Stimati Associati e gentili Sostenitori, riprendiamo il tema dell’immigrazione di cui si è iniziato a scrivere nel numero 220 di Sursum Corda. Al medesimo luogo rimandiamo per le premesse, per gli articoli menzionati e per le ragioni dello scritto. È d’uopo solo ricordare la nostra principale fonte: 1993, Editrice Civiltà di Brescia, sotto lo pseudonimo di Giuli Valli, «Il vero volto dell’immigrazione. La grande congiura contro l’Europa».

• Il fenomeno in atto è così grave ed immenso (scriveva l’Autore al principio degli anni novanta), e le sue manifestazioni sono, a volte, così clamorose che non possono mancarne le eco sulla stampa, e a quelle eco abbiamo attinto copiosamente per queste nostre pagine. Tuttavia abbiamo notato, da parte dei mezzi di comunicazione, una sconcertante tendenza a minimizzare e sdrammatizzare, sia gli atti criminali commessi dagli extracomunitari, sia le reazioni degli italiani. Non ci risulta, ad esempio, che sulla stampa nazionale si sia dato congruo risalto ad una manifestazione di protesta che si assicura essere avvenuta a Genova allorché, com’è noto, un nordafricano, gridando parole di odio contro gli italiani, colpì violentemente al capo, con la mannaia di un macellaio, una bimbetta di pochi anni, ferendo poi anche il genitore e altre persone presenti nel negozio. Similmente, solo uno dei giornali di Trento ha dato notizia, e su spazio ristrettissimo, di un episodio davvero eccezionale per tale piccola e tranquilla città: uno scontro a colpi di bastone e di bottiglie spezzate tra un gruppo di prostitute italiane e uno di prostitute di colore, per il dominio di una delle piazze del vizio. (Dallo stesso tenore della notizia di stampa, si ricava che non è stato il primo episodio!). Anche le vicende notturne di Bologna, analoghe a quelle di Trento, ma su molto maggior scala, e la reazione massiccia dei quartieri interessati, con fiaccolata notturna e turni di guardia nella notte, non hanno certo avuto il risalto che un evento simile avrebbe ottenuto se non avesse riguardato il problema dell’immigrazione extracomunitaria! Questa coltre ovattata di complice silenzio, notava l’Autore già nel 1990/91, serve ad evitare il consolidarsi di una presa di coscienza della straordinaria gravità di quanto sta accadendo, da parte di un’opinione pubblica sempre più inerte ed acritica che i grandi centri di potere manipolano e dirigono a loro piacimento.

• A mano a mano che il fenomeno, aumentando di proporzioni, dà luogo a manifestazioni più gravi e inquietanti, assistiamo a quel gioco dello scaricabarile che costituisce uno degli aspetti più caratteristici dell’attuale sistema politico: esso consiste in una serie di pubbliche e reciproche accuse tra persone ed istituzioni, tutte più o meno responsabili e complici di qualche grosso malanno. Nel frastuono assordante delle polemiche, che preferibilmente non debbono toccare il nocciolo della questione, la gente resta frastornata ed incerta domandandosi chi mai avrà ragione, e, magari, prendendo posizione per questo o per quello, e intanto non si accorge che colpevoli sono tutti, proprio come accade in certi processi penali dove i complici di uno stesso delitto tendono a scaricarsi l’uno sull’altro tutte le responsabilità per vedere di farla franca. Nel nostro caso, un esempio eloquente di questo modo di procedere è dato da quanto è accaduto a Roma. Su «Il Tempo» del 15 luglio 1990, sotto il significativo titolo «Immigrati a orologeria», leggiamo che Monsignor Luigi Di Liegro, direttore della “Caritas” di Roma, accusa il Comune della città, e quindi le autorità politiche locali, per non avere provveduto alle esigenze di alloggio e di servizi degli extracomunitari sistemati alla peggio nei locali dell’ex-pastificio Pantanella. Il competente assessore, dal canto suo, si rivolge addirittura alla Protezione Civile, in ciò preceduto, peraltro, dallo stesso Mons. Di Liegro. Intanto, poiché il problema è di difficilissima soluzione anche per il noto fatto che in Italia, grazie sempre alla politica governativa, gli alloggi mancano per gli stessi italiani, e quindi le cose vanno per le lunghe, il prelato fa la voce grossa e ammonisce: «Attenzione, signori, perché abbiamo tra le mani una bomba a orologeria. La guerra tra i poveri è già cominciata, ma se andiamo avanti così rischiamo la guerriglia urbana!». Cosa si ricava da tutto ciò? È chiaro: poiché l’intervento del servizio di Protezione Civile è previsto per calamità e disastri, è evidente che si ritiene che ormai l’invasione islamica abbia raggiunto livelli tali da poter essere qualificata, appunto, un disastro nazionale; anzi, Mons. Di Liegro, la definisce addirittura «una bomba ad orologeria, foriera di guerre». La situazione, dunque, è tragica, e tende ad aggravarsi ulteriormente con l’aumentare del numero degli immigrati.

• Ma di chi è la responsabilità di tutto ciò? La risposta è ovvia: di chi provoca, permette o favorisce l’immigrazione, e quindi, in primissima linea, sia del potere politico che delle strutture ecclesiali (occupate dai modernisti, ndr.), e della Caritas in particolare. E allora sorge spontanea un’ulteriore domanda: è cristiano o non, piuttosto, pazzesco o criminale porre le basi di una guerra civile e quindi di una carneficina? Un altro aspetto sconcertante della vicenda è che la CGIL si sforza di instillare nelle teste degli immigrati uno spirito di rivendicazione, e quindi di protesta, persuadendoli di essere titolari di chissà quali diritti, col prevedibile risultato di fomentare un odio di classe che, date le peculiarità della situazione, non potrà non trasformarsi in odio di religione e di razza. A questo riguardo, non possiamo fare a meno di osservare - anticipando quanto più approfonditamente vedremo nella seconda parte di questo scritto - che il potere occulto, che, come la vicenda della loggia P/2 insegna, si colloca al vertice e al di sopra delle istituzioni e dei partiti, ma non contro di essi, utilizzerà quasi certamente il delitto, con la spregiudicatezza che gli è propria, dapprima per additare alla pubblica esecrazione e intimidire coloro che si oppongono all’immigrazione, colpevolizzandoli con l’addebitare loro ben calcolati misfatti; (è comunque sempre possibile promuovere e foraggiare movimenti neo-nazisti, pescando tra esaltati e squilibrati!). In un secondo momento, si servirà dello stesso strumento per confondere le idee e distogliere l’attenzione del pubblico dalle proprie mene. In questa prospettiva, sono da prevedere attentati sanguinosi e delitti spietati. In tal modo, i burattinai assisteranno alla scena sogghignando in disparte, presentando, magari, se stessi o i loro emissari, come pacieri e intemerati custodi della legalità infranta dai facinorosi. Le tenebrose storie degli attentati sui treni, alle stazioni, nelle banche, ecc., dovrebbero rappresentare e tutti un’eloquente lezione! [Come dar torto all’Autore del volume che, già negli anni 1990 1991, anticipava meticolosamente quanto sarebbe accaduto. D’altronde è noto che dalla sapienza cristiana viene conseguentemente la preveggenza, ndr.].

• Pur riservando alla seconda e terza parte del nostro studio la disamina dei risvolti e retroscena più profondi e sconcertanti dell’avventura immigratoria, ci pare opportuno, a conclusione di queste pagine introduttive, svolgere alcune rapide considerazioni sul contesto politico-sociale e criminologico in cui questo fenomeno si inserisce e sulle sue prospettive a breve termine. Premesso che - come era, più che prevedibile, sicuro, anche per le esperienze dei paesi che ci hanno preceduto su questa via! - la gran maggioranza delle attività criminali degli “extracomunitari” si svolge nel settore del traffico della droga, va detto che una serie di operazioni di polizia e di istruttorie penali, in Italia ed all’estero (basti ricordare, da noi, le indagini dei giudici Carlo Palermo, del Tribunale di Trento; Augusto Lama, del Tribunale di Massa Carrara e Mario Vaudano, del Tribunale di Torino) hanno rivelato lo stretto legame esistente tra tale traffico, mondo islamico, mercato internazionale delle armi da guerra, terrorismo - specialmente musulmano e sudamericano - guerre locali, o guerriglie, (Afghanistan, Libano, Iran-Irak, Nicaragua, ecc.), banche operanti su scala internazionale, e quindi alta finanza, classi politiche e, spesso, governi di paesi di tutto il mondo. Cercando di essere il più possibile sintetici su un argomento che meriterebbe ben più diffusa trattazione, vari cordato, anzitutto, che quello degli stupefacenti è un affare colossale il cui ammontare, nel 1988, è stato valutato in 500 miliardi di dollari. È opportuno rammentare altresì che uno dei principali problemi di questo traffico è il riciclaggio del cosiddetto “denaro sporco”, perché i grandi pacchi di banconote presentati agli sportelli bancari dai grossi trafficanti non possono non destare i sospetti della polizia, con conseguente individuazione e incriminazione dei corrieri e dei mandanti, quindi sequestro dei proventi. Ora, da una serie di indagini, specialmente della polizia statunitense, è emersa un’attiva partecipazione e complicità di numerosi e importantissimi istituti bancari che si prestano sistematicamente a questo riciclaggio e hanno persino istituito, a tal fine, appositi servizi e succursali nei cosiddetti “paradisi fiscali”, piccoli Stati nei quali le operazioni finanziarie si svolgono al di fuori di ogni controllo. Una volta che i grandi trafficanti hanno incassato, attraverso manovre abbastanza complesse in cui intervengono numerose società di comodo, il denaro così apparentemente ripulito, si pone il problema di investirlo. Ora, uno degli investimenti più proficui, e comunque il più seguito, è quello delle armi, di cui c’è grandissima richiesta da parte di organizzazioni terroristiche ed eserciti del Terzo Mondo. In queste operazioni, si distinguono specialmente i paesi musulmani. In particolare, sin dal 1983, l’ayatollah Khomeini ebbe ad emettere una “fatwa” (decreto religioso) in cui invitava a combattere «il grande Satana (gli USA) e i suoi alleati, (quindi tutto il mondo occidentale!) con tutti i mezzi e particolarmente facendo ricorso agli stupefacenti»; dichiarazione da cui risultano evidenti il profondo odio islamico per il mondo occidentale e l’immensa pericolosità di un’immigrazione composta da persone molte della quali, a differenza dei criminali nostrani, delinquono non per cinico amor di danaro che supera ogni remora morale, bensì nella distorta visuale di una religione distorta, al preciso scopo di distruggere noi e la nostra società, e nella convinzione di adempiere, così facendo, un alto dovere morale. Anche la Siria ricorre sistematicamente al traffico degli stupefacenti per finanziare il proprio esercito e il terrorismo arabo. Pure lì, un capo religioso islamico e gran trafficante di droga, ha autorizzato con una “fatwa” la coltivazione del papavero e della canapa indiana, e colui che, dalla Francia, sovrintende al commercio siriano, è addirittura Rifat-el-Assad, il fratello del dittatore di quel paese, Hafiz-el-Assad, il massacratore del Libano cristiano! Similmente, l’Afghanistan finanzia la sua guerra con un ingente traffico di eroina. Quanto all’Egitto, basti dire che il fratello di Sadat aveva anche lui le mani in pasta. È poi noto, dalle cronache, quanti sequestri di imponenti quantitativi di droga siano stati effettuati in Italia su autocarri di provenienza turca. Dal canto suo, Israele, attraverso uomini già appartenuti ai suoi servizi segreti (il Mossad), addestra i killers dei magnati della droga del cosiddetto “cartello di Medellin” e ha curato il traffico di rifornimento di armi ai contras del Nicaragua e all’Iran, sempre finanziato, beninteso, con denaro sporco. Ci troviamo, insomma, di fronte ad un complesso sistema operante su scala intercontinentale. Il mondo comunista vi ha pure la sua non piccola parte che coinvolge i produttori di droga, i circuiti di spaccio all’ingrosso, assicurati da associazioni criminali tipo mafia, (che formano ormai una rete abbracciante tutto il globo!), alta finanza, e governi di paesi produttori di stupefacenti. Ma anche le classi politiche dei paesi occidentali, produttori di armi, vengono coinvolte in questo traffico. Ognuno, infatti, capisce che un flusso massiccio e continuo di cannoni, carri armati, elicotteri, missili, aerei, navi da guerra, munizionamento pesante e leggero per migliaia di tonnellate, sistemi d’arma: quanto occorre, insomma, per sostenere un conflitto, non è cosa che possa passare inosservata; si aggiunga che le fabbriche di armi da guerra, per la loro stessa natura, sono controllate o, comunque, in stretto rapporto con le autorità politiche dei paesi di appartenenza. A questo punto, è evidente che presupposto indispensabile di tutti questi traffici è la compiacente passività, se non addirittura la attiva collaborazione, di una determinante parte delle gerarchie politiche del mondo occidentale. Ne è una manifestazione clamorosa il caso del cosiddetto “Irangate”, che ha coinvolto le autorità USA. Ma anche nel campo del semplice riciclaggio del denaro sporco, il mondo politico è stato colto a tener bordone alle manovre dei banchieri... Naturalmente, questi silenzi, queste compiacenze, queste coperture non sono disinteressati... Il risultato finale di tutto ciò, sconcertante per il semplice cittadino che vive del suo lavoro e magari - beato lui! - crede alle virtuose dichiarazioni dei partiti e alle loro strenue campagne per i poveri e gli “emarginati”, è una solidarietà occulta, ma profonda e tenace, tra produttori di droga, associazioni criminose che ne curano la distribuzione, alta finanza, mondo della politica, sino a una vera e propria compenetrazione, al punto che spesso è difficile dire dove comincia una e dove finisce l’altra categoria. Lentamente, ma sicuramente, sulla scia dei principii dell’immoralismo materialista, laico e machiavellico, sta costituendosi un sistema di dominio mondiale che spezza i confini degli Stati, e ove, all’insegna di Mammona, alta finanza, politica e crimine organizzato, si fondono in un corpo unico. Occorre tener presente, a tal fine, l’unione europea del 1992, quando, cadute le frontiere, sono venuti meno tutti i relativi controlli che costituivano il più robusto argine al dilagare della droga. Riferisce, infatti, il Moncomble che, in Francia, l’80% dei sequestri di sostanze psicotrope avviene appunto ai confini di Stato («Le pouvoir de la Drogue...», pag. 115). Abbattute le dighe, grazie anche alla legge Martelli, l’Europa costituisce, ora, un vasto e indisturbato mercato cui possono confluire, senza troppe difficoltà, trafficanti di ogni paese della terra.

• Scriveva il rabbino Baruch Levi al suo correligionario Karl Marx: «Il popolo israelita, preso collettivamente è esso stesso il proprio Messia. Il suo regno si otterrà con l’unificazione delle razze umane, la soppressione delle frontiere e delle monarchie, che sono la difesa del particolarismo, e con l’istituzione di una Repubblica Universale». Ma c’è davvero una congiura dietro la grande e incontrollata immigrazione? «La Repubblica» del 23 febbraio 1990 (al pari, del resto, di tutti i quotidiani nazionali) riferiva che, la notte precedente, 54 clandestini erano stati sorpresi dalla polizia portuale di Bari mentre cercavano di mettere piede sul lungomare di quella città, dopo essere stati scaricati da una scialuppa, messa a mare da un ignoto mercantile [I primi esperimenti di quella che poi diventerà prassi per milioni di clandestini, ndr.]. Venivano, quei giovani, dalle terre più disparate e remote ed erano stati attirati in Italia da sconosciuti reclutatori con mendaci promesse di stabile e remunerata occupazione. Per il viaggio avevano dovuto pagare 2.000 dollari a testa, un prezzo assai alto per gente povera, onde, una volta giunti in Italia e trovatisi di fronte all’inevitabile disinganno, sarebbe stato assai arduo per loro tornare ai lontani paesi di origine. Ai poliziotti che li interrogavano, costoro riferirono di un misterioso uomo che parlava inglese, «con il volto nascosto da una maschera che lasciava intravvedere solo gli occhi», e che li aveva fatti scendere sulla scialuppa, lasciandoli poi sul molo foraneo del porto pugliese. Quel quotidiano dava notizia, lo stesso giorno, di un flusso di clandestini attraverso il confine del Brennero, e di un secondo attraverso quello jugoslavo. Innumerevoli altri immigrati entrano, poi, per vie legali: ad esempio col traghetto “Abib” che ogni sabato mattina attracca al porto di Genova, o con quello che, pure settimanalmente, approda a Trapani dalla Tunisia. «Ma delusione e angoscia - scrive Guido Nicosia su «Avvenire» del 3 marzo 1990, sotto il titolo «Clandestini ancora a frotte» - non si fanno attendere»: il lavoro promesso, infatti, non c’è, e allora, nella migliore delle ipotesi, bisogna andare in giro a vendere [in nero, ma del nero extracomunitario nessun trombone mediatico si scandalizza, ndr.] penne “Bic” e accendini, occhiali da sole e collanine, non si sa da chi e a quali condizioni forniti». Che si deduce da tutto questo? La risposta è evidente: che una schiera di arruolatori retribuiti percorre le strade del mondo islamico, dall’Africa occidentale al subcontinente indiano, sfacciatamente mentendo e presentando, a gente spostata e ignorante, l’Italia come un Eldorado, una terra di immense risorse e di favolosa ricchezza che offre lavoro e guadagno a folle sterminate. Questo colossale inganno presuppone un ’organizzazione complessa ed articolata, ricca di mezzi, oltre che di uomini; una vera e propria congiura a livello internazionale. Ma, quello che ancora più colpisce, presuppone anche il consenso del mondo politico e del governo italiano. Esso, infatti, di fronte all’assedio tumultuoso, lungi dall’intensificare i controlli, smantella le barriere legali abrogando, come si è visto, gli articoli della legge di Pubblica Sicurezza e del relativo Regolamento, sostituendoli con il velo illusorio della legge Martelli. Per giunta, spiega il citato articolo di Guido Nicosia su «Avvenire» del 3 marzo 1990, il nostro governo, almeno fino a quella data, non chiedeva alle persone provenienti dall’area maghrebina e dal Senegal, e cioè dalle terre islamiche che forniscono il maggior flusso di immigrati, neppure il visto di entrata. Onde, per esse, persino l’inconsistente filtro della nuova legge era reso del tutto inoperante. Inoltre, altra realtà di fronte alla cui evidenza è giocoforza arrendersi, la congiura ha a propria disposizione tutti i grandi strumenti di propaganda e se ne avvale per esorcizzare ogni accenno di perplessità e di sconcerto, ricorrendo, per intimidire i potenziali oppositori, al ricatto della magica parola “razzista”, (quasi che il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, rimasto in vigore sino a quest’anno, fosse stato un’espressione di razzismo!), o a quello di un sentimentalismo falso e piagnucoloso, o, addirittura, a roventi accuse di abbietto e anticristiano egoismo. [Per conoscere la vera dottrina cristiana sull’immigrazione rimandiamo alle nostre pubblicazioni: 1° Exsul Familia Nazarethana in italiano. La Magna Charta di Pio XII sull’immigrazione; 2° Esposizione della dottrina cristiana sulle migrazioni; 3° Teologia Politica 107. Breve dissertazione sulla cosiddetta “immigrazione” (parte 1); 4° Teologia Politica 108. Breve dissertazione sulla cosiddetta “immigrazione” (parte 2)., ndr.].

• Ma qual è il movente di questa lapalissiana congiura? Siamo forse di fronte a un’immensa opera filantropica, a una lega occulta di generosi che, commossi dalla povertà di tanta gioventù del mondo islamico, vogliono farla in qualche modo partecipe dei benefici economici della nostra società? Forse, il penoso e sconfortante giudizio che avevamo formulato fino a ieri sulla nostra classe politica, anche per la sua proverbiale voracità, che richiamava alla nostra mente i terribili pesci pirañas dell’Amazzonia, va radicalmente rivisto e dovremo, d’ora in poi, considerarli come una categoria di disinteressati, anche se, per i motivi che abbiamo illustrato nella prima parte di questo scritto, incredibilmente ingenui e maldestri, benefattori del genere umano? In realtà, però, francamente parlando, davvero non riusciamo a vedere - per usare una brutta espressione alla moda - una grande “promozione umana”, in relazione a persone costrette a mendicare per le vie o a lavorare saltuariamente nei lavori più ingrati e a condizioni strozzinesche, ovvero indotte a prostituirsi sui marciapiedi, a spacciare droga, a rubacchiare o a venire irregimentate nelle organizzazioni della malavita del sud e del nord d’Italia. Neppure ci pare che sia il non plus ultra della carità spiantare un uomo dalla sua terra, dalla sua famiglia, dal suo ambiente, per indurlo, con l’inganno, a trasferirsi in un mondo a lui totalmente estraneo. Pur nella sua frenesia immigratoria, persino il mensile «Nigrizia» espressamente riconosce questa evidenza: gli immigrati «sono... le vittime di un profondo senso di isolamento, di emarginazione, di impotenza; tutti sentimenti che spesso possono sfociare in tentativi di suicidio e, qualche volta, portare alla morte», scrive Maria Rita Matti sul numero dell’ottobre 1989 di quella rivista, sotto il titolo «Ero in carcere, sei venuto a trovarmi»! Viene da chiedersi: non era forse mille volte più efficace, fraterno e misericordioso l’aiuto offerto prima del Vaticano II e, in parte, ancora oggi, dai missionari e dalle missionarie, portando a domicilio ospedali e ospizi, lebbrosari e scuole, insegnando tecniche agricole, scavando pozzi, allestendo bacini, e - quel che più importa - diffondendo quel sommo fattore di vera civiltà che è il Vangelo di Cristo? Non si sarebbe potuto sostenere e incoraggiare la loro preziosa azione di vero servizio a Dio e all’uomo? Non è facile sottrarsi alla penosa impressione che l’esodo grandioso cui stiamo assistendo assuma piuttosto l’aspetto - e non parliamo solo delle donne, trascinate a migliaia sulla via della prostituzione! - di una smisurata tratta di schiavi nel quadro di un tenebroso piano di occulti “Signori”.

• Chi ascolta i piagnistei governativi e le grida indignate della stampa di regime contro i cattivacci che si allarmano per l’inattesa invasione, non può non restare sbigottito sol che ripensi alle mille difficoltà che recentissimamente vennero fatte contro alcune centinaia di profughi polacchi, rinchiusi come malfattori in campi di concentramento. Ad essi fu impedito di lavorare e di inserirsi nel contesto sociale italiano, malgrado parecchi di loro avessero qualifiche professionali di tutto rispetto. Eppure, in quella circostanza, nessun organo di stampa volse la sua cetra in pianto; nessun governante sorse gridando alla lesa umanità e si stracciò pubblicamente le vesti; nessun sodalizio umanitario alzò la voce contro l’obbrobrio razzista. Ci si domanda: quelle centinaia di polacchi, forniti di regolari documenti, erano davvero tanto più pericolosi, sospetti e destabilizzanti delle molte centinaia di migliaia di persone che, a non tanti mesi di distanza, corrono le strade e battono i marciapiedi della penisola e dei milioni che premono ai suoi confini? Più ancora sconcerta e insospettisce quello che sta succedendo con i profughi vietnamiti: l’Assemblea Generale di quelle Nazioni Unite che - come vedremo - hanno avuto e hanno una parte così importante nell’incoraggiamento all’immigrazione dei cosiddetti “vu cumprà”, in una conferenza internazionale, tenuta a Ginevra il 13 e 14 giugno 1989, ha deciso di imporre restrizioni nell ’accordare lo status di profugo politico a coloro che sono fuggiti dal territorio del Vietnam, per lo più su fragili imbarcazioni, in quelle terribili e rischiosissime condizioni che tutti sanno, e di rispedire in patria i fuggiaschi “illegali”, così, in pratica, esponendoli al concretissimo pericolo di una condanna a morte in massa o, nella migliore delle ipotesi, a terrificanti rappresaglie, essendo ben nota la spietata crudeltà dei regimi comunisti verso i loro profughi (Vedasi al riguardo «Nuova Solidarietà», numeri del 23 settembre e del 23 dicembre 1989). Eppure, si trattava di circa 100.000 persone in tutto, pochissimi, dunque, rispetto alla massa degli attuali immigrati, e si sarebbe potuto distribuirli in tutti i paesi dell’occidente; eppure - giova aggiungerlo - quegli sventurati, vittime di un regime spietato, sono profughi politici veri, verissimi, e non immaginari e per burla, come quelli che provengono dalla Tunisia e dal Marocco, dal Senegal e dal Ghana, e verso cui l’ONU è così larga di amene patenti di “rifugiato politico”! Vi è per caso capitato sott’occhio l’appello a Wojtyla dei 47.000 rifugiati di Hong Kong? A leggerlo c’è da rabbrividire: dopo avere accennato alla persecuzione e alla spaventosa oppressione del regime comunista, che li ha indotti a tal punto di disperazione da abbandonare la loro amatissima terra e ogni caro ricordo e affidare le loro vite a fragili battelli vaganti senza precisa meta sui flutti minacciosi dell’oceano, essi descrivono la loro attuale prigionia nei campi britannici di Hong Kong: «Siamo stati considerati come immigranti illegali, gettati in campi attorniati da due cinte di filo spinato, come erano in altri tempi i campi nazisti. Manchiamo di tutto, materialmente, moralmente ed affettivamente. Viviamo in una tensione insopportabile, senza sapere che sarà del nostro avvenire». In realtà, se proprio non lo sanno con certezza, lo immaginano: «L’obiettivo principale delle autorità di Hong Kong, nello stabilire questa procedura di selezione (fra quelli che debbono e quelli che non debbono considerarsi rifugiati politici, ndA.) è stato quello di rimandare il maggior numero di rifugiati in Vietnam.». Ed essi, e, al pari di essi, le ultra-umanitarie autorità inglesi e onusiane, sanno benissimo ciò che là li attende: «Ciò che ci aspetta nel nostro paese, noi già lo sappiamo: inchieste, la prigione e l’eliminazione...» E incominciano così i rimpatri forzosi: «Di fronte alla sofferenza dei nostri compatrioti, picchiati, portati via nelle lacrime e tra le urla, ormai senza alcuna speranza non possiamo impedire a noi stessi di essere sconvolti dalla pietà» (dalla rivista missionaria dei gesuiti «Popoli» del 5 maggio 1990). Nobile sentimento la pietà! Peccato, però, che in questo caso non abbia trovato alcuna eco nel cuore degli uomini politici occidentali in genere (oh, la “civilissima” Inghilterra!) e di quelli italiani in particolare, pur così teneri quando si tratta di nordafricani e di senegalesi. Per questi sventurati non abbiamo sentito i ruggiti virtuosi dei socialisti, dei radicali e dei comunisti del nuovo corso occhettiano, né le prediche untuose dei democristiani [che non sono di dottrina cristiana, ndr.]. Nessun Martelli e nessun Andreotti si è fatto avanti a dire che l’Italia, commossa di fronte a tanta sventura, era disposta, sia pure con le dovute cautele, ad ospitare almeno in parte quegli esuli per sottrarli a morte quasi certa. Anzi - udite, udite! - il governo italiano che, nel 1989, si era impegnato (che sforzo!) a riceverne mille, a un anno di distanza -come informa «Famiglia Cristiana» del 20 giugno 1990 a pag. 101 - non ha mantenuto neppure questo meschinissimo impegno e non ne ha ricevuto neppure uno! Anche la pseudo indipendente stampa di regime si è ben guardata dal dar fiato alle sue prezzolatissime trombe: una coltre di complice silenzio copre l’agonia tormentosa di quella gente. Ci si domanda: se non è il colore della pelle, cos’è che rende così diverso, così spregevole un vietnamita rispetto a un maghrebino o a un senegalese? L’unica risposta possibile è: la religione. I vietnamiti sono, in alta percentuale, cattolici, mentre gli attuali immigrati sono, nella loro stragrande maggioranza, musulmani. Quale misterioso disegno si cela dietro a queste preferenze? Un altro episodio, che rende ben poco credibile la pelle di agnello di cui si rivestono i nostri governanti, è quello dell’Etiopia e dell’Eritrea. Come ha denunciato il famoso Piero Gheddo su «Avvenire» del 3 marzo 1990, guerra e fame hanno divorato quei paesi, schiacciati sotto il tallone di ferro del tiranno comunista Menghistu, che «ha distrutto l’economia con le nazionalizzazioni, e la serenità di vita del popolo con un sistema di controlli e repressioni da togliere il fiato», e sorresse il suo traballante potere con coscrizioni militari, fucilazioni di massa e bombardamenti aerei. Nella sola crisi alimentare del 1984-85, si calcola che siano morti circa un milione e mezzo di etiopi, e la situazione posteriore, pure in difetto di dati, fu ancora peggiore! Il popolo eritreo, oggi, tra deportati, profughi e morti, è ridotto a meno della metà e la sua terra a una landa desolata e sabbiosa. Ma chi ha sostenuto finanziariamente il feroce Menghistu da quando gli sono venuti meno gli aiuti sovietici? Lo denuncia il P. Gheddo: il Governo italiano! ... e naturalmente sempre all’insaputa e coi quattrini dello spennatissimo “popolo sovrano”! Nel gennaio 1990, questa compagine di buoni samaritani ha preso contatto col dittatore etiopico per mezzo (guarda chi si vede!) del sottosegretario agli Esteri, senatrice Susanna Agnelli, esponente della principale dinastia dell’ Alta Finanza mondialista in Italia!

• Un primo consistente indizio per sapere dove andassero cercati i meno occulti promotori di questo grandioso fenomeno ci fu offerto da un articolo apparso sul quotidiano «Alto Adige» del 10 agosto 1989, dal titolo: «Ondata di immigrati africani». Vi si riferiva l’intervista col presidente degli ambulanti trentini aderenti alla “Confesercenti”, il quale, tra l’altro, dichiarava: «Si calcola che nei prossimi anni, 30-40 milioni di africani verranno in Europa, e i governi centrali, su direttive dell’ONU (il corsivo è nostro), hanno affidato a Italia, Spagna e Grecia il peso maggiore. Sembra che l’Italia, nella spartizione internazionale, debba farsi carico dell’immigrazione senegalese, e si stima in 5 milioni la dimensione numerica: quasi una persona ogni dieci italiani»! Dunque l’ONU veniva indicata come la centrale da cui è partito l’ordine che è alle origini di questa vicenda e le si attribuiva un preciso programma che non potrà non incidere in maniera sconvolgente sul prossimo avvenire del popolo italiano, i cui destini, al di là dell’amena favoletta della sovranità popolare, evidentemente sono in mano di lontani e sconosciuti padroni. Successive ricerche confermavano che la pista era quella giusta: l’Italia, con la legge 10 aprile 1981 n. 158, ha ratificato la convenzione n. 143 del 1975 della Organizzazione Internazionale del Lavoro (uno degli organi dell’ONU), recante il titolo: «Sulle migrazioni in condizioni abusive e sulla promozione della parità di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti». Da qui si vede che già, almeno dall’ormai remoto 1975, si venivano addensando sul capo degli ignari italiani fosche nubi foriere di tempesta. In obbedienza a quei patti, il Governo nazionale proponeva e il Parlamento approvava la legge 30.XII.1986 n. 943 che sin da allora garantiva (art. 1 ) «A tutti i lavoratori extracomunitari parità di trattamento e piena eguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani», nonché il godimento «dei servizi sociali e sanitari» e il diritto «al mantenimento dell’identità culturale, alla scuola e alla disponibilità dell’abitazione». E all’art. 2 prevedeva, proprio come riferito dal citato articolo dell’«Alto Adige», «accordi bilaterali e multilaterali previsti dalla convenzione dell’O.I.L. n. 143 del 24 giugno 1975... per disciplinare i flussi migratori». Si aprivano, insomma, fin da allora - in nome di una convenzione dell’ O.I.L. (Organizzazione Internazionale del Lavoro), e cioè di un istituto specializzato dell’ONU, le porte all’immigrazione, nonostante ancora, malgrado le statistiche del CENSIS, il fenomeno non fosse neppur lontanamente così evidente, come è diventato oggi. E, in realtà, l’Italia non era affatto allora, così come non lo è a tutt’oggi, un paese che possa ragionevolmente attirare un consistente flusso immigratorio: di modesta estensione, montagnosa, povera di materie prime, densamente popolata, con grave penuria di alloggi già per i suoi abitanti, grazie anche a mille pastoie burocratiche che ostacolano le nuove costruzioni e persino il restauro di quelle già esistenti, con ancora molti suoi figli emigrati all’estero e una rilevante disoccupazione e sotto-occupazione interna, con servizi pubblici e sanitari largamente e spesso drammaticamente inefficienti, e insufficienti anche per la sola sua popolazione, davvero non si vede come potrà fronteggiare i mille problemi posti dalla valanga extracomunitaria [Noi, uomini del ventunesimo secolo, siamo oramai ben consapevoli di quanto l’Autore denunciava e presagiva trent’anni fa, ndr.] . Invero, come si è visto e si ribadisce, per uno straniero senza arte né parte, le principali offerte di lavoro provengono dalla malavita organizzata, sempre bisognosa di manovalanza a buon mercato, e dall’ambiente dello sfruttamento della prostituzione, a meno di non volersi accontentare di un lavoro nero senza garanzie, della mendicità o di un misero commercio ambulante, che dalla mendicità vera e propria ben poco si distingue. Ma è facile capire come anche queste vie siano anch’esse facile anticamera al delitto! Cosa, dunque, era necessario fare per mettere in moto verso l’Italia l’immensa ondata di spiantati che la sta sommergendo? Occorreva una duplice disinfestazione: una internazionale, volta ad ingannare gente ignorante o, comunque, non al corrente della nostra realtà sociale, presentando, con capillare propaganda, l’immensa menzogna di un’Italia simile a un nuovo Eldorado, un vero e proprio paese di Bengodi; e una all’interno dell’Italia stessa, tendente a fare apparire come un frutto ineluttabile della storia quello che, invece, è l’effetto di una cinica e meditata orchestrazione. A tal fine, con ammirevole improntitudine, si osa parlare di imprescindibili esigenze di mano d’opera nel nostro mercato e di carenza delle nostre forze lavorative, ma su ciò rimandiamo il lettore a quanto si è già detto [numero 220 di Sursum Corda, ndr.]. È chiaro, in ogni caso, che si specula sul fatto che l’uomo moderno, bombardato com’è da effimere notizie, ha memoria corta e il suo senso critico è intorpidito, altrimenti sarebbe facile notare la spaventosa contraddizione di una classe politica che, dopo aver prospettato col “Club di Roma” minacce di tremende crisi alimentari ed energetiche come effetto della sovrappopolazione, e dopo aver legalizzato l’aborto, esaltandolo come un fondamentale diritto civile, aprendo la via allo sterminio dei nostri figli, spalanca ora la porta all’invasione islamica col pretesto che in Italia non c’è più gioventù sufficiente per il funzionamento della nostra economia! In tutto questo piano, la parte avuta dall’ONU è primaria ed evidente. Infatti, la legge Martelli esordisce (art. 1, comma 1) presentandosi come emanata in attuazione della convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, che fu appunto promossa dall’ONU, e prosegue riconoscendo a un ufficio della stessa ONU - l’A.C.N.U.R., Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati - importanti poteri di ingerenza sulla immigrazione extraeuropea in Italia. Che poi si tratti di un piano su scala soprannazionale, preciso e programmato, lo si ricava anche dal fatto che da più parti si specificano i numeri e i tempi dell’invasione, così come abbiamo visto fare sulle colonne dell’«Alto Adige» del 10 agosto 1989. Ad esempio anche su un articolo de «Il Giornale» del 9 novembre 1989, intitolato «L’Italia deve affrontare la mina vagante degli immigrati di colore», si legge che, entro 20 anni, gli immigrati dovrebbero essere 5 o 6 milioni. Ci si domanda come sarebbe possibile formulare previsioni del genere se si trattasse di un fenomeno spontaneo, imprevisto e imprevedibile, e non di un piano controllato, studiato a tavolino. Similmente il Cardinal Martini [l’eresiarca ormai deceduto, ndr.], dando prova di sorprendenti carismi profetici, intervenendo nel corso di una mattinata di “studio e riflessione” sul tema: «Per una società dell’accoglienza verso un’Europa multirazziale», tenuta in preparazione della IX giornata della solidarietà, proclamata nella sua diocesi, preconizza, a quanto riferisce Daniela Pozzoli sulle colonne di «Avvenire», che il fenomeno toccherà la sua punta massima nei prossimi vent’anni. [Dobbiamo tristemente rilevare che il fenomeno è andato ben oltre e non cessa di esasperarsi sine die, ndr.].

• Ma chi c’è dietro l’ONU? Individuata con certezza nell’ONU l’organizzazione promotrice di questa grandiosa migrazione di popoli, di nuovo genere e che, per dimensioni, non ha precedenti dal tempo delle invasioni barbariche, si tratta ora di vedere cosa si nasconda dietro quella sigla. La risposta è molto semplice: l’ONU è una creazione della massoneria. Nei giorni 28-30 giugno 1917 - e cioè in sul finire della prima guerra mondiale, voluta, appunto, dalla massoneria per distruggere i due imperi, l’asburgico e lo zarista, che ancora serbavano, seppur sbiadita, un’impronta teocentrica e teocratica, e per gettare le basi del Nuovo Ordine Mondiale, e cioè del governo universale da sempre vagheggiato dalle Logge, già adombrato in quel documento base della massoneria che sono le costituzioni di Anderson del 1723 - le massonerie dei paesi alleati e neutrali si riunirono a Parigi, in via Cadet n. 16, e decretarono di costituire la “Società delle Nazioni” che poi, dopo la 2a guerra mondiale, cambiò il nome in ONU. E l’ONU è l’abbozzo del Governo Mondiale massonico. Che la prima guerra mondiale sia stata voluta dalla massoneria e, prima ancora, da chi sta dietro di essa, è un dato certo e inconfutabile: proprio nel Convegno in cui si decise la creazione della Società delle Nazioni, le massonerie intervenute stabilirono le condizioni e gli obiettivi della pace futura, a dimostrare che, al di là e al di sopra dei governi ufficiali, ben altri, ignoti ai “popoli sovrani”, erano i centri di potere che avevano voluto e gestito quel terribile conflitto. Sempre a quel Convegno, la Società delle Nazioni fu definita: «Lo scopo stesso della guerra» (Gianni Vannoni, «Massoneria, fascismo e Chiesa Cattolica», ed. Laterza, 1979, pag. 5). Ora, ci si domanda: chi poteva assegnare uno scopo alla guerra se non chi l’aveva voluta? Molte altre prove si potrebbero addurre. Basti dire che il famoso Gran Maestro della massoneria italiana, Ernesto Nathan (che, in realtà, era un ebreo inglese), in un’ intervista, citata al Convegno massonico di Torino del 24-25 settembre 1988 dallo storico ufficiale della massoneria, Aldo Mola, ebbe testualmente a dire: «La massoneria volle la guerra e ha dato alla guerra tutta se stessa»! (Vedasi la raccolta degli Atti di quel Convegno, sotto il titolo: «La liberazione d’Italia nell’opera della massoneria», Bastogi editrice, 1990, pag. 264). Sono, questi, fatti notori e incontrovertibili, essendo anche stati pubblicati gli Atti di quel Convegno, tanto che il P. Rosario Esposito, il famoso paolino strenuo sostenitore della massoneria, in un suo libro dal titolo «Le grandi concordanze tra Chiesa e Massoneria» (Nardini ed., 1987) a pag. 185, ascrivendo a merito della “sètta” la creazione di quell’organismo internazionale, così si esprime: «Tutto il mondo seppe in quale ambiente (sottinteso: massonico) e sotto quali segni (del pari massonici) la Società delle Nazioni nasceva». Anche recentemente, l’allora Gran Maestro Achille Corona, parlando al Convegno di Torino del 24-25 settembre 1988, così ebbe a dire: «Tuttavia essa (e cioè la massoneria) si pone oggi in prima fila nel processo di unione europea. Lo fa con la consapevolezza di chi ha posto mano per prima alla liberazione dei popoli, alla redenzione delle minoranze, all’avvento della Società delle Nazioni e dell’ONU, e punta ora all’unione europea» («La liberazione d’Italia nell’opera della massoneria», cit., pag. 311). Che poi la massoneria prenda un interesse non solo indiretto - attraverso quella sua creatura che è l’ONU - ma anche diretto alla questione della immigrazione, è stato ancora dichiarato dal medesimo Gran Maestro Corona nel corso del citato suo intervento al Congresso torinese del settembre del 1988: «La massoneria italiana - egli ha detto - ha tutti i titoli per dire una parola saggia e ispiratrice delle nuove minoranze e soprattutto degli immigrati, e, in specie, di quelli di colore, nei confronti delle quali essa ha sentito e sente un legame di autentica fratellanza» (Idem, pag. 309). Di che fratellanza poi si tratti, lo lasciamo immaginare a chi sa qualcosa dello spirito massonico. Similmente in Francia, il B’nai B’rith, e cioè quella somma branca della massoneria che è riservata solo agli ebrei, pubblicò su «Le Monde» del 26 marzo 1986 un comunicato del seguente tenore: «Le associazioni “B’nai B’rith” lanciano un appello alla vigilanza, richiamano l’attenzione dei Partiti della Nuova Maggioranza contro ogni tentazione di voler riprendere gli slogans estremisti sull’insicurezza e le idee xenofobe nei confronti degli immigrati e ricordano ai rappresentanti di questi Partiti gli impegni da loro presi nei corsi dei “forum ” dei B’nai B’rith, davanti alla comunità, dichiarazioni rese dopo la proclamazione dei risultati del voto, di non allearsi in alcun caso col Fronte Nazionale» (Yann Moncomble, «Les professionels de l’antiracisme», Paris, 1987, pag. 251). Da questo comunicato si ricava l’istruttiva notizia che i Partiti di governo francesi hanno assunto il formale impegno, con la massoneria ebraica, che li richiama severamente e pubblicamente all’ordine, di non porre ostacoli all’immigrazione, e che l’unico Partito che vi si oppone, e cioè il Fronte Nazionale, è messo al bando e deve restare isolato come un lebbroso. Davvero strano questo impegno ebraico per una società in cui i gruppi religiosi ed etnici si mescolano e si confondono, ove si pensi che la famosa Golda Meir, già primo ministro dello Stato di Israele, intervenendo in Inghilterra a un seminario di studio della “Zionist Socialist Youth” (Gioventù Sionista Socialista) ebbe a dire: «La grande tragedia dei giovani ebrei nei paesi prosperi è il fatto che essi, per la maggior parte, non comprendono che il più gran pericolo che minaccia l’esistenza dell’ebraismo non proviene dall’antisemitismo e dalla persecuzione, ma dall’assimilazione e dai matrimoni misti» (Idem, pag. 284); e che anche Nahum Goldman, autorevole membro di quello stesso B’nai B’rith che tanto si batte per l’immigrazione extracomunitaria in Europa, ebbe a deprecare come una terribile iattura la minaccia di estinzione, per assimilazione, cui è esposto il popolo ebraico (Idem, pag. 285).

• Accertare lo scopo che la massoneria si propone con questi spostamenti di popoli, non è certo impresa difficile: lo dichiarano, ad ogni passo, i giornali, alti esponenti dei Partiti politici e altri importanti personaggi: al termine dell’attuale processo, si prevede una società “multi-etnica, multi-razziale e multi-religiosa” in cui convivano, si fondano e si confondano, sincretisticamente tra loro, razze, usi, costumi e religioni. Ciò che sorprende e disorienta chi ancora non si è reso conto della doppiezza e della equivocità dei sistemi politici moderni è che, mentre da un lato si lascia intendere che, “regolarizzati” gli extracomunitari, il fenomeno immigratorio verrà praticamente bloccato, e lo si presenta come un evento imprevisto e incontrollabile che ha preso di contropiede il potere politico, dall’altro non si nasconde affatto che quello della società multi-razziale è uno scopo, un programma avuto di mira dai governanti e che, quindi, l’immigrazione è voluta e incoraggiata. In questo ordine di idee, ad esempio, l’amministrazione provinciale di Treviso - come riferisce «Il Giornale» del 9.11.1989, nel già citato articolo: «L’Italia deve affrontare la “mina vagante” degli immigrati di colore» - ha promosso un convegno internazionale, ai cui lavori era previsto l’intervento dei ministri Martelli e Donat Cattin, del sindaco di Milano, Pillitteri, e di Diego Novello, oltreché di autorevoli personalità d’Europa e di America e della immancabile ONU, il cui titolo - «Il nuovo pluralismo culturale e razziale della società europea» - la dice lunga sulle prospettive del fenomeno in esame, evidentemente già previste a tavolino. Giova infatti sottolineare che, in quel Congresso, non erano previste discussioni sui mezzi per bloccare efficacemente il flusso immigratorio anche con opportuni aiuti tecnici ed economici ai paesi del cosiddetto “Terzo Mondo”, bensì, per usare le parole del professor Pavan dell’Università di Padova, uno tra i promotori dell’ iniziativa, si doveva parlare dei metodi per dirigerlo in vista della trasformazione del mondo in un «villaggio globale», in cui si avrà una «fecondazione artificiale delle varie culture». Una operazione ciclopica, insomma, il cui esito programmato dovrà essere la scomparsa della civiltà italiana e di tutte quelle europee, in una broda grigiastra che non sarà né cristiana né islamica, né europea né moresca. Ecco perché si ritiene urgente, per dirla con le parole del rabbino canadese Abraham Feinberg, che «la legge incoraggi la commistione dei sangui», dato che «il richiamo deliberato ai matrimoni interrazziali è la sola maniera di accelerare il processo per eliminare totalmente i pregiudizi razziali e poi le razze separate». Prosegue ...