Proseguendo nello studio del Programma del Centro Politico Italiano (stesura del 16-19 marzo 1952;  «Politica cattolica in contrapposto alla mistificazione democristiana», Avv. D’Agostino, pag. 29 segg.), impariamo, al § 6, alcune responsabili ed inascoltate misure per il riassetto dell’economia peninsulare: in progressiva putrefazione sin dall’immediata ascesa degli “eroi del Risorgimento”. Per conoscere le origini del debito, quindi per combattere efficacemente, possiamo guardare già al 9 aprile 1860, quando il giornalista intransigente don Giacomo Margotti («Memorie per la storia de’ nostri tempi dal Congresso di Parigi nel 1856 ai primi giorni del 1863», pagg. 32-36; cf. eleaml.org) scriveva: «Entrate 500 milioni! Viva Cavour! Spese 800 milioni! Viva Garibaldi! Deficit 300 milioni! Viva l’Italia!».

Egli attesta: «In questi giorni vediamo un eloquente contrasto, il Governo clericale del Papa Pio IX, (rapinato) di quasi tutte le sue rendite, avverte i proprii creditori che si presentino a riscuotere gli interessi delle loro cedole, giacché è pronto a pagarli». Nel contempo a Torino, «in questa capitale del regno d’Italia, alcuni nostri amici si presentano per riscuotere il trimestre delle loro pensioni maturato col primo di aprile, sentendosi rispondere dal governo italianissimo: “Passate un’altra volta, non ci sono danari”. E questa risposta si dà pure in Lombardia ai pubblici ufficiali, come ci annunzia il giornate intitolato “II Regno d’Italia”, che ben conosce le finanze italianissime».

Don Margotti commenta: «Il signor Bastogi, già antico cassiere delle finanze di Mazzini e della “Giovine Italia”, ora è venuto a pigliare il governo delle finanze del nuovo regno d’Italia. Egli ha potuto imparare dalla rivoluzione (neopagana risorgimentale) come dilapidare le pubbliche entrate, non come riordinarle. Egli però chiamerà in aiuto l’economia politica del conte di Cavour, quell’economia che ha governato il Piemonte dal 1848 in poi, e che si riduce a mettere imposte e contrarre prestiti».

Il Sacerdote denuncia, dati alla mano, l’immediata incapacità dei rivoluzionari - i cosiddetti “eroi del Risorgimento”: distruttori di ogni ordine, pertinaci odiatori dell’altrui legittima proprietà, proiettati a sanare il debito, da essi stessi procurato, mediante imposte inique e prestiti contratti a servitù di potentati e pseudo-banchieri stranieri. Vecchia patologia che negli ultimi 150 anni ha trascinato l’Italia allo stato quasi terminale: con la definitiva metastasi procurata dalla cessione coatta, ad entità pressoché ignote, della proprietà monetaria nazionale. Prosegue: «I prestiti già contratti sono tali e tanti che nel 1860 si pagarono di soli interessi più di 94 milioni, tuttavia bisogna già pensare ad un nuovo prestito. Le finanze sono una Babilonia, e nessuno ne capisce nulla».

Sul n° 97 dell’8 aprile 1860 l’«Opinione», al servizio del ministero, calcola: «Nel 1860 abbiamo speso 563 milioni. In questo 1861 le spese non saranno inferiori a 800 milioni, e si può dire che saranno 900 milioni, e forse un bilione. E intanto quali saranno le rendite?». Si risponde: «I proventi di tutto il regno, compreso Napoli e Sicilia, per il 1861 non possono oltrepassare 510 a 520 milioni. V’è più ragione di temere che non si raggiungerà la somma, che da sperare possa essere oltrepassata. Si avrà dunque un disavanzo di 300 milioni. Se mai scoppiasse la guerra, il disavanzo non potrebbe che aumentare». L’ex-cassiere della “Giovine Italia” ci darà questo primo bilancio del nuovo “regno d’Italia”. Purtroppo siamo rimasti nelle mani di tali soggetti, anzi di peggiori.

Carlo F. D’Agostino, dicevamo, consapevole del disastro, prevede nel suo Programma le seguenti misure di finanza: «Riduzione del sistema tributario a tre sole imposte: la Imposta Immobiliare, quella Mobiliare, quella Doganale. La Imposta Immobiliare da applicarsi sul valore accertato (solamente di alcuni immobili ...), a spese del contribuente, da apposite Commissioni ogni cinque anni (…). La Imposta Mobiliare, sul denaro, titoli azionari, crediti e beni mobili, esclusi quelli posseduti per sola ragione di commercio: imposizione sul valore denunciato, con inventario, dal contribuente, con la garanzia di sanzioni penali in caso di evasione. La Imposta Doganale, sulle merci importate, con intento principalmente di tutela del lavoro e dell’economia nazionale, favorendo l’importazione delle (sole) materie prime non economicamente sostituibili, e gravando invece sui prodotti manufatti provenienti da Paesi che pongano restrizioni all’immigrazione di mano d’opera italiana».

Per gestire adeguatamente le spese di assistenza sociale, al § 7 prevede: «L’abolizione dell’obbligatorietà della Previdenza Sociale (demandando cristianamente le opere di vera misericordia corporale a chi e come competono - già lo abbiamo studiato), con conseguente soppressione di tutti i contributi assicurativi obbligatori. L’interesse dei lavoratori sarà garantito, oltreché dal fiorire di libere (sincere e rigorose) forme previdenziali, dai benefici derivanti dalle riforme sociali nei rapporti tra datori e prestatori d’opera, che eleveranno le possibilità economiche di questi ultimi (a parte il miglioramento generale della prosperità a seguito delle riforme fiscali e dell’alleggerimento tributario); il risparmio inoltre, sarà rigidamente tutelato dalla riforma monetaria, che dovrà assicurare la stabilità della moneta».

Al § 12 vuole: «L’eliminazione dei troppi servizi statali superflui, e di tutti gli interventi economici diretti ed indiretti dello Stato, paurosamente moltiplicatisi per l’inveterato malvezzo di perseguire col pubblico denaro privati interessi, permetterà un notevolissimo alleggerimento dell’onere fiscale e quello sviluppo di vitalità economica che è premessa di una ripresa di prosperità». Prosegue …

Carlo Di Pietro da Il Roma