Come già osservammo, Dio, infinitamente buono, ci ha tanto amati, da non limitarsi solo a crearci ed a conservarci nel nostro stato di uomini; ma ha voluto elevare l’uomo ad un ordine superiore, all’ordine soprannaturale, senza che noi avessimo nell’essere nostro esigenza o diritto di sorta. Noi per natura siamo uomini, semplici creature; per un eccesso di amore del nostro Dio, siamo stati trasformati, elevati, divinizzati, in altre parole, siamo stati chiamati alla dignità di figli di Dio. E siccome il figlio deve avere la stessa natura del padre, Dio - per usare l’espressione di san Pietro - ci fa consorti e partecipi della sua natura divina. Molti a queste parole sgraneranno tanto d’occhi: - Ma come? Noi cristiani siamo forse degli Dei? Non esito a rispondere: - E non lo sapete? E non sapete che il Cristianesimo ci porta la buona novella della nostra divinizzazione? Non avete mai letto le epistole di san Paolo, incomprensibili, se si prescinde da questo punto fondamentale? Non avete mai fatto caso alle parole, nel Vangelo di san Giovanni, rivolte da Gesù ai Giudei: «Non è forse scritto nei vostri libri sacri: Io ho detto: ecco, voi siete degli Dei?». Lo so: molti fedeli battezzati vivono non da Dei, ma da bruti; ma ciò non dipende forse, in parte almeno, dal fatto che non hanno mai chiaramente conosciuto la grandezza divina alla quale Dio li ha predestinati? Mentre i Padri della Chiesa, parlando dell’Incarnazione, mille e mille volte ripetevano nei loro discorsi e nelle omelie al popolo: «Dio si è fatto uomo, perché l’uomo diventasse un Dio», noi oggi non siamo più abituati a simile franchezza di linguaggio. Spesso, quasi fossimo degli stoici, e non dei cristiani, ci si raccomanda: «Siate uomini!»; e non si riflette che il primo appello del Cristianesimo è questo: «Divinizzatevi, se volete entrare nel regno dei cieli!». Spieghiamo con limpida precisione in che cosa consista la nostra divinizzazione. Noi possiamo distinguere una duplice classe di figli: a) il figlio naturale; b) il figlio adottivo. L’adozione, come tutti sanno, è l’ammissione di uno straniero in una famiglia, in modo tale che egli diviene membro della famiglia stessa, ne prende il nome ed i titoli, acquistando anche il diritto all’eredità. L’adozione, però, fra gli uomini si limita ad un atto giuridico, mediante il quale uno è assunto come figlio, senza che nell’intimo della sua persona si cambi qualche cosa. Orbene, anche tra i figli di Dio dobbiamo distinguere: a) il Figlio naturale di Dio, la seconda Persona della Trinità, come vedremo, - che, incarnandosi e facendosi uomo, prese il nome di Gesù Cristo; b) i figli adottivi, ossia noi, che Dio non ha voluto lasciare al grado di inchiostro, semplici uomini, con la sola natura nostra umana, ma ha voluto - come dice san Paolo predestinare ad essere suoi figli (non per natura, il che è assurdo, ma per adozione). In tanto noi possiamo dire a Dio: «Padre nostro, che sei nei cieli», in quanto Dio per sua benignità, non per nostro diritto od esigenza, ci ha elevati a questa divinità, adottandoci come figli. Ma mentre nella adozione umana, dove è un uomo che adotta un altro uomo, nessuna trasformazione reale avviene nella persona adottata, qui invece, siccome è un Dio che adotta un uomo e, di conseguenza, siccome non c’è comunanza di natura, Dio ci rende suoi figli adottivi, non già solo con un atto giuridico, ma con un cambiamento, con una elevazione della nostra natura umana, con una dote che investe intrinsecamente l’anima nostra, che oltrepassa ogni sostanza creata e che ci dà il diritto di nominarci e di essere figli di Dio, come dice san Giovanni. Come vedremo nel capo seguente, mediante la grazia, noi diventiamo partecipi della natura divina; siamo innalzati al di sopra della nostra natura; diventiamo simili a Dio; tendiamo a Dio, non più come a semplice autore dell’ordine naturale, ma altresì come all’autore dell’ordine soprannaturale. Chi approfondirà questa parola: «figlio di Dio», capirà tutto il nesso dei dogmi cristiani, l’essenza della vita cristiana, l’anima vera della storia dell’umanità, l’ultimo fine a cui aneliamo. Noi, in seguito, non faremo altro che svolgere questo concetto: la adozione dell’uomo in figlio da parte di Dio, per i meriti di Cristo. Frattanto, appaiono già chiare alcune cose: 1) Mentre nell’ordine naturale sarebbe bastata la ragione, nell’ordine soprannaturale occorreva la rivelazione. Altrimenti, se Dio non ci avesse rivelato questo grande e divino dono del suo amore, come avremmo potuto noi supporlo o esigerlo? L’inchiostro non ha nessuna esigenza ad esprimere un pensiero di Dante; molto e molto meno l’uomo, creatura, poteva avere l’esigenza od il mezzo di diventare figlio adottivo di Dio. 2) Mentre nell’ordine naturale sarebbe bastato osservare la legge morale, scritta da Dio nei nostri cuori, nell’ordine soprannaturale l’attività puramente umana non basta; è indispensabile la grazia, che, elevando la nostra anima, trasformi e divinizzi la nostra attività morale. Materialmente e superficialmente considerato, è identico l’inchiostro nel calamaio e quello sulla carta; ma là non c’è se non materia, qui c’è un pensiero: così, all’occhio del senso, non c’è differenza tra un’azione buona compiuta da una persona in grazia e da un’altra senza la grazia; invece, nel secondo caso (l’autore scrive nel «primo caso», ma crediamo si sia confuso, ndR), come spiegheremo, abbiamo una pura attività dell’uomo, un atto soltanto umano, anche se buono; nell’altro (nel primo caso), abbiamo un’attività divinizzata, di un valore infinitamente superiore, in quanto l’uomo dista infinitamente da Dio. 3) Da ultimo mentre nell’ordine di natura non avremmo avuto nell’altra vita se non una felicità naturale, una cognizione indiretta e analogica di Dio ed un amore corrispondente a tale cognizione, invece nell’ordine soprannaturale tendiamo al Paradiso, che altro non è se non l’eredità dei figli, ossia la partecipazione dei figli alla vita divina, in modo che noi conosceremo Dio intuitivamente come Dio conosce se stesso, ameremo Dio come Dio si ama, godremo Dio come Dio si bea di Sé. Nel paradiso si realizza in modo completo la divinizzazione dell’uomo, quantunque questi non cessi d’essere creatura e sia glorificato in modo rispondente ai suoi meriti. Non si possono confondere i due ordini: l’ordine naturale e l’ordine soprannaturale. Essi sono diversi, quantunque non siano opposti, né rompano l’unità della vita umana. La soprannatura non distrugge la natura, ma la eleva e la perfeziona, e perciò la suppone; la grazia non annienta l’uomo, ma ne è il potenziamento ineffabile. Come la forza elettrica, attraversando un rude filo di metallo, non lo rende inutile, ma di esso si serve per diffondere luce, forza e calore; come il pittore non distrugge i colori, ma della loro materialità si serve per esprimere la visione del suo genio; come l’innesto porta nuova vita all’albero, che non è distrutto, ma vivificato, così il soprannaturale non toglie il naturale, ma, perfezionandolo, lo sublima divinamente. La rivelazione suppone la ragione e le porta nuovi lumi, e lumi divini; la grazia suppone la natura e le arreca una celeste bellezza. Il cristiano non è qualcosa di meno dell’uomo, ma è qualcosa di più: è l’uomo divinizzato, figlio di Dio.

L’ordine naturale e l’ordine soprannaturale. L’uomo nell’ordine soprannaturale. Da Il Sillabario del Cristianesimo, mons. F. Olgiati, Vita e Pensiero, Milano, 1942. SS n° 8, p. 3 - 4