Comunicato numero 171. Il convito di Bethania: Giuda il ladro

Stimati Associati e gentili Sostenitori, il motto del nostro settimanale è «Chi prega si salva, chi non prega si danna», massima che abbiamo attinto dagli insegnamenti di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Le nostre naturali forze non sono sufficienti poiché il nemico non è di sangue e carne (Ef. VI, 12), dunque dobbiamo pregare e molto: secondo le prudenti direttive del confessore. Sul sito stiamo quotidianamente aggiornando la sezione «Preghiere» (cliccare qui), dove è possibile reperire l’orazione al Santo del giorno e numerose altre pie devozioni. Si tratta di una raccolta assolutamente cattolica, quindi non troverete testi ecumenici, preghiere con errori dottrinali e falsi santi. Vi esortiamo a consultare spesso il sito internet e soprattutto questa sua sezione dedicata alla preghiera.

• L’Abate Ricciotti - riposi in pace! - oggi ci parla di Gesù al convito di Bethania. § 501. Risalendo da Gerico verso Gerusalemme, Gesù doveva passare necessariamente per Bethania, da cui si era allontanato poche settimane prima. Ivi egli giunse sei giorni prima della Pasqua (Giovanni, 12, 1), cioè in un sabbato; poiché il tragitto da Gerico a Bethania (§§ 438, 489 segg.) era così lungo che non sarebbe stato permesso in un giorno di sabbato, Gesù probabilmente viaggiò nel venerdì precedente per giungere a Bethania sul tramonto, quando cominciava ufficialmente il sabbato. Anche qui l’indicazione di Giovanni vuole precisare ciò che i precedenti Sinottici hanno lasciato nel vago: attenendosi infatti a Matteo (26, 6 segg.) e a Marco (14, 3 segg.) sembrerebbe che questa visita a Bethania fosse avvenuta più tardi, il mercoledì successivo: ma questo ritardo della narrazione presso di loro è dovuto alla mira di far risaltare la relazione tra le parole pronunziate a Bethania da Giuda e il suo successivo tradimento. Con la venuta a Bethania sembrava che Gesù si offrisse da se stesso al pericolo: i suoi nemici, che poco prima avevano deciso la sua morte e ordinato il suo arresto (§ § 494, 495), erano là ad una passeggiata da Bethania e potevano essere informati subito ed agire. Il pericolo indubbiamente esisteva, tuttavia era meno immediato di quanto apparisse: in primo luogo dopo l’ordine di arresto Gesù era scomparso, e quindi i primi bollori si erano alquanto raffreddati, salvo a riaccendersi se Gesù fosse ricomparso; inoltre, oramai si era in piena preparazione pasquale, a Gerusalemme giungevano ad ogni ora folle di Giudei di tutte le regioni e quindi anche di conterranei e ammiratori di Gesù, e non era opportuno provocare un tumulto procedendo contro di lui con la città così affollata. Ad ogni modo i Sinedristi ed i Farisei, non dimentichi affatto della loro decisione, si sarebbero regolati con prudenza a seconda delle circostanze; frattanto i comuni Giudei della capitale, incuriositi, aspettavano di vedere come si sarebbe svolta la lotta e se sarebbe prevalso il Sinedrio oppure Gesù. A Bethania Gesù dovette trovare accoglienze trionfali, provocate certamente dal ricordo della recente resurrezione di Lazaro. La sera di quel sabbato fu tenuto un convito in suo onore in casa di un certo Simone soprannominato il Lebbroso, ch’era senza dubbio uno dei più facoltosi della borgata, e doveva il suo soprannome alla malattia da cui era guarito, forse per intervento di Gesù. Fra gli invitati non poteva mancare, e difatti non mancò, Lazaro; sua sorella, la massaia Marta, dirigeva il servizio; l’altra sorella Maria, meno esperta di faccende domestiche, provvide da se stessa a portare un contributo d’onore al convito. Come i convitati erano sdraiati su divani con il busto verso la tavola comune e i piedi all’in fuori nella maniera che già dicemmo (§ 341), Maria ad un certo punto del convito entrò recando uno di quei vasi d’alabastro dal collo allungato, in cui gli antichi usavano conservare essenze odorose di gran pregio: la ragione è data da Plinio quando dice che l’alabastro cavant ad vasa unguentaria, quoniam optime servare incorrupta dicitur (Natur. hist., XXXVI, 12). Il vaso recato da Maria conteneva una libbra, cioè 327 grammi, di «nardo autentico di gran valore». L’aggettivo «autentico», come dice il greco «di fiducia», è opportuno, perché il citato naturalista romano ricorda che l’unguento di nardo si adulterava facilmente, adulteratur et pseudonardo herba quae ubique nascitur (ivi, XII, 26). E come genuino, il nardo di Maria era «di gran valore»: Giuda, che doveva intendersi di prezzi, lo valutò «a più di 300 denari», cioè a più di 320 lire in oro; Plinio (ivi) dice che in Italia il nardo costava 100 denari la libbra, e altre specie meno pregiate anche meno: tuttavia egli stesso ricorda altrove (ivi, XIII, 2) unguenti che costavano da 25 a 300 denari la libbra. Maria pertanto, giunta al divano di Gesù, invece di sciogliere il sigillo apposto sull’orifizio del vaso ne spezzò il collo allungato, in segno di maggiore dedizione, e ne effuse abbondantemente l’essenza profumata dapprima sul capo di lui e poi il rimanente sui suoi piedi: egualmente in segno di particolare omaggio, asciugò ella con i propri capelli i piedi profumati del maestro, imitando in parte l’antica peccatrice innominata (§ 341). E la casa fu piena del profumo dell’unguento.

• § 502. L’atto compiuto da Maria non era insolito: ad ospiti insigni invitati a banchetto si offrivano, dopo la lavanda di mani e piedi, squisiti profumi di cui cospargersi. E tanto più questa finezza era naturale in Maria in quanto la usava verso colui che aveva risuscitato il fratello, anche se per compierla ella impiegava una quantità di essenza veramente straordinaria; ma l’esuberanza della materia testimoniava l’esuberanza del sentimento interno. Questa prodigalità sorprese taluni discepoli, e più di tutti il loro amministratore comune che era Giuda l’Iscariota (§ 313); costui, come avverte in maniera distinta San Giovanni (mentre gli altri Evangelisti parlano di discepoli in genere), protestò apertamente pur sotto la parvenza di beneficenza: «Perché si è fatto questo scempio d’unguento? Si poteva infatti vendere questo unguento per più di 300 denari, e dare ai poveri!» (Marco, 14, 4-5). Ma alla protesta di Giuda l’Evangelista Giovanni, non meno pratico che spirituale, fa seguire una sua riflessione: «Disse però questo, non perché gl’importava dei poveri, ma perché era ladro, e avendo (egli) la cassetta asportava le cose messevi (dentro)» (Giovanni, 12, 6). Da questa notizia apprendiamo che il gruppetto dei seguaci abituali di Gesù faceva vita comune, senza dubbio insieme col maestro, e tutti mettevano i personali proventi in comune depositandoli in una cassetta; questa era affidata a Giuda, il quale fungeva da amministratore e certamente sarà stato coadiuvato occasionalmente da quelle pie donne che, di tempo in tempo secondo le loro possibilità, seguivano il gruppo di Gesù incaricandosi dell’assistenza materiale (§ 343). Ma «Giuda era ladro, e sottraeva il denaro dalla cassetta». Ora, questo furto continuato difficilmente poteva essere riscontrato dagli altri Apostoli, i quali erano totalmente occupati nel ministero spirituale e per le cose materiali si rimettevano in tutto a Giuda; invece appunto le pie donne avevano ogni facilità di riscontrare il furto perché, occupandosi delle spese e fornendo esse stesse buona parte del denaro, potevano seguire a un dipresso le entrate e le uscite della «cassetta» ed avvedersi delle sottrazioni più notevoli. Forse di tali sottrazioni avevano esse informato gli altri Apostoli e Gesù stesso; e da allora l’amministratore infedele fu guardato con occhio d’accorata pietà, ma silenziosamente fu lasciato ancora nel suo ufficio per la speranza che egli, non svergognato, rinsavisse. Qui invece Giuda si mostra incancrenito: «più di 300 denari» era una somma cospicua, quasi un anno intero di salario d’un operaio (§ 488), e il ladro al vedersi sfumare questa bella entrata scatta allegando il pretesto dei poveri. Il seguace di Mammona vuol conservare ancora la divisa esteriore di seguace di Dio (§ 485). [Oggigiorno non credo si faccia fatica a fare la stessa riflessione su quei farisei ereticoni dei modernisti, usurpatori e ladri dei beni della Chiesa, dietro pretesto di “carità” e pur non avendo assolutamente la fede cattolica: predicano difatti ecumenismo e liberalismo, che sono insieme apostasia e negazione del dogma cattolico, ndR]. Alla protesta di Giuda, Gesù rispose: «Lasciala (fare)! Che lo serbi (= che valga come riserbato) per il giorno del mio seppellimento! I poveri infatti sempre avete con voi, me invece non avete sempre» (Giov., 12, 7-8; cfr. Matteo, 26, 10-13; Marco, 14, 6-9). Per Gesù, dunque, l’unzione da lui testé ricevuta valeva come un’anticipazione del suo imminente seppellimento, giacché le salme si deponevano nella tomba cosparse di aromi e di essenze profumate. Ma anche da questo nuovo annunzio pare che gli Apostoli non si convincessero dell’imminente morte di Gesù: tranne forse Giuda che, da buon finanziere umano, previde la bancarotta altrui e dovette da allora pensare direttamente ai casi propri.

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Da Vita di Gesù Cristo, imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.