Il progetto di “legge” Zan - dal cognome del suo relatore alla Camera - intende «contrastare omofobia e transfobia». Se approvata, la “legge” inserirebbe le «discriminazioni basate sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere» all’Art. 604 bis del Codice Penale. La “legge” prevede fino a 4 anni di reclusione per “omofobi” e, più genericamente, per organizzazioni e associazioni - quindi per persone, per liberi concittadini - che «istigano all’omofobia». Zan e compagni auspicano per il 17 maggio la giornata nazionale «contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia … al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere» (Altalex).

Premessa la breve sintesi, sottoponiamo la misura al giudizio cattolico. Si richiede anche l’analisi semantica del testo. Dobbiamo dare un significato certo alle proposizioni che sottoponiamo al giudizio cattolico.

La legge, secondo San Tommaso, è «ordinazione di ragione per il bene comune promulgata da chi ha la cura della collettività sociale». Concetto essenziale della legge è la sua forza morale obbligante riguardo all’azione dei sudditi, di noi cittadini. Distinguiamo la legge divina dalla legge umana. La prima viene da Dio, la seconda viene dagli uomini preposti al governo della società. (cf. Parente-Piolanti-Garofalo … segue)

La legge divina è: - eterna; - naturale; - positiva rivelata. La legge eterna viene dall’essenza di Dio e coincide con la Sua sapienza e volontà, da cui deriva la vita dell’universo, quindi del mondo fisico e del mondo morale. La legge naturale è impressa nelle creature per dirigerle al proprio fine. Questa può essere fisica nelle creature irrazionali (es. gli animali), o morale nelle creature razionali (es. nell’uomo viene promulgata dalla coscienza). Per ultimo, la legge divina positiva è quella rivelata nella Sacra Scrittura.

La legge umana si divide in ecclesiastica e civile (quest'ultima troppo spesso civile di nome ma non di fatto). Tralasciamo la prima e concentriamoci sulla seconda. La legge civile è emanata dall’autorità competente del governo delle nazioni. La potestà di legislazione umana suppone, ovviamente, che vi sia giurisdizione in chi promulga, ovvero potestà di governo (il legislatore). L’oggetto della legge deve essere sempre onesto, giusto e fisicamente-moralmente possibile. Il soggetto della legge è il suddito capace di intendere e di volere: che abbia l’uso della ragione.

Affinché una legge entri in vigore, acquisisca la sua forza morale, è necessario che sia formalmente proposta e comunicata alla collettività dei sudditi (la promulgazione). La legge divina (obbliga attraverso la coscienza) e la legge ecclesiastica (obbligante poiché intimamente connessa alla divina) sono sacre, tuttavia è sacra ancora la legge umana fondata su una potestà che deriva da Dio: «Non est potestas nisi a Deo» (ad Rom., XIII), insegna San Paolo. Si contrappone a questo dogma il principio moderno di sovranità popolare, vera eresia biasimata soprattutto da Leone XIII nella Immortale Dei: «Pernicioso e deplorevole spirito innovatore che si sviluppò nel sedicesimo secolo, volto dapprima a sconvolgere la religione cristiana e presto passò, con naturale progressione, alla filosofia, e da questa a tutti gli ordini della società civile».

La legge civile obbliga in coscienza a meno che non sia in contrasto con la legge divina e/o ecclesiastica. La sentenza è dello stesso San Pietro: «Oboedire oportet Deo magis quam hominibus» (Actus, V, 29). La legge, sia divina che umana (non iniqua), non si trasgredisce consapevolmente senza colpa, che si misura dal contenuto della legge stessa e dalla volontà obbligante del legislatore. Una legge potenzialmente soggetta a contrastanti interpretazioni non può pretendere forza obbligante: al trasgressore si richiedono consapevolezza e piena avvertenza. Dobbiamo serenamente ripetere con San Pietro e con San Paolo che bisogna «rispettare l’autorità e obbedire alle leggi giuste», tuttavia «dove il diritto di comandare è assente o dove si prescrive alcunché di contrario alla ragione, alla legge eterna, alla sovranità di Dio, è giusto non obbedire agli uomini per obbedire a Dio» (Leone XIII, Libertas).

Secondo la dottrina cattolica - San Tommaso D’Aquino - la potestà umana viene da Dio, pertanto l’uomo che rifiuta gli ordini della legittima potestà resiste all’ordine di Dio stesso; tuttavia un governo che non opera secondo le leggi di Dio, «non appartiene propriamente a Dio», è un «iniquo agente». La legge umana in tanto ha natura di legge, in quanto si uniforma alla retta ragione, ed in tal senso deriva evidentemente dalla legge eterna. Ma quando si scosta dalla ragione, la legge diventa iniqua e allora non ha natura di legge, ma piuttosto di violenza. Tuttavia anche la legge iniqua, per quell’aspetto che salva le apparenze di legge, e cioè per il potere di colui che la emana, ha una derivazione dalla legge eterna, poiché, come già precisato, «ogni potestà viene da Dio».

Altro funesto errore è il moderno principio di laicità. La condanna più diretta al principio di laicità ci viene da Pio XI all’atto della solenne proclamazione del dogma della Regalità sociale di Cristo: «La peste della età nostra è il così detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi… tale empietà non maturò in un solo giorno ma da gran tempo covava nelle viscere della società… si cominciò a negare l’impero di Cristo su tutte le genti; si negò alla Chiesa il diritto - che scaturisce dal diritto di Gesù Cristo - di ammaestrare, cioè, le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli alla eterna felicità…  i semi cioè della discordia sparsi dappertutto; accesi quegli odii e quelle rivalità tra i popoli, che tanto indugio ancora frappongono al ristabilimento della pace; l’intemperanza delle passioni che così spesso si nascondono sotto le apparenze del pubblico bene e dell’amor patrio; le discordie civili che ne derivarono, insieme a quel cieco e smoderato egoismo sì largamente diffuso, il quale, tendendo solo al bene privato ed al proprio comodo, tutto misura alla stregua di questo; la pace domestica profondamente turbata dalla dimenticanza e dalla trascuratezza dei doveri familiari; l’unione e la stabilità delle famiglie infrante, infine la stessa società scossa e spinta verso la rovina» (Quas Primas).

Il moderno principio di laicità equivale al laicismo. Quale oggi è generalmente professato, il principio di laicità non ha un contenuto dottrinale ben definito: si direbbe anzi che non è una coerente dottrina, ma piuttosto uno stato d’animo, una mentalità di derivazione rivoluzionaria, un indirizzo sociale di direzione laica autonoma. Laicità è, venendo alla sintesi, la pretesa di insegnare, di legiferare e di dirigere la società come se Dio non esistesse: anzi contro Dio. Commenta Pio XI: «Si può ben dire con tutta verità che la Chiesa, a somiglianza di Cristo, passa attraverso i secoli facendo del bene a tutti. Non vi sarebbe … (mal governo) … se coloro che governano i popoli non avessero disprezzati gli insegnamenti e i materni avvertimenti della Chiesa: essi invece hanno voluto sulle basi del liberalismo e del laicismo fabbricare altri edifici sociali, che sulle prime parevano potenti e grandiosi, ma ben presto si videro mancare di solidi fondamenti, e vanno miseramente crollando l’uno dopo l’altro, come deve crollare tutto ciò che non poggia sull’unica pietra angolare che è Gesù Cristo» (Divini Redemptoris).

Tantissimo si potrebbe aggiungere, ma il tempo è tiranno. Rimando ai 152 approfondimenti di Teologia politica.

Che cos’è la Religione? La Religione è quel legame, è quel vincolo morale tra Dio e gli uomini. Ciò risulta dalla storia stessa e dal naturale rapporto fra l’essere razionale e il suo Creatore. Per disposizione soggettiva dell’anima, noi riconosciamo Dio come ente supremo, come creatore dell’universo. A Lui rendiamo il Culto che gli è dovuto. Con il Suo aiuto, osserviamo le Sue leggi. Oggettivamente, la Religione è quel complesso di verità (rivelate e definite) e di quelle norme che regolano ordinatamente il nostro rapporto con Dio e con la società. La Religione deve investire l’intelletto e la volontà (i due principali moti dell’anima), nonché le altre attività dell’uomo.

La Religione non è culto della ragione autonoma, non è coscienza del divino in noi, non è sentimento, non è istinto della sub-coscienza. La Religione cattolica, soprannaturale e non semplicemente naturale, poggia sulla rivelazione divina positiva (Scrittura), quindi su verità da credere e su leggi da osservare in ordine al fine ultimo. Le verità di fede rivelate da Dio e definite dalla Chiesa (Magistero) sono dogmi. I dogmi, nel loro vero significato, sono insormontabili: pena l’eresia e la dannazione. È sentenza della Dei Filius: «Se qualcuno dirà che può accadere che ai dogmi della Chiesa si possa un giorno – nel continuo progresso della scienza – attribuire un senso diverso da quello che ha inteso e intende dare la Chiesa: sia anatema».

Il fine soprannaturale della nostra Religione, l’unica vera, è la visione beatifica del Dio personale. Essendo storicamente comprovata l’esistenza di Dio (Uno e Trino), l’uomo non può esimersi dal prestargli culto sia interno che esterno, osservando le Sue disposizioni. Distinguiamo la vera Religione (la nostra) dalle false per criteri esterni, quali i miracoli e le profezie rivelatesi esatte, e per criteri interni, quali la perfezione di dottrina e l’armonia con le migliori aspirazioni dell’intelletto umano. La Religione enuncia con chiarezza inequivocabile ciò che sappiamo essere giusto e ciò che sappiamo essere sbagliato: fra cui distingue le virtù dai vizi.

Compito della legge è anche tutelare i diritti. Ma quali sono i diritti dell’uomo? Il contenuto generico della moderna formula è abbastanza chiaro. Con essa si afferma che ogni uomo, per il solo fatto di essere uomo, a qualunque popolo, nazione, razza, religione appartenga, ha certi diritti fondamentali, che debbono essergli riconosciuti e protetti. La Costituzione italiana, per esempio, proclama che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Queste le utopie, adesso veniamo al concreto.

Il Roberti-Palazzini giustamente riflette: «È facile accorgersi che tale affermazione, presupponendo l’esistenza di diritti che logicamente antecedono le concessioni statali, e quindi sussisterebbero anche se lo Stato li negasse e li conculcasse, è di schietta intonazione giusnaturalistica, e per ciò stesso inconciliabile col positivismo giuridico e particolarmente con lo statualismo (moderno)». Da dove vengono questi diritti preesistenti? Vengono principalmente dalla legge di natura, la medesima legge che vuole la copula fra un uomo e una donna per finalità procreative, la stessa legge che intrinsecamente biasima la poligamia e le perversioni.

In linea di massima - lo scrivo per brevità - i veri e principali diritti dell’uomo coincidono con l’integrità fisica e morale dell’individuo, con la libertà personale entro limiti dettati dalla ragione, con l’uguaglianza difronte alla legge, con la liberà di procacciare onestamente i mezzi di sostentamento. Diritti da non confondere con quelli propugnati dalla Rivoluzione, questa sì vero vessillo di intolleranza, mezonga e omicidio.

Diritto e morale non possono avere rapporti di separazione, ma solo di distinzione e di subordinazione. Da quanto si è ragionevolmente dimostrato, difatti, si rileva facilmente come il diritto non può dipendere esclusivamente dalla volontà umana ma anzi, al contrario, è un dato della natura, dipende essenzialmente da un ordinamento obiettivo e naturale: ciò che i moderni rigettano, quando fa loro comodo! È di diritto naturale, per esempio, la proprietà privata (v. Leone XIII, Rerum novarum), ebbene proviamo ad appropriarci del bene di un moderno: questi ci denuncerà per furto senza sapere nemmeno perché...

La legge morale si estende necessariamente a tutte le azioni umane, e quindi anche a quelle di ordine giuridico, ma anche perché il fondamento su cui poggia il diritto positivo è il diritto di natura, e quindi la legge morale, di cui il diritto di natura non è che una parte.

Veniamo alla discriminazione. Per Teccani la discriminazione è «fare una differenza… è adottare in singoli casi o verso singole persone o gruppi di persone un comportamento diverso da quello stabilito per la generalità, o che comunque rivela una disparità di giudizio e di trattamento». Evidentemente il Cattolicesimo, in quanto universale almeno virtualmente, è la Religione agli antipodi della discriminazione. O forse vogliamo crede alle frottole di Voltaire dal motto «mentite, amici miei, mentite. Qualcosa resterà sempre».

Adesso occorre tradurre in linguaggio comprensibile alcuni termini di neo-lingua. Ricorreremo sempre a Treccani. 1° «Omofobia è avversione ossessiva per gli omosessuali e l’omosessualità»; 2° «Lesbofobia è avversione e intolleranza nei confronti dell’omosessualità femminile»; 3° «Bifobia è avversione ossessiva per i bisessuali e la bisessualità»; 4° «Transfobia è avversione ossessiva nei confronti dei transessuali». Notiamo che ricorre la parola «ossessione» in senso laico. A quanto pare, dunque, è intenzione della neo-lingua etichettare come ammalati i praticanti tali patologie: gli ossessi! In teologia l’ossesso è vittima dell’azione straordinaria del demonio.

Il progetto di “legge” Zan – non è nelle mie capacità analizzare il foro interno del proponente, posso solo desumere le reali intenzioni da ciò che egli fa e dice – vuole contrastare «l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia … al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere».

Altro derivato della neo-lingua è l’«identità di genere». Negata sotto giuramento fino a ieri, improvvisamente l’«identità di genere» si trasforma in valore da tutelare ad ogni costo, pena 4 anni di reclusione. Ma di cosa stiamo parlando? Sempre Treccani ci erudisce: «Distinzione di genere, in termini di appartenenza all’uno o all’altro sesso, non in quanto basata sulle differenze di natura biologica o fisica ma su componenti di natura sociale, culturale, comportamentale».

Posto che la Chiesa biasima - sin dalla sua fondazione - le violazioni dei veri diritti umani, vediamo se può approvare le pratiche omosessuali - l’essenza stessa della “legge” Zan - conservando la sua fondamentale nota distintiva di Cattolicità. Cosa abbiamo imparato fino ad ora? Di diritto divino e per uso di retta ragione ci sono arcinote le condanne più schiette e gravi contro il principio di sovranità popolare, contro il principio di laicità degli Stati, contro la legislazione iniqua, e contro tutto quanto sa di disordinato moralmente e socialmente.

Le pratiche omosessuali sono diritti o sono, piuttosto, vizi? San Pio X ci insegna che «il vizio è l’abitudine a fare il male, acquistata ripetendo atti cattivi». Il Padre Dragone commenta la sentenza del Santo affermando: «Le virtù sono abitudini buone, acquistate ripetendo atti buoni. Il vizio è l’opposto della virtù. Quando si asseconda una passione cattiva e si compiono gli atti che essa suggerisce, ripetendoli per un determinato tempo si forma l’abitudine cattiva o vizio. II peccato è un atto cattivo; il vizio è l’abitudine al peccato».

Prosegue il Pontefice: «I vizi principali sono i sette vizi capitali chiamati così perché sono capo e origine degli altri vizi e peccati». Le passioni sregolate conducono al vizio, che consiste o nell’amare e desiderare un bene apparente, non degno di amore, o nel fuggire un male apparente, che in realtà è un bene. I vizi capitali sono sette: superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia, accidia. Per questioni di merito dobbiamo purtroppo concentrarci sulla lussuria. Alla lussuria si oppone la castità. Questa inclina a osservare il sesto e il nono comandamento, ad essere santi nell’anima e nel corpo; quella spinge a soddisfare i desideri sensuali fuori del matrimonio.

Mi permetto di accentuare la sentenza del Dragone, che poi è materia di morale da terza elementare: «La lussuria spinge a soddisfare i desideri sensuali fuori del matrimonio». È evidente - senza per ciò soffrire di patologie ossessive – comprendere che il precetto si applica all’intera specie umana, non semplicemente all’omosessuale piuttosto che alla lesbica, al transessuale o al “fluido”. La lussuria, difatti, è il disordinato appetito ed uso del piacere venereo; disordinato perché non conforme al fine dell’atto sessuale, che sono la procreazione e l’adeguata educazione della prole. Il vizio di lussuria può essere interno od esterno, secondo natura o contro natura. È contro natura se «l’atto è compiuto in modo che rende impossibile la procreazione, in quanto si pone l’atto sessuale da solo» (es. masturbazione, onanismo = dispersione del seme), «o con persona dello stesso sesso (sodomia) o con animali (bestialità)».

Perbacco, impariamo che Dio - dunque la Chiesa - non condanna solamente l’atto omosessuale, ma ben altro: «Onan, sciens non sibi nasci hunc filium, introiens ad uxorem fratris sui semen fundebat in terram, ne proles fratris nomine nasceretur. Et idcirco occidit et eum Dominus, quod rem detestabilem fecerat» (Gen., XXXVIII, 8-9). Dio detesta già il singolo peccato di lussuria; la Chiesa vuole e deve biasimare il peccato di lussuria. Il peccato mortale è la perdita della grazia, è la separazione dell’uomo da Dio, è la disgrazia per l’uomo e per la società...

Perché la peste della lussuria non è in alcun modo accettabile? La ragione è che l’atto sessuale disordinato si oppone ad un bene sociale sostanziale: la debita procreazione, la vita umana in potenza; il piacere destinato dalla natura a questo bene sociale viene indebitamente usurpato per una soddisfazione personale con un atto contrario al suo fine.

Prosegue il Roberti-Palazzini: «Il vizio della lussuria è perniciosissimo. Riguardo alla persona: a) è un vizio insaziabile: più si nutre, più cresce la passione; b) è un vizio capitale: il veemente desiderio di soddisfarvi trascina a molti altri peccati; c) esercita un influsso funesto su tutto il carattere: genera nell’intelletto cecità spirituale, inconsiderazione, precipitazione ed incostanza; nella volontà un amore basso egoistico e un odio e un’avversione di Dio e delle cose spirituali;  d) reca danno, talvolta molto grave, alla salute fisica (malattie veneree, sterilità, ecc.) e psichica (nervosità, tendenze morbose). Riguardo alla società: questo vizio, considerato nel suo oggetto (ex fine operis), si oppone al fine naturale dell’atto (la debita procreazione); genera inoltre anche parecchi mali pubblici in altri campi (divorzio, meretricio, criminalità, ecc.)». Ognuno esamini la propria coscienza.

Il progetto di “legge” Zan è a tutela della virtù, oppure del vizio? Intende obbligare alla virtù, oppure al vizio? Vuole educare i nostri bimbi alla virtù, oppure al vizio?

Il progetto di “legge” Zan vuole evidentemente imporre con la forza l’educazione al vizio, parimenti, con la stessa forza ed evidenza, pretende di reprimere l’educazione alla virtù. Si tratta di un progetto di “legge” inaccettabile dal giudizio cattolico. Un progetto di “legge” intrinsecamente cattivo. Il vero cattolico non può sacrificare fede e morale dietro minaccia di una legge che – ricordando la sentenza dell’Aquinate – legge non è, è violenza. Il progetto di “legge” Zan favorisce, forse indirettamente, ulteriori insidie: - denatalità; - eugenetica; - malthusianesimo; - edonismo; - deresponsabilizzazione; - incoscienza; - meretricio; - mercimonio, - disordine sociale; - sforna il consumatore tipo. Un connubio di misure diaboliche dettate dalla sinarchia predatoria. A parer mio, l'onorevole Zan dovrebbe approfondire la materia poiché la sua responsabilità è massima.

Una postilla. Questo breve studio è forse “omofobo”? O è piuttosto professione di fede? Per approfondimenti fondamentali sulla virtù della castità e sul sacramento del Matrimonio rimando alla Casti connubii di Pio XI.

CdP