Chiuse le Logge e soppressi dai governi (restaurati) i due Grandi Orienti di Napoli e di Milano, la Massoneria italiana si disperse: i superstiti si rifugiarono sotto la tutela del «Grand’Oriente» di Francia e cercarono di esplicare la loro azione attraverso la Carboneria, spesso riuscendo ad accaparrarsi posti di comando. Domenico Angherà attesta d’avere nel 1848 tentato di ricostruire un «Grand’Oriente» a Palermo, ma l’iniziativa ebbe breve durata. La Massoneria italiana riprese vita a Torino nel 1859 per opera di persone molto vicine al Camillo Benso conte di Cavour (1810-1861). La «Loggia torinese Ausonia», in unione con il «Trionfo Ligure» di Genova e gli «Amici Veri Vittoriosi» di Livorno, ricostituirono il «Grand’Oriente d’Italia». Primo Gran Maestro fu eletto Livio Zambeccari (1802-1862), sostituito dopo brevissimo governo da Costantino Nigra (1828-1907), l’uomo di fiducia di Cavour, nell’evidente proposito di non dar ombra al governo e di interessare la Massoneria francese alla causa italiana, essendo il Nigra ambasciatore a Parigi. Il massone Ugo Lenzi attesta risultare da documenti pubblicati da lui su «L’Acacia» che la persona designata all’alta carica era Cavour stesso, ma che tale disegno venne troncato dalla morte prematura di lui. Quasi contemporaneamente al «Grand’Oriente» di Torino, ne sorsero uno a Palermo, di tendenze repubblicane, che proclamò «Gran Maestro» Giuseppe Garibaldi (1807-1882), ed uno a Napoli, ad iniziativa del ricordato Angherà. Ma, scomparso il Cavour e ritiratosi il Nigra, incominciarono subito lotte e scissioni, nelle quali si esaurì in gran parte l’attività di quei nuclei massonici rivali. Trasferita la capitale d’Italia a Firenze, una costituente massonica, avvenuta in detta città nel 1865, confermò nel grado di «Gran Maestro» Giuseppe Garibaldi e gli diede come «Gran Maestro aggiunto» Antonio Mordini (1819-1902). I non pochi sforzi di Garibaldi per un accordo tra i corpi rivali di Palermo e Torino, condussero nel 1876 alla creazione di un «Supremo Consiglio» di Roma; quindi, nel 1879, con intervento di alcuni Supremi Consigli esteri, di un Supremo Consiglio d’Italia, nominando primo Sovrano Gran Commendatore Giorgio Amato (1817-1897). Sotto il Gran Maestrato di Giuseppe Mazzoni (1808-1880), di Giuseppe Petroni (1812-1888), e soprattutto di Adriano Lemmi (1822-1906), la Massoneria italiana fece progressi notevoli, data anche l’astensione dei cattolici dalla vita politica. Però, nonostante per più decenni avessero in mano il potere grandi dignitari massoni, quali Lanza, Cairoli, Depretis, Di Rudinì, Crispi, Zanardelli, Fortis, solo parzialmente essa riuscì ad attuare il suo programma di laicizzazione, nel quale la Massoneria s’era impegnata con il maggiore accanimento; la totale separazione dei due poteri («libera Chiesa in libero Stato»), l’abolizione delle guarentigie, il divorzio ecc., urtarono contro il profondo senso cristiano della nazione. Riuscì invece ad impedire la riconciliazione dell’Italia con il Papato, definita «mostruosa conciliazione», «stupida conciliazione», e deprecandola come il maggior pericolo che potesse correre la patria e la libertà. Sono note le interferenze della Massoneria per mandare a vuoto i sondaggi fatti da Leone XIII (1810-1903) nel 1887 presso Francesco Crispi (1819-1901), tramite Padre Tosti; le declamazioni di Giovanni Bovio (1837-1903), con le repliche di Giuseppe Zanardelli (1826-1903) e del Crispi; il solenne encomio dato a quest’ultimo da Adriano Lemmi, per aver «rinvigorita con sapienza civile la lotta contro il pretendente del Vaticano» (25 giugno 1888). Grazie alla sua intransigenza anticlericale, attesta il Lemmi, la Massoneria italiana si cattivò le simpatie della Massoneria mondiale, che vedeva in essa la sentinella avanzata contro «il nemico più inveterato, più accanito, più ostinato e feroce»: il Papato. Con la morte del Lemmi (1906), la Massoneria italiana si scisse: Saverio Fera (1850-1915), che era Luogotenente Gran Commendatore del «Supremo Consiglio» di Palazzo Giustiniani, sede della Massoneria bleu fino dal 1901, ricusò di riconoscere il Gran Commendatore effettivo nuovamente eletto Achille Ballori, e insieme con i suoi aderenti costituì un Supremo Gran Consiglio autonomo ed una «Gran Loggia nazionale di Rito Scozzese Antico e accettato» (1908), riconosciuta dai Supremi Consigli convenuti a Washington nel 1912. Alla Massoneria di Palazzo Giustiniani si rimproverava d’essersi tutta data alla politica, d’essere diventata una sètta ateistica, d’interferire sulle attività proprie del Parlamento e del governo, d’aver dato cioè all’Italia una cattiva copia della Massoneria francese. «Supremo Gran Commendatore» e «Gran Maestro» della nuova Massoneria fu confermato il Fera, che ebbe per successori Ricciardi, William Burgess, e quindi Vittorio Raoul Palermi (1919). A Palazzo Giustiniani, al Ballori successero nell’ufficio di «Gran Maestro» Ettore Ferrari (1849-1930), Ernesto Nathan (1845-1921), fiero anticlericale, rimasto famoso per le volgari contumelie lanciate contro il Vaticano, e Domizio Torrigiani (1876-1932). Le due obbedienze erano legate alle due maggiori correnti massoniche del mondo, quella alla Massoneria anglosassone, questa a quella francese.

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[Papa Pio VII condannò la Carboneria ritenendola «propaggine ed imitazione della Massoneria», per via del vincolo di segreto, rito di iniziazione, simbolismi, ecc. Presenta una «certa vaga ispirazione di fede»; la Carboneria partecipò ai moti del Risorgimento. Silvio Pellico e Giuseppe Mazzini erano carbonari].