Comunicato numero 11. Gesù ci dice: «Chi ha orecchi, intenda!»

Da Dio abbiamo ricevuto molti doni, fra questi spicca l’intelletto che, particolarmente, ci distingue dalla bestia, insieme a molto altro. Ecco perché si usa dire dei bruti o di chi fa generalmente cattivo uso dell’intelligenza che essi «vivono come gli animali». Tutti questi doni gratuitamente ricevuti dal nostro Padre celeste, affinché giovino a qualcosa, dobbiamo coltivarli e farne buon uso. La Scrittura ci dice che i terreni, potenzialmente fruttiferi e produttivi, se lasciati incolti, abbandonati o mal utilizzati, ci restituiscono frutti selvatici, rovi, spine: «spinas et tribulos». Parimenti accadrebbe delle nostre anime, qualora le consegnassimo all’ozio, all’oblio dell’ignoranza, all’eresia, insomma a tutte le seduzioni del demonio. Ogni creatura ragionevole, una volta morta, quindi non appena l’anima è separata dal corpo, passa al giudizio particolare, dove il Signore ci giudica immediatamente, destinandoci o al Paradiso - iusti fulgebunt sicut sol in regno Patris eorum, o al Purgatorio, oppure all’Inferno - mittent eos in caminum ignis; ibi erit fletus et stridor dentium. Gesù, parlando del giudizio universale, aggiunge: Qui habet aures, audiat!, ossia: «Chi ha orecchi, intenda!». Al Limbo, invece, finiscono le anime dei bimbi (non in età di ragione) non battezzati. Insegna Papa Innocenzo III, Lettera Maiores Ecclesiae causas all’arcivescovo Imberto di Arles, anno 1201: «Noi diciamo, operando una distinzione, che vi è un duplice peccato, quel­lo originale cioè, e quello attuale: il peccato originale che è contratto senza il consenso, e quello attuale che è commesso in virtù del consenso. Il peccato originale quindi, che è contratto senza il consenso, senza il consenso è rimesso in forza del sacramento; quello attuale infine, che è contratto in virtù del con­senso, non viene affatto sciolto senza il consenso. [...] La pena del peccato origi­nale è la mancanza della visione di Dio, mentre la pena del peccato attuale è il tormento dell’inferno eterno». Di questo ne abbiamo già parlato, citando Papa Pio XII, nei numeri precedenti. Al giudizio, si rende conto presso Dio dei doni ricevuti e di come sono stati utilizzati durante la vita; ognuno sarà giudicato con giustizia, quindi trattato secondo il frutto e le opere che ne avrà ricavato. I vecchi compendi di apologetica usavano spiegare che Dio ha dato a tutti le mani, che rappresentano l’azione viva ed intelligente, ma a condizione che non ritorniamo a Lui con queste mani vuote - et inutilem servum eicite in tenebras exteriores: illic erit fletus et stridor dentium. Ho, all’uopo, menzionato la parabola dei talenti, dove il Signore si esprime categoricamente ed annunzia che di tutto, talento per talento, Gli dovrà essere reso un rigoroso conto. Sant’Agostino asserisce che a nessuna creatura, alla quale Dio ha affidato la lampada dell’intelligenza, è permesso di comportarsi come le vergini stolte di cui ci parla il Vangelo - Novissime autem veniunt et reliquae virgines dicentes: “Domine, domine, aperi nobis”. At ille respondens ait: “Amen dico vobis: Nescio vos”. Alle vergini imprudenti che lasciarono finire l’olio delle lucerne, per non averle ben rifornite quando opportuno, facendo spegnere così il lume, il Signore dice: «non vi conosco [...] e la porta fu chiusa». Preghiamo Dio di essere sempre in Sua grazia, affinché possiamo utilizzare degnamente della nostra intelligenza. E adesso una comunicazione di carattere tecnico. Pare che alcuni stimati Abbonati non ricevano puntualmente, o non ricevano affatto, la rivista in cartaceo. Siamo rammaricati e non mancheremo di domandare conto alle Poste, affinché ognuno faccia il proprio dovere!

Carlo Di Pietro