Comunicato numero 51.  Che cos’è la carità

Stimati Associati e gentili Lettori, la scorsa settimana, commentando i santi Padri del deserto, dicevamo che «non c’è prodigio che compensi la mancanza di carità, non c’è vero prodigio che avvenga dove non c’è la verità» (cf. I Cor. XIII, 1 seg.). Oggi impariamo che il padre Agatone predicava: «Se potessi incontrare un lebbroso, dargli il mio corpo e prendere il suo, lo farei volentieri: questo è l’amore perfetto». Per capire cosa sia concretamente la carità usiamo la «Divini Redemptoris» di Papa Pio XI, Lettera enciclica del 19 marzo 1937 «sul Comunismo ateo». Questo documento, fino ad ora mai citato nei nostri studi, è davvero rilevante per la suprema docenza teorica e pratica, utilissimo ai fini della buona formazione spirituale e teologico-politica.

Il Papa insiste su «due insegnamenti del Signore, che hanno speciale connessione con le attuali condizioni del genere umano: il distacco dai beni terreni ed il precetto della carità. “Beati i poveri di spirito” furono le prime parole che uscirono dalle labbra del Divino Maestro, nel suo sermone della montagna (Matth., V, 3). E questa lezione è più che mai necessaria in questi tempi di materialismo assetato dei beni e piaceri di questa terra. Tutti i cristiani, ricchi o poveri, devono sempre tener fisso lo sguardo al cielo, ricordandosi che “non abbiamo qui una città permanente, ma cerchiamo quella avvenire” (Hebr., XIII, 14)».

• I ricchi, egli dice, «non devono porre nelle cose della terra la loro felicità né indirizzare al conseguimento di quelle i loro sforzi migliori; ma, considerandosene solo come amministratori che sanno di doverne rendere conto al supremo Padrone, se ne valgano come di mezzi preziosi che Dio loro porge per fare del bene; e non lascino di distribuire ai poveri quello che loro avanza, secondo il precetto evangelico (Luc., XI, 41). Altrimenti si verificherà di loro e delle loro ricchezze la severa sentenza di San Giacomo Apostolo: “Su via adesso, o ricchi, piangete, urlate a motivo delle miserie che verranno sopra di voi. Le vostre ricchezze si sono imputridite e le vostre vesti sono state ròse dalle tignole. L’oro e l’argento vostro sono arrugginiti; e la loro ruggine sarà una testimonianza contro di voi, e come fuoco divorerà le vostre carni. Avete accumulato tesori d’ira, per gli ultimi giorni…” (Iac., V, 1-3)»;

• Ma anche i poveri, a loro volta, «pur adoperandosi secondo le leggi della carità e della giustizia a provvedersi del necessario ed anche a migliorare la loro condizione, devono sempre rimanere essi pure “poveri di spirito” (Matth., V, 3), stimando più i beni spirituali che i beni e i godimenti terreni. Si ricordino poi che non si riuscirà mai a fare scomparire dal mondo le miserie, i dolori, le tribolazioni, alle quali sono soggetti anche coloro che all’apparenza sembrano più fortunati. Quindi, per tutti è necessaria la pazienza, quella pazienza cristiana che solleva il cuore alle divine promesse di una felicità eterna. “Siate dunque pazienti, o fratelli, - vi diremo ancora con San Giacomo - sino alla venuta del Signore. Ecco, l’agricoltore aspetta il prezioso frutto della terra, e l’aspetta con pazienza finché riceva le primizie e i frutti successivi. Siate anche voi pazienti, e rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina” (Iac., V, 7-8). Solo così si adempirà la consolante promessa del Signore: “Beati i poveri!”. E non è questa una consolazione ed una promessa vana come sono le promesse dei comunisti; ma sono parole di vita che contengono una somma realtà e che si verificano pienamente qui in terra e poi nell’eternità. Quanti poveri, infatti, in queste parole e nell’aspettativa del regno dei cieli, che è già proclamato loro proprietà: “perché il regno di Dio è vostro” (Luc., VI, 20), trovano una felicità, che tanti ricchi non trovano nelle loro ricchezze, sempre inquieti e sempre assetati come sono di averne di più». In questa esortazione il Pontefice fornisce indicazioni pratiche per l’anima dei ricchi, come dei poveri, contro le seduzioni della falsa politica e delle perniciose filosofie che la animano.

• Adesso veniamo alla definizione di carità. Papa Pio XI spiega che «la carità non sarà mai vera carità se non terrà sempre conto della giustizia. L’Apostolo insegna che “chi ama il prossimo, ha adempiuto la legge”; e ne dà la ragione: “poiché il Non fornicare, Non uccidere, Non rubare, … e qualsiasi altro precetto, si riassume in questa formula: Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Rom., XIII, 8, 9). Se dunque, secondo l’Apostolo, tutti i doveri si riducono al solo precetto della vera carità, anche quelli che sono di stretta giustizia, come il non uccidere e il non rubare». Ancora: «Carità e giustizia impongono dei doveri, spesso circa la stessa cosa, ma sotto diverso aspetto». Sul piano della giustizia sociale, egli dice: «Ed è appunto proprio della giustizia sociale l’esigere dai singoli tutto ciò che è necessario al bene comune. Ma come nell’organismo vivente non viene provvisto al tutto, se non si dà alle singole parti e alle singole membra tutto ciò di cui esse abbisognano per esercitare le loro funzioni; così non si può provvedere all’organismo sociale e al bene di tutta la società se non si dà alle singole parti e ai singoli membri, cioè uomini dotati della dignità di persone, tutto quello che devono avere per le loro funzioni sociali. Se si soddisferà anche alla giustizia sociale, un’intensa attività di tutta la vita economica svolta nella tranquillità e nell’ordine ne sarà il frutto e dimostrerà la sanità del corpo sociale, come la sanità del corpo umano si riconosce da una imperturbata e insieme piena e fruttuosa attività di tutto l’organismo».

• Abbiamo scelto questa Enciclica fra le tante in cui si espone la carità, perché il Papa, in questo contesto, rivolge un chiaro appello all’adempimento della giustizia, dunque si tratta di una misericordiosa Enciclica di dottrina sociale, materia a noi particolarmente utile per lo studio della «mutua collaborazione della giustizia e della carità». Il Pontefice ci esorta a combattere, così, «quella incoerenza e discontinuità nella vita cristiana per cui taluni, mentre sono apparentemente fedeli all’adempimento dei loro doveri religiosi, nel campo poi (della vita sociale, ndR), per un deplorevole sdoppiamento di coscienza, conducono una vita troppo difforme dalle norme così chiare della giustizia e della carità cristiana, procurando in tal modo grave scandalo ai deboli e offrendo ai cattivi facile pretesto di screditare la Chiesa stessa».

• Infine chiude con questa esortazione che vorremmo fare nostra: «Grande contributo a questo rinnovamento può rendere la stampa cattolica. Essa può e deve dapprima in vari e attraenti modi far sempre meglio conoscere la dottrina sociale, informare con esattezza ma anche con la debita ampiezza sull’attività dei nemici, riferire sui mezzi di combattere che si sono mostrati i più efficaci in varie regioni, proporre utili suggerimenti e mettere in guardia contro le astuzie e gli inganni coi quali i comunisti (e tutti i nemici di Dio e dell’uomo, ndR) procurano, e sono già riusciti, ad attrarre a sé uomini in buona fede».

(A cura di CdP)

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