Scriveva san Paolo ai Filippesi: «Già sovente l’ho detto ed ora piangendo lo ripeto: vi sono molti che vivono da nemici della croce di Gesù Cristo; molti la cui fine è la perdizione, i quali adorano il ventre e mettono la loro gloria in ciò che forma il loro disonore e altro non gustano che le cure terrene (Philipp. III, 18-19). «Se non temete il peccato, scrive sant’Agostino, temete la morte, perché il peccato consumato genera la morte. Se non temete il peccato, temete le conseguenze del medesimo, vi spaventi l’abisso al quale vi conduce. Il peccato è dolce, ma è amara la morte nel peccato. Questa è la disgrazia degli uomini, che morendo lasciano gli oggetti per possedere i quali si erano abbandonati al peccato, ed altro non portano con sé che il peccato il quale li brucerà in eterno». Strana illusione dei peccatori! Essi non badano che il piacere del peccato, di cui vorrebbero godere in eterno, e sfugge loro subito; e che il castigo del peccato, al quale vorrebbero sottrarsi, non si allontanerà mai da loro! (...). Di essi dice il Salmista: «Le nazioni sprofondarono nell’abisso di morte che esse medesime si sono scavate; il loro piede fu colto al laccio che esse medesime avevano teso (...). Gli empi siano precipitati nell’inferno insieme con tutte le genti che dimenticano Dio» (Psalm. IX, 15, 17). «Ecco che quelli i quali si allontanano dal Signore, periranno; e saranno travolti nell’abisso di perdizione» (Id. LXXII, 26) (LIV, 24). «La giustizia divina, secondo l’osservazione di sant’Agostino, si vendica del peccatore permettendo che, avendo egli dimenticato Iddio in vita, dimentichi se stesso in morte». I disgraziati andranno dicendo sul letto di morte: «Noi non abbiamo voluto dare nessun segno di virtù nei giorni della nostra vita ed eccoci ora divorati dalla nostra malvagità» (Sap. V, 13).  Ascoltiamo dunque l’avviso dell’Ecclesiaste, e «premuniamoci contro il giorno cattivo» (VII, 15), schivando il male e facendo il bene, secondo la regola del profeta (Psalm. XXXVI, 27). Guardiamoci dall’imitare quel cieco peccatore di cui il medesimo profeta scrive, che «non ha voluto comprendere per non essere obbligato a impiegarsi in buone opere» (Id. XXXV, 3).

I Tesori di Cornelio Alapide.