Comunicato numero 174. Il fico maledetto

Stimati Associati e gentili Sostenitori, vi ricordiamo che sul sito vengono pubblicate le preghiere al Santo del giorno. Stiamo cercando di completare la raccolta per tutti i giorni dell’anno, integrando con numerose pie devozioni (novene, tridui, giaculatorie, etc...). Si tratta di preghiere cattoliche, rivolte a veri Santi e non contaminate dal germe apostata dell’ecumenismo e del modernismo in generale = «Sintesi di tutte le eresie (...) che distrugge ogni religione (...) che porta all’ateismo» (cfr. Pascendi, Papa San Pio X). Il tag della settimana è il 174. La «Vita di Gesù Cristo» dell’Abate Giuseppe Ricciotti oggi ci parla del fico maledetto.

• § 510. La divisione cronologica di queste ultime giornate di Gesù si trova meglio che in ogni altro Evangelista in San Marco; il quale distingue nettamente la notte fra la domenica e il lunedì (Marco, 11, 11-12), la notte fra il lunedì e il martedì (11, 19-20), il giorno del mercoledì (14, 1), quello del giovedì (14, 12) e la sua sera (14, 17), e infine la mattina del venerdì (15, 1), il suo pomeriggio (15, 25.33) e la sua sera (15, 42), che fu l’ultimo giorno della vita di Gesù. Per i primi giorni gli altri Evangelisti sono più vaghi. San Luca aggiunge la notizia generica, che Gesù in questa settimana «stava durante i giorni nel Tempio insegnando; durante le notti poi, uscito fuori, dimorava nel monte chiamato degli Olivi. E tutto il popolo s’affrettava di buon mattino alla volta di lui nel Tempio per ascoltarlo» (Luca, 21, 37-38). Il ripartire tra questi singoli giorni le cose narrate dai quattro Evangelisti non porta a risultati sicuri. Anche seguendo la distribuzione cronologica di San Marco, i fatti e discorsi di Gesù anteriori all’ultima cena spetterebbero in massima parte al martedì, mentre al lunedì e al mercoledì rimarrebbe ben poco; ora, può darsi che questa assegnazione corrisponda alla serie dei fatti, ma può anche benissimo darsi che sia effetto di ripartizione redazionale: anzi quest’ultimo caso sembra accertato per taluni fatti, quali la cacciata dei mercanti dal Tempio (§ 287, nota prima) che Marco sembra collocare in questo lunedì, e il banchetto di Bethania (§ 501) che appare collocato al mercoledì. Certamente l’operosità di Gesù in questi ultimi giorni fu molto intensa, e a buon diritto possiamo supporre che ci sia stata narrata soltanto in parte. Il favore popolare, prolungatosi ancora per due o tre giorni dopo la domenica trionfale, salvaguardava sufficientemente Gesù dall’odio dei maggiorenti giudei e gli permetteva di trattenersi durante il giorno in Gerusalemme insegnando e disputando pubblicamente nel Tempio, ove il popolo l’attendeva ansiosamente come ci ha detto San Luca; di notte invece, quando il popolo avrebbe potuto far pochissimo e i maggiorenti moltissimo, Gesù si allontanava dalla malfida città e, attraversato il torrente Cedron, si ritirava sull’attiguo monte degli Olivi, il quale comprendeva tanto l’amico villaggio di Bethania, quanto il giardino di Gethsemani, ch’era un luogo anche più vicino e prediletto da Gesù. Dunque l’unico impedimento a che l’odio dei maggiorenti si sfogasse era la benevolenza del popolo; ma quei maggiorenti sapevano perfettamente che tale benevolenza è quanto di più mutevole e incostante si possa immaginare, ed essi attesero il momento propizio per farla mutare d’un colpo senza pubblici sconvolgimenti. In tale attesa consumarono essi questi quattro giorni. Nel primo di essi, il lunedì, Gesù partì da Bethania di buon mattino insieme con gli Apostoli alla volta di Gerusalemme. Prima di partire egli non aveva mangiato, e quindi durante il cammino ebbe fame. Veramente appare strano che egli uscisse dalla casa governata da una solerte massaia come Marta senza prender cibo, tanto più che nel Talmud i rabbini raccomandano il pasto in ora sollecita, e Rabbi Aqiba ammonisce: «Alzati di buon’ora e mangia...; sessanta corrieri potranno correre ma non oltrepassare colui che ha mangiato di buon’ora». Ma questo non è il solo elemento paradossale del presente episodio; anche altri suoi tratti ci inducono a considerarlo alla stregua di una di quelle azioni simboliche compiute frequentemente dagli antichi profeti, e specialmente da Ezechiele: l’azione era vera e reale, ma usciva dal quadro della vita ordinaria, mirando solo a rappresentare in maniera visiva e quasi tangibile un dato insegnamento astratto.

• § 511. Per calmare dunque la fame, Gesù s’avvicinò ad un albero di fico che stava presso la strada ed era lussureggiante di foglie, come se ne trovano comunemente ancora oggi sul monte degli Olivi, e cercò tra il fogliame se c’erano frutti. Ma frutti non ce n’erano e non potevano esserci, per la semplice ragione - come dice Marco (11, 13) - che non era la stagione dei fichi. Si stava infatti ai primi d’aprile e a quella stagione in Palestina, anche nelle zone più solatie, l’albero di fico può bensì aver gettato i primi bocci, i cosiddetti fichi fiori, ma questi non sono allora in nessun modo mangiabili e maturano solo verso i primi di giugno; anche i frutti della gettata seconda, o autunnale, possono conservarsi sull’albero fin verso gli inizi dell’inverno, ma non vi resistono mai fino all’aprile in cui allora si stava. Volendo dunque giudicare quell’albero come se fosse stato una persona morale e responsabile, bisognerebbe dire che esso non era «colpevole» se non aveva frutti in quella stagione: in realtà Gesù cercava ciò che, regolarmente, non poteva trovare. Con tutto ciò egli maledisse quell’albero dicendo: «Mai più in eterno nessuno mangi da te frutto!». Tutte queste considerazioni ci confermano che Gesù volle compiere un’azione che aveva valore simbolico [n.b. l’azione fu compiuta, è un accadimento storico, ndr.], analoga per esempio allo spezzamento della brocca compiuto da Geremia (cap. 19), all’azione compiuta da Ezechiele (cap. 5) di radersi barba e capelli con una spada affilata, e a tante altre azioni paradossali degli antichi profeti, le quali avevano tutte un significato simbolico. In questo caso dell’albero il simbolo prendeva argomento dal contrasto tra l’abbondanza del fogliame inutile e la mancanza dei frutti utili: dal quale contrasto era anche giustificata la maledizione all’albero «colpevole». Chi poi - come gli Apostoli ch’erano presenti - conosceva l’indole del ministero di Gesù ed aveva ascoltato le sue discussioni con i Farisei e le sue invettive contro la loro ipocrisia, poteva comprendere agevolmente a chi si riferisse l’insegnamento simbolico: il vero colpevole era il popolo eletto, Israele, ricchissimo allora di fogliame farisaico ma ostinatamente privo da lungo tempo di frutti morali, e quindi meritevole della maledizione di sterilità eterna. Ché se qualche dubbio su tale riferimento storico poté sussistere da principio nella mente degli Apostoli, esso fu del tutto rimosso dalle parabole della riprovazione (§ 512 segg.) pronunziate da Gesù il giorno appresso e indirizzate appunto contro l’Israele contemporaneo. Quanto avvenne dopo la maledizione di Gesù è riassunto in poche parole da San Matteo (21, 19), il quale dice che l’albero si disseccò subito e riporta immediatamente appresso l’ammonizione fatta su tal proposito da Gesù. Sa Marco invece segue una cronologia più precisa, giacché narra che gli Apostoli riscontrarono il disseccamento dell’albero la mattina appresso - quella del martedì - allorché ritornando con Gesù da Bethania a Gerusalemme ripassarono per lo stesso posto, ed attribuisce a quella mattina l’ammonizione di Gesù. Ripassando pertanto di là, Pietro ebbe l’ingenuità d’esclamare: «Rabbi, guarda! Il fico che maledicesti si è disseccato!» (Marco, 11, 21). Gesù nella risposta non accennò al significato morale del fatto simbolico, e si limitò ad ammonire nuovamente gli Apostoli ad aver fede, con la quale sarebbero riusciti a spostare le montagne (§ 405, nota).

GiuseppeRicciotti.jpg

Da Vita di Gesù Cristo, imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.