Nei recenti articoli di Teologia politica abbiamo focalizzato la nostra attenzione sulla cosiddetta “libertà religiosa” - ovverosia “di coscienza”, punto di dottrina essenziale per la legislazione degli Stati e la prassi dei popoli, sostituita tirannicamente con un simulacro indifferentista e liberale dal Vaticano Secondo, dietro mentite spoglie di innocua “dichiarazione pastorale”. Se consideriamo che la pastorale non è altro che la teologia dell’azione, la disciplina che studia i criteri d’intervento correttivo, dunque la corretta applicazione del dogma alle mutevoli vicende anche sociali e politiche, ci rendiamo conto di quanto possa essere offensiva per le pie orecchie una “pastorale anti-dogmatica”, ovvero una “anti-pastorale”.
Documento fondamentale per capire cosa sia la pastorale è la Orientalis Ecclesiae di Papa Pio XII, Enciclica del 9 aprile 1944, in occasione del XV centenario della morte di san Cirillo d’Alessandria. Il Pontefice afferma che «San Cirillo, al serpeggiare dell’empia eresia di Nestorio per le varie regioni dell’oriente, da quel sollecito pastore che era, subito scoprì i novelli errori che imperversavano, usò ogni mezzo per allontanarli dal gregge a lui affidato». E poiché nei cenobi dell’Egitto «si agitavano a più riprese acerrime dispute sulla nuova eresia nestoriana, egli [san Cirillo], da vigilantissimo pastore, avverte i monaci delle pericolose fallacie di tale dottrina». Ed inoltre, come tutti sanno, ad «alimento e sostegno della fede cristiana, compose quasi innumerabili libri, dai quali splendidamente si riverberano la sua luce di sapienza, l’imperterrita sua costanza e la solerzia della sua pastorale sollecitudine».
Papa Pacelli, in conclusione, definisce san Cirillo: «il pastore, il teologo, il difensore della vera dottrina e dell’integrità della fede contro le eresie del suo tempo. Sempre animato da grande carità e da spirito di riconciliazione». Orbene, ciò premesso, non abbiamo timore di sostenere, con Papa Gregorio XVI (cf. Mirari Vos) e con Papa Pio IX (cf. Quanta Cura), che la cosiddetta “libertà religiosa” - ovvero “di coscienza”, così come fu vomitata dal Vaticano Secondo e poi applicata nella legislazione da tutte le Nazioni che furono cattoliche, è «falsa» ed è un «delirio». Vediamo, ora, di supportare la nostra cruda riflessione.
Per rendere chiara la distinzione fra il significato cattolico del termine «coscienza», tanto caro alla teologia-politica, ed il significato infausto già condannato dalla Chiesa, ma poi spudoratamente “rispolverato” ed eruttato dal Vaticano Secondo, dobbiamo leggere le parole dei mentovati Pontefici. Il primo scrive: «Ex hoc putridissimo “indifferentismi” absurda illa fluit ac erronea sententia, seu potius deliramentum, asserendam esse ac vindicandam cuilibet “libertatem conscientiae”». Che significa: «E da questa corrottissima e putrida sorgente dell’indifferentismo scaturisce quell’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che vorrebbe ammettere, e garantire per ciascuno la libertà di coscienza: errore velenosissimo, etc …». Il secondo, Papa Mastai Ferretti, afferma: «Haud timent erroneam illam fovere opinionem a Gregorio XVI deliramentum appellatam, nimirum “libertatem conscientiae” esse proprium cujuscumque hominis jus». Che esplicitato vuol dire: «Con tale idea di governo sociale, assolutamente falsa, non temono di caldeggiare l’opinione sommamente dannosa per la Chiesa cattolica e per la salute delle anime, dal Nostro Predecessore Gregorio XVI di venerata memoria chiamata delirio [Eadem Encycl. Mirari], cioè “la libertà di coscienza e dei culti essere un diritto proprio di ciascun uomo che si deve proclamare e stabilire per legge in ogni ben ordinata società ed i cittadini avere diritto ad una totale libertà che non deve essere ristretta da nessuna autorità ecclesiastica o civile, in forza della quale possano palesemente e pubblicamente manifestare e dichiarare i loro concetti, quali che siano, sia con la parola, sia con la stampa, sia in altra maniera”». Capite l’importanza politica di questo argomento?
Sant’Agostino (in Epist. 105, al. 166) contro i Donatisti già asseriva che «libertà di coscienza» è «libertà di perdizione». Infatti «il Signore […] ha voluto stabilire su saldi fondamenti la tolleranza da parte dei suoi servi: ha voluto cioè che i buoni non pensassero di restar contaminati per essere frammisti coi cattivi ed a causa di umani e temerari scismi non mandassero in perdizione gli ignoranti o v’andassero essi stessi come ignoranti».
Ed il grande san Leone Papa (in Epist. 164, al. 133, § 2, edit. Rall) tuonava: «Se in nome delle umane convinzioni sia sempre libero il diritto di disputare, non potranno mai mancare coloro che osano resistere alla verità e confidano nella loquacità della sapienza umana, mentre la fede e la sapienza cristiane debbono evitare questa nociva vanità, in linea con la stessa istituzione del Signor Nostro Gesù Cristo». Una sentenza così fondamentale, da citare necessariamente il Maestro: Gesù Cristo!
Durante il Vaticano Secondo furono numerosissimi gli interventi che si contrapponevano alla tendenza moderna che voleva giusta e legittima la “libertà religiosa in foro esterno”, addirittura nel governo degli Stati, “libertà” che, secondo i modernisti, i quali nel Vaticano Secondo ebbero la meglio, si baserebbe nientemeno che «sulla stessa natura» dell’uomo e non semplicemente su una «disposizione soggettiva della persona», “libertà” che essi pretesero di giuridicamente incentivare anche «in coloro che non soddisfano l’obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa» (cf. Dignitatis Humanae).
Nei prossimi articoli confuteremo nel dettaglio questo errore falso e delirante. Prosegue …
Carlo Di Pietro da ControSenso Basilicata