Il testo della Mortalium Animos è tratto, nella sua traduzione in italiano, con annesse note di commento, dall’opera: Tutte le Encicliche dei Sommi Pontefici raccolte ed annotate da Eucardio Momigliano, dall’Oglio Editore, Milano, 1959 (data Imprimatur), dalla pagina 802 alla pagina 812 (Enciclica ridotta in Denzinger al solo n° 3683). Mortalium Animos (1928). Sulla vera unità religiosa, a proposito di adunanze cosiddette pancristiane. Citiamo la nota 1 pag. 802: «Il pancristianesimo è un fenomeno che si ripete spesso nella storia recente del cristianesimo, quello di iniziative periferiche da parte di sette scismatiche per promuovere una riconciliazione con la Chiesa di tutti i credenti nel messaggio cristiano. A questa iniziativa la Chiesa risponde sempre con l’argomento fondamentale che, in forma più o meno simile, si ripete fino dai primi secoli della sua esistenza: che essa è la sola depositaria della Verità [...]». Citiamo adesso la nota 1 alle pagine 810 ed 811: «Gli errori di Fozio», [... e dei Novatori, che il Pontefice condanna, ndR], richiamano l’origine dello scisma orientale e l’uomo che ne fu il primo e remoto ispiratore e che a mille anni dalla sua morte è ancora ricordato con severità nella parola del Pontefice; essi ebbero certamente una parte di primo piano nella storia del Cristianesimo. Regnava imperatore di Bisanzio il figlio di Teodora, Michele III l’Ubriaco, che venuto in conflitto con il patriarca di Costantinopoli Ignazio lo destituiva investendo della carica un laico suo ministro di nome Fozio. Un equivoco vescovo lo consacrò ed egli assunse i poteri patriarcali. L’imperatore convocò un Concilio a Costantinopoli (861). Il Pontefice Niccolò I inviò da Roma due legati per indagare su quanto era avvenuto; ma, non si sa per quali intrighi (si disse anche con false lettere del Papa, che sembravano approvare la deposizione di Ignazio e l’assunzione di Fozio al patriarcato), il Concilio ratificò la nomina, con la adesione dei legati papali che tradirono cosi la loro missione.

Ma il Pontefice non si rassegnò. Convocato un sinodo a Roma (863), fu dichiarata la deposizione di Fozio dalla carica di patriarca. L’imperatore e la nobiltà di Bisanzio presero partito per lui e scoppiò un lungo dissidio, che ebbe alterne vicende coinvolgendo vasti problemi di predominio del Pontefice romano sui neo convertiti cristiani d’Oriente. I papi Niccolò I, Adriano II e finalmente lo sventurato Giovanni VIII tentarono, con una mutevole politica dettata dalle indicibili difficoltà del tempo, di evitare un dissidio che andava sempre più approfondendosi e che doveva portare al sinodo del 13 marzo 880, nel quale i vescovi d’Oriente uniti proclamavano la loro indipendenza dal Pontefice romano. Fozio morì in disgrazia dell’imperatore in un convento, nell’886. Sull’opera di Fozio, autore di scritti polemici e teologici, esiste una vasta letteratura. Insigne l’opera italiana del padre benedettino Luigi Tosti: «Storia dell’origine dello scisma greco». Non siamo ancora alla separazione, come da alcuni storici è stato ritenuto: dovranno trascorrere altri centocinquant’anni, prima che lo scisma propriamente detto si affermi in tutta la sua estensione e profondità. Bisogna giungere al 16 luglio 1054. Un dotto scrittore cattolico, Nazareno Padellaro, rievocava recentemente, con una drammatica visione dell’avvenimento che merita di esser citata testualmente, la tragica separazione: «Era l’ora terza di un sabato. Nella Chiesa di Santa Sofia i sacerdoti si apprestavano a celebrare la Messa, allorché all’improvviso i legati del Papa si fanno strada tra la folla dei fedeli, si avanzano fino all’altare e vi depongono la Bolla di scomunica. Escono poi gridando “Iddio vede e giudica!”, e scuotono la polvere dalle scarpe. I suddiaconi si precipitarono all’altare per strappare la Bolla, ma il patriarca volle che gliela consegnassero per farla tradurre in greco [...] Del padre dello scisma, il patriarca Michele Cerulario, la fermezza aveva per limite soltanto l’astuzia. In una lettera che egli scriveva al patriarca d’Antiochia, per spingerlo a romperla con il Papa, affermava che le pratiche della Chiesa romana erano “illegali, interdette, abominevoli”. La vecchia volpe esperta di complotti e di congiure, l’esiliato che per cancellare ogni traccia di mondani interessi si era fatto monaco, dando a quella sua inspiegabile vocazione un nuovo senso della vita infusagli dalle riflessioni ispirategli dal suicidio del fratello, colui che si era fatto nominare patriarca dal debole, mobile, apatico imperatore, venne a scontrarsi con il nuovo Papa, uomo di carattere intero, nemico delle arti diplomatiche, animato da volontà implacabile, teso diritto allo scopo e deciso a sopprimere tutti gli ostacoli che si frapponevano ai suoi apostolici disegni. La lettera infatti che i legati pontifici portavano a Michele Cerulario, diceva chiaro chiaro a costui il fatto suo. Non era stato elevato alla dignità patriarcale senza essere passato per i gradi della gerarchia? Non era lui ad attentare ai diritti dei suoi colleghi, i patriarchi di Alessandria e di Antiochia? E non aveva calunniato la Chiesa, gettando l’anatema su coloro che partecipavano al sacramento dell’Eucarestia? Quanto giuste fossero queste accuse, l’infido patriarca ebbe a dimostrarlo subito. La traduzione della Bolla la volle a suo uso, e storcendo i passi e mutilando i luoghi, non gli mancarono i motivi di attacco. Convoca un sinodo permanente composto di 12 metropoliti e due vescovi, e con questa accolta di pavidi pastori elabora un editto sinodale che riprendeva quasi testualmente l’enciclica che Fozio circa due secoli prima aveva inviato alla Chiesa d’Oriente. Il documento dava poi del conflitto con i legati pontifici un tendenzioso racconto. Ormai il Cerulario si poneva a difensore della [cosiddetta, ndR] ortodossia e ad arbitro tra la Chiesa e lo Stato. Ma ciò che più sorprende in questa dolorosa vicenda è quel duro orecchio storico dei contemporanei che non diedero alcuna importanza all’avvenimento. I cronisti bizantini del secolo XI che pur raccontano minutamente i fatti politici del tempo, non una sola parola dedicano allo scisma del 1054. Silenzio ancora nel secolo XII, e bisogna giungere alla fine del secolo XIII per trovare una velata allusione ai fatti del luglio 1054, in una cronaca. Non fu giudicato degno di menzione un avvenimento così drammatico, da chi era pur attento alle vociferazioni, agli intrighi e ai delitti di Corte. Non compresero il significato di un Michele Cerulario che diventa Michele I». Racconta sant’Alfonso in Storia delle Eresie (CAP. IX. Eresie del secolo IX. ART. II. Condanna degli errori de’ Greci in tra Sinodi generali): «Dopo la morte di Fozio, dice Natale Alessandro che si estinse lo scisma, e che poi ripullulò; ma il Danes scrive che colla morte di Fozio non finì lo scisma, anzi prese maggior vigore a tempo di Nicola Crisobergo patriarca di Costantinopoli verso l’anno 981, e maggiore a tempo di Sisinnio suo successore nell’anno 995, e maggiore a tempo di Sergio anche patriarca, che a suo nome mandò ai vescovi orientali la lettera enciclica fatta da Fozio contro il Papa. Di poi lo scisma prese nuove forze nel secolo XI al tempo di Michele Cerulario. Costui era di nobile stirpe, ma superbo e macchinante: onde l’imperatore Michele Paflagonio lo tenne chiuso in un monastero per causa di una ribellione contro sé tramata; e di là non uscì che a tempo di Costantino Monomaco imperatore, e nell’anno poi 1043 egli indegnamente, contro il prescritto dei canoni, prese il patriarcato di Costantinopoli. Ma temendo con ragione di esser punito dal Papa per questo suo attentato, egli si affaticò a fomentare i semi già sparsi dagli altri della divisione della Chiesa romana, e diede principio alla guerra contro i latini con iscrivere una lettera a Giovanni vescovo di Trani nella Puglia, caricando la Sede romana di più errori, cioè che insegnava procedere lo Spirito santo dal Padre e dal Figliuolo: che le anime uscite dal Purgatorio godono piena beatitudine in cielo, anche prima della comune risurrezione: che il Papa ingiustamente si assumeva l’autorità di pastore universale: e precisamente incolpava poi i latini nel valersi del pane azimo per l’eucaristia, dicendo che ciò era un attenersi ai giudei, i quali celebravano la pasqua in azimo. Ma ingiustamente tacciava in ciò la Chiesa romana; mentre non può dubitarsi che Gesù Cristo celebrò la pasqua nel primo giorno degli azimi, allorché, secondo il precetto dato da Dio nell’Esodo al capo 12 era proibito a tutti i giudei di tenere in casa alcun pane fermentato [...] Oltreché poi era antichissima la tradizione sin dal tempo di san Pietro, come scrive Cristiano Lupo, che Cristo avesse sacrificato in azimo; e tale certamente era stata la costumanza dei primi secoli in tutto l’occidente, eccetto quel poco tempo per cui all’inizio bisognò interromperla, per togliere lo scandalo, e non dare a vedere che i cristiani comunicassero coi giudei. [...] Cerulario ingiustamente notava di eresia la Chiesa latina, perché celebrava in azimo. Il papa Leone affine di spegnere il fuoco dello scisma che allora andava sempre più dilatandosi, mandò in oriente Umberto vescovo di Selva-Candida, col cardinal arcidiacono di Roma e Pietro arcivescovo di Amalfi: essi legati portarono all’imperatore Monomaco la lettera del Papa, ove si minacciava al Cerulario la scomunica, se non cessava di condannare l’uso della Chiesa romana nel celebrare la messa. Indi in Costantinopoli si discusse la questione, e restò giustificata la pratica dei latini. Ma Michele Cerulario non volle conferire coi legati; anzi in quel tempo non fece altro che sparlare contro i medesimi. Onde i legati disperando del suo ravvedimento, un giorno nella chiesa di Santa Sofia dopo celebrata la messa lasciarono pubblicamente sull’altare la carta della scomunica contro il medesimo. Egli maggiormente irritato poi da ciò, tolse dai dittici il nome del Papa, e per rendere la pariglia scomunicò i legati, e poi mandò per l’Asia e per l’Italia molti fogli pieni di calunnie e d’ingiurie contro la Chiesa romana. Visse insomma il misero, e morì ostinato nel suo scisma, e rilegato nel Proconeso; poiché l’imperatore Isacco Comneno nell’anno 1058, vedendolo così ostinato, lo depose dal patriarcato, e lo mandò in esilio, dove terminò la vita». Afferma Papa san Pio X nel Catechismo al n° 230: «Chi sono gli scismatici? Gli scismatici sono i cristiani che, non negando esplicitamente alcun dogma, si separano volontariamente dalla Chiesa di Gesù Cristo, ossia dai legittimi pastori». Al n° 228: «Chi sono gli eretici? Gli eretici sono i battezzati che ricusano con pertinacia di credere qualche verità rivelata da Dio e insegnata come di fede dalla Chiesa cattolica, per esempio gli ariani, i nestoriani, e le varie sette dei protestanti». Al n° 225: «Chi sono quelli che si trovano fuori della vera Chiesa? Si trovano fuori della vera Chiesa gli infedeli, gli ebrei, gli eretici, gli apostati, gli scismatici e gli scomunicati». Abbiamo già capito, sebbene solo brevemente, perché l’Ecumenismo deve essere (ed è) condannato dalla Chiesa, tuttavia proseguendo nella lettura della Enciclica Mortalium Animos tutto sarà esaustivamente spiegato dal Cristo in Terra.

A cura di CdP