Comunicato numero 134.  Gesù viene espulso da Nazareth

Stimati Associati e gentili Sostenitori, essendo presenti - a Dio piacendo - il giorno 20 ottobre a Modena in occasione della XIIIa Giornata per la Regalità Sociale di Cristo, abbiamo pensato di pubblicare in anticipo il numero 135 di «Sursum Corda» (del 21 ottobre 2018), che verrà spedito insieme al numero 134 e sarà pubblicato sul nostro sito già da domenica 14. Un’altra piccola comunicazione di servizio. Lo scorso 12 ottobre ci siamo recati presso la Casa circondariale (o Carcere) di Potenza  ed abbiamo donato ai carcerati numero 10 copie del libro «L’inferno è dogma o favola?» (ISBN: 9788890074745 - Mons. Gaston de Ségur) e numero 10 copie del libro «Racconti miracolosi» (ISBN: 9788890074714 - Padre Giacinto da Belmonte). San Giovanni di Dio voglia proteggere la nostra piccola opera. L’Abate Ricciotti oggi ci descrivere e commenta l’espulsione di Gesù da Nazareth.

• § 357. Qualche tempo dopo (la decapitazione di Giovanni Battista, ndR) giunsero ad Antipa notizie di Gesù, come di predicatore straordinario che commoveva i suoi sudditi della Galilea. Il ricordo di Giovanni il Battista era recente, come pure l’indole morale e l’attività del profeta testé morto erano somigliantissime a quelle del profeta nuovamente comparso: perciò il superstizioso Antipa ne trasse la conclusione che Giovanni era risuscitato e, riapparendo in forma di Gesù, operava miracoli. Anche altri, del resto, erano di questa opinione scambiando l’annunziatore con l’annunziato; taluni, invece, preferivano riconoscere in Gesù o Elia o qualcuno degli antichi profeti (Luca, 9, 7-8). Da quel giorno Antipa sentì la curiosità di vedere personalmente Gesù, per riscontrare forse quali precise fattezze avesse assunto il Giovanni risuscitato (ivi, 9). Gesù, invece, non aveva alcun desiderio d’incontrarsi con l’adultero assassino di Giovanni. Era circa il tempo dell’invio dei dodici, e, mentre i discepoli dovevano svolgere la loro missione in zona più ampia, Gesù si riserbò una zona più ristretta ma più ardua. Partito da Cafarnao dopo aver risuscitato la figlia di Jairo (cfr. Marco, 6, 1), Gesù volle fare un tentativo speciale e personale riguardo a Nazareth, perché sapeva che nel villaggio dov’egli era cresciuto covavano forti risentimenti contro di lui. Da principio non era stato così, e a Gesù appena tornato dalla Giudea erano state fatte festose accoglienze certamente anche a Nazareth (§ 299); ma poi l’umore di quei compaesani si era mutato. Vi doveva avere buona parte l’altezzosità di quei parenti che già vedemmo essere avversi a Gesù (§ 344); ma ciò che più profondamente aveva ferito l’amor proprio dei Nazaretani era la preferenza data da Gesù a Cafarnao, divenuta a un certo tempo sua dimora abituale (§ 285). Le rivalità paesane e la fierezza dei villaggi più meschini erano abituali nell’antichità non meno di oggi; l’esclamazione dispregiativa di Nathanael appunto nei riguardi di Nazareth ne è una riprova (§ 279). I Nazaretani, perciò, non perdonavano a Gesù il pratico abbandono del suo villaggio, tanto più che nella preferita Cafarnao egli aveva operato quei fatti straordinari di cui parlava tutta la Galilea. Mancavano forse a Nazareth malati da guarire, storpi da raddrizzare, ciechi da illuminare? Perché, dunque, privare la propria patria di tanti benefizi, che sarebbero insieme ridondati a maggior lustro del tanto disprezzato villaggio? Quest’acredine paesana doveva aver innalzato una barriera morale anche contro la predicazione di Gesù: giacché egli faceva a meno del suo paese, il paese faceva a meno della sua dottrina. Di qui il tentativo personale di Gesù riguardo a Nazareth. La sua dimora ivi dovette protrarsi alcuni giorni, in attesa dell’occasione propizia per ottenere buoni effetti; avrà egli alloggiato da sua madre, nella casetta da cui era uscito più d’un anno prima (§§ 270, 282). Ma l’atteggiamento dei compaesani si mostrò subito tale da dare poco affidamento: se taluni lo accolsero cordialmente, se tutti indistintamente riparlarono dei miracoli da lui fatti poco prima nei paesi all’intorno e riconoscevano ch’egli predicava in maniera straordinaria, molti al contrario si domandavano che motivo c’era di prendere per oro colato la sua dottrina. Non era egli forse il figlio di Giuseppe il carpentiere? Sua madre non era quella Maria che tutti conoscevano? E i suoi fratelli non erano Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sorelle non erano notissime in paese? (§ 264). (Ovvero i suoi parenti: fratelli, sorelle = cugini, cugine, etc ... Ne abbiamo già parlato, ndR). Tutta gente comune, che non s’alzava d’un palmo sopra il livello comune. Donde aveva egli attinto, dunque, la sua dottrina? Non poteva essere tutto effetto dell’impressionabilità di chi non lo conosceva e non lo aveva visto, come essi di Nazareth, prima bambino e poi fanciullo e poi ragazzo e poi giovane come tutti gli altri? Restavano i miracoli; ma anche su questi c’era da discutere. Chi sa far miracoli, li fa dappertutto, in patria e fuori, fra amici e fra sconosciuti: anzi, se è ammissibile una preferenza, questa sarà riservata alla patria e agli amici. E invece quello strano Nazaretano proprio a Nazareth non operava miracoli; faceva davvero la figura di un medico che sa curare gli estranei, ma non è capace di curare né i suoi familiari né se stesso.

• § 358. Il paragone trovò fortuna in paese, e passò di bocca in bocca con la petulanza dei piccoli villaggi. I più focosi trovarono anche maniera di spiattellarlo apertamente a Gesù: «Medico! Cura te stesso! Quante cose udimmo avvenute a Cafarnao, fai anche qui nella patria tua!» (Luca, 4, 23). Gesù rispondeva cercando d’illuminare e di convincere, e insieme ammoniva che nessun profeta è accetto in patria sua. Fece egli anche miracoli curando infermi, ma pochi di numero, non già perché il paese si chiamava Nazareth invece di Cafarnao, «ma per l’incredulità loro» (Matteo, 13, 58): mancava infatti ciò che poco prima, nella giornata della fede, aveva trionfato con la figlia di Jairo, con la donna dal profluvio di sangue e con i due ciechi (§ 349 segg.). (Mancava la fede, ndR). L’urto finale avvenne quando Gesù tentò la prova solenne e quasi ufficiale per scuotere i suoi compaesani, e fu nell’adunanza sinagogale del sabbato, forse l’unico sabbato di quel soggiorno. All’adunanza abituale gli oppositori di Gesù si dovettero recare con intenzioni di sfida; c’era vento di battaglia, Gesù non sarebbe mancato all’adunanza e quella era una buona congiuntura per venire ad una totale spiegazione con lui e metterlo alle strette. Gesù infatti intervenne, e l’adunanza si svolse regolarmente secondo le norme che già esaminammo (§ 66 segg.). Quella volta il discorso istruttivo, che si teneva dopo la lettura dei «Profeti», fu fatto da Gesù: non è arrischiato supporre che l’archisinagogo, dirigente la funzione, invitasse a tenere discorso appunto il tanto discusso compaesano per dargli agio di esporre il suo pensiero. Recatosi pertanto Gesù sul pulpito destinato all’oratore, «gli fu porto il libro del profeta Isaia, e aperto il libro trovò il luogo dove stava scritto: “Lo spirito del Signore su me: perciò mi unse per dar la buona novella ai poveri, mi ha inviato ad annunziare a prigionieri liberazione ed a ciechi vista, a rinviare in liberazione piagati, ad annunziare annata accetta al Signore”. E ripiegato il libro, resolo al ministro, sedette; e gli occhi di tutti, nella sinagoga, erano intenti a lui. Cominciò pertanto col dire ad essi: “Oggi si è adempiuta questa scrittura (ch’è risonata) nelle vostre orecchie”» (Luca, 4, 17-21). Questo fu l’inizio del discorso di Gesù, ma purtroppo il restante non ci è conservato. Certamente l’oratore applicò ampiamente a se stesso il passo letto, dimostrando con appelli alle sue opere come egli avverasse in pieno l’antica profezia mediante l’annunzio della «buona novella». La dimostrazione fu efficace e l’oratore anche quella volta apparve come «avente autorità» (§ 209), cosicché tutti rimasero ammirati; senonché alla radice stessa dell’ammirazione stava il fomite dello scandalo. Non era costui l’umile figlio del carpentiere? Se aveva operato altrove tanti miracoli, da lui stesso citati nel discorso, perché non li operava anche li fra i suoi compaesani? Le domande, solo ripensate dentro la sinagoga, furono ripetute ad alta voce al di fuori dopo la funzione. Si discusse pro e contro, fra gli uditori; si abbordò direttamente l’oratore; lo si invitò ancora una volta a rispondere alle cruciali domande, ricordandosi soprattutto di essere Nazaretano. Voleva egli guadagnare veramente i compaesani alle sue dottrine? Ebbene operasse, lì, sulla pubblica piazza, miracoli dimostrativi, e allora sì che tutti si sarebbero dati anima e corpo a lui: «Medico! Cura te stesso!». La risposta di Gesù fu la stessa dei giorni precedenti: badassero a non render vero anche per Nazareth il principio che nessun profeta è accetto in patria sua; per lui, Gesù, Nazareth valeva quanto Cafarnao e quanto ogni altra borgata israelita, ma qualora egli fosse stato respinto da una di esse, aveva ben maniera di rivolgersi altrove; ai tempi del profeta Elia vivevano molte vedove in Israele, eppure il profeta fu inviato da Dio ad una vedova non israelita; e al tempo del profeta Eliseo vivevano molti lebbrosi in Israele, eppure il profeta fu inviato da Dio al lebbroso Naaman ch’era siro (Luca, 4, 25-27).

• § 359. La risposta di Gesù era un ammonimento, ma dai suoi maldisposti interlocutori fu interpretata come una provocazione dispregiativa. Dunque, egli dichiarava esplicitamente di non aver bisogno di Nazareth e d’esser pronto a preferirle qualunque altro paese, anche fuori d’Israele! Donde tanta albagia (alterigia, boria, ndR) nel figlio del carpentiere? Imparasse una buona volta la gratitudine per il luogo che l’aveva allevato! Se egli aveva ripudiato Nazareth, Nazareth doveva ripudiare lui! Allontanarlo immediatamente da Nazareth bisognava, e allontanarlo in maniera tale che gli togliesse per sempre la voglia di ritornare. Il furore divampò a un tratto, come avviene sempre fra turbe eccitate. Si stava ancora discutendo là nei pressi della sinagoga, quando si saranno levate grida contro l’indegno Nazaretano: «Fuori di qui il tracotante! A morte il traditore!». I pochi favorevoli a Gesù si saranno pavidamente allontanati; gli altri «lo scacciarono fuori della città e lo condussero fino a un ciglio del monte su cui stava costruita la loro città, in modo da precipitarlo giù. Ma egli, passando attraverso in mezzo ad essi, se ne andava» (Luca, 4, 29-30). Perché il progetto non fu condotto a termine? Non ci vien detto. Forse all’ultimo momento i paesani favorevoli a Gesù, ripreso un po’ di coraggio, saranno intervenuti ad impedire in qualche maniera l’odioso delitto; forse gli stessi facinorosi, quando fu l’istante decisivo, saranno rientrati in sé, contentandosi della minaccia già avanzata; non è escluso, tuttavia, che la superiorità dominatrice mostrata in quella circostanza da Gesù soggiogasse i tumultuanti, sì che al momento critico egli poté sottrarsi a loro. Neppure del preciso luogo, ove avvenne la minaccia, siamo informati. Si mostra oggi un picco chiamato Gebel el-Qafse, che domina da più che 300 metri la sottostante vallata di Esdrelon e già nel Medioevo aveva ricevuto il nome di Saltus Domini, mentre oggi è designato di solito come il «Colle del precipizio»; ma il luogo ha il grave inconveniente di esser situato a circa tre chilometri dall’antica Nazareth, distanza veramente eccessiva per una folla eccitata che si decida ad un’esecuzione sommaria. Nell’ambito del villaggio non potevano mancare scoscendimenti di terreno, che si prestavano benissimo al violento progetto: si è quindi pensato, non senza verosimiglianza, ad uno sbalzo di una decina di metri situato presso l’odierna chiesa dei Greci cattolici, la quale sarebbe sorta appunto presso il luogo già occupato dall’antica sinagoga. La pia riflessione cristiana ripensò più tardi anche a ciò che dovette provare Maria in questa occasione, e una cappella situata in direzione del Saltus Domini ricevette nel Medioevo il nome di «Santa Maria del Tremore» a ricordo del timore sofferto da Maria quando vide suo figlio in pericolo. 

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.