Ma vanno ancor più oltre i recenti sovvertitori del matrimonio, sostituendo al sincero e solido amore, che è il fondamento dell’intima dolcezza e felicità coniugale, una certa cieca convenienza di carattere e concordia di gusti, che chiamano simpatia, al cessare della quale sostengono che si rallenta e si scioglie l’unico vincolo con il quale gli animi si uniscono. Che altro mai sarà questo, se non un edificare la casa sopra l’arena? Della quale Cristo dice che appena venga assalita dai flutti dell’avversità subito vacillerà e ruinerà: «E soffiarono i venti e imperversarono contro quella casa, ed essa andò giù, e fu grande la sua ruina» [Matth., VII, 27]. Al contrario, la casa che sia stata eretta sulla pietra, cioè sul mutuo amore tra i coniugi, e rassodata da una consapevole e costante unione di animi, non sarà mai scossa né abbattuta da nessuna avversità. Abbiamo fin qui rivendicato, Venerabili Fratelli, i due primi eccellentissimi beni del matrimonio cristiano, insidiati dai sovvertitori della società odierna. Ma siccome a questi va innanzi di gran lunga un terzo bene, quello del «sacramento», così non ci stupisce vedere che anzitutto questa bontà ed eccellenza siano da costoro molto più aspramente impugnate. Dapprima insegnano che il matrimonio è cosa affatto profana e meramente civile, e in nessun modo da affidare alla società religiosa, cioè alla Chiesa di Cristo, ma soltanto alla società civile. Soggiungono inoltre che il nodo nuziale dev’essere affrancato da ogni legame d’indissolubilità, non solo tollerando ma sancendo con la legge le separazioni ossia i divorzi dei coniugi; dal che infine nascerà che il matrimonio, spogliato di ogni santità, rimarrà nel novero delle cose profane e civili. Come prima cosa stabiliscono che l’atto civile sia da ritenere quale vero contratto nuziale (e lo chiamano comunemente «matrimonio civile»); l’atto religioso poi sia una mera aggiunta, o al più da permettere al volgo superstizioso. Inoltre vogliono che senza rimprovero d’alcuno sia lecito il matrimonio tra cattolici ed acattolici, non avendo riguardo alla religione e senza chiedere il consenso dell’autorità religiosa.

Un’altra cosa, che viene di conseguenza, consiste nello scusare i divorzi effettuati e nel lodare e propugnare quelle leggi civili, che favoriscono la dissoluzione del vincolo stesso. Per quanto riguarda la natura religiosa di qualsivoglia matrimonio, e molto più del matrimonio cristiano che è altresì sacramento, avendo Leone XIII largamente trattato e appoggiato con gravi argomenti ciò che in questa materia è da notare, rimandiamo all’Enciclica che Noi più volte abbiamo citata e apertamente dichiarata Nostra. Qui stimiamo dover ripetere soltanto alcuni pochi punti. Anche col solo lume della ragione, massime chi voglia investigare gli antichi monumenti della storia e interrogare la costante coscienza dei popoli e consultare le istituzioni e i costumi di tutte le genti, si può dedurre chiaramente essere inerente allo stesso matrimonio naturale qualche cosa di sacro e di religioso, «non sopravvenuto ma congenito; non ricevuto dagli uomini, ma inserito dalla natura», avendo il matrimonio «Dio per autore, ed essendo stato, fin da principio, una tal quale figura della Incarnazione del Verbo di Dio» [Leo XIII, Litt. Encycl. Arcanum, 10 Febr. 1880]. La ragione sacra del coniugio, che va intimamente connessa con la religione e con l’ordine delle cose sacre, risulta sia dall’origine sua divina, che abbiamo ricordato, sia dal suo fine, che è generare ed educare a Dio la prole e condurre parimenti a Dio i coniugi mediante l’amore cristiano e il vicendevole aiuto; sia infine dall’ufficio stesso naturale del matrimonio, voluto dalla provvida mente di Dio Creatore, perché sia come un tramite onde si trasmette la vita, facendo in ciò i genitori quasi da ministri dell’onnipotenza divina. A tutto questo si aggiunge la nuova ragione di dignità, derivante dal Sacramento, in grazia del quale il matrimonio cristiano è divenuto di gran lunga più nobile ed è stato elevato a tanta eccellenza, da apparire all’Apostolo «un grande mistero, in tutto onorabile» [Ephes., V, 32; Hebr. XIII, 4]. La natura religiosa del matrimonio e la sublime sua significazione della grazia e dell’unione fra Gesù Cristo e la Chiesa, richiedono dai futuri sposi una santa riverenza per le nozze cristiane e un santo amore e zelo perché il matrimonio, che stanno per contrarre, si avvicini il più possibile al modello di Cristo e della Chiesa. Molto mancano su questo punto, e talora mettono in pericolo la loro salvezza eterna, coloro che, senza gravi motivi, contraggono matrimonio misto. Da siffatti matrimoni misti il provvido amore materno della Chiesa distoglie i fedeli per gravissime ragioni, come risulta da molti documenti compresi in quel canone del Codice di diritto canonico, dove si legge: «La Chiesa con ogni severità vieta dappertutto, che si contragga matrimonio tra due persone battezzate, delle quali una sia cattolica, l’altra appartenente a setta eretica o scismatica; se poi vi è pericolo di perversione del coniuge cattolico e della prole, il matrimonio è vietato dalla stessa legge divina» [Cod. iur. can., c. 1060]. Ed anche quando la Chiesa si induce, attese le circostanze dei tempi, delle cose e delle persone, a concedere la dispensa da queste severe disposizioni (salvo il diritto divino e rimosso con opportune guarentigie, quanto è possibile, il pericolo di perversione), non può non avvenire, se non difficilmente, che il coniuge cattolico abbia a risentire qualche danno da siffatto matrimonio. Da esso infatti non raramente deriva nei discendenti una luttuosa defezione dalla religione, o almeno il cadere facilmente nell’indifferenza religiosa, vicinissima alla incredulità ed alla empietà. Inoltre, in questi matrimoni misti, è resa molto più difficile quella viva unione degli animi, la quale deve imitare il mistero dianzi ricordato, cioè l’arcana unione della Chiesa con Cristo. Verrà a mancare facilmente la stretta unione degli animi, la quale, com’è segno e nota distintiva della Chiesa di Cristo, così dev’essere distintivo, decoro ed ornamento del coniugio cristiano. Infatti suole sciogliersi o almeno rallentarsi il vincolo dei cuori, dove è diversità di pensiero e di affetto circa le cose più alte e supreme dall’uomo venerate, cioè nelle verità e nei sentimenti religiosi. Quindi viene il pericolo che languisca l’amore tra i coniugi e ne vadano in rovina la pace e la felicità della famiglia, la quale fiorisce principalmente dall’unità dei cuori. E così, già da tanti secoli, l’antico diritto romano aveva definito: «Il matrimonio è la congiunzione dell’uomo e della donna nel consorzio di tutta la vita e nella comunicazione del diritto divino ed umano» [Modestinus (in Dig., lib. XXIII, II: De ritu nuptiarum), lib. I, Regularum].