I nostri bravi medici del tempo andato, tastando su un corpo malato, rilevavano accuratamente il punctum dolens, e da quello si orientavano per la diagnosi. Il termine può sembrare oggi un po’ empirico: ma in pratica valeva assai; fissato il punctum, spesso si arrivava a spiegare il dolor. Vediamo di seguire questo sano empirismo, lasciando a chi spetta il compito di una diagnosi strettamente scientifica. In primo luogo: è abbastanza diffusa fra cattolici l’opinione - o chiaramente espressa, o almeno inconsciamente seguita - che una buona preparazione teologica sia sufficiente per trattare della Bibbia. L’errore è grossolano, perché confonde il fattore «sufficiente» col fattore « necessario». Che la preparazione teologica sia necessaria, la Chiesa l’ha affermato in cento documenti e nessun cattolico vorrà negarlo: ma essa non ha mai affermato che tale preparazione sia sufficiente; chè anzi i suoi documenti e le sue iniziative, specialmente le più recenti, per favorire gli studi strettamente biblici come succedanei e completivi di quelli strettamente teologico-sistematici, dimostrano che secondò il suo pensiero i primi sono qualche cosa di più che i secondi. Di solito, e così nel caso nostro, «sufficiente» dice più che «necessario». L’aria è necessaria per tenere in vita un corpo umano; ma, purtroppo, non è sufficiente, giacché fino ad oggi nessun uomo è vissuto di sola aria. Per un teologo è necessario sapere che Gesù è vero figlio di Maria, ma ciò non è sufficiente per la sua scienza cristologica; per un biblista è necessario sapere quanto la Chiesa insegna sull’unica persona e la duplice natura di Cristo, ma ciò non gli sarà sufficiente per una biografia storica di Gesù. Oltre al fondamento necessario ci vogliono molte altre cose al teologo, e assai di più al biblista, per esser veramente tali: se è vero che le fondamenta dei due edifici sono uguali, è pure vero che l’edificio teologico è ad un solo piano, quello biblico è a due. Sommariamente parlando, il biblista è un teologo, ed è in più un paleografo, un filologo ed uno storico-critico (da non confondere con il metodo eretico, ndr). Altro malinteso da eliminare, anch’esso certamente assai diffuso in maniera più o meno cosciente, è che la Bibbia sia un formulario di sentenze o teologiche o ascetiche, belle e pronte - così come giacciono - ad essere utilizzate ed applicate. Precisiamo, per evitare facili equivoci. Un codice penale, un sillabo di proposizioni teologiche condannate, sono formulari di tal genere. Il giudice ricorre al codice sotto il titolo e il paragrafo tali; vi trova esattamente delimitata l’azione delittuosa, e poi appresso fissata la rispettiva pena: tutto vi è chiaro (salvo casi eccezionali), l’articolo in questione basta a sé stesso, e il giudice, astrazione fatta dal resto, giudica secondo quell’articolo: lo applica cioè nella sua rigida integrità, senza togliervi né aggiungervi una parola, e anche senza ricercare le vicende storiche di quella disposizione giuridica, i suoi paralleli presso altre legislazioni, il suo valore assoluto e relativo nel campo filosofico, ecc. Scriptum est nel codice, debitamente promulgato e non mai in seguito abrogato, e ciò basta a dare a quelle parole interpretate nel loro senso ovvio la forza legale odierna. Un sillabo di proposizioni condannate è qualcosa di analogo. Le proposizioni erronee sono ivi elencate, ciascuna a sé, presentate in termini chiari e precisi, e formano enunciati di un valore logico immutabile in qualunque circostanza di luogo e di tempo: perciò chi sostiene come vero l’insieme dei termini che formano una di quelle proposizioni, in qualunque luogo o tempo ed astrazione fatta da altre proposizioni, è dichiarato in errore dall’autorità che ha ufficialmente promulgato il sillabo. Il principio dello scriptum est si attua anche qui nel suo procedimento matematico. Si quis dixerit hoc + hoc, anathema sit. Se un Tizio, in qualunque luogo o tempo, in forza di qualsiasi suo raziocinio, per qualunque scopo, ecc., (...) afferma come vero l’enunciato hoc +  hoc, è anatema: essenziale è il preciso enunciato della proposizione, mentre da tutto il resto l’autorità anatematizzante astrae. Tutto ciò è elementarissimo, ma in pratica è troppo spesso negletto nei riguardi della Bibbia. Che essa contenga princìpi teologici e ascetici, e prescrizioni di vario genere, è evidentissimo; ma ben di rado li contiene così nettamente formulati e così pronti ad essere utilizzati, come li conterrebbe un codice legale o un sillabo: in altre parole, essa non è né va trattata come un formulario, sotto pena di cadere in errori gravi e grossolani. In primo luogo, infatti, bisogna fissare esattamente il senso letterale: ma questa norma è così importante e complessa, che ci terrà occupati particolarmente in seguito. In secondo luogo, è vero che la Bibbia è tutta quanta ispirata, secondo la dottrina cattolica; ma, secondo la stessa dottrina, è anche vero che essa contiene le testimonianze di due periodi ben differenti della Rivelazione divina: il periodo di preparazione, o imperfetto, che si riferisce all’ebraismo, ed è contenuto nell’Antico Testamento; e il periodo di adempimento, o perfetto, che si riferisce al cristianesimo, ed è contenuto nel Nuovo Testamento. Ora, come il cristianesimo ha la sua teologia, la sua ascesi, le sue prescrizioni pratiche (cose non contenute tutte nel Nuovo Testamento): così aveva tali istituzioni l’Antico Testamento. Ma non per questo la teologia e ascesi dell’Antico Testamento vale anche per il Nuovo; alcuni elementi di quello, sì, valgono anche per questo, giacché passarono dal primo al secondo: altri invece furono inesorabilmente abrogati. ...

«PUNCTA DOLENTIA», parte 1. Da Bibbia e non Bibbia, ab. G. Ricciotti, Morcelliana, Brescia, 1935. SS n° 2, p. 5