Stimati Associati e gentili Sostenitori, rispondiamo ad alcune obiezioni utilizzando il volumetto SOS «La Religione. Obiezioni e risposte» del P. Giulio Monetti, imprimatur 1942.

• «Mi dai tutta l’aria di un arretrato, che ti gingilli ancora in superstizioni, in vane sollecitudini di donnicciùole, in preoccupazioni metafisiche superate... Indugiarmi in simili malinconie? Ma neanche per sogno! Ti pare? Mi sembrerebbe di non progredire con la scienza e di farmi compatire dal mondo degli eruditi, perché uomini bene eruditi e scienziati, salvo certe convenienze esterne bene comprensibili, della religione se ne infischiano allegramente!».

• Rispondiamo. I dotti non credono? Ne sei proprio persuaso? Ed io invece te lo nego decisamente! Mi rincresce di non poterti, oggi, seguire su questo terreno magnifico, interessantissimo, per non sviarci dalla nostra presente questione. Ma sarà per un’altra volta! Quando ti faccia comodo, sono pronto a dimostrarti precisamente il contrario: e che c’è da commuoversi dinanzi allo spettacolo di fede religiosa datoci dai grandi luminari dell’umanità in ogni tempo, non escluso il nostro (cf. SOS, Scienza e fede, n°5, ediz. 3). Per ora ti basti questo predicozzo del Pasteur, il celebre padre della microbiologia moderna, da lui fatto nientemeno che agli Accademici di Francia nel suo discorso di ricevimento nel seno di quest’Assemblea scientifica: senti come ribatte proprio in pieno il pregiudizio   - questo, sì, è pregiudizio! - «i dotti non credono». «Io mi domando in nome di quale nuova scoperta, o filosofica o scientifica, si possono sradicare dall’anima umana le preoccupazioni religiose. Per me, esse hanno una natura perenne, dacché il mistero che cinge tutt’attorno l’universo - del qual mistero esse sono un’emanazione - è perenne esso stesso di per se. Si racconta che l’illustre fisico inglese Faraday, nelle lezioni che teneva alla Società Reale di Londra, non pronunciava mai il nome di Dio, benché egli fosse profondamente religioso. Ma un giorno, eccezionalmente, questo nome gli uscì dalle labbra, suscitando d’improvviso nell’uditorio un movimento di simpatica approvazione. Accortosene il Faraday, interruppe la sua lezione con queste parole:  “Vi ho fatto stupire adesso per avere pronunziato il nome di Dio. Non vi meravigliate se non l’ho mai pronunziato prima: non sono altro che un rappresentante della scienza sperimentale. Però sappiate che la nozione e il rispetto di Dio giungono al mio spirito per vie altrettanto sicure quanto quelle che ci conducono alle verità d’ordine fisico!”». Fin qui il Pasteur: e tu puoi ben acquietarti all’autorevole parola di questo principe degli scienziati....

• E veniamo adesso al nucleo della tua replica: vedrai che la religione non è poi superstizione o pregiudizio o preoccupazione vana, come tu pensi. Che cos’è infatti la Religione? Riconoscere in modo pieno e solenne i diritti di Dio sulla mente, sul cuore, sull’attività, sulla vita stessa dell’uomo, onorandoLo insieme nella forma a Lui conveniente ed accetta: - ringraziarLo dei perpetui ed immensi benefici; - domandarne l’aiuto; - prestarGli la servitù che richiede per cento e cento giustissimi titoli; - ricercarGli perdono delle offese fattegli, offerendogliene la soddisfazione voluta.... C’è niente di più ragionevole? Di più degno e di più doveroso, per qualsiasi uomo, fosse pure il dotto fra i dotti? Vorrei vederlo quell’uomo che osasse tacciare di sciocca superstizione l’adempimento di sì precisi doveri!  Superstizione e sciocchezza l’onorare le persone come si meritano? Il ringraziare convenevolmente il proprio supremo e perpetuo Benefattore? Il servire con affettuosa diligenza il proprio Padrone? Il provvedere prudentemente ai casi propri, sia col placare l’offesa Giustizia Divina, sia col conciliarsi le larghezze della Divina Onnipotenza? Non oserei certo profferire simili proposizioni in pubblico, per timore di farmi... ricoverare con violenza pietosa in una casa di salute!

• E c’è anche qualche altra cosa in simile condotta, oltre l’irragionevolezza: c’è la più ingiuriosa temerità! Il Profeta Daniele ripeterebbe a simili insensati, che vorrebbero con la loro posa spregiudicata contro la Religione passare per evoluti, la tremenda requisitoria da lui fatta (Dan. V, 23) là, in Babilonia, al Re Baldassarre, in quel famoso convito che fu l’ultimo eccesso di quel monarca: «Tu non hai onorato quel Dio che ha in sua mano il tuo alito, tutto il tuo essere!». E Dio non voglia che si scriva anche a loro danno la stessa sentenza inesorabile: «Mane, Tecel, Fares!» - che apparve quella sera ai convitati sulla parete, e che segnò la condanna del Re di Babilonia, servo infedele di Dio! Davvero che costerebbe molto a Dio lo stringere il pugno, a stritolare l’abbietto provocatore!

• E che se ne fa Iddio dei nostri ossequi? Proseguono i detrattori: «Com’Egli è troppo in alto perché la freccia dell’empio lo possa ferire, così è troppo in alto perché possano interessarlo i nostri omaggi, i nostri ringraziamenti, le nostre scuse, le nostre suppliche.... Siamo noi altro, sulla bilancia di Dio, che “una formica nera su la lavagna nera” - come direbbe Victor Hugo - o la proverbiale “stilla di rugiada mattutina” del linguaggio biblico? E se è così, io trovo logico che, senza negare alla Religione ogni pregio e convenienza, possa alcuno scusarsi dal praticarla, come cosa di minore importanza, almeno di fronte ad altri interessi che tutta ne assorbono la attenzione e l’attività. Nel febbrile agitarsi della vita moderna, un uomo d’affari, che deve pur muoversi con la società progrediente senza posa, non ha tempo da dedicare alla cultura ed alle pratiche della Religione!».

• Rispondiamo: Nel tuo modo di vedere c’è un grosso errore di prospettiva: quello di prendere la Religione come «vantaggio» che noi rechiamo a Dio; quand’è verissimo che a Dio, infinitamente perfetto e beato in se medesimo, noi non possiamo arrecare vantaggi di sorta. Tutt’altro è il punto di vista giusto: noi dobbiamo stimare la Religione come un debito sacrosanto, inviolabile, che noi abbiamo verso Dio. Ai giorni nostri s’è molto parlato dei diritti dell’uomo, del lavoratore, del cittadino, dello Stato: viceversa poco o nulla si parla dei diritti di Dio, supremi, intangibili! Ed è proprio per questo che le cose, un po’ dappertutto, vanno male, molto male! Troppi ci sono che vogliono vivere, per dir così, a spese di Dio, senza poi renderGli ciò che Gli spetta! Proprio come diceva quel nullafacente: «Bere, mangiare, godersela e non pagare!». Francamente, il sistema sarebbe comodo per noi; ma per gli altri, chi lo troverebbe simpatico?

• Orbene: se la ragione trova tale sistema quanto mai irragionevole, ingiusto e provocatore per le nostre relazioni sociali, non c’è motivo di giudicarne altrimenti riguardo alle nostre relazioni con Dio. Dio è nostro creatore, non meno creatore di tutte le cose che ci circondano, e che ci servono di sostentamento, di aiuto e di diletto: con ciò stesso ne è Padrone assoluto, e tal Padrone che, anche se lo volesse, non potrebbe rinunziare al Suo diritto. Infatti a prò di qual persona Egli rinunzierebbe, che non Gli fosse assolutamente soggetta? E non rivivrebbe rinnovellato ad ogni istante il Suo diritto, dato che ad ogni istante noi e il mondo ricadremmo nel nulla se Dio non ci conservasse perennemente con rinnovata creazione? Per noi, per ogni creatura, la continuità del contatto con Dio è cosa indispensabile all’esistenza stessa, oltreché all’attività creata; a quel modo che cessa di botto l’energia elettrica per il movimento delle macchine o per l’accensione delle lampade, non appena sia tolta la comunicazione della lampada o delle macchine con la sorgente di forza, così ogni forza mancherebbe in noi, ogni vita, ogni sussistenza, quando Dio non più concorresse ai nostri atti, più non conservasse il nostro essere fisico.

• Ciò premesso, giustizia vuole che noi ci regoliamo in tutto e per tutto secondo il volere di Dio, il gran Padrone dell’Universo. Siamo in questo mondo come ospiti in una casa che appartiene a Dio: ci serviamo continuamente, e per vivere e per operare, di energie e di strumenti che appartengono a Dio; noi stessi siamo tutti cosa di Dio; è dunque ragionevole che noi non facciamo nulla contro i Suoi ordini. Quindi, se ci comanda qualche cosa, Gli dobbiamo obbedire, dacché tutta la nostra attività appartiene a Lui: se ci vieta questa o quell’azione, noi dobbiamo astenercene, perché i nostri sensi e le nostre facoltà, il nostro tempo e la nostra vita sono cosa di Dio, e non possiamo davvero abusarne a capriccio. Se infine ci domanda sacrificio di sostanze, di tempo, di sanità, e persino della vita - lo domandò bene ai Martiri! - non possiamo rifiutarci; non faremo che restituirGli quella vita, quella sanità, quel tempo, quelle sostanze, ch’Egli c’imprestava per Sua mera benignità!

• Per conseguenza, chi coscientemente - cioè sapendo quel che fa - nega a Dio l’ossequio religioso, cioè la riconoscenza che Gli deve come a Benefattore supremo, e la servitù che Gli conviene come a Padrone assoluto, non può non aversi per uno sleale, un usurpatore, un ribelle degno del più alto disprezzo e delle più terribili sanzioni:  vero prepotente, che vuole spadroneggiare in casa altrui: vero parassita, che vuole scialare e scialacquare a spese altrui: ingrato per giunta, e della peggior specie, che giovasi dei benefici ricevuti per insultare protervamente al suo Benefattore, non fosse altro che col fingere di non conoscerlo o di non tenerne conto, di non preoccuparsene.

• Per quanto sia vero che noi, nella nostra infinitesima piccolezza, non possiamo all’Infinito Iddio né recare svantaggio né vantaggio, è assurdo che Dio sia indifferente alla nostra condotta verso di Lui, vale a dire alle nostre ribellioni od alla nostra fedeltà, al nostro disprezzo od alla nostra venerazione, e proprio mentre Egli è presente in ogni luogo; mentre perpetuamente si occupa di noi, conservandoci, cooperando ad ogni nostra azione, provvedendoci paternamente di tutto, mentre dalla mera e nativa condizione di servi ci ha elevati alla condizione di amici e di figli, protestandosi di avere le Sue delizie nel trovarsi con noi! Altro che indifferenza! Non è interesse, è vero, che Lo piega verso di noi: è tenerezza! E alla tenerezza è brutale rispondere con l’indifferenza!

a cura di CdP

Guareschi vignetta Concilio Vaticano II