Comunicato numero 175. Parabola dei due figli e parabola dei vignaioli

Stimati Associati e gentili Sostenitori, sul sito abbiamo pubblicato in copia anastatica i preziosi opuscoli: 1) La Charité de la Vérité - R. P. Guérard Des Lauriers O. P.; 2) I funesti pericoli degli eccessi nella moda; 3) La verità sui Testimoni di Geova. Letture che potete trovare in home page per almeno due settimane. È in pubblicazione, probabilmente domani 15 settembre, anche l’opuscolo «Libri» sui pericoli della cattiva stampa, ovvero della falsa cultura. Quanta tristezza dobbiamo provare ogni volta che sentiamo i Governi e le Amministrazioni proclamare investimenti per la cultura, oppure in cultura! Ordinariamente si tratta di dilapidazioni del danaro proveniente dalle nostre tasse per sponsorizzare amici e per favorire i cattivi libri e gli spettacoli indecenti: peste dell’anima, caligine della mente e rovina della società. E quanti altri Editori, fra cui molti si pregiano del nome di Cattolici, in verità pubblicano e diffondo solo spazzatura, testi di falsa scienza e pervertimento, insomma materiale che anche il più moderato degli inquisitori avrebbe destinato al rogo! Il mondo è cambiato, ci dicono che è diventato laico, ci accusano di essere arretrati e intolleranti, rivendicano cultura per ogni flato infernale che viene in mente al primo sciagurato che passa: noi diciamo NO, grazie! Preghiamo il buon Dio di conservare la fede anche rifiutando di leggere e di fare propaganda a questa moderna epidemia che molti si ostinano a chiamare cultura.

• Ed ora il consueto appuntamento con la preziosa «Vita di Gesù Cristo» dell’Abate Giuseppe Ricciotti: «L’autorità di Gesù. La parabola dei due figli» e «La parabola dei vignaiuoli omicidi». § 512. In quella mattina del martedì Gesù si recò al Tempio dove il popolo l’aspettava ansioso (§ 510) e si mise ad insegnare; ma ben presto si presentarono anche sommi sacerdoti, Scribi ed Anziani del popolo, cioè i rappresentanti dei vari gruppi del Sinedrio (§ 58), cosicché si ritrovarono riunite tutte insieme le forze in azione: Gesù da una parte, i maggiorenti giudei dall’altra, e in mezzo il popolo che proteggeva Gesù. Per allora c’era equilibrio tra le due forze contrastanti, ma quando l’ostacolo intermedio - ossia il favore popolare - fosse venuto a mancare, l’equilibrio sarebbe stato turbato e le due forze sarebbero venute in urto. E appunto a rimuovere l’ostacolo mirarono quella mattina i maggiorenti, i quali lì davanti alla folla domandarono a Gesù: «Con quale autorità fai queste cose? O chi ti dette questa autorità perché (tu) faccia queste cose?» (Marco, 11, 28). Il tono della domanda era da inquisizione tribunalesca, e quei maggiorenti trattavano Gesù come se già fosse stato deferito al loro tribunale; ma nello stesso tempo, con quella domanda, essi volevano screditarlo davanti al popolo e fargli perdere il favore di questo: probabilmente speravano che Gesù parlasse sprezzantemente di Mosè, della sua Legge o simili cose, urtando i sentimenti popolari. Gesù, invece, accettando battaglia anche questa volta e precisamente sul terreno scelto dal nemico, seguì un metodo di discussione molto impiegato dai dottori della Legge, il quale consisteva nel rispondere facendo alla propria volta un’interrogazione quasi per stabilire un punto ammesso da ambedue le parti. Gesù però disse loro: «V’interrogherò in un solo punto; rispondetemi, e allora vi dirò con quale autorità (io) faccio queste cose: - Il battesimo di Giovanni era dal cielo o dagli uomini? - Rispondetemi!». La domanda di Gesù era assai imbarazzante per i destinatari, specialmente lì davanti alla folla, a causa dell’atteggiamento che essi avevano tenuto di fronte a Giovanni il Battista (§ § 268, 292); il loro imbarazzo è descritto dall’Evangelista con queste parole: «E ragionavano in se stessi dicendo: “Se diciamo: - (Era) dal cielo - (egli ci) dirà: Perché dunque non credeste in lui? - E allora diremo - (Era) dagli uomini?”. (Ma non dissero ciò, perché) temevano la folla; tutti infatti ritenevano che Giovanni realmente era un profeta. E rispondendo a Gesù dicono: “Non sappiamo”. E Gesù dice loro: “Neppure io vi dico con quale autorità faccio queste cose”». La battaglia era finita, certo non con la vittoria di chi aveva scelto il terreno. I Sinedristi avevano sperato far forza sul consenso popolare, per poi aver nelle loro mani Gesù abbandonato dalla folla; e invece la folla aveva protetto ancora una volta Gesù, il quale inoltre aveva nuovamente ricollegato la propria missione con quella di Giovanni il Battista. Nessuna meraviglia che i Sinedristi non accettassero la missione di Gesù, dal momento che avevano respinto quella del suo precursore. Per confermare la propria vittoria e schiarire sempre più il collegamento della propria missione con quella di Giovanni il Battista, Gesù soggiunse una parabola. - Un uomo aveva due figli, che impiegava nel coltivare la sua vigna. Un giorno egli disse al primo: «Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna!» - Quello rispose: «Si, signore, vado». - E invece non andò affatto. Più tardi il padre dette lo stesso comando al secondo figlio, il quale rispose: «Non voglio andare!» - Tuttavia in seguito, pentendosi della sua risposta, andò. E Gesù concluse: «Chi dei due fece la volontà del padre?». Gli risposero: «L’ultimo». Gesù allora applicò la parabola al caso storico: «In verità vi dico che i pubblicani e le meretrici precedono voi nel regno d’Iddio. Venne infatti a voi Giovanni in via di giustizia e non credeste in lui, mentre i pubblicani e le meretrici credettero in lui; voi al contrario, dopo aver veduto, neppure più tardi vi pentiste sì da credere in lui» (Matteo, 21, 31-32). Dunque gl’inappuntabili Scribi e Farisei erano adombrati in quel figlio che a parole obbediva ma a fatti era ribelle; al contrario lo scarto della nazione eletta, cioè pubblicani e meretrici, avevano indubbiamente errato ma poi erano rinsaviti accettando la missione di Giovanni il Battista, e così avevano imitato il figlio dapprima ribelle e poi obbediente. Tra i due figli, colui che dopo aver fatto il male «cambia di mente» e passa a fare il bene, è da preferirsi a colui che non si decide mai a fare il bene pur dichiarandosi sempre pronto a farlo.

• § 513. La precedente parabola era stata una sentenza di riprovazione per coloro che allora si stimavano le guide e i più insigni rappresentanti della nazione eletta; ma Gesù ne soggiunse un’altra, egualmente di riprovazione, in cui volle riassumere l’intera storia d’Israele confrontata con l’economia prestabilita da Dio riguardo alla salvezza umana. L’insegnamento velato in questa nuova parabola era eguale a quello impartito da Gesù poche ore prima, con l’azione simbolica (realmente accaduta, ndr) di maledire e far disseccare l’albero di fico; l’immagine che vien impiegata nella parabola era già stata impiegata sette secoli prima e per lo stesso scopo dal profeta Isaia, cosicché Gesù ricollegava ancora una volta la sua propria missione con quella degli antichi profeti e nello stesso tempo rendeva facilissima l’interpretazione della sua parabola. Isaia (5, 1 segg.) nel suo celebre carme aveva descritto una vigna nella quale il padrone aveva riversato le più amorevoli cure, scegliendone il sito in un terreno ubertoso, ripulendolo da pietre, piantandovi magliuoli sceltissimi, costruendovi tutt’attorno un recinto di protezione e al di dentro una torre di guardia col suo pressoio in basso; nonostante tutto ciò quella vigna si era ostinata a produrre acri lambrusche invece di dolci uve. La spiegazione soggiunta all’allegoria aveva ricordato che l’ingrata vigna era la nazione d’Israele e il suo padrone era il Dio Jahvè Sebaoth; il quale però, esacerbato dalla sterilità della vigna, ne avrebbe abbattuto il recinto abbandonandola a devastazione e lasciandovi crescere rovi e spine. Questa immagine fondamentale, ripresa da Gesù, fu da lui ampliata e precisata con ciò ch’era avvenuto nei sette secoli trascorsi da Isaia fino a lui. «C’era un uomo, padrone di casa, il quale piantò una vigna, e la circondò di siepe, e scavò in essa un pressoio e costruì una torre, e la cedette a vignaiuoli, e partì per l’estero. Quando poi s’avvicinò il tempo dei frutti, inviò i suoi servi ai vignaiuoli a prendere i suoi frutti; e i vignaiuoli, presi i servi di lui, uno (ne) percossero, un altro (ne) uccisero e un altro (ne) lapidarono. Nuovamente inviò altri servi più numerosi dei primi, e (i vignaiuoli) fecero ad essi ugualmente. Alla fine inviò loro il figlio suo dicendo: “Avranno rispetto per il figlio mio!”. Ma i vignaiuoli, veduto il figlio, dissero fra loro: “Questo è l’erede. Su dunque, uccidiamolo ed avremo la sua eredità!”. E presolo, (lo) scacciarono fuori della vigna ed uccisero. Quando dunque venga il padrone della vigna, che cosa farà a quei vignaiuoli?». «Gli dicono: “(Essendo) cattivi, di cattiva fine li farà perire, e cederà la vigna ad altri vignaiuoli i quali gli consegneranno i frutti alle loro stagioni”. Dice loro Gesù: “Non leggeste mai nelle Scritture - Una pietra che scartarono i costruttori: questa divenne testata d’angolo: dal Signore avvenne questa cosa ed è mirabile agli occhi nostri - ?” (Salmo 118, 22-23 ebr.) “Per questo vi dico che sarà tolto a voi il regno d’Iddio e sarà dato a nazione che faccia i frutti di esso”» (Matteo, 21, 33-43). Non era necessaria la perizia dei Farisei nelle sacre Scritture e la loro conoscenza della storia religiosa della propria nazione per comprendere subito che la vigna era Israele, il padrone era Dio, e i servi malmenati o uccisi erano i profeti, le cui morti violente formavano un necrologio ininterrotto lungo le pagine delle Scritture. Ma a questa parte riguardante il passato, Gesù aveva aggiunta, a guisa di conclusione, una parte riguardante il futuro ed era quella ove aveva detto che lo stesso figlio, inviato per ultimo dal padrone della vigna, era stato percosso ed ucciso; evidentemente in questo figlio l’oratore aveva adombrato se stesso, e così si era proclamato implicitamente figlio di Dio ed aveva accusato in anticipo i colpevoli del loro futuro delitto (il deicidio, ndr). Tutto era di una chiarezza e precisione che non lasciava luogo ad equivoci. Ed il risultato di questa perfetta comprensione fu in armonia con lo stato d’animo degli uditori: «avendo udito i sommi sacerdoti e i Farisei le parabole di lui conobbero che di loro (egli) parla; e cercando d’impadronirsene ebbero paura delle folle, poiché (queste) lo ritenevano per profeta».

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Da Vita di Gesù Cristo, imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.