemmo ai nostri debitori».

• § 411. A questo tempo, cominciando dalla Pasqua della prima moltiplicazione dei pani (§ 372), erano trascorsi parecchi mesi e giungeva oramai l’autunno dell’anno 29; dall’inizio del ministero pubblico di Gesù era passato più d’un anno e mezzo, circa una ventina di mesi. Stando ai dati espliciti dei Vangeli, l’operosità di tutti questi mesi era stata impiegata soltanto nella Galilea, salvo il viaggio a Gerusalemme (§ 384) e l’altro viaggio nella Fenicia e a settentrione della Palestina (§ 389). Purtroppo, facendo un bilancio secondo i calcoli umani, risultava un forte deficit nel risultato di quell’operosità. I compaesani di Nazareth avevano decretato l’ostracismo al predicatore della «buona novella» (§ 359). Le borgate presso il lago, che sembravano le preferite da lui, erano accorse attorno al taumaturgo, si, ma per ottener luce ai loro ciechi, udito ai loro sordi, vita ai loro morti, pane ai loro stomachi: quando invece si era trattato di accettare il «cambiamento di mente» e il capovolgimento spirituale richiesti dal taumaturgo, gli accorsi avevano in massima parte rifiutato, e la sementa da lui sparsa era caduta o sui sentieri calpestati o sul pietrame o fra le spine (§ 365). Che cosa era germogliato dalla sua seminatura? Oltre al manipolo dei discepoli - anche questi lontanissimi da una piena maturazione - si potrà ragionevolmente supporre che molto scarsi dovevano essere coloro che in tutta la Galilea aderivano sinceramente alla «buona novella». Umanamente dunque era, o sembrava, un bilancio fallimentare. Gesù lo sentì. Il suo cuore ne fu attristato; tanto più che non c’era tempo per insistere ancora, dovendo egli allontanarsi per tentare altrove. Che cosa avrebbe potuto egli fare nel passato fra quei Galilei, e specialmente fra le borgate prossime al lago, per ottener una messe più abbondante? Nulla. E se la messe era stata scarsissima, il danno non era forse di quelle borgate da lui tanto amate? Cosicché dal suo cuore, uno di quei giorni, eruppe il rimpianto e la deplorazione: «Guai a te Chorozain! Guai a te Bethsaida! Giacché, se in Tiro e Sidone fossero avvenuti i portenti avvenuti in voi, da lungo tempo in sacco e cenere avrebbero fatto penitenza! Sennonché vi dico, per Tiro e Sidone vi sarà più tollerabile (sorte) nel giorno del giudizio che per voi! E tu Cafarnao, forseché fino al cielo sarai innalzata? Fino agli Inferi sarai abbassata! Giacché se in Sodoma fossero avvenuti i portenti avvenuti in te, sussisterebbe fino ad oggi! Senonché vi dico che per la terra di Sodoma vi sarà più tollerabile (sorte) nel giorno del giudizio che per te» (Per questi recenti testimoni increduli ci saranno castighi eterni addirittura peggiori di quelli, già terribili, riservati ai sodomiti, ndR).

• § 412. Delle borgate galilee qui nominate conosciamo bene Bethsaida e Cafarnao; ma Chorozain non appare altrove, ed è ricordata soltanto qui in tutti i Vangeli. Questa inaspettata menzione è altamente istruttiva, perché mostra quanto lacunose siano le informazioni trasmesseci dagli Evangelisti circa i fatti di Gesù; se adesso Gesù nomina Chorozain individualmente per una particolare deplorazione, ciò mostra che nel passato la borgata era stata oggetto di amorevoli cure non meno di Bethsaida e di Cafarnao: eppure di queste cure noi non sappiamo assolutamente nulla. L’Onomastico di Eusebio dice che Chorozain distava due miglia da Cafarnao. Infatti a circa tre chilometri a nord di Cafarnao è il luogo chiamato oggi Keraze (o Kerazie), ove recentemente è stata riportata alla luce l’antica sinagoga costruita di pietra di basalto e con decorazioni analoghe a quelle della sinagoga di Cafarnao (§§ 285, 336): un’iscrizione aramaica conservata ivi nel seggio dell’archisinagogo ricorda per gratitudine un Judan figlio di Ismael, benemerito della costruzione dell’edificio. Oggi, come già ai tempi di Eusebio, tutto il luogo è deserto. In tempi tardivi questa borgata, nominata nei Vangeli soltanto per esser maledetta, attirò la fantasia popolare cristiana la quale, dopo averci riflettuto sopra parecchi secoli, sentenziò che essa sarebbe stata la patria dell’Anticristo.

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.