Non ignoriamo, venerabili fratelli, come fra i cattolici non pochi siano gli uomini d’ingegno e di dottrina che si adoperano alacremente sia per la difesa dei Libri divini, sia per contribuire ad una più ampia cognizione ed intelligenza di essi. Mentre elogiamo grandemente la loro opera e i loro frutti, non possiamo fare a meno, tuttavia, di esortare vivamente a meritare l’elogio di così santo scopo anche tutti coloro la cui solerzia, dottrina e pietà ottimamente promettono in questo campo. Vivamente desideriamo e bramiamo che molti rettamente intraprendano e costantemente si occupino della difesa delle divine Lettere e che quelli, soprattutto, che la divina grazia chiamò ai sacri ordini, si applichino ogni giorno con diligenza e solerzia sempre maggiori nel leggerle, meditarle e spiegarle, come è loro preciso dovere. La ragione per cui tanto sembra da raccomandarsi questo studio, a parte la sua eccellenza e l’ossequio dovuto alla parola divina, sta nella molteplicità dei vantaggi che sappiamo dovranno derivarne, secondo l’infallibile promessa dello Spirito Santo: «Ogni Scrittura divinamente ispirata è utile a insegnare, a redarguire, a correggere, a educare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia perfetto e pronto ad ogni opera buona» [2 Tm. 3, 16-17]. Che le Scritture siano state date certamente da Dio agli uomini a tal fine, lo dimostrano gli esempi del Cristo Signore e degli apostoli. Gesù, infatti, che «con i miracoli si conciliò l’autorità e con l’autorità si acquistò la fede e con la fede attrasse la moltitudine», soleva, nell’ufficio del suo divino mandato, appellarsi alle sacre Scritture. Infatti quando gli si offre l’occasione, prova con le sacre Scritture di essere stato mandato da Dio, e si proclama Dio; da esse prende gli argomenti per ammaestrare i suoi discepoli e per confermare la sua dottrina; da esse rivendica testimonianze contro le calunnie dei suoi denigratori e le oppone, per redarguirli, ai sadducei e ai farisei, e le ritorce anzi contro lo stesso Satana che impudentemente osa tentarlo.

Di esse si servì anche alla fine della sua vita, e, risuscitato, le spiegò ai discepoli, sino a che ascese alla gloria del Padre. Ammaestrati dalla sua parola e dal suoi precetti, gli Apostoli, sebbene Gesù concedesse che «segni e prodigi si operassero per mano loro» [At. 14, 3], grande efficacia traevano tuttavia dai Libri divini, per diffondere largamente tra le genti la sapienza cristiana, per infrangere la pertinacia dei giudei e per soffocare le eresie nascenti. Ciò appare apertamente dai loro stessi discorsi, primo fra tutti quello del beato Pietro, che composero quasi interamente con detti dell’Antico Testamento, come fermissima prova della nuova legge. E ciò è pure dimostrato dai vangeli di Matteo e Giovanni, e dalle lettere cosiddette cattoliche; molto chiaramente, poi, appare dalla testimonianza di colui che «si gloria di aver appreso la legge di Mosè e profeti ai piedi di Gamaliele, da poter poi, come armato di armi spirituali, fiduciosamente affermare: Le armi della nostra milizia non sono carnali, ma ogni nostra potenza ci viene da Dio». Prosegue ...

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