Comunicato numero 113. Il deserto e le tentazioni

Stimati Associati e gentili Sostenitori, il giorno 18 maggio 2018 abbiamo donato ai carcerati di Potenza numero 10 copie del libro di Padre J. B. Lemius «Catechismo sul Modernismo». Ci siamo altresì impegnati nel consegnare, la prossima settimana, al cappellano del carcere una copia del «Catechismo di San Pio X» commentato dal Padre Dragone, prezioso volume utile alle istruzioni catechetiche di vero cattolicesimo. Nei giorni 12 e 13 maggio molti di noi hanno avuto la grazia - e la volontà - di partecipare al pellegrinaggio Osimo-Loreto 2018. È stato un momento di preghiera, di devozione e di formazione che reputiamo indispensabile, dunque ne consigliamo la partecipazione annuale a tutti gli Associati. Un’ultima comunicazione di servizio. Si avvicina il periodo di compilazione della dichiarazione dei redditi: è possibile destinare il 5x1000 a Sursum Corda inserendo nell’apposita casella il codice: 01944030764. Veniamo alla formazione. L’Abate Giuseppe Ricciotti - pace all’anima sua! - oggi ci parla di: «Deserto e tentazioni». 

• § 271. Compiendo su di sé il rito del suo precursore, Gesù si ricollegava all’operosità di lui ed iniziava la propria. Ma ogni grande impresa è preceduta da una preparazione prossima, oltre a quella remota, e Gesù accettò anche questa comune norma e premise al suo ministero pubblico un periodo di preparazione. Il periodo durò quaranta giorni. Quaranta, infatti, è un numero tipico nell’Antico Testamento, e riferito a giorni o ad anni ricorre in molti casi biblici: i più analoghi al nostro sono quello di Mosè, che stette sul monte Sinai alla presenza di Jahvè 40 giorni e 40 notti: pane non mangiò e acqua non bevve (Esodo, 34, 28), e l’altro di Elia che dopo aver mangiato il cibo apportatogli dall’angelo camminò per la forza di quel cibo 40 giorni e 40 notti fino in Horeb, monte di Dio (I [III] Re, 19, 8). Di Gesù è narrato che, dopo il suo battesimo, fu condotto su nel deserto dallo Spirito per essere tentato dal diavolo; e avendo digiunato 40 giorni e 40 notti, dopo ebbe fame (Matteo, 4, 1-2). Non è da pensare che questo di Gesù fosse l’ordinario digiuno giudaico rinnovato per 40 giorni di seguito: il digiuno giudaico obbligava fino al tramonto del sole, ma al calare della sera si prendeva cibo (come ancora oggi presso i musulmani nel Ramadan), mentre il digiuno di Gesù è ininterrotto per 40 giorni e 40 notti, appunto come quelli di Mosè e di Elia. È evidente che il fatto è presentato come assolutamente soprannaturale. Inoltre, l’informatore dal quale la catechesi primitiva ha saputo il fatto non può essere stato altri che Gesù. In quei 40 giorni infatti egli rimase senza alcun testimonio; era con le fiere come dice Marco (1, 13), il quale riassume in poche parole questo periodo quadragesimale esposto più ampiamente dagli altri due Sinottici. Perciò la scarsezza di precisione, e soprattutto il carattere soprannaturale dei singoli episodi, rendono questa quadragesima arduissima a spiegarsi, molto più di altre pagine evangeliche su cui oggi tanto si discute; ma le pagine oggi tanto discusse passeranno certamente in seconda linea quando un certo spiritualismo - fosse anche non cristiano - avrà sostituito il greve positivismo imperante oggi sugli studiosi, al contrario la quadragesima del deserto rimarrà per qualunque tempo e per qualunque mentalità un libro chiuso di cui è dato leggere in tralice solo poche parole. Tuttavia il titolo del libro, ossia il suo contenuto generico, è ben leggibile; e fu esattamente decifrato appunto dalla catechesi primitiva, la quale ammoni: Non abbiamo un sommo sacerdote incapace di compatire alle infermità nostre, bensì uno tentato in tutte le cose a somiglianza (nostra), senza peccato (Ebrei, 4, 15; cfr. 2, 17-18). In altre parole per la catechesi primitiva il significato, generico ma genuino, della quadragesima nel deserto fu che Gesù permise di esser tentato per compiere la somiglianza con i suoi seguaci, esposti egualmente a tentazione, e per dare ad essi un esempio e un conforto nelle loro infermità: la quale interpretazione, oltre tutto il resto, corrisponde ad una ben fondata norma psicologica. Questo, il titolo del chiuso libro come fu letto dai primi diffusori della buona novella: la lettura dei suoi tre capitoli fu lasciata alle possibilità e all’abilità dei singoli.

• § 272. Il luogo ove Gesù passò questa quadragesima è, secondo una tradizione attestata nel secolo VII ma risalente forse al IV, il monte chiamato oggi dagli Arabi «della Quarantena» (Gebel Qarantal) e la cui cima ai tempi dei Maccabei era chiamata Dūq («osservatorio»); quella cima, su cui stava il fortilizio ove fu assassinato Simone, ultimo dei Maccabei, s’eleva circa 500 metri sulla vallata del Giordano, e tutto il monte chiude verso occidente questa vallata sovrastante a Gerico; il luogo è sempre stato più o meno deserto, e solo dal secolo V le grotte che s’aprono numerose lungo le pendici del monte servirono da stabile dimora a monaci bizantini. Se dunque Gesù fu battezzato nel Giordano circa all’altezza di Gerico - com’è probabile (§ 269) - il cammino dal luogo di battesimo a quello del ritiro fu di pochi chilometri. Quoties inter homines fui, minor homo redii, esclamerà a Roma alcuni anni più tardi un filosofo la cui pratica non s’accordava con la teoria. Gesù, alla vigilia di entrare fra gli uomini, sta lontano totalmente da essi per 40 giorni, quasi per fare ampia provvista di quella umanità di cui gli uomini erano privi e ch’egli avrebbe diffuso tra loro. Le condizioni straordinarie, anche fisicamente, in cui Gesù passò quei 40 giorni, sembrano potersi intravedere dalle parole dei due Evangelisti, secondo le quali egli ebbe fame dopo quei giorni (Matteo, 4, 2) ossia finiti che furono quelli (Luca, 4, 2). In precedenza, dunque, non sentì egli lo stimolo della fame? Passò egli forse la quadragesima in condizioni di estasi così alta ed astratta, che i procedimenti organici della vita fisica erano quasi sospesi? Sono domande, queste, a cui lo storico non ha elementi da rispondere, e lascerà liberamente il campo, più che al teologo, al mistico.

• § 273. Avvertita la fame dopo i 40 giorni, si presenta a lui il tentatore, chiamato soltanto Satana (§ 78) da Marco, soltanto diavolo da Luca, con ambedue i termini nella narrazione di Matteo. La riassuntiva narrazione di Marco non specifica le singole tentazioni, come del resto non fa alcun accenno neppure al digiuno; negli altri due Sinottici le tentazioni sono tre, ma enumerate secondo una serie differente: la serie seguita da Matteo sembra preferibile. Il tentatore gli disse: Se figlio sei d’Iddio, di’ che questi sassi diventino pani! - Ma egli rispondendo disse: Sta scritto «Non di pane solo vivrà l’uomo, ma d’ogni parola uscente per la bocca di Dio» (Matteo, 4, 3-4). Il passo citato sta in Deuteronomio, 8, 3, e la citazione è fatta da Matteo conforme al greco dei Settanta; ma Gesù citò certamente conforme all’originale ebraico, il quale suona «Non di pane solo vive l’uomo; ma di tutto ciò che esce dalla bocca di Jahvè vive l’uomo». Queste ultime parole si riferiscono alla manna, menzionata ivi poco prima, ch’era stata prodotta per ordine della bocca di Jahvè onde nutrire gli Ebrei nel deserto. Il tentatore aveva sfidato Gesù ad impiegare il potere taumaturgico, ch’egli aveva come figlio di Dio, per ottenere uno scopo raggiungibile con mezzi non taumaturgici; Gesù risponde che il pane necessario può essere ottenuto, oltreché per i soliti mezzi umani, anche per predisposizione divina come nel caso della manna, senza impiegare sconsideratamente poteri taumaturgici per istigazione altrui. La mira del tentatore, che aveva voluto esplorare se Gesù fosse ed avesse coscienza d’esser figlio di Dio, era fallita; la sua istigazione ad operare un miracolo superfluo era rimasta inefficace; la cura del sostentamento materiale, a cui il tentatore aveva subordinato il potere taumaturgico, era invece subordinata da Gesù alla provvidenza di Dio.

• § 274. La seconda tentazione, come anche la terza, si svolgono in una sfera tutta sovrumana. Allora il diavolo lo prende seco (conducendolo) nella santa città e lo collocò sopra il pinnacolo del tempio, e gli dice: Se figlio sei d’Iddio, gettati giù; sta scritto infatti «Agli angeli di lui darà ordine riguardo a te, e sulle mani ti solleveranno affinché mai tu urti contro un sasso il piede tuo». Disse a lui Gesù: Sta scritto pur anche «Non tenterai il Signore, il Dio tuo» (Matteo, 4, 5-7). La città santa, com’è chiamata ancor oggi dagli Arabi (el Quds), è Gerusalemme, nominata esplicitamente nel parallelo Luca; il pinnacolo del tempio - non del santuario - era l’angolo dove il «portico di Salomone» si congiungeva col «portico regio» (§ 48), che sovrastava altissimo alla valle del Cedron. Il diavolo invita dunque Gesù ad una prova messianica: se egli è il figlio di Dio, ne sarà una splendida dimostrazione davanti al popolo affollato negli atrii del Tempio quella di gettarsi nel vuoto, giacché gli angeli accorreranno a sostenere il lanciato Messia, si che tocchi terra dolcemente come foglia staccatasi da un albero e che cali cullata da un venticello. Sotto l’aspetto storico si riscontra che l’opinione del diavolo non era solitaria, bensì condivisa da molti Giudei contemporanei. Un ventennio più tardi, sotto il procuratore Antonio Felice (anni 52-60), i taumaturghi messianici pullularono come fungaia e ne fu uccisa dai Romani una gran moltitudine; così dice Flavio Giuseppe (Guerra giud., Il, 259 segg.), il quale ricorda in particolare che un falso profeta egiziano, raccolti migliaia di seguaci sul Monte degli Olivi, aveva promesso che di là sarebbe entrato nella sottostante Gerusalemme sbaragliando i Romani, certo in virtù di qualche strabiliante aiuto celestiale. In sostanza, l’egiziano seguiva il consiglio dato dal diavolo a Gesù, con la sola differenza che il gran giuoco di prestigio messianico sarebbe avvenuto nel lato orientale della valle del Cedron, invece che sul lato occidentale dov’era il pinnacolo del Tempio. Come aveva fatto Gesù nella tentazione precedente, anche il diavolo questa volta cita la Scrittura, cioè il Salmo 91 (ebr.), 11-12. Ma, come osserva ironicamente San Girolamo, il diavolo qui si dimostra cattivo esegeta, perché il Salmo promette la protezione divina a chi si comporti da pio ed osservante, non già a chi provochi arrogantemente Dio. La nuova citazione di Gesù, presa dal Deuteronomio, 6, 16, rettifica il contorcimento scritturistico del diavolo. In che maniera avvennero questa tentazione e quella seguente, in maniera reale ed oggettiva o soltanto in suggestione e visione soggettiva? Dal Medioevo si cominciò a credere che tutto avvenisse in visione, perché si giudicò indegno del Cristo che fosse trasportato dal diavolo qua o là e rimanesse anche limitatamente in potere di lui. Gli antichi Padri, tuttavia, non trovarono in ciò alcuna difficoltà, e interpretarono comunemente i fatti come reali ed oggettivi. Con i Padri, inoltre, sembra che abbia pensato anche Luca, allorché chiudendo il racconto di tutte e tre le tentazioni accenna velatamente ai fatti della passione di Gesù come a nuovi assalti del diavolo (§ 276): e la passione fu costituita indubbiamente da fatti reali ed oggettivi.

• § 275. Nuovamente il diavolo lo prende seco (conducendolo) in un monte elevato assai, e gli mostra tutti i regni del mondo e la loro gloria, e gli disse: Queste cose ti darò tutte quante, se caduto (ai miei piedi) mi adori! - Allora gli dice Gesù: Vattene, Satana! Sta scritto infatti «(Il) Signore il Dio tuo adorerai, e a lui solo renderai culto» (Matteo, 4, 8-10). A questa relazione Luca (4, 5-8) aggiunge alcuni particolari: cioè, che la visione di tutti i regni del mondo avvenne in un punto di tempo o come diremmo noi «in un batter d’occhio»; inoltre, che il diavolo mostrando la possanza dei regni e la loro gloria dichiarò perché a me è stata concessa e a chi voglio la do. In quest’ultima dichiarazione il padre della menzogna mentiva forse meno dell’ordinario; ad ogni modo il millantato credito era evidente, poiché nella sacra Scrittura era stato affermato molte volte che tutti i regni della terra appartenevano, non già al diavolo, ma a Jahvè Dio d’Israele (Isaia, 37, 16; II Cronache, 20, 6; ecc.) e insieme al suo Messia (Daniele, 2, 44; Salmo 72 ebr., 8-11; ecc.). È notevole però che in questa terza tentazione, narrata come seconda da Luca, il diavolo non ripete la proposizione condizionale di sfida se figlio sei d’iddio, con cui aveva cominciato le altre due volte; si era egli forse convinto del contrario, ovvero in quest’ultimo e più violento assalto giudicò inutile quella formula dubitativa? Non ne sappiamo nulla, come nulla sappiamo del monte elevato assai su cui avvenne la visione dei regni e che da Luca non è neppur ricordato; pensare al Tabor o al Nebo, come fecero alcuni commentatori del passato, è da inesperti della Palestina perché quei due monti sono d’altezza modesta - il Tabor di 562 metri sul Mediterraneo, e il Nebo di 835 metri - e chi è salito su quelle due cime sa benissimo che il panorama non s’estende neppure a tutta la Palestina; ma anche se fosse stato il Monte Bianco o un altro anche più elevato non si sarebbero certamente scorti tutti i regni del mondo per visione naturale. Fu dunque una visione, avvenuta sì in cima all’ignoto monte, ma ottenuta con mezzi preternaturali a noi ignoti. Al tentato, il diavolo richiede l’omaggio che si usava con i monarchi della terra e col Dio del cielo, quello di prostrarsi a terra adorando: è l’atto di chi si ritiene moralmente più basso dell’adorato, e ne accetta la superiorità su di sé. Alla proposta Gesù risponde citando la Scrittura, cioè Deuteronomio, 6, 13, che giace nel contesto da cui è tolta la prima parte dello Shema (§ 66); tuttavia il passo citato suona nell’originale ebraico alquanto diversamente da come è allegato nei due Sinottici, cioè Jahvè Dio tuo temerai, e lui servirai, sebbene il senso dell’allegazione evangelica sia implicito nell’originale ebraico.

• § 276. Tutte e tre le tentazioni mostrano una chiara relazione con l’ufficio messianico di Gesù, al quale contrastano. La prima lo vorrebbe indurre ad un messianismo comodo ed agiato; la seconda, ad un messianismo raccomandato a vuote esibizioni taumaturgiche; la terza, ad un messianismo che si esaurisca nella gloria politica. Come Gesù ha superato adesso queste tre tentazioni, così nella sua operosità successiva continuerà a contraddire ai principii su cui esse si fondano. Dopo la terza tentazione Matteo aggiunge che il diavolo, quasi per eseguire il comando di Gesù «Vattene, Satana!», effettivamente si partì da lui, ed ecco che gli angeli si fecero dappresso e ministravano a lui (Matteo, 4, 11). Luca non accenna agli angeli, ma offre una particolarità riguardo alla partenza del diavolo, il quale si allontanò da Lui fino a tempo (opportuno) (Luca, 4, 13). Non c’è da ingannarsi su questo tempo (opportuno): è la futura passione di Gesù, allorché egli esclamerà rivolto alla turba di Giuda questa è l’ora vostra e la potestà della tenebra (Luca, 22, 53), e allorché Satana entrerà nell’interno di Giuda (ivi, 3) e vaglierà gli Apostoli come grano (ivi, 31). In quell’occasione Gesù dirà agli Apostoli di pregare per non entrare in tentazione (ivi, 40), ed egli stesso, entrato nella suprema angoscia, pregherà più intensamente (ivi, 44); ora appunto in quell’occasione Luca, che non ha ricordato gli angeli ministranti a lui dopo le tre tentazioni, parlerà dell’angelo disceso dal cielo per confortarlo (ivi, 43). La passione dunque, nel pensiero di Luca, fu il tempo (opportuno) riservatosi da Satana per muovere il più violento e l’ultimo assalto. Il libro usato è  «Vita di Gesù Cristo» - Imprimatur 1940, 7a Edizione, Rizzoli & C. Editori, Milano e Roma, 1941, dell’Abate Giuseppe Ricciotti. Fine.

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Da «Vita di Gesù Cristo», Imprimatur 1940, Giuseppe Ricciotti (preghiamo l'Eterno riposo ...), 7a Edizione, 32° - 36° migliaio, Encomio solenne della Reale Accademia d’Italia, Rizzoli & C. Editori, Milano - Roma, 1941.