Comunicato numero 198. La notte nel GethsemaniStimati Associati e gentili Sostenitori, è possibile richiedere l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2020 usando il link: https://bit.ly/367OkBn. Per rinnovare l’iscrizione è, invece, necessario utilizzare il link:  https://bit.ly/2R6TQQq. Ci auguriamo che tutti voi abbiate ricevuto per posta il libro omaggio, le ultime pubblicazioni di Sursum Corda e la copia del bollettino per pagare la quota annuale. Dal giorno 2 di marzo il settimanale verrà - come da prassi - inviato solamente agli Associati in regola con il versamento della quota ed ai benefattori. Torniamo finalmente a studiare i Vangeli con l’aiuto della preziosa «Vita di Gesù Cristo» dell’Abate Giuseppe Ricciotti - pace alla sua anima! La settimana di Passione: il Gethsemani.

• § 554. San Giovanni, appena ha finito di riferire gli ultimi colloqui, prosegue: «Avendo detto queste cose, Gesù uscì con i discepoli suoi di la’ dal torrente del Cedron, ove era un giardino nel quale entrò egli e i discepoli suoi. Sapeva però il luogo anche Giuda, che lo tradiva, perché spesso si era raccolto colà Gesù con i discepoli suoi» (Giov., 18, 1-2). L’indicazione che il prediletto giardino era di là dal torrente del Cedron già basta per concludere che era nella zona del monte degli Olivi: ciò del resto è affermato esplicitamente dai Sinottici, i quali comunicano anche che il giardino si chiamava Gethsemani. L’appellativo, presuppone un oliveto, munito del suo pressoio e protetto forse da un recinto, il tutto in pieno accordo col nome del monte stesso; una tradizione, che è nettissima già dal secolo IV, indica come il Gethsemani un luogo poco oltre il Cedron e lungo l’odierna strada da Gerusalemme a Bethania, dove sono tuttora superstiti olivi di straordinaria grandezza e di età millenaria. Il cammino dal cenacolo al Gethsemani non era più che una comoda passeggiata. Nella chiara notte di plenilunio, alla frizzante aria primaverile, i reduci dal cenacolo scesero dalla Città Alta giù nel Tyropeon, seguendo probabilmente l’antica strada a gradini recentemente scoperta, attraversarono il quartiere del Siloe (§ 428), uscirono quindi dalla città per la Porta della Fonte, e risaliti verso il settentrione oltrepassarono il Cedron raggiungendo il Gethsemani. Il giardino doveva appartenere a qualche discepolo o ammiratore di Gesù, e questi perciò se ne serviva liberamente. Chi sa che il suo proprietario non fosse lo stesso padrone del cenacolo? Ciò spiegherebbe più facilmente come mai fosse presente nel giardino il giovinetto con la sola sindone, se costui è veramente San Marco (§ 561): ma trattandosi di ipotesi poggiata su altre ipotesi, non è il caso di insistere. Come altri poderetti di quel genere, anche il Gethsemani doveva avere vicino all’ingresso una casupola per riparo dell’ortolano e per deposito di roba; più in là c’era probabilmente pure una grotta scavata nel fianco del monte, e nella grotta era stato collocato (come si preferisce fare anche oggi) il torchio che dava il nome al luogo. In quella notte pasquale la zona era deserta, trattenendosi quasi tutti nell’intimità delle proprie case. Alla solitudine esterna corrispondeva lo stato d’animo della comitiva: come Gesù si mostrava triste lungo il cammino, così gli Apostoli rimasero taciturni e pensierosi. Giunti che furono al giardino, Gesù invitò la comitiva ad allocarsi alla meglio per passare la notte: e fu cosa facilissima per quegli orientali che erano abituati a dormire all’aperto ravvolti nel loro mantello, mentre questa volta trovarono il vantaggio di un ricovero e di foglie secche nella casupola o nella grotta. Al congedarsi da loro Gesù disse: «Restate qui, mentre io vado più in là a pregare. Pregate per non entrare in tentazione!». - Al momento poi di allontanarsi, egli prese con sé i tre testimoni della trasfigurazione, i prediletti Pietro, Giacomo e Giovanni (§ 403), conducendoli verso il luogo ove voleva pregare.

• § 555. Discostati che furono, i testimoni dell’antica gloria compresero subito che adesso avrebbero assistito a ben altra manifestazione, perché a un tratto Gesù cominciò a sgomentarsi ed angosciarsi. Rivolto poi ai tre, allorché avranno tentato di consolarlo, esclamò: «Tristissima è l’anima mia fino a morte! Restate qui, e vegliate con me!». Anche quella compagnia, però, non gli dava sollievo. Nella sconfinata angoscia che l’opprimeva, egli cercò ancora di restare solo per pregare. Facendo uno sforzo immenso, con il volto illividito, le ginocchia vacillanti, le braccia tese in cerca di sostegno, egli si staccò da essi quanto un lancio di sasso, e alfine stremato cadde sul suo volto pregando. Non era il modo di pregare solito ai Giudei, che stavano ritti; era l’accasciarsi a terra di chi non ha più forza di reggersi in piedi e vuole pregare prostrato giù nella polvere. Intanto i tre testimoni, certamente turbati anch’essi, osservavano quello stramazzato gemente: nella serenità plenilunare, alla distanza forse di una quarantina di passi (un lancio di sasso), essi potevano vedere e udire distintamente tutto. Lo stramazzato gemeva: «Abba (Padre)! Tutto è possibile a te! Allontana questo calice da me! Tuttavia (sia fatto) non ciò che io voglio, ma ciò che (vuoi) tu!». Il calice era un’espressione metaforica, frequente negli scritti rabbinici, per designare la sorte assegnata a qualcuno; la sorte qui prevista da Gesù è la suprema prova attraverso la quale il Messia deve pervenire al trionfo (§ § 400, 475, 495), è l’ora decisiva in cui il chicco di grano caduto in terra si disfà e muore ma per sprigionare nuova vita (§ 508). Quale differenza, pertanto, fra le disposizioni di spirito della domenica precedente e quelle di questa notte! Allora, nel Tempio, Gesù aveva prontamente e risolutamente respinto ogni titubanza davanti alla prova suprema (§ 508); in questa notte, a pochi momenti dall’inizio della prova, egli non solo è titubante ma prega esplicitamente il Padre celeste affinché la prova sia risparmiata: tuttavia la preghiera è condizionata al beneplacito supremo del Padre e la volontà dell’uomo è subordinata alla volontà di Dio. Non mai, in tutto il resto della sua vita, Gesù appare così veracemente uomo. Davvero che in quell’ora non già il cavaliere romano Ponzio Pilato, ma l’umanità intera avrebbe dovuto presentare Gesù al balcone dell’universo proclamando: Ecce homo! D’altra parte in quella stessa ora, più chiaramente forse che in seguito, si può misurare la smisurata angoscia che si riversò nello spirito di Gesù durante la sua Passione: perciò a quella proclamazione terrestre «Ecce homo!» avrebbe forse risposto una voce celeste proclamando «Ecce Deus!».

• § 556. La preghiera al Padre dovette essere ripetuta più e più volte, con l’uniformità di chi non chiede altro, con lo spasimo di chi si ritrova in indigenza estrema. Gli apparve però un angelo dal cielo, confortandolo. Il solo San Luca (22, 43), che non è uno dei tre testimoni oculari ma si è informato da essi, dà questa notizia; egualmente egli solo, da psicologo e da medico, ha raccolto taluni particolari di ciò che allora avvenne: «E fatto in agonia, più intensamente pregava. E divenne il sudore di lui quasi globuli di sangue scendenti giù sulla terra». L’agonia era per i Greci ciò che si svolgeva nell’«agone», cioè il concorso degli aurighi e la tenzone degli atleti che lottavano per il premio: e la lotta esigeva dalle membra e dagli spiriti i più laceranti sforzi, le violenze più spossanti, onde nessuno si avvicinava a quella lotta senza un interno pavore (timore - senso di terrore, ndr.) e una trepidazione ansiosa. Più tardi, infatti, «agonia» significò in genere pavore o trepidazione, ma specialmente di chi è implicato nella somma lotta Contro la morte: tale il caso di Gesù. «E fatto in agonia, più intensamente pregava». La preghiera, a cui egli sempre aveva fatto particolare ricorso nelle circostanze più solenni della sua vita, diventa suo unico rifugio in quest’ora suprema. E l’agonia si prolunga, e l’agonizzante o lottatore manifesta sul suo corpo gli effetti della lotta: trasuda, «e il sudore di lui diviene quasi globuli di sangue scendenti giù sulla terra». Alla distanza di un lancio di sasso, sotto il chiarore plenilunare questo fenomeno poté essere osservato abbastanza bene: anche più distintamente poté essere riscontrato dai tre testimoni poco dopo, quando Gesù si recò presso di loro avendo tuttora sul volto le rigature rosseggianti, i grumoli e le altre tracce dei globuli di sangue. Un fenomeno fisiologico, designato come ematidrosi cioè «sudore sanguigno», è noto ai medici: l’osservazione era stata fatta già da Aristotile, che impiega anche il termine là ove dice «taluni sudarono un sanguigno sudore». Il fenomeno avvenuto in Gesù potrà essere oggetto di ricerche scientifiche dei fisiologi, pur avendo presenti le singolari circostanze del paziente: il fisiologo San Luca, trasmettendo egli solo questa notizia, sembra tacitamente invitare a tali ricerche. Ma appunto in questa notizia, che mette tanto in rilievo la realtà della natura umana di Gesù, trovarono scandalo taluni antichi cristiani al leggere il Vangelo del medico Luca. Essi giudicarono che, sebbene il medico aveva narrato un fatto vero, era meglio che la narrazione non fosse ripetuta, perché sembrava fornire una conferma alle calunnie dei nemici del cristianesimo: probabilmente gli attacchi di Celso contro la persona di Gesù (§ 195) avevano suscitato tale preoccupazione. Perciò avvenne che la narrazione del sudore di sangue, insieme col precedente accenno all’angelo confortatore, cominciò a scomparire dai codici del III Vangelo, soppressa per questo infondato timore. Oggi essa manca in vari codici unciali (antichi manoscritti dagli amanuensi latini e bizantini, ndr.), fra cui l’autorevolissimo codice Vaticano, in alcuni minuscoli e in altri documenti, e questa mancanza era già stata segnalata nel IV secolo da Sant’Ilario e San Girolamo. Tuttavia, allorché quella vana preoccupazione si dissipò col cessare degli attacchi contro il cristianesimo, cessò anche la soppressione dell’ombroso passo; del resto le testimonianze in suo favore - sia di codici, sia di scrittori antichi a cominciare da Giustino (Dial. cum Tryph., 103) e Sant’Ireneo - sono così numerose e gravi da non lasciare alcun serio dubbio sulla autenticità del passo.

• § 557. L’agonia frattanto si prolungava: la mezzanotte doveva essere già passata. I tre testimoni, da principio turbati per ciò che vedevano, in seguito erano entrati a poco a poco in una specie di torpore fatto di tristezza, di stanchezza e di sonnolenza: alla fine si erano addormentati tutti e tre. A un certo punto Gesù, nella sua sconfinata angoscia spirituale, sentì anche la desolazione della solitudine umana e quindi cercò nuovamente la compagnia dei tre prediletti: forse si riprometteva soltanto una buona parola, un gesto amichevole, qualcosa che gli facesse sentire di non essere solo sulla terra. Ma giunto presso di loro li trovò addormentati tutti e tre, compreso Pietro che poco prima aveva fatto scorrere fiumi di parole per attestare la sua fedeltà (§ 549). Gli disse allora Gesù: «Simone, dormi? Non fosti capace di vegliare per una sola ora? Vegliate e pregate, affinché non veniate in tentazione! Lo spirito bensì è pronto, ma la carne inferma». Tutto qui fu il conforto che Gesù ritrovò fra i suoi prediletti. E così lo spasimo continuò; ond’egli, lasciati gli uomini, tornò nuovamente a Dio. L’unica domanda di prima fu rivolta ancora adesso al Padre celeste, e i testimoni da poco ridesti la udirono: «Padre mio! Se non può questo (calice passare se (io) non (1’) abbia bevuto, sia fatta la volontà tua!». Trascorse ancora del tempo. La notte era silenziosa e monotona. Dopo qualche resistenza i tre testimoni furono vinti di nuovo dal sonno: Gesù, «tornato di nuovo, li trovò dormienti, giacché gli occhi loro erano aggravati, e non sapevano che cosa rispondergli». In quest’ultima osservazione di San Marco (14, 40) si riconosce facilmente una confessione del suo informatore, il testimonio Pietro. «E lasciatili, di nuovo andatosene pregò per la terza volta, dicendo lo stesso discorso di nuovo» (Matteo, 26, 44). Quanto durasse questa terza ripresa della preghiera non sappiamo: forse non molto. A un certo punto Gesù si ripresentò ai tre assonnati, e in tono questa volta diverso disse loro: «Dormite ormai e riposate. Basta! Venne l’ora: ecco, il figlio dell’uomo è consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, chi mi tradisce si è avvicinato». Le prime parole «Dormite ormai» e «riposate» non sono certamente un invito a fare ciò che dicono; è anche poco probabile che valgano in senso interrogativo; più giusto sembra interpretarle come un’antifrasi, quasi una familiare ironia che affermi il contrario di ciò a cui mira, come se dicesse: «Si, si, dormite pure! Non vedete che giunge il traditore?...». Si sentiva infatti rumore di folla che giungeva dalla strada di Gerusalemme: si intravedevano anche, in quella direzione, lumi di lanterne e fiaccole. Gesù ricondusse i tre sonnolenti testimoni là dove stavano gli altri otto Apostoli, immersi certamente nel più profondo sonno. Svegliò tutti, e rivolgendo loro parole di esortazione rimase in attesa.

Da «Vita di Gesù Cristo», imprimatur 1940, Abate Giuseppe Ricciotti, 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.