Comunicato numero 160. Le necessarie condizioni per seguire GesùStimati Associati e gentili Sostenitori, sul nostro canale Youtube abbiamo caricato il video «Complotto contro la Chiesa e la società civile - La Massoneria e l’Alta Vendita Suprema» (Cliccare qui), tratto dalla preziosa Corrispondenza de «La Civiltà Cattolica» anno 1875: quando la Rivista della Compagnia di Gesù pubblicava scritti cattolici ed era gestita da Cattolici. Vi ricordiamo che è possibile destinare il 5x1000 alla nostra piccola Associazione. È sufficiente indicare nella dichiarazione dei redditi (o in allegato ad altri modelli) il nostro codice fiscale - 01944030764 - nell’apposita casellina: «Sostegno delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, delle associazioni di promozione sociale ...». Grazie, Dio Vi benedica!

• Con l’Abate Ricciotti oggi tratteremo vari argomenti, iniziando a scrivere di Gesù nella Transgiordania. § 462. Poco dopo la Festa della Dedicazione, ossia nei primi giorni dell’anno 30, Gesù si recò in Transgiordania (Perea), precisamente nella zona ove Giovanni il Battista aveva amministrato il suo battesimo (§ 269) e vi si trattenne qualche tempo (Giovanni, 10, 40; cfr. Matteo, 19,1; Marco, 10, 1; Luca, 13, 31 segg.); di là tuttavia egli dovette in seguito irradiarsi per varie escursioni missionarie nelle parti settentrionali della Giudea, attraversando anche la Samaria e raggiungendo la Galilea, dalla cui direzione lo fa scendere San Luca (17, 11) nel suo ultimo e definitivo viaggio verso Gerusalemme (§ 414). Perciò anche per questo periodo continua l’imprecisione di cronologia e di topografia che già rilevammo, e la narrazione di San Luca prosegue ad essere aneddotica (§ 415). Un tale una volta l’interroga: «Signore, saranno pochi coloro che si salvano?» - Gesù risponde impiegando idee che già abbiamo udite nel Discorso della montagna secondo San Matteo (§ 333): «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, giacché molti cercheranno invano di entrare quando il padrone, visto che gli invitati sono tutti giunti, si è levato da sedere ed è andato a chiudere l’uscio; allora sarà troppo tardi, e a quelli che busseranno per entrare sarà risposto: “Non so donde siete!”». L’interrogazione fatta a Gesù risentiva dell’opinione diffusa a quei tempi nel giudaismo, che gli eletti fossero in numero molto minore dei reprobi. Gesù non respinge né approva tale opinione, ma solo invita a sforzarsi per entrare nella sala del convito non essendo facile l’ingresso. È vero che l’interrogante è giudeo, membro del popolo eletto e connazionale di Gesù: ma tale qualità non serve a nulla per avere un ingresso di favore. Prosegue infatti Gesù: «Quando vi vedrete così esclusi, insisterete dicendo “Ma come? Abbiamo mangiato e bevuto insieme con te, e tu hai insegnato nelle nostre piazze!“, eppure vi sarà ancora risposto “Non so donde siete; lungi da me voi tutti operatori di iniquità” (§ 333). Voi rimarrete là ove è pianto e stridore di denti, pur vedendo i vostri antenati Abramo, Isacco e Giacobbe, nel regno di Dio. Né i posti lasciati vuoti da voi a quel convito rimarranno vuoti, giacché giungeranno altri invitati non giudei da Oriente ed Occidente, da Settentrione e Mezzodì, e s’assideranno a mensa nel regno di Dio!».

• § 463 Si avvicinarono poi a Gesù alcuni Farisei e gli dissero in tono confidenziale: «Va’ fuori, allontanati di qua, perché Erode vuole ucciderti» (Luca, 13, 31). Questo Erode è Antipa, l’assassino di Giovanni il Battista; trovandosi allora Gesù nella Transgiordania, era appunto sul territorio di lui: di qui il consiglio datogli da quei Farisei. Ma come stavano in realtà le cose? Aveva Antipa vera intenzione di mettere a morte Gesù? Molto probabilmente no, ché se l’avesse avuta, l’avrebbe eseguita con segretezza e facilità. Egli piuttosto cominciava ad essere seccato di quel Rabbi galileo, ricomparso adesso nel suo territorio a commuovere turbe e sovvertire istituzioni e che nella sua fisionomia morale rassomigliava tanto al Giovanni da lui ucciso; questa sua vittima doveva stargli sempre fissa davanti agli occhi, quasi per continuare con più potenza il suo ufficio di censore, e il tetrarca non aveva alcun desiderio di disturbare ancor più le sue notti adulterine facendo una vittima anche di Gesù. Si allontanasse costui spontaneamente dal suo territorio, senza costringerlo a ricorrere alla forza. Ma come indurlo a questa partenza? C’erano i Farisei pronti a questo servizio; se - com’è probabile (§ 292) - appunto essi si erano prestati come mediatori per attirare Giovanni il Battista sul territorio di Antipa e farlo catturare da lui, adesso in compenso facessero la mediazione inversa inducendo Gesù ad allontanarsi con lo spauracchio della morte: e i Farisei si sarebbero prestati volentieri a questo servizio perché, attirato che avessero Gesù nella zona di Gerusalemme, più facilmente avrebbero fatto di lui ciò che volevano. Una fine astuzia da volpe. Gesù infatti, sapendo benissimo come stavano le cose, rispose a quei premurosi Farisei: «Andate a dire a questa volpe: “Ecco, scaccio demonii e compio guarigioni oggi e domani, e al terzo (giorno) son consumato; senonché è necessario che oggi e domani e il dì seguente io cammini, perché non è conveniente che un profeta perisca fuori di Gerusalemme”». La risposta da portare alla volpe, ossia ad Antipa, lo esortava a non preoccuparsi: Gesù avrebbe continuato la sua operosità taumaturgica, nel territorio del tetrarca o altrove, ancora due giorni e al terzo giorno l’avrebbe cessata ed egli stesso sarebbe stato consumato; ma questa consumazione della sua vita non sarebbe avvenuta nel territorio di Antipa bensì a Gerusalemme, tanto per rispettare il tragico privilegio di questa città di essere l’assassina dei Profeti. Ancora una volta, dunque, Gesù si appella nettamente alle sue opere taumaturgiche come alle prove della sua missione; inoltre afferma che questa missione durerà ancora un giorno, un secondo giorno, e parte di un terzo. È questa indicazione di tempo soltanto vaga e generica (come, riferendosi al passato, si direbbe “ieri, l’altro ieri e tre giorni fa”), oppure vuole essere una delimitazione ben precisa? Il primo caso è certamente possibile, ma il secondo sembra più probabile; se Gesù pronunziava queste parole nel gennaio dell’anno 30 (§ 462), circa due mesi e mezzo lo separavano dalla sua morte, e questi sarebbero i due giorni e mezzo qui accennati. • Condizioni per seguire Gesù. § 464. San Luca continua nella sua raccolta di aneddoti. All’avvertimento da parte di Antipa, egli soggiunge il convito presso il Fariseo e le successive discussioni di cui già trattammo (§ 456 segg.); appresso ancora egli colloca una serie di condizioni per seguire Gesù, il quale le elenca un giorno ch’è seguito da numerose folle, mentre alcune di queste condizioni sono collocate altrove da San Matteo. Esse si raggruppano in tre capi principali: l’amore per Gesù deve prevalere nel suo seguace sull’amore per il proprio sangue e per tutte le persone che ne partecipano; deve prevalere sull’amore per la sua propria persona morale e fisica; deve prevalere sull’amore per i beni materiali. «Se alcuno viene a me, e non odia il padre suo e la madre e la moglie e i figli e i fratelli e le sorelle e anche la sua propria vita non può essere mio discepolo. Chiunque non porta la sua croce e viene dietro a me (§ 400) - non può essere mio discepolo. Ognuno di voi che non rinunzia a tutte le sue sostanze - non può essere mio discepolo». Il Semita, per dire che egli amava meno Tizio che Caio, diceva che odiava Tizio in confronto di Caio (cfr. Genesi, 29, 30-33: Deuteronomio, 21, 15-17); in tal senso qui Gesù, nella prima condizione, dice che il suo seguace deve odiare le persone del suo proprio sangue. Probabilmente per effetto del lavoro redazionale la terza condizione (Luca, 14, 33) è staccata dalle altre due (14, 26-27), ed è preceduta da una doppia parabola che le illumina tutte e tre. Queste condizioni sono essenzialissime per entrare nella sequela di Gesù: ognuno dunque, avanti d’incamminarsi per seguirlo, faccia bene i suoi calcoli e ponderi se è disposto ad osservarle, altrimenti non s’incammini. E infatti, chi è che voglia costruire una torre, e non faccia prima il computo delle spese per vedere se potrà sostenerle? Se invece comincerà senz’altro a costruire, gli potrà succedere che, gettate le fondamenta, non abbia più denari per sovredificare; e allora la fabbrica rimasta a mezzo diventerà la favola del paese, e tutti si befferanno del presuntuoso costruttore. Oppure qual è quel re che voglia muovere guerra con 10.000 armati a un altro re che ne ha 20.000, e non faccia prima i calcoli strategici per vedere se l’inferiorità numerica delle proprie forze può essere compensata dalla loro valentia o da altre circostanze propizie? Se poi vede che non può essere compensata, non attacca battaglia, ma piuttosto entra in negoziati di pace. Nella stessa guisa, chi vuol seguire Gesù, deve amar lui prima di tutto e sopra ogni altra cosa. Può darsi benissimo il caso che l’amor per lui si accordi con altri amori; ma quando questi altri amori contrastino con quello supremo, dovranno cedere il campo ad esso e lasciarlo dominare da padrone assoluto. Altrimenti non si può essere in alcun modo vero seguace di Gesù. Queste condizioni, franche fino alla rudezza, furono presentate da Gesù alle molte folle che accorrevano a lui (Luca, 14, 25). Il loro significato storico è chiaro. Fra gli accorrenti molti, anzi moltissimi, si sentivano attirati dalla superiorità spirituale di Gesù, dalla potenza dei suoi miracoli, da vaghe speranze di trionfi e di gloria, da aspettative di condominio con lui nel suo regno messianico, ma costoro alle prime difficoltà si sarebbero ritirati precipitosamente addietro; Gesù previene queste difficoltà, e presenta le rudi condizioni per seguirlo come altrettante disillusioni di cotesti loro sogni beati. Non si prendano le cose alla leggiera. Al seguace di Gesù si può chiedere ad ogni momento di essere un gigante di eroismo: l’edificio che questo seguace comincia a costruire è una torre basata sulla terra, ma la cui cima dovrà toccare il cielo; il volo che egli spicca, affidato unicamente a «l’ale sue», congiunge due «liti sì lontani» quali la terra e il cielo. Chi non si sente la forza di far ciò rinunziando a tutti «gli argomenti umani», potrà mettersi alla sequela di qualche insigne maestro fariseo, non già di Gesù: «Vedi che sdegna gli argomenti umani, Si che remo non vuol né altro velo Che l’ale sue tra liti si lontani». (Purgatorio, II, 31-33).

• La pecora e la dramma perdute. § 465. Qui San Luca fa seguire una collana di parabole: le prime perle di questa collana, da lui conservateci, si possono ben chiamare i gioielli della misericordia divina, e confermano al gioielliere il titolo decretatogli da Dante di scriba mansuedinis Christi (§138). Una breve introduzione serve da cornice a queste parabole della misericordia: «Stavano a lui vicini tutti i pubblicani ed i peccatori per udirlo; e (quindi) mormoravano sia i Farisei che gli Scribi dicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia insieme con essi!”». Brontolamenti di questo genere erano già noti a Gesù, che aveva risposto in proposito molto tempo prima (§ 306). Questa volta rispose nuovamente ricorrendo alle predilette parabole, le quali potevano giovare sia ai tracotanti condannatori sia ai poveri condannati. Il primo paragone fu preso dai costumi pastorali (§ 432 segg.). Un pastore ha 100 pecore e la mattina, fattele uscire dall’ovile, si mette in giro con esse per la steppa a farle pascolare. A una certa ora della giornata si avvede che una pecora manca; guarda e riguarda, non la vede. Non c’è dubbio: s’è perduta. Si sarà staccata dal gruppo, attirata da qualche valloncello più verde e ubertoso, e mentre il resto del gregge si allontana sarà rimasta là solitaria, ingannata dalla momentanea abbondanza ma esposta al lupo notturno. Presto! Bisogna far di tutto per ritrovarla, prima che calino le rapide ombre del vespero palestinese. Il sollecito pastore affida allora le altre 99 pecore ai garzoni, e corre alla ricerca della smarrita... Cala in valloncelli, sale su collinette, scruta su distese aperte, sempre col cuore angosciato; spia il roteare dei falchi, chiama, tende l’orecchio, non si dà pace, finché in un momento di gaudio ode un belato. È la pecora perduta! Le corre dappresso. Per lei non ha una voce di rimprovero, non un gesto di minaccia; anzi l’alza di peso e se la mette sulle spalle, estendendo a lei il privilegio riserbato agli agnellini da latte che non possono ancora camminare: trovandosi solitaria, quella povera bestiola avrà tanto penato, non meno del suo pastore, e merita bene quel privilegio! Né il pastore avverte sulle sue spalle quel carico non leggiero: il gaudio di sentire addosso a sé la bestiola perduta gliene fa sembrare piacevole il peso. La sera poi, giunto a casa, il pastore non si occupa affatto delle altre 99 pecore che egli sa al sicuro, bensì chiama amici e compagni volendo condividere con essi il suo nuovo gaudio: «Allegri! È andata bene! Eccola là, la pecora perduta! L’ho ritrovata!» - Gesù concluse: «Vi dico che così sarà gaudio nel cielo per un solo peccatore che si penta, più che per 99 giusti i quali non hanno bisogno di penitenza». Il secondo paragone è tolto dalle usanze domestiche, ma simboleggia l’identico insegnamento morale del primo. Una buona donna di casa, accorta ed economica, si è costituita un gruzzoletto a forza di piccole industrie e di risparmiucci. Sono dieci dramme, dieci lampanti monete del valore complessivo di poco più che 10 lire in oro. La donna le tiene ben raggruppate dentro una pezzuola; la pezzuola è accuratamente ravvolta e legata a nodo; il prezioso involto sta gelosamente nascosto in un angoletto oscuro della casa, dove di tanto in tanto la donna va a far delle visitine per vedere che tutto sia in ordine e per rallegrarsi la vista a quel luccichio. Senonché un brutto giorno la visitatrice, slegato l’involto, trova che le dramme non sono più dieci, ma nove. Che amara sorpresa! Dove mai sarà andata a finire la dramma mancante? Quando sarà scomparsa? Tutta affannata la donna ripensa alle ultime volte che ha maneggiato il gruzzolo: forse è rotolata via il giorno tale, quando fece in fretta e furia quel pagamento; forse quell’altro giorno, quando sconvolse tutta la casa per far pulizia. E allora l’ansiosa donna si arma di lucerna e di scopa; scruta gli angoletti più oscuri, spazza una per una le fessure dell’impiantito, spia in tutti i bucherelli e in tutte le screpolature, fino a che scorge rimpiattata fra due assi la dramma mancante. Allora esplode la sua gioia rumorosa; la donna fa crocchio con amiche e comari per raccontare a tutte il suo gaudio, come aveva fatto il pastore per la pecora ritrovata. E Gesù conclude: «Così, vi dico, è gaudio al cospetto degli angeli d’Iddio per un solo peccatore che si penta». In conclusione, conversione di uomini in terra significa in cielo gaudio di angeli.

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.