Comunicato numero 186. La denunzia del traditore Giuda

Stimati Associati e gentili Sostenitori, approfondiamo la questione di «Giuda il traditore», di cui già si è detto in passato.

• § 541. Che in quella cena pasquale di Gesù sia avvenuto qualcosa di straordinario, Giovanni lo esprime con quella sua maniera singolare fatta di velate allusioni, che però era capita benissimo dagli esperti uditori della sua catechesi: «Sapendo Gesù che venne l’ora di lui affinché passasse da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi, quelli (ch’erano) nel mondo, (sino) in fine li amò» (Giov., 13, 1). Queste parole possono considerarsi come un nuovo piccolo prologo che Giovanni premette al racconto della passione: Gesù, che ha sempre amato i suoi, adesso dimostra il suo amore (sino) in fine, non solo cronologicamente sino alla fine della sua vita, ma molto più intensivamente sino al fine raggiungibile, sino all’estremo limite possibile dell’amore stesso. Accennando all’amore (sino) in fine vuole forse l’Evangelista spirituale alludere all’istituzione dell’Eucaristia che egli solo non narra? È possibilissimo (§ 545). D’altra parte anche l’Evangelista discepolo di San Paolo accenna a questo amore, quando narra che a principio della cena Gesù, vedendosi circondato dai suoi discepoli, esclamò verso di essi: «Di (gran) desiderio desiderai mangiare questa Pasqua con voi prima che io patisca. Vi dico infatti che più non la mangerò fino a che (essa) sia compiuta nel regno d’iddio» (Luca, 22, 15-16). Torna qui l’idea che la passione è per il Messia la condizione necessaria per il suo ingresso alla gloria: questa gloria, poi, sarà il trionfo del regno di Dio simboleggiato in un banchetto eterno. Nell’ultima cena fu certamente seguito il solito rito della cena pasquale - che descrivemmo altrove (§ 75) - con le quattro coppe rituali di vino, con il pane azimo, le erbe agresti e l’agnello arrostito, sebbene non tutte queste cose siano ricordate dagli Evangelisti. Gesù in quella comitiva fungeva da padre di famiglia; perciò benedisse egli la prima coppa, ed aggiunse: «Prendete ciò e dividete (lo) fra voi; vi dico, infatti, non berrò da adesso del prodotto della vite fino a che il regno d’Iddio sia venuto» (ivi, 17-18). In relazione al precedente simbolo del banchetto eterno, il regno di Dio è qui simboleggiato in un simposio eterno. La cena era pertanto cominciata, ma non tutti i convitati erano pienamente soddisfatti: non sarebbero stati uomini della loro nazione e del loro tempo, se parecchi di loro non si fossero mostrati scontenti del posto che occupavano a tavola desiderandone uno più onorifico (§ 457). Quella brava gente aveva tutta una grande stima «di sé, e avvenne anche una gara fra loro, riguardo a chi di essi appaia esser maggiore» (ivi, 24); la disputa non era nuova, ma un vago accenno di Giovanni (13, 2-5) potrebbe far sospettare che questa volta la disputa fosse provocata da pretensioni di Giuda Iscariota: appunto il traditore avrebbe suscitato la gelosia degli altri Apostoli pretendendo uno dei posti più onorifici, e ciò conforme a un fenomeno frequente nei traditori che, spinti dalla dissimulazione, pretendono preferenze e particolari riguardi. A quella umiliante scenata Gesù dovette rispondere a parole come più o meno già aveva risposto alle altre contese di preminenza avvenute nel passato fra gli Apostoli (§ § 408, 496), ma questa volta volle aggiungere anche una risposta con i fatti (Giovanni, 13, 4 segg.). Vedendo che nonostante le sue esortazioni all’umiltà i brontolii ringhiosi di quei materialoni non cessavano, egli si leva dal suo divano, depone le vesti, si cinge al grembo d’un pannolino, e preso un catino con acqua comincia a lavare i piedi ai commensali: i più umili schiavi erano incaricati di questo ufficio, e potevano compierlo agevolmente perché i commensali erano distesi sui divani col busto verso la tavola e i piedi sporgenti dall’altra parte all’infuori (§ 341). Al vedere il maestro abbassatosi a quel servigio, gli Apostoli rimasero interdetti e accettarono passivamente la lavanda come un’umiliazione: neppure Giuda osò protestare. Solo Pietro, che probabilmente fu il primo a cui si rivolse Gesù, protestò dicendo: «Signore, tu mi lavi i piedi?». E Gesù a lui: «Ciò che io faccio, tu adesso non sai; lo saprai in seguito». Ma Pietro non cede: «Non mi laverai i piedi in eterno!». Gesù replica: «Se non t’avrò lavato, non avrai parte con me». A questa risposta l’irruente Pietro salta all’altro eccesso: «Signore, lavami non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!». Gesù allora conclude: «Chi si è lavato non ha bisogno di lavarsi (se non i piedi), ma è mondo interamente; e voi siete mondi, ma non tutti». Trasalì Giuda a quest’allusione? Forse no; il traditore dovette contentarsi all’udire che il suo delitto restava ancora occulto ai suoi colleghi. Ma la cosa non fini lì.

• § 542. Terminata la lavanda dei piedi, Gesù indossò nuovamente le sue vesti e riprese posto a tavola sul suo divano. Egli occupava certamente il posto più onorifico, e la contesa testé sorta fra gli Apostoli era stata motivata del desiderio di occupare i divani più vicini a lui. Poiché la tavola era a semicerchio e i divani erano disposti radialmente all’esterno del semicerchio, si può ragionevolmente congetturare che Gesù occupasse il divano centrale al vertice del semicerchio; ma da quanto accennano gli Evangelisti risulta che i divani più vicini a Gesù erano occupati da Pietro, Giovanni e Giuda Iscariota. Immaginandosi pertanto i commensali sdraiati sui divani e appoggiati col gomito sinistro verso la tavola, Gesù ch’era al centro doveva avere alle sue spalle Pietro, che così occupava il secondo posto nel grado onorifico; dall’altro lato, cioè davanti al petto di Gesù, doveva stare sdraiato Giovanni, che così poteva appoggiare il capo sul petto del maestro; Giuda Iscariota sta subito appresso a Giovanni, di modo che Gesù stendendo il braccio poteva senza difficoltà giungere a dargli un boccone di cibo. Schematicamente, dunque, la posizione dei commensali attorno alla tavola doveva presentarsi così: Ripresa la cena, non c’era tuttavia serenità fra i commensali: gli Apostoli erano rimasti turbati dall’affermazione di Gesù che essi non tutti erano mondi, e desideravano qualche schiarimento in proposito. Anche Gesù dal canto suo desiderava tornar sopra quell’argomento, non tanto per la giusta curiosità di coloro ch’erano mondi, quanto per la non richiesta purificazione di colui ch’era l’unico immondo: con quell’infelice bisognava ancora fare un tentativo, offrirgli un ultimo salvataggio. Perciò, quando si riprese a mangiare, Gesù parlando ancora genericamente citò un passo del Salmo (41, 10 ebr.): «Chi mangia il pane mio alzò contro di me il suo calcagno (Giov., 13, 18; cfr. Marco, 14, 18). E, detto ciò, egli fu turbato nello spirito, aggiungendo senza nominare alcuno: In verità, in verità vi dico, che uno di voi mi tradirà». Fu uno sgomento generale. Proprio in quella serata così solenne e così affettuosa, si poteva parlare di tradimento? Proprio fra quei dodici uomini che si erano dati anima e corpo al maestro, si poteva dissimulare un traditore? Tutti allora con veemenza impetuosa, non senza una punta di sincero risentimento, domandarono a gara al maestro: «Sono forse io, Signore?». Gesù confermò nuovamente senza dir nomi, ma facendo risaltare la qualità particolarissima del traditore: «Uno dei dodici! Chi intinge con me nel vassoio!» (Marco, 14, 20). Tutti i commensali infatti, stendendosi dal loro divano, in tingevano il pane e le erbe amare in vassoi comuni che contenevano la salsa pasquale (§ 75), e ciascuno poteva servire a circa tre persone: probabilmente quello in cui intingeva Gesù serviva pure a Giovanni e a Giuda. Ma anche quest’ultima indicazione fu interpretata in senso vago dagli Apostoli, quasicché equivalesse alla precedente espressione «uno dei dodici» e designasse in genere chi intingeva in un vassoio qualsiasi della tavola comune: invece, probabilmente, Gesù aveva alluso al vassoio suo proprio. Ad ogni modo fra i commensali c’era colui che aveva ben capito, e appunto riferendosi a lui Gesù aggiunse parole che vollero essere l’ultimo spasimato grido di esortazione, l’estrema segnalazione dell’abisso: «Poiché il figlio dell’uomo se ne va, conforme è scritto circa lui: guai però a quell’uomo da cui il figlio dell’uomo è tradito! Buona cosa (sarebbe) per lui, se non fosse nato quell’uomo!».

• § 543. A questo punto Giuda non poteva più tacere; il suo silenzio, fra l’ansia trepidante dei molti, l’avrebbe da se stesso denunziato. Calmo, misurato, ma non senza un leggiero tremito nella voce, egli allora domandò come tutti gli altri: «Sono forse io, Rabbi?». Il traditore era sdraiato poco distante dal tradito; le teste dei due, rivolte verso la tavola, erano anche più vicine che non il resto dei loro corpi. Alla domanda di Giuda, che dovette passare inosservata ai più dei commensali, Gesù fece il supremo tentativo per la salvezza di lui; colse forse un momento in cui Giovanni, commensale intermedio, era sollevato col busto e badava altrove, e allora rispose sommessamente a Giuda: «Tu (l’)hai detto!». Era un modo ebraico per dare una risposta affermativa. Oramai non c’era più nulla da fare; il traditore sapeva di essere conosciuto come tale. Scegliesse lui: o consumare il tradimento svelato, o implorare il perdono dal sempre venerato maestro (§ 533). La sommessa risposta data da Gesù a Giuda era sfuggita agli altri commensali, salvo forse a Giovanni. Perciò il desiderio di sapere qualcosa di preciso sul tradimento e sul traditore era vivissimo in tutti, e specialmente nel generoso Pietro. Costui non osò interrogare Gesù, per timore forse di ricevere una risposta severa come altre volte; tuttavia per giungere al suo intento egli trovò sagacemente la via buona, rivolgendosi a Giovanni. Il discepolo prediletto occupava il divano immediatamente a destra di Gesù cosicché, stando ambedue sdraiati ed appoggiati sul gomito sinistro, Gesù rivolgeva il petto verso Giovanni e di costui si poteva dire che «era adagiato... nel seno di Gesù» (in Giov., 13, 23); Pietro invece stava sul divano a sinistra di Gesù, e Gesù gli volgeva le spalle né lo vedeva direttamente. Però Pietro, approfittando della sua situazione, fece un cenno a Giovanni incitandolo a domandare a Gesù chi fosse il traditore di cui parlava; la manovra del resto era semplicissima, perché Pietro si era alzato sul busto, e attirata così l’attenzione di Giovanni gli avrà espresso il proprio desiderio a cenni, fatti più in alto della persona di Gesù ch’era ripiegato sul gomito sinistro. L’Evangelista giovanetto comprese subito il desiderio di Pietro, e a sua volta fece una piccola manovra suggeritagli dal suo confidente cuore d’amico prediletto; giratosi egli per metà sul suo corpo, si puntò non più sul gomito sinistro ma sul destro, e così ritrovandosi anche più vicino al divano di Gesù appoggiò confidenzialmente la sua testa sul petto del maestro e stette a guardarlo negli occhi dal sotto in su, come un bambino reclinato sul seno del babbo e che aspetti una grazia. Quindi, sommessamente gli domandò: «Signore, chi e?». La domanda del piccolo amico prediletto fu esaudita, ma per il disgraziato amico che franava verso l’abisso si ebbe ancora un ultimo riguardo. Nei pasti comuni degli Orientali antichi - e anche dei moderni - era un gesto di cortesia offrire a un commensale un boccone bell’e preparato, cioè un frammento di pane che, chi usava la cortesia, staccava dalla focaccia comune, arrotolava, intingeva nel vassoio ove tutti intingevano, e così porgeva al convitato avvicinandoglielo alla bocca. Alla richiesta dunque di Giovanni, Gesù rispose: «È quello a cui io intingerò il boccone e glie(lo) darò». E staccato un pezzo di pane, lo intinse e dette a Giuda. Il traditore ancora non era stato svelato, se non segretamente al fido Giovanni, e a quella cortesia di Gesù egli poteva ancora rinsavire; ma, impassibile, Giuda trangugiò il boccone senza dir nulla, mostrando con ciò d’aver fatto la sua scelta definitiva. «E dopo il boccone - commenta qui il testimonio oculare e consapevole di quella scena - allora entrò in lui il Satana». Tuttavia Giuda stesso non resisté più oltre; si alzò dal suo divano per uscire. «Gli dice pertanto Gesù: “Ciò che fai, fa’ presto”. Ma nessuno dei commensali capì ciò, a che (scopo) glie(lo) disse. Alcuni infatti credevano che, siccome Giuda teneva la cassetta (§ 502), Gesù gli dicesse: “Compra le cose di cui abbiamo bisogno per la festa”, ovvero, che desse qualcosa ai poveri. Preso pertanto il boccone, colui uscì subito. Era notte». E il traditore, uscito fuori, s’immerse nella sua doppia notte. 

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Da Vita di Gesù Cristo, imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.