Comunicato numero 54. Bisogna esaminare tutte le religioni per riconoscere quella vera?

Stimati Associati e gentili Lettori, chiediamoci col Ballerini (cf. Breve apologia contro gli increduli dei nostri giorni, Parte seconda, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, Imprimatur 1914, cap. XXVIII, dalla pagina 154) se sia necessario passare in rassegna tutte le religioni per conoscere quale sia la vera. Sta dunque, anche di fronte alle pretese del liberalismo, l’obbligo di indagare quale sia la vera religione, e l’obbligo di abbracciarla dopo che si è conosciuta.

• Stato della questione. Le varie religioni esistenti sulla faccia della terra si possono ridurre a due classi: a quelle che si dicono naturali ed a quelle che si dicono rivelate. Dicesi religione naturale la conoscenza delle verità religiose riguardanti Dio, l’anima, la vita futura - e i conseguenti doveri che ne derivano - ottenuta per mezzo della nostra ragione. Dicesi religione rivelata la conoscenza delle verità religiose e dei conseguenti doveri che ne derivano, ottenuta per mezzo della rivelazione divina. Sarà dunque necessario passare in rassegna tutte le varie e molteplici religioni - sia quelle che si dicono naturali, sia quelle che si dicono rivelate - per conoscere quale sia la vera? Se così fosse, la maggior parte degli uomini si troverebbe nell’impossibilità di conoscere la vera religione. Le cose vanno dunque altrimenti. E, difatti, quanto alle religioni naturali o non rivelate, bastano due osservazioni: 1) la morale impotenza dell’uomo a risolvere da sé medesimo il problema religioso, deve farci capire che tutte le religioni naturali sono perciò stesso insufficienti; 2) se esiste una religione rivelata, questa sola è l’unica vera ed è obbligatoria per tutti. Sviluppiamo questi due punti.

• Morale impossibilità di risolvere il problema religioso senza la rivelazione. È un fatto storicamente certo che gli uomini, lasciati a sé, hanno conosciuto ben poche verità religiose - ed anche queste avviluppate da molti errori ed incertezze - cosicché gli stessi più grandi maestri dell’antichità erano fra loro discordi nelle questioni più essenziali. Ad accezione del popolo ebreo, presso il quale Dio stesso manteneva sempre viva la Sua parola, vediamo tutti gli alti popoli dell’antichità, mano mano che si allontanano dalla primitiva rivelazione, precipitare nei più mostruosi errori in fatto di religione. Ed anche attualmente, dove non si è ancora diffuso il Cristianesimo, o dove esso fu messo al bando, troviamo lo stesso fenomeno. Altrettanto dicasi dei sapienti che vissero senza la rivelazione. Quali aberrazioni nelle stesse scuole filosofiche intorno ai problemi più importanti della religione e della morale! Quasi tutti propugnarono l’eternità del mondo, o almeno della materia: alcuni fecero Iddio corporeo; altri spirituale, ma soggetto al fato; non pochi lo fecero anima dell’universo; ed altri infine negarono addirittura l’esistenza di Dio e della vita avvenire. La storia della filosofia si può ben dire, sotto questo aspetto, la storia degli errori dell’umanità nel risolvere i problemi dei nostri destini. Quale caos poi, quale confusione nell’ordine morale! Disconosciuta la dignità dell’uomo con la schiavitù, degradata quella della donna nel maritale connubio, falsate le relazioni di famiglia coll’arbitrario potere del padre sui figli, disistimati i più umani affetti coll’abbandono dell’infanzia, dei vecchi, degli infermi, dei poveri, e posta in cima all’edificio sociale, cinta di sgherri e vestita di ferro, l’odiosa tirannia che guardava con disdegno e disprezzo i popoli che le giacevano ai piedi. Non diremo già, come hanno sostenuto i teologi della riforma, i Giansenisti ed i Tradizionalisti, che senza la grazia e la rivelazione divina, l’uomo sia incapace di conoscere qualsiasi vero morale e religioso, e di praticare qualsiasi bene. La grazia e la rivelazione sarebbero allora assolutamente necessarie per lo stesso ordine naturale, e cadrebbe allora ogni reale distinzione fra i due ordini, il naturale ed il soprannaturale. Ciò, del resto, è smentito dal fatto storico: basta considerare quello che hanno conosciuto ed operato gli stessi pagani. Bensì diciamo che «nella presente condizione del genere umano» la rivelazione divina è moralmente necessaria per le stesse verità morali e religiose di ordine naturale «affinché siano conosciute da tutti, speditamente, con ferma certezza e senza mescolanza di errori » (Concilio Vaticano, cap. II, De Revelatione). Queste parole, che il Concilio Vaticano (1869-1870) prese da san Tomaso (Summa Theologiae, p. 1, q. 1, a. 1), furono già dall’Angelico Dottore analizzate in modo da convincere ogni più ostinato e riottoso intelletto (Contra Gentes, lib. 1, cap. IV). Si tratta qui di un’impotenza morale, è vero, ma proveniente da condizioni inerenti alla nostra stessa natura quale sarà in ogni tempo. Per conseguenza è ridicolo appellarsi al progresso continuo ed indefinito, per concludere che i popoli avrebbero egualmente potuto arrivare al punto in cui ora si trovano, anche senza bisogno di nessuna rivelazione.

• La scienza moderna di fronte al problema morale e religioso. Basta considerare, del resto, quali sono, dopo tanti secoli, i frutti di questo continuo progresso in fatto di morale e di religione. Mai si ebbe tanta confusione di idee intorno ai problemi dell’al di là come ai nostri giorni; tanto che la scienza moderna finì col mettere in disparte ogni indagine sulle cause ultime, erigendo a sistema l’agnosticismo, cioè la pretesa impossibilità di scorgere oltre il fatto o fenomeno. E di qui la conseguente baraonda dei sistemi cosiddetti morali.

• La bancarotta della scienza atea e materialista. Aveva dunque tutte le ragioni il Brunetière di gridare alla bancarotta della scienza in ordine ai problemi dell’al di là e di scrivere queste roventi parole: «Da seimila anni in poi tanti progressi fatti dalla scienza non ci hanno fatto progredire d’un passo nella conoscenza della nostra origine, della nostra natura, del nostro fine. Finché la scienza non abbia risposte da dare a queste domande, non sarà se non ciò che Pascal chiama una distrazione: cioè a dire un modo di impedirci di pensare alle sole domande che c’interessano, e di cadere nella disperazione nella quale c’immergerebbe la nostra impotenza a rispondervi». E lo stesso corifeo dei moderni razionalisti, Adolfo Harnack, cosi terminava qualche anno fa il suo corso di conferenze sulla Essenza del Cristianesimo: «Ad un uomo che per trent’anni si è occupato (di questi problemi), si può ben concedere di parlare in nome della propria esperienza. La scienza è una gran bella cosa.... Ma alle questioni: donde veniamo? Dove andiamo? Perché siamo al mondo? Essa non sa rispondere più di quel che sapesse due o tremila anni fa. Essa ci fa conoscere i fatti, scopre le contraddizioni, coordina i fenomeni e corregge le illusioni dei sensi. Ma dove e come cominci la curva dell’universo e quella della nostra vita - le due curve di cui essa non ci mostra che una parte - la scienza non ce lo sa dire» (pag. 300-30). Oggi poi che la scienza non vuole neppure uscire dal campo dei fatti, è semplicemente ridicola la pretesa di poterla sostituire alla fede nel risolvere i grandi problemi dei nostri finali destini.

Si ascolti anche su questo un altro razionalista, il Senatore Gaetano Negri. «Noi scopriamo che tutta la scienza che andiamo acquistando sui processi e sui fenomeni del mondo e della vita, lascia intatto il problema del perché e della vita e del mondo. Noi scopriamo che l’umanità, nel suo immane lavoro, non è pagata che d’illusione. Finché era viva e indiscutibile la fede che il mondo terrestre non fosse che la preparazione di un mondo celeste, in cui si sarebbe trovata la felicità assoluta ed eterna, l’uomo poteva credere di aver la chiave che apriva l’enigma dell’universo.... Ma il giorno in cui questa fede in un avvenire trascendentale è scossa, il mondo ridiventa oscuro e misterioso. Lo spirito umano, che ha perduto la visione della felicità d’oltre tomba, si esalta nello sforzo di conquistarla al di qua della tomba, e la società è trascinata in un movimento febbrile. Il risultato è, nel medesimo tempo, immenso e nullo: immenso per gli effetti materiali, nullo per gli effetti morali. Sono prodigiose le conquiste dell’ingegno umano, ma l’uomo non vi trova né contento né requie; ed è appunto la coscienza di questo contrasto che rende più acri ed impazienti le aspirazioni, più incerta la stabilità della compagine sociale. Il problema del perché di una vita che si consuma nel correre dietro ad un fantasma, che non si lascia mai raggiungere, ci si presenta, ora che la corsa è divenuta sfrenata, con terribile evidenza. Ed è per questo che in mezzo al frastuono delle imprese moderne, fra gli inni di vittoria per le conquiste della intelligenza, il poeta manda un grido di stupore e disinganno; e noi, udendo quel grido, guardiamo con ansia profonda il mistero che s’innalza tanto più impenetrabile e minaccioso, quanto più audace è lo sguardo con cui lo si scruta» (Segni dei tempi, pagg. 99-100-101).

Facciamo presente che il progresso non è affatto direttamente proporzionale all’abbandono della fede, come vorrebbero farci pensare gli increduli ed i sapientoni, ma è l’esatto contrario, così come dimostrano più di seimila anni di storia e di miglioramenti. Lo abbiamo già studiato (ndR). Ecco dunque la nostra conclusione. La storia del passato, l’esperienza del presente, la naturale condizione dell’uomo, la profondità stessa delle verità morali e religiose che si devono conoscere, tutto dimostra che senza uno speciale aiuto da parte di Dio, gli uomini sono moralmente impotenti a conoscere con certezza e senza mescolanza di errori tutte le verità morali e religiose dello stesso ordine naturale. E poiché la provvidenza nelle cose necessarie non manca mai, questa morale impotenza è già per noi un argomento che ci deve far sospettare l’esistenza di qualche divina rivelazione. Diciamo che deve farcì sospettare: perché dalla morale impotenza dell’uomo a conoscere tutta la religione naturale, seguirebbe solo che è necessario un ulteriore intervento di Dio, che potrebbe benissimo essere contenuto nei limiti dell’ordine naturale. Ma poiché, di fatto, questo provvedimento naturale non esiste, noi possiamo giustamente concludere, che Iddio deve aver sovvenuto alla morale impotenza della nostra ragione per via soprannaturale. «Il Creatore, scrive il Manzoni, volle per la scienza morale (e noi diremo anche religiosa), che avendo per fine non solo di accrescere cognizione all’intelletto, ma di dirigere la volontà in ogni suo atto, riguarda tutto l’uomo; volle, dico, aggiungere al lume della ragione, con cui l’aveva distinto da tutte le creature terrestri, un soprannaturale e positivo insegnamento; e se, riguardo alle altre scienze, gli aveva dato con la ragione medesima un mezzo di discernere, di raccogliere e di ordinare un certo numero di verità, volle, riguardo a queste, rivelare al mondo tutte le verità. Quindi la morale religiosa non si può concepire altrimenti che come il perfezionamento della morale naturale» (Osservazioni sulla morale cattolica, cap. III).

• Se esiste una religione rivelata, questa sola è l’unica vera. Ma anche quando tutti gli uomini fossero giunti da sé medesimi a conoscere tutta la religione naturale, ed a conoscerla con ogni certezza e senza mescolanza di errori, è certo tuttavia che questa cesserebbe di essere la vera religione, se Iddio avesse rivelato ed insegnato Egli stesso agli uomini la religione che essi debbono praticare. Tanto più che Iddio potrebbe destinare l’uomo ad un fine assai più elevato di quello che per natura gli compete e fornirlo dei mezzi necessari a conseguirlo. Nel qual caso la rivelazione divina non sarebbe solo moralmente, ma assolutamente necessaria, affinché l’uomo potesse conoscere il nuovo fine a cui è destinato ed i mezzi di cui deve valersi a conseguirlo. L’ipotesi del soprannaturale facoltativo, nel senso che Iddio, anche fatta la rivelazione, lasci a noi la facoltà di scegliere fra la religione naturale e soprannaturale, non merita neppure di venire discussa. L’unica questione che si potrebbe fare, sarebbe riguardo agli infedeli che nulla conoscono della rivelazione divina. Ma anche di questi ci siamo già occupati e ne abbiamo visto la soluzione. - Per intenderci, rapidamente citiamo la Quanto conficiamur (Roma, 10 agosto 1863): «Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, ancora dobbiamo ricordare e biasimare il gravissimo errore in cui sono miseramente caduti alcuni cattolici. Credono infatti che, vivendo nell’errore, lontani dalla vera fede e dall’unità cattolica, possano pervenire alla vita eterna. Ciò è radicalmente contrario alla dottrina cattolica. A Noi ed a Voi è noto che [solo] coloro che versano in una invincibile ignoranza circa la nostra santissima religione, ma che osservano con cura la legge naturale ed i suoi precetti, da Dio scolpiti nei cuori di tutti; che sono disposti ad obbedire a Dio e che conducono una vita onesta e retta, possono, con l’aiuto della luce e della grazia divina, conseguire la vita eterna. Dio infatti vede perfettamente, scruta, conosce gli spiriti, le anime, i pensieri, le abitudini di tutti e nella Sua suprema bontà, nella Sua infinita clemenza non permette che qualcuno soffra i castighi eterni senza essere colpevole di qualche volontario peccato. Parimenti è notissimo il dogma cattolico secondo il quale fuori dalla Chiesa Cattolica nessuno può salvarsi e chi è ribelle all’autorità e alle decisioni della Chiesa, chi è ostinatamente separato dalla unità della Chiesa stessa e dal Romano Pontefice, Successore di Pietro, cui è stata affidata dal Salvatore la custodia della vigna, non può ottenere la salvezza eterna» (Papa Pio IX), ndR.

• Resta dunque a vedere se veramente esista questa religione. Se esiste non è più necessario interessarsi delle altre: essa sola è l’unica vera. Ora due fatti generali ci persuadono che debba esistere una qualche religione rivelata: 1) La morale impotenza del genere umano a conoscere tutte le verità religiose dello stesso ordine naturale senza una rivelazione divina; 2) La comune persuasione dei popoli che Iddio abbia veramente fatto questa rivelazione. Ma siccome molte sono le religioni che si dicono rivelate, e quasi tutti i fondatori di religioni positive (Zoroastro, Confucio, Maometto, ecc.) si sono spacciati come inviati da Dio, ed hanno fatto credere di aver avuto rivelazioni divine; così rimane a sapere quale sia difatti la vera. Poiché non tutte le religioni che si dicono rivelate possono essere tali, essendo le une opposte alle altre, mentre è certo che Iddio non può rivelare cose contrarie. Occorrono dunque dei criteri o segni per giudicare se esista una religione rivelata e quale essa sia. Molti di questi criteri e segni li abbiamo già studiati e dimostrati, altre li guarderemo in futuro. L’unica religione vera è la Cattolica, ndR. (cf. Breve apologia contro gli increduli dei nostri giorni, Parte seconda, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, Imprimatur 1914, cap. XXVIII, dalla pagina 154).

(A cura di CdP)

Comunicato numero 54. Bisogna esaminare tutte le religioni per riconoscere quella vera?