Uno dei mali più diffusi nel nostro tempo è l’abuso del matrimonio (abusus matrimonii). Non è nostro compito prendere qui posizione dal punto di vista morale. La Chiesa si è già più volte pronunciata, e, in modo particolarmente deciso. Papa Pio XI nell’enciclica «Casti connubii». Quanto c’era da dire in proposito dal punto di vista dell’igiene è stato sostanzialmente detto nel capitolo «Consulenza matrimoniale e eugenetica» (Op. cit.) e non può che venir riassunto nel principio fondamentale generale della medicina pastorale, secondo cui nulla può essere giusto dal punto di vista igienico, che sia falso dal punto di vista morale.
Per completezza dobbiamo ancora prendere in esame due gruppi di problemi: la denatalità, in quanto fenomeno di massa proprio della vita sociale odierna, e l’ideologia del malthusianesimo, in quanto fondamento ideale della suddetta suggestione di massa.
La denatalità. La denatalità è il risultato della prevenzione delle nascite divenuta fenomeno di massa e del conseguente abuso generalizzato del matrimonio.
Cenni storici. È un fatto storicamente provato che la decadenza degli antichi popoli civili va imputata anzitutto alla denatalità. Si è talvolta supposto che la decadenza dei popoli sia un processo naturale d’invecchiamento e di estinzione e quindi un processo biologico necessario e inevitabile, come l’invecchiamento e la morte dell’individuo. Che ciò non sia vero è provato dall’esempio dei più antichi popoli civili, quali i Cinesi e gli Ebrei, che, malgrado le condizioni di vita estremamente sfavorevoli cui furono a volta a volta soggetti, hanno sopravvissuto per millenni ad altri popoli, mentre perirono gli Egiziani, i Babilonesi, i Greci e i Romani. Il BURGDORFER si vide perciò indotto ad enunciare la massima: «I popoli non periscono per morte, ma si estinguono per mancanza di nascite».
È giusto ritenere storicamente accertato che la morte dei popoli avviene a causa della limitazione intenzionale delle nascite. La moderna denatalità che si riscontra presso i popoli di civiltà europea (occidentale) è un fenomeno sociale non paragonabile senz’altro agli esempi storici che abbiamo addotto. Vi concorrono fattori ideologici che le conferiscono un’impronta particolare.
Neppure la storia prova in maniera univoca che i popoli si estinguono biologicamente. Accanto ad elementi biologici rappresentano una parte essenziale elementi sociali e soprattutto etico-metafisici. Proprio la storia degli Ebrei dimostra quale azione decisivamente determinante esercitino gli elementi metafisici sul destino dei popoli. È un fatto che le famiglie ebree sono numerose, vale a dire sono immuni dagli impulsi ideologici della denatalità, finché sono religiose, e che al contrario divengono immediatamente preda della denatalità, anzi ne sono all’avanguardia, non appena emancipate dalla religione dei padri. La differenza di natalità tra gli Ebrei ortodossi e gli Ebrei «emancipati» è evidente.
Almeno questo è vero, che l’invecchiamento e la morte dei popoli non avvengono secondo la stessa legge di necessità biologica secondo la quale avvengono nell’individuo singolo. Nel processo di estinzione di un popolo la denatalità occupa una posizione determinante. Quando raggiunge uno stadio terminale definitivo, il processo non è più reversibile.
Cenni demografici. La statistica demografica è concorde nel confermare che nei paesi di civiltà occidentale si verifica un costante regresso nel numero delle nascite, a partire dagli ultimi trent’anni circa del secolo XIX. Particolarmente impressionante è un confronto tra il numero delle nascite e quello dei decessi. Questo confronto è dunque la base della demografia; l'eccedenza e il deficit delle nascite rappresentano il bilancio del movimento biologico della popolazione, prescindendo dal movimento sociale, cioè dall’aumento e dalla diminuzione dovuti alla migrazione (emigrazione, immigrazione).
I dati statistici relativi al movimento demografico sono tipici di tutti i popoli di civiltà occidentale. Essi dimostrano la gravità della situazione.
II semplice confronto tra il numero (assoluto) delle nascite e il numero dei decessi sembra offrire un quadro più favorevole di quello che corrisponde alla situazione reale, perché questi dati non tengono conto della struttura della popolazione riguardo all’età. È noto da tempo che può ancora sussistere un’eccedenza numerica delle nascite, anche quando la denatalità ha già alterato profondamente la struttura fisica del popolo. Ci si presenta il fenomeno della distribuzione anormale per età della popolazione.
Si ha innanzi tutto il fatto che l’età media dell’uomo è divenuta notevolmente più elevata di prima. Questo però non significa ancora senz’altro che gli uomini vivano effettivamente più a lungo, come troppo affrettatamente si era creduto di poter affermare, grazie ai progressi dell’igiene moderna.
Il fatto che le vecchie generazioni vengono scarsamente rimpiazzate dalle classi dei neonati, con il loro tasso di mortalità, basta già da solo a far si che si verifichi un aumento dell’età media, senza che per questo neppure un individuo abbia vissuto un sol giorno di più; quindi questo fenomeno si verifica anche a prescindere dal contributo dei successi igienici che indiscutibilmente si possono registrare nella innegabile diminuzione della mortalità infantile nei primi anni di vita. Vi si aggiunge il fatto, parimenti incontrovertibile, che de facto un numero molto maggiore di individui raggiunge oggi età più elevate. Le persone che vivono fino ad età avanzate, dai 70 ai 75, dai 76 agli 80 e dagli 81 fino agli 85 anni, sono effettivamente più frequenti rispetto al passato (meno remoto, ndr). Il centro di gravità della massa della popolazione si sposta quindi dalla larga base delle classi giovani sempre più verso le classi anziane. Cosi l’azione decimante della denatalità viene rimandata per un certo tempo e la situazione reale viene celata: essa appare più favorevole di quanto in realtà non sia. Solo con la lenta scomparsa dei vecchi scadrà l’«ipoteca della morte» (BURGDORFER), e tutta la portata della denatalità sarà rivelata (GROTJAHN).
Per ottenere un quadro esatto della situazione demografica, il BURGDORFER richiede, come valori di confronto utilizzabili, «cifre delle nascite epurate» ottenute in relazione alla distribuzione delle classi anziane. Per mantenere costante la popolazione, la cifra delle nascite deve corrispondere a quella della conservazione degli effettivi. In cifre assolute, ciò significherebbe che teoricamente, come conservazione degli effettivi, sarebbero sufficienti 2 figli per matrimonio, ammesso che tutti si sposassero, che tutti i matrimoni fossero fecondi e che tutti i figli rimanessero in vita. Poiché queste premesse non corrispondono alla realtà, per la conservazione degli effettivi è necessario un minimo di 3,7 figli per matrimonio (GROTJAHN).
(...) In questi ultimi anni (l'Autore scrive nel 1956, Compendium Der Pastoral-Hygiene, ndr) la situazione demografica diviene anche più sfavorevole. Ci si è domandato se questa situazione dovesse venir invece considerata come favorevole. In particolare si è richiamata l’attenzione sui pericoli di una incombente sovrappopolazione, sulla minaccia di carestie, su crisi economiche mondiali, sulla disoccupazione ecc., e se ne è concluso che la denatalità non sarebbe che una reazione social-biologica necessaria e un adattamento allo «spazio vitale», divenuto più ristretto; una conseguenza inevitabile dell’eterno conflitto d’interessi fra conservazione della specie e conservazione dell’individuo, e quindi soltanto un processo naturale di autoregolazione.
Nel 1960, la terra era abitata da 2.850.000.000 di individui (la versione da noi utilizzata è del 1961, a cura del Dott. G. M. Merlo, del Prof. Teol. G. Dolza e del Dott. G. Turletti, ndr). Ogni anno si contano 34 nati ogni mille abitanti e 18 morti sempre ogni mille individui, dal che si deduce un aumento della popolazione dell’ 1,6%. La popolazione mondiale aumenta attualmente di 34 milioni di individui all’anno. Dai calcoli dell’O. N. U. la terra raggiungerà i 3 miliardi di abitanti nel 1962, i 4 miliardi nel 1977 circa, i 5 miliardi nel 1990 e i 6 miliardi nel 2000. Sarebbe assolutamente necessario praticare un controllo su vasta scala delle nascite, prima che la sovrappopolazione divenga catastrofica. Questo pericolo minaccerebbe principalmente i paesi economicamente e culturalmente sottosviluppati.
Dovremo allora esaminare soprattutto gli stretti rapporti ideologici tra la «teoria dello spazio vitale» del MALTHUS e la dottrina darwiniana della lotta per resistenza («Struggle for Life»). Ma dobbiamo prima formarci delle idee chiare sulle cause e sugli effetti della denatalità.
Cause della denatalità.
Prospetto delle teorie.
Teoria del benessere. La teoria del benessere (MOMBERT, BRENTANO) riposa sulla ipotesi che la causa principale della denatalità consista nell’aumento del benessere e nel conseguente aumento delle pretese. Teoria delle condizioni di miseria. La teoria delle condizioni di miseria (Max HIRSCH) vede al contrario la principale causa della denatalità nell’immiserimento delle grandi masse e soprattutto delle famiglie numerose. Teoria dell’industrializzazione. La teoria dell’industrializzazione (OLDENBERG) considera causa principale del fenomeno la crescente industrializzazione delle città con la concomitante fuga dalle campagne. Teoria dei beni concorrenti. La teoria dei beni concorrenti (BRENTANO) si avvicina maggiormente alla teoria del benessere. Essa riposa sull’ipotesi che l’aumento dei beni culturali (teoria della cultura) offra all’individuo maggior piacere di quanto non ne offra l’allevamento dei figli. Teoria della «capillarità sociale». La teoria della «capillarità sociale» (DUMONT) nasce dall’idea che l’ascesa sociale sia paragonabile alla salita del liquido nei vasi capillari: quanto più stretto è il vaso, tanto più in alto sale il liquido. Perciò si paga l’ascesa nella scala sociale con la rinuncia alla discendenza. Teoria dell’eccedenza delle donne. Secondo la teoria dell’eccedenza delle donne (HIWERTH-FRANKEL) la causa biologica primaria della denatalità consiste nella crescente sproporzione numerica fra i sessi. Teoria della razionalizzazione. La teoria della razionalizzazione (GROTJAHN) suppone che il primitivo «tipo di riproduzione ingenuo» venga a poco a poco soppiantato dal tipo «razionale». Tale processo sarebbe irresistibile, inevitabile e irreversibile. Questa opinione si avvicina alla teoria dell’incivilimento dello SPENGLER. Teoria della degenerazione biologica. La teoria della degenerazione biologica viene sostenuta da alcuni autori che scorgono la causa principale della denatalità in un rallentamento della forza naturale di riproduzione biologica (WAGNER-MANSLAU ed altri). Essa si avvicina alla teoria della domesticazione dello ZEISS e del PINTSCHOVIUS. Teoria della degenerazione morale. La teoria della degenerazione morale (v. UNGERN-STERNBERG) vede l’impulso primario della denatalità in un profondo cambiamento del sentimento interiore. Così Giulio WOLFF parla della «nuova morale sessuale» come della causa principale della denatalità, e il v. UNGERN-STERNBERG, di «sentimento ambizioso».
Critica delle teorie.
Le teorie sulle cause della denatalità, cui abbiamo accennato, contengono tutte un granello di verità. Si tratta però di verità parziali, inficiate da una generalizzazione unilaterale. Cosi la teoria del benessere ha altrettanta ragione quanto la teoria delle condizioni di miseria. Tanto l’una quanto l’altra hanno giustamente riconosciuto l’esistenza di un fattore economico, ma lo hanno erroneamente ritenuto come la causa esclusiva o quanto meno principale. Entrambi, il benessere e la miseria, sono fattori concomitanti e, a seconda dei tempi, assume la posizione preminente ora l’uno ora l’altro. Se un tempo il benessere e il desiderio del godimento furono determinanti, più tardi presero il sopravvento, in via secondaria, le condizioni di miseria delle masse.
Le cause biologico-sociali della denatalità possono ricondursi alla formula di un conflitto di interessi tra conservazione dell’individuo e conservazione della specie. Non è sempre facile determinare quale fattore sia, in concreto, il più attivo, se quello del lusso o quello delle condizioni di miseria.
La denatalità è un fenomeno complesso. A causarlo concorrono gli impulsi più diversi nel campo biologico, in quello sociale e in quello morale e religioso.
Senza dubbio vige anche qui il primato delle forze morali. L’impulso originario e decisivo sta nel campo morale-religioso: l’emancipazione dai vincoli religiosi, la diffusione di una concezione del mondo materialistica e una visione puramente terrena della vita sono gli impulsi primari della denatalità.
La teoria del benessere è giusta, in quanto la denatalità è cominciata nell’ambiente dei benestanti ed è divenuta un fenomeno generale proprio presso i popoli più ricchi (Inghilterra, Francia, Stati Uniti, Scandinavia, Svizzera). Ma anche la teoria delle condizioni di miseria ha giustamente riconosciuto che le condizioni sociali di miseria sono divenute più tardi prevalenti. Esse hanno preso il sopravvento in via secondaria. La diffusione fra le masse della prevenzione delle nascite che si è andata verificando negli ultimi anni, specie nelle grandi città, ma anche presso le popolazioni immiserite delle campagne, è prevalentemente causata da condizioni sociali di miseria. Queste, alla loro volta riposano sulla ingiusta ripartizione dei beni di consumo, sulla violazione della giustizia sociale. La causa primaria delle condizioni economiche di miseria sta dunque in una violazione della legge morale. I singoli fattori causanti sono strettamente collegati fra loro e si accrescono a vicenda. Un male genera l’altro. Ciò è dimostrato anche più chiaramente dallo studio degli effetti prodotti dalla denatalità.
Effetti della denatalità. Come le cause, cosi anche gli effetti della denatalità si trovano nel campo biologico, in quello sociale (economico) e in quello morale-religioso.
a) Effetti biologici. Ogni specie di prevenzione contro le nascite è di per sé unita a danni per la salute individuale. Il fatto stesso che i danni alla salute individuale diventino fenomeni di massa costituisce un danno alla salute pubblica. La causa per cui la denatalità ha potuto assumere tali dimensioni viene attribuita allo sviluppo della tecnica della prevenzione. La conoscenza della tecnica della prevenzione è stata largamente diffusa fra le masse da un’estesa propaganda (sotto il pretesto di «illuminare il popolo»). I mezzi preservativi vengono offerti in vendita a tutti, come «mezzi protettivi» (contro le infezioni veneree). Così viene fornita, specialmente ai giovani, l’occasione al commercio extra-matrimoniale, anzi viene loro addirittura suggerita.
Osserviamo di sfuggita che questo modo di procedere non è giustificato neppure dal punto di vista dell’igiene sessuale: è statisticamente dimostrato che, in conseguenza della soppressione dei freni, il numero dei casi di infezione venerea non diminuisce, ma cresce con l’aumentare del numero dei preservativi venduti. Ora, se la conoscenza dei mezzi preservativi non è la causa vera e propria della denatalità, essa è pur sempre divenuta la premessa della diffusione della prevenzione. Si è tentato di far passare come favorevoli gli effetti della denatalità: se nascessero meno bambini la qualità delle nuove generazioni sarebbe in compenso migliore. La diminuzione della mortalità infantile sembrò dapprima avallare questa tesi, ma si dimentica che la mortalità infantile non è diminuita in quegli anni nei quali la natalità aveva raggiunto il livello più basso.
La supposizione che al regresso quantitativo sia legato un miglioramento qualitativo della prole è un’illusione e un inganno. De facto è accaduto proprio il contrario: la prole degli individui ereditariamente sani è stata limitata, mentre i tarati si moltiplicavano senza alcun freno come prima; di qui una riproduzione differenziata con effetti eugeneticamente disastrosi. Nel corso di poche generazioni, essa conduce a uno spostamento pericoloso nella composizione della popolazione: ad un regresso, cioè, della parte ereditariamente sana e a un aumento della parte tarata. A lungo andare questo processo non può fare a meno di condurre irresistibilmente a un avvizzimento e a una degenerazione del corpo della popolazione. Questo è il noto effetto disgenico della denatalità. La qualità di un organismo popolare può venir migliorata soltanto da una copiosa quantità : «Pour avoir la qualité il faut la quantité» (BERTILLON).
La denatalità, in quanto fenomeno di massa, causa un profondo mutamento in tutta la struttura della popolazione. Ciò è dimostrato nel modo più chiaro dalla statistica della struttura della popolazione secondo l’età. Rappresentata graficamente, la distribuzione delle classi di età presenta, in una popolazione normale che cresce naturalmente, la forma di una piramide a larga base che termina verso l’alto con una punta. La base è formata dalle classi giovani, la punta da quelle più anziane. La forma di una popolazione stazionaria presenta, nella parte corrispondente alle classi anziane che a poco a poco scompaiono, una punta appiattita nella sua parte superiore. Nella parte inferiore la base non è più larga della parte mediana. Nella popolazione decrescente, appare a poco a poco un capovolgimento della forma normale. La base diviene più ristretta della parte mediana; la punta è completamente appiattita, il ringiovanimento della popolazione scompare. (Rovesciamento della piramide, ndr).
Questi mutamenti strutturali sono della massima importanza pratica. Il fenomeno dell’invecchiamento di una popolazione avrà effetti funesti non solo dal punto di vista biologico, ma anche da quello sociale ed economico. Dell’effetto disgenico della riproduzione differenziata si è già detto. Esso conduce anche a un pesante carico sociale ed economico: la parte decrescente, ereditariamente sana, della popolazione deve necessariamente sopportare il carico dell’assistenza alla parte sociale tarata.
b) Effetti sociali ed economici. Nel fenomeno di massa della prevenzione contro le nascite vi è un paradosso, consistente nel fatto che, anche sotto l’aspetto sociale ed economico, esso produce l’effetto contrario a quello che ci si ripromette. Come si è dimostrato un’illusione il poter migliorare la qualità della prole a spese della quantità, così è azzardato ritenere di poter mitigare la condizioni sociali di miseria mediante la limitazione delle nascite e di poter risolvere per questa via la questione sociale. Nel migliore dei casi, alcuni singoli potranno procurarsi dei vantaggi a spese degli altri nella lotta per l’esistenza. Nel complesso non si fa che perpetuare le condizioni sociali di miseria: invece di prendere energici provvedimenti per risolvere la questione sociale, ci si ritira sulla comoda piattaforma della prevenzione delle nascite.
I mutamenti strutturali della popolazione inaspriscono le condizioni sociali di miseria. Si sviluppa una crescente sproporzione tra coloro che sono capaci di guadagnarsi la vita e coloro che hanno bisogno di essere mantenuti. Gli oneri sociali aumentano e gravano sulle spalle di coloro che sono meno atti a sopportarli. Ciò interessa soprattutto i rami dell’assicurazione sociale che si riferiscono all'assicurazione contro l’invalidità e la vecchiaia. Anche l'assicurazione privata viene gravemente alterata dal costante peggioramento della proporzione fra le nascite e i decessi. La sproporzione tra i vecchi bisognosi di sostentamento e i giovani abili al lavoro influisce perniciosamente, come un circulus vitiosus, sulla volontà di procreare. L’assicurazione sociale è fortemente gravata dal carico dell’assicurazione contro la disoccupazione e dell'assicurazione contro l’invalidità e la vecchiaia.
La disoccupazione non viene mitigata dalla denatalità, come erroneamente si ritiene. Le crisi economiche più gravi sono quelle causate dal sottoconsumo. La denatalità causa un costante ammanco in grandi gruppi di consumatori. È proprio nei primi anni dell’esistenza che l’individuo è soltanto consumatore. L’ammanco che si verifica nelle generazioni giovani produce effetti assai svantaggiosi in molti rami dell’economia. La denatalità favorisce soltanto le industrie di lusso. Queste però richiedono grandi capitali, ma impiegano poca mano d’opera. La produzione dei beni di consumo, che invece ne assorbe molta, viene posta in gravissima crisi dalla denatalità. La crisi viene poi acutizzata dal contemporaneo crescente urbanesimo, dalla fuga dalle campagne, e dall’abbandono del lavoro casalingo da parte delle donne ma soprattutto dall’accademizzazione della gioventù, connessa alla denatalità, cui si accompagna la proletarizzazione degli universitari.
La promessa «elevazione del tenore di vita» si dimostra dunque illusoria. Avviene invece proprio il contrario: si giunge a un crescente inasprimento dei contrasti sociali. Agli inizi di questo processo, il fatto che la famiglia si mantenga piccola permette ancora ad un sottile strato della popolazione di assicurarsi, nella lotta per l’esistenza, un vantaggio a spese della grande massa. Un passeggero miglioramento del tenore di vita favorisce soltanto questo strato, mentre aumenta l’immiserimento delle masse. Con l’ulteriore progredire di questo fenomeno il tenore generale di vita non può che abbassarsi, tranne che per un numero sempre minore di individui che sanno renderlo continuamente migliore a spese degli altri. Le generali condizioni sociali di miseria non vengono affatto eliminate dalla denatalità, anzi vengono inasprite e perpetuate. I mezzi che potrebbero rimediarvi, come una giusta distribuzione del prodotto sociale, vengono invece frustrati da un gruppo di profittatori esiguo, ma potente e influente. In compenso la grande massa viene rimandata alla piattaforma della prevenzione contro le nascite, che è molto più comoda.
La denatalità non evita le tensioni nazionali, come non evita quelle sociali, anzi le inasprisce. La parola d’ordine di un «popolo senza spazio» incita un popolo a penetrare in uno «spazio senza popolo». La paura delle nascite, propria di alcuni popoli, torna soltanto a vantaggio dell’espansione dei popoli che sono biologicamente più vitali. Pertanto è pure un’illusione sperare dalla denatalità una diminuzione delle tensioni internazionali: il pericolo di complicazioni belliche viene invece piuttosto accresciuto che diminuito.
Della politica demografica si abusa soltanto come di un mezzo di politica espansionistica ispirata alla potenza e al militarismo. La storia del nostro tempo ha spaventosamente confermato quanto era stato preconizzato dalla parola ammonitrice di spiriti chiaroveggenti. Anche nel campo sociale e in quello economico trova conferma la legge fondamentale dell’igiene pastorale: non può mai essere economicamente giusto ciò che è moralmente falso.
c) Effetti morali. Prodotta da un orientamento materialistico della vita, la denatalità non può, a sua volta, che produrre una mentalità materialistica. Così sorge un ulteriore circolo vizioso. Nulla può allontanare un popolo dalla religione quanto l’imporsi in via di principio l’abuso sistematico del matrimonio. L’emancipazione dalla religione è stato l’impulso primario alla denatalità; ciò poi conduce a un’ulteriore emancipazione e infine alla completa apostasia. Non si vuol più ascoltare la voce della coscienza e non si sopporta più l’annuncio del comandamento di Dio cui, giorno per giorno, ora per ora, si contravviene in tutte le manifestazioni della vita. A tutto ciò si aggiungono l’azione distruttiva dell’abuso del matrimonio, lo sfacelo del matrimonio e della famiglia, l’aumento dei divorzi, l’effetto deleterio sull’educazione dei figli e il generale libertinaggio sessuale. Se questo processo continuasse, condurrebbe alla fine alla promiscuità, che l’indirizzo evoluzionistico aveva affermato essere stata all’inizio dei rapporti sessuali nella società umana. Anche qui è vero proprio il contrario. In un ordinamento sociale primitivo originario il matrimonio è considerato sacro; la promiscuità è invece lo stadio finale della decadenza di una società che si è allontanata da ogni forma di ordine naturale della vita, dopo essersi emancipata dalla legge morale soprannaturale.
Fino a che punto questi mali si siano infiltrati, come un tumore maligno, nella società occidentale, distruggendola, risulta chiaramente dal tanto discusso rapporto del biologo americano KINSEY, di cui ci dovremo occupare criticamente. Prima però dobbiamo ancora addentrarci in alcuni particolari circa il fondamento ideologico della denatalità: la dottrina del malthusianesimo e il suo stretto nesso spirituale con il selezionismo.
Il malthusianesimo.
a) La dottrina di Malthus.
La dottrina di Tommaso Roberto MALTHUS (1766 1834) è esposta nella sua opera principale An Essay on the Principles of Population (1798). Unitamente alla dottrina di Carlo DARWIN sulla lotta per l’esistenza («Natural Selection»/ «Struggle for Life»), essa rappresenta la base ideologica della prevenzione delle nascite elevata a principio. Nel 1798 il MALTHUS invocò l’intervento dello Stato contro l’incombente pericolo della sovrappopolazione e di una carestia universale.
L’ideologia malthusiana riposa sul presupposto che la popolazione abbia la tendenza a moltiplicarsi in progressione geometrica, mentre i mezzi di sostentamento («means of subsistence») possono moltiplicarsi, nel medesimo tempo, solo in progressione aritmetica. Se dunque la quantità dei mezzi di sostentamento aumenta da una generazione all’altra in proporzione a: 2, 4, 6, 8, 10, 12, 14, 16... la popolazione aumenta nello stesso periodo di tempo in proporzione a: 2, 4, 8, 16, 32, 64, 128, 256...
Ne risulterebbe una sproporzione irresistibilmente crescente: Lo spazio alimentare («means of subsistence»; «the relative proportion between population and food») viene quindi sensibilmente ristretto. Per questa ragione il MALTHUS suggeriva, quale unico rimedio, la limitazione della riproduzione e precisamente col mezzo dell’«astinenza morale» (moral restraint). Per il fatto che il MALTHUS ("sacerdote" anglicano - le ordinazioni anglicane sono nulle, ndr) raccomandava soltanto il moral restraint e rifiutava i mezzi immorali della prevenzione contro le nascite, allora poco noti, si è contrapposto al malthusianesimo il neomalthusianesimo, il quale ultimo non respingeva in via di principio l'abusus matrimonii, anzi lo propagandava.
Noi riteniamo che questa differenziazione non sia esatta. È giusto invece distinguere tra malthusianesimo teorico e malthusianesimo pratico, che risulta dal primo come sua inevitabile conseguenza pratica. Ciò che il MALTHUS aveva insegnato non era altro che il fondamento teoretico, dal quale furono più tardi inesorabilmente tratte le estreme conseguenze pratiche. La base teorica è però esattamente la stessa, sia nel malthusianesimo che nel neomalthusianesimo. È pertanto errato tentare di scagionare il MALTHUS dalla responsabilità del neomalthusianesimo.
Il DARWIN si avvicina al MALTHUS, e tanto il selezionismo quanto il malthusianesimo riposano sulla medesima base ideologica. Il punto di contatto fra le due dottrine risulta dalla seguente formula, apparentemente chiara: È preferibile che nascano meno uomini, ma che si abbia, in compenso, una buona selezione; qualità invece di quantità.
La premessa essenziale della teoria dello spazio alimentare decrescente deve senza dubbio venir dichiarata falsa con la massima decisione. Lo stesso punto di partenza, cioè la dottrina della progressione geometrica della popolazione e della sproporzione, che ne risulta, con l’aumento dello spazio alimentare, è assolutamente errato. Se questa ipotesi fosse giusta, ne risulterebbe con matematica consequenzialità quanto segue: Se calcoliamo, in media, tre generazioni (di 33,3 anni ciascuna) in un secolo, una sola coppia di sposi vivente all’epoca della nascita di Cristo avrebbe prodotto, in 2000 anni, una discendenza di 60 generazioni in cifra tonda. Si dovrebbe dunque avere, secondo il MALTHUS, un numero di discendenti ammontante a 260, cioè di un numero che raggiungerebbe l’ordine di grandezza dei quadrilioni. In realtà vivono attualmente sulla terra 2.800.000.000 di individui (anno 1961, ndr).
Il MALTHUS riconosce bensì egli stesso che i risultati calcolati non corrispondono alla realtà, poiché vi sono impedimenti naturali alla moltiplicazione («checks of population») i quali operano una selezione naturale per eliminazione: guerre, epidemie, carestie ecc. Ciò nonostante egli si attiene, in via di principio, alla propria legge demografica della progressione geometrica.
b) Critica della dottrina.
Ora, ogni ulteriore argomentazione del malthusianesimo riposa sul fondamento di un effettivo errore scientifico iniziale. Inoltre il Malthus ha trascurato un fatto fondamentale: l’uomo non è, come l’animale, soltanto consumatore di mezzi di sostentamento, ma è al tempo stesso produttore; è l'elemento produttore di valori più potente che esista in tutta la natura ed è in grado di produrre una quantità di beni molte volte superiore a quella che consuma durante la sua vita. Pertanto lo spazio alimentare non si restringe necessariamente con l’aumentare del numero degli uomini, ma è suscettibile di un ampliamento impreveduto.
Quanto poco giustificato sia il timore della «sovrappopolazione» risulta dalla constatazione statistica che l’intera popolazione della terra — la quale, prima della guerra del 1939, veniva calcolata in circa 2.000.000.000 di unità — strettamente ammassata (4 persone per mq.), avrebbe trovato posto sulla superficie del lago di Costanza, che è di 538,5 kmq.
Pur senza l’importante progresso della tecnica, la terra avrebbe offerto, anche prima dell’ultima guerra mondiale, abbondante spazio vitale per tutti. Secondo l’opinione di insigni rappresentanti della scienza agraria, la terra, in vista anche del perfezionamento dell’economia e della tecnica commerciale, può nutrire un numero di individui molte volte superiore a quello degli uomini che oggi vivono su di essa.
Questa opinione, sostenuta fra gli altri dall’AEREBOE fin dal 1910, andava per la maggiore, fin a poco tempo fa, fra i rappresentanti più insigni della scienza. Il malthusianesimo, che è oggetto della massimi propaganda nei paesi angloamericani, ha trovato, in questi ultimi tempi, un energico propagandista nella persona di Sir Charles Galton Darwin, nipote di Carlo.
Sir Galton DARWIN accetta sostanzialmente la teoria del MALTHUS sull’aumento della popolazione, ma, per così dire, in forma ridotta, in quanto dichiara che («secondo un calcolo prudenziale») l’umanità si raddoppia in un secolo; in queste condizioni solo una piccola parte degli uomini potrebbe sopravvivere. Dopo il 3953 sarebbe addirittura impossibile sopravvivere per la maggior parte degli uomini. DARWIN esprime in pari tempo un’opinione molto pessimistica riguardo alla possibilità di aprire nuove sorgenti di mezzi di sostentamento mediante nuove fonti di energia. Secondo lui il tenore di vita deve di necessità abbassarsi continuamente.
Egli ritiene che sarà necessario allevare una «nuova specie di uomini» costituita da un tipo corrispondente alle «operaie» delle api e delle termiti, che verrebbe desessualizzato artificialmente mediante antiormoni; un tipo di guerrieri e da pochi individui destinati alla riproduzione, nei quali la proporzione fra i sessi verrebbe regolata a volontà. Sir G. Darwin riassume le conseguenze etiche di questa dottrina con le seguenti parole: «La dottrina della santità di ciascuna vita umana dovrà essere sottoposta a una revisione». Per quanto riguarda l’etica medica, egli trae la conseguenza che «il dovere del medico di conservare la vita umana non avrà più alcun valore nel mondo futuro». Tutto ciò mette in chiara luce la portata etica del malthusianesimo e il suo stretto legame col selezionismo.
Anche qui, tanto G. DARWIN quanto il MALTHUS dimenticano che l’uomo è un essere vivente dotato di ragione, capace di modificare il mondo naturale che lo circonda e di allargare i confini dello spazio alimentare. L’uomo non è rinchiuso come un gas in un recipiente rigido.
c) Sovrappopolazione e carestia mondiale.
Il malthusianesimo si è trasformato in un movimento mondiale al quale l’autorità di Sir G. Darwin ha dato nuovo impulso. L’argomento principale della propaganda di questo movimento è il panico di fronte al pericolo di carestia mondiale. Noi dobbiamo dunque prendere posizione.
Per giustificare la necessità di una propaganda mondiale a favore del malthusianesimo si è richiamata particolarmente l’attenzione sulla sovrappopolazione dell'India e della Cina e, ultimamente, anche dell ’Egitto. Così si distrae l’attenzione dalla vera causa delle condizioni sociali di miseria e si instradano le popolazioni indigenti sulla via della prevenzione contro le nascite. Umiliante per il mondo occidentale è la risposta che uno statista cinese diede a un europeo, quando questi raccomandò che la Cina studiasse e applicasse, come l’india, i metodi euroamericani della «pianificazione delle nascite»: «It is the white man’s answer to the yellow peril !».
A questo proposito ci sia consentito di soffermarci brevemente su alcune nuove constatazioni: Negli U. S. A., per ogni lavoratore agricolo vi è un numero di consumatori da lui mantenuti triplo di quello dell’anno 1900. In 15 anni la produzione granaria è aumentata dell’80-90 %. In India la scarsità di terra non dipende dalla sovrappopolazione, ma dalla irregolare distribuzione della popolazione. Solo un terzo del paese è sfruttato. La produzione può venir aumentata sensibilmente mediante impianti idrici, come accade in Palestina.
Il DE CASTRO in Geography of Hunger constata, contrariamente al Malthus, che causa della carestia non è mai la sovrappopolazione, ma piuttosto proprio l’esaurirsi dei popoli: Combattere il pericolo mondiale della carestia con il mezzo della prevenzione contro le nascite è la peggior ricetta che si possa dare. La verità fondamentale è che la terra offre nutrimento sufficiente per tutti. Il vero problema sta nel fatto che la società umana è organizzata sulla base di una estrema ingiustizia e la limitazione delle nascite dovrebbe sviare l’attenzione proprio dalla soluzione di questo problema. Contrariamente a quanto sostiene il MALTHUS la limitazione delle nascite non costituisce la via che conduce alla sopravvivenza, ma quella che conduce alla sicura decadenza (DE CASTRO).
A questo proposito vengono studiati anche problemi di bonifica agraria: lotta contro l'erosione del suolo e contro la perdita di humus causata da inondazioni; metodi di concimazione e di utilizzazione delle scorie. Inoltre si richiama anche l’attenzione sull’enorme potenziale di alimentazione, in gran parte ancora inutilizzato, costituito dal patrimonio ittico dei mari. La produzione ittica si può facilmente raddoppiare. Della superficie terrestre finora è coltivato soltanto il 7%. Imprevedibili risorse risultano dall’immensa energia moltiplicativa dei fermenti e dell’alga chlorella, e inoltre dalla possibilità di produrre direttamente energia dal calore solare, dagli isotopi radioattivi, ecc.
Il nostro attuale sistema di sfruttamento della natura è caratterizzato dalla brutale distruzione delle scorte naturali, soprattutto delle foreste e di quell’elemento vitale che è l’acqua. La stampa rotativa consuma in un sol giorno il legno di un’intera foresta. La scarsezza di acqua è sempre stato un problema grave per l’igiene.
d) Critica d’insieme.
Riassumendo, riguardo alla critica del malthusianesimo si può dire quanto segue: Il timore del sovrappopolamento e della carestia mondiale, timore che dovrebbe rendere maturi per il malthusianesimo anche uomini di sentimenti religiosi, è infondato. La dottrina del MALTHUS è la più grande mistificazione che sia stata perpetrata ai danni dell’umanità da quasi due secoli; essa però ha compiuto una «marcia vittoriosa» attraverso il mondo solo unendosi alla teoria del DARWIN; questa vittoria non rappresenta altro che il trionfo delle forze della distruzione e della rovina.
La denatalità, sia pure definita, con una perifrasi eufemistica, «pianificazione della paternità» («planned parenthood»), non rende l’umanità più ricca, bensì più povera, e distrugge completamente tutti i valori morali e culturali superstiti dopo due guerre mondiali. (Oggi Planned parenthood è una delle organizzazioni più mortifere e perverse al mondo, ndr)
La dottrina malthusiana è una delle dottrine che commuovono e scuotono il mondo. Più d’una volta nel corso della storia mondiale furono escogitate da teorici puri dottrine che più tardi hanno sconvolto il mondo. Le ideologie che si possono ricondurre ai dotti apparentemente più innocui ed appartati, sono spesso le più pericolose. Anche gli Enciclopedisti francesi, quali il DIDEROT, il MONTESQUIEU, il ROUSSEAU, il VOLTAIRE, non possono venire assolti dalla corresponsabilità nei sacrifici di sangue della rivoluzione.
Oggi il malthusianesimo è stato trasformato in un sistema e in una ideologia. I rimproveri mossi alla medicina da Sir Galton DARWIN, perché essa conserva in vita degli uomini invece di lasciarli perire, dimostrano la stretta affinità ideale di questo sistema con i metodi di soppressione adottati dal selezionismo, quali noi abbiamo imparato a conoscere nell’eugenetica negativa. Queste correnti di pensiero non sono nuove. Le troviamo già in Platone. Secondo il NIETZSCHE esse sono adombrate nel famigerato detto del TILLE che chiamava i quartieri miserabili (slums) della parte orientale di Londra «sanatorio» della nazione britannica, perché ivi periscono inesorabilmente tutte le esistenze minate. «A ciò che sta per cadere bisogna dare ancora una spinta», così il NIETZSCHE ha espresso l’ideologia del selezionismo brutale. Fin dal 1907, la voce ammonitrice di O. HERTWIG ha richiamato l’attenzione sulle conseguenze distruttive del darwinismo biologico, sociale e politico.
Dal punto di vista religioso e morale osserviamo, a mo’ di conclusione, che la propaganda a favore del malthusianesimo esercita un’azione tanto profondamente distruttiva dal punto di vista religioso, perché genera inevitabilmente l’idea che sia impossibile vivere nel matrimonio secondo il comandamento di Dio. Sinora è stato sempre insegnato che Dio non comanda nulla d’impossibile («Deus impossibilia non iubet»). Ma, se il MALTHUS avesse ragione, sarebbe effettivamente impossibile obbedire al comandamento della legge di Dio. Quanto di più insidioso vi è nella ideologia del malthusianesimo è questo, che essa trae in errore anche i cuori dei credenti sulla possibilità di seguire il comandamento di Dio.
Abbiamo già fatto osservare che il maggior pericolo insito nella propaganda indiscriminata a favore del metodo Knaus è che esso si avvale, con una certa ragione, del fatto che non è in sé illecito neppure secondo la morale cattolica più rigorosa. Per questo tale propaganda ha potuto penetrare tra i cattolici, aprendo loro la mente alla concezione del malthusianesimo. Il paragone con il «cavallo di Troia» è assai preciso. Sinora le famiglie cattoliche rappresentavano l’ultimo e più saldo baluardo contro il malthusianesimo. L’aver minato questo baluardo è opera della propaganda a favore del metodo Knaus-Ogino, che è stato talvolta sostenuto persino da sacerdoti, bene intenzionati senza dubbio, ma non abbastanza lungimiranti, infatti esso rappresenta apparentemente una soluzione facile al problema della cura d’anime, così difficile ai nostri tempi. (Cliccare qui per approfondimenti nel Magistero di S.S. Pio XII, ndr)
Non può mutar nulla a questo giudizio complessivo sul malthusianesimo neppure il fatto che, al congresso mondiale della lega neomalthusiana tenutosi in Roma nel 1954, P. LESTAPIS abbia realmente dichiarato che il Vaticano, in vista della minaccia di una sovrappopolazione mondiale, avrebbe acconsentito a che il metodo del «ritmo» (dell’astinenza periodica) venisse applicato e propagandato, soprattutto presso i popoli «sottosviluppati». La propaganda neomalthusiana s’impadronì subito di questa dichiarazione, e la interpretò nel senso che il Vaticano, in vista del pericolo mondiale del sovrappopolamento, avrebbe «indietreggiato» nella questione della prevenzione contro le nascite. Al contrario si può osservare che il VI Congresso Internazionale dei medici cattolici (Dublino, 1954) ha stabilito, con la massima decisione, che il malthusianesimo rappresenta una mistificazione universale cui manca qualsiasi fondamento scientifico. Per quanto concerne il metodo del «ritmo», la Chiesa ha sempre dichiarato che esso non è in sé illecito, ma ciò non significa neppure lontanamente che essa approvi la sua propaganda fra le masse. Di una dichiarazione siffatta un congresso neomalthusianistico non può che abusare ai fini della sua propaganda.
La Chiesa non potrà e non vorrà mai riconoscere il malthusianesimo in via di principio, e meno che mai approvarlo. Se il MALTHUS avesse ragione, non vi potrebbe essere un Dio, o per lo meno non vi potrebbe essere un Padre saggio, benigno e misericordioso che protegge i destini degli uomini e conserva costantemente l’universo; tutt’al più potrebbe esistere un Dio ombra quale è conosciuto dal deismo inglese, cui il MALTHUS era manifestamente assai vicino. Se, da un lato, l’estrema conseguenza logica dell’evoluzionismo, che non occorre vi sia un Creatore, in quanto l’universo ha potuto svilupparsi «da sé»; d’altro lato il malthusianesimo conduce, coerentemente, alla negazione della personalità di Dio, perché un Dio personale non può aver creato il mondo in modo tale che sia impossibile all’uomo seguire i suoi comandamenti.
Le eresie del nostro tempo si ammantano volentieri con le vesti della scienza profana. La «scienza», o meglio ciò che si spaccia per tale, è divenuta l'idolo del nostro tempo. È compito di una autentica scienza universalistica smascherare questo idolo e riaprire la via che conduce alla effettiva conoscenza della verità.
Dal Compendio di igiene pastorale, Prof. Dott. Albert Niedermeyer, Marietti, Imprimatur Casale 1961, pagine 321-345