Teologia Politica n° 40. Obiezione numero Otto. Gli araldi dell’Evangelo contro i materialisti

Siamo finalmente giunti all’ultima obiezione, la numero otto, stando all’investigazione di mons. Guerry in La Dottrina sociale della Chiesa (Ares, Imprimatur 1958, pag. 50). Alcuni sostengono che «questi insegnamenti dei Sommi Pontefici non costituiscono propriamente una dottrina, nel senso in cui si usa tale termine per indicare il marxismo, il liberalismo, il fascismo […] Sarebbe meglio indicarli come esigenze del cristianesimo in materia sociale […]». Non essendo una “dottrina” ma “filosofie, idee”, pertanto la Dottrina sociale cesserebbe di essere e non sarebbe moralmente vincolante.

L’autore, che a questo punto dobbiamo citare quasi per intero, ritiene: «1) È verissimo che la parola “Dottrina sociale” della Chiesa non ha il medesimo significato della parola “dottrina” applicata ad un sistema economico o ad un partito politico. In questo ultimo caso si tratta di un programma di ordine tecnico nel campo esclusivamente temporale. Ma è proprio questo che la Chiesa rifiuta di dare lasciandone il compito ai poteri pubblici […]. 2) Se la Gerarchia tiene alla parola “dottrina” è anzitutto perchè l’abbandono di questo termine tradizionale “Dottrina sociale” rischierebbe di portare in breve all’abbandono dell’idea stessa dell’insegnamento della Chiesa in materia sociale ed anche, gradatamente, ad ignorare il suo diritto di aver[la] e di insegnarla. 3) E anche perchè, secondo la terminologia più esatta che si esprime correttamente, il termine “dottrina” ha un senso molto preciso nel linguaggio della Chiesa. Etimologicamente infatti significa un insegnamento (docere). Ora, la missione dell’insegnamento delle verità morali e religiose è stata affidata [diritti e doveri di cui abbiamo già scritto, ndR] da Gesù Cristo al vivo Magistero della sua Chiesa: il Papa ed i Vescovi in unione a Lui. È tale Magistero che ha ricevuto la missione di […] applicare quei principi ai problemi sociali di ogni epoca. La soluzione non è dunque nel rifiuto del termine “Dottrina sociale”: è in un’applicazione precisa e chiara della parola stessa quale la Chiesa [la] definisce» (Op. cit., pag. 51).

Scrive Papa Pio XII nella Lettera del 14 luglio 1945 a Charles Flory (sen. francese): «Per conto nostro ci siamo fatti un dovere, pur nel pieno delle ostilità, di ammonire i popoli ed i loro capi che dopo simili sconvolgimenti avrebbero dovuto edificare un ordine economico e sociale più adeguato alle leggi divine ed insieme alla dignità umana, riunendo le esigenze della vera equità ed i principi cristiani in una stretta intimità, unica garanzia di salvezza, di pace per tutti».

Nella sua prima Enciclica, la Summi Pontificatus (20 ottobre 1939), tuona il Pontefice: «[…] innanzi tutto, è certo che la radice profonda ed ultima dei mali che deploriamo nella società moderna sta nella negazione e nel rifiuto di una norma di moralità universale, sia della vita individuale, sia della vita sociale e delle relazioni internazionali; il misconoscimento cioè, così diffuso ai nostri tempi, e l’oblio della stessa legge naturale, la quale trova il suo fondamento in Dio, creatore onnipotente e padre di tutti, supremo ed assoluto legislatore, onnisciente e giusto vindice delle azioni umane. Quando Dio viene rinnegato, rimane anche scossa ogni base di moralità, si soffoca, o almeno si affievolisce di molto, la voce della natura, che insegna, persino agli indotti e alle tribù non pervenute a civiltà, ciò che è bene e ciò che è male, il lecito e l’illecito, e fa sentire la responsabilità delle proprie azioni davanti a un Giudice supremo».

Nella Auspicia Quaedam, Enciclica del 1° maggio 1948, Papa Pacelli sollecita ad «innalzare incessantemente preghiere al cielo [alla Vergine Maria, ndR]», poiché: « soltanto da questo presupposto è lecito sperare che il corso delle cose e degli avvenimenti, nella vita pubblica come in quella privata, possa essere indirizzato secondo il retto ordine e che agli uomini sia dato di conquistare, con l’aiuto di Dio, non solo la prosperità possibile in questo mondo, ma anche la felicità celeste, che non verrà mai meno».

Nella Evangelii Præcones, Enciclica del 2 giugno 1951, il Papa nuovamente esorta i cattolici di tutto il globo a “serrare i ranghi”. Afferma difatti: «[…] oggi quasi tutta l’umanità va rapidamente dividendosi in due schiere opposte, con Cristo o contro Cristo. Il genere umano al presente attraversa una formidabile crisi che si risolverà in salvezza con Cristo o in funestissime rovine. L’alacre opera dei predicatori dell’Evangelo s’adopera, sì, a diffondere il regno di Cristo; ma vi sono altri banditori, che predicano il materialismo e, rigettando ogni speranza di un’eternità beata, cercano di ridurre gli uomini a una condizione di vita quanto mai indegna. A più forte ragione quindi la Chiesa cattolica, madre amorosissima di tutti gli uomini, chiama a raccolta tutti i suoi figli sparsi in ogni parte del mondo, perché cerchino secondo le possibilità di collaborare con gli araldi dell’Evangelo […]».

Ancora, la Somma Maestà evidenzia la netta contrapposizione fra il regno di Dio e quello di Satana nella Ad sinarum gentem, Lettera Enciclica del 7 ottobre 1954, dove, in conclusione, sprona alla tempra la Chiesa di Cina vittima delle persecuzioni comuniste, accusata inoltre di fare politica sovversiva: «Vogliamo […] ripetutamente congratularci con coloro che, sopportando penose difficoltà, si sono distinti nella fedeltà verso Dio e verso la Chiesa cattolica e, perciò, “sono stati fatti degni di patire contumelie per il nome di Gesù” (At. 5,41); con animo paterno li incoraggiamo a continuare forti e intrepidi nel cammino iniziato, tenendo presenti le parole di Cristo: “[…] Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; ma piuttosto temete chi può far perdere nella Geenna e anima e corpo. […] I capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete dunque. […] Chi dunque mi avrà confessato davanti agli uomini, lo confesserò anch’io davanti al Padre che è nei cieli; ma chi mi avrà rinnegato davanti agli uomini, lo rinnegherò anch’io davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mc 10,28.30-33)».

Carlo Di Pietro da ControSenso Basilicata