ATTO DI DONAZIONE DELLE RELIQUIE DI SANT'ANSELMO MARTIRE ALL'UNIVERSITA' DI VIETRI (fonte)

Vietri, 25 aprile 1616

Giovanni de Sangro, cavaliere dell'Ordine di San Giacomo nonchè signore di Abriola e di Castel Glorioso, dona all'università di Vietri, il corpo, le ossa e le reliquie di Sant'Anselmo martire, fatti venire per iniziativa di suo padre dalla città di Roma. La consegna viene fatta nei locali del convento di San Francesco, nelle mani del sindaco di Vietri Ascanio Fontana Rosa e degli Eletti al governo della predetta università, i quali accettano il corpo di Sant'Anselmo quela protettore, intercessore e avvocato nel cielo. Pubblichiamo l'atto di donazione rogato dal notaio Marcello de Marco, di Vietri, conservato negli archivi notarili dell'Archivio di Stato di Potenza, vol. 174, cc 113r-114v. Pubblichiamo, inoltre, la trascrizione dell'atto fatta dalla dott.ssa Valeria Verrastro, direttrice dell'Archivio di Stato. Entrambi gli atti sono stati donati dal sindaco Carmine Grande al parroco mons. Francesco Parrella nella cerimonia avvenuta nella sala convegni il 25 aprile 2015.

 

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 TRASCRIZIONE DELL'ATTO DI DONAZIONE DELLE RELIQUIE DI SANT'ANSELMO MARTIRE ALL'UNIVERSITA' DI VIETRI (fonte)

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A CURA DEL CENTRO STUDI VINCENZO LUDOVICO GOTTI (di SVRSVM CORDA ®):

Vietri, 25 aprile 1616

Giovanni De Sangro, cavaliere dell’Ordine il S. Giacomo nonché signore di Abriola e di Castel Glorioso, dona all’Università di Vietri il corpo, le ossa e le reliquie di sant'Anselmo martire, fatti venire per iniziativa di suo padre dalla città di Roma. La consegna viene fatta nei locati del convento di S. Francesco, nelle mani del sindaco di Vietri Ascanio Fontana Rosa e degli eletti al governo della predetta Università, i quali accettano il corpo di sant'Anselmo quale loro protettore, intercessore e avvocato nel cielo.

In nomine Domini amen.

Die 25 mensis aprelis 14 indictionis 1616 Vetri et caetera, et proprie in mona[sterio] / Santi Francisci Ordinis Cappuccinorum. /

Nella nostra presenza personalmente costituito l’illustrissimo signor don Giovanni / de Sangro cavalliero del'Ordine de San Giacomo, et util signore de[lla] / terra dell’Abriola et del’ Castello Glorioso, il quale volendo [dotare] / questa università et homini d’essa non solo con benefitiis, favori et / aggiuti temporali, sincome di continuo ha fatto, ma ancora favo/rirla et farla degna di doni et prerogative spirituali, ha / procurato con l'aggiuto, mezzo, diligenza et non poco spesa dello / illustrissimo signor suo patre far trasportare et venire dalla cità / de Roma in questa terra il corpo, ossa et reliquie del glori[oso] / santo Anselmo martire, del quale corpo, ossa et reliquie volen/do degnarsi decorare detta università, hoggi esso illustrissimo signor don Giovanni / gratiosamente quello dona, et per titulo de donatione irrevocabili / tra vivi lo consegna ad Ascanio Fontana Rosa sinnico, dotto[re] / Virgilio Mauro, Giovanni Girardello, Angelo Mazzetta, Colangelo d[e] / Marco, et Lelio de Baldo eletti nel presente anno al regimento / di detta università, presenti, accettanti et recipienti in nomine de det[ta] / università et successori di quella il detto corpo del glorioso santo Anselmo / per protettore, intercessore et avocato nel’ cielo; alli pregh[iere], / intercessioni et orationi del quale essa università et homini di [essa] / possano racomandarsi per ottenere et impetrare grati(e), / favori nelle loro necessità et occurrentie. Da collocarsi e [te]/nersi il detto glorioso corpo nel’altaro della cappella [di santo] / Tomaso iuspatronato d’essa università costrutta dentro [la ecclesia] /

di Santo Nicola matre chiesa di detta terra, con l’infrascritti / patti, conditioni et permissioni che segueno, videlicet. /

Prometteno essi sinnico et eletti in nomine d’essa università et successori / di quella nel detto altaro dove sarà riposto il detto corpo, far / celebrare ogn’anno imperpetuum nel dì della sua translatione, / Natività o martirio, una messa solenne con il vespro nella / vigilia, et di più in ciaschedun mese similiter imperpetuum / due altre messe lette. /

Prometteno ancora far stare giorno e notte in perpetuum / una lampa accesa avante il detto altare, et un altra lampa / dentro l’istesso altaro dove starà riposto il detto glorioso corpo / nelle festività sollenne, come sono, le feste mobile, della / Madonna Santissima, della Natività del Signore con l’altre seguen[ti] / di San Stefano, San Giovanni et Innocenti, il dì della Circoncisione / del’ Signore, dell’Apostoli, San Lorenzo, Santo Nicola et Santo / Francesco. Et acciò questo servitio se faccia con la / debita attentione, prometteno essi sinnico et eletti in nome / di detta università, eliggere, creare et costituire ogn’anno un / sacerdote quale habia da celebrare dette messe, haver pensiero / delle predette lampe et ornar l’altaro, con riserba però / di potere infra annum mutarlo non le paresse idoneo. /

Si che da hoggi avante et in perpetuo il detto glorioso corpo / de santo Anselmo sia in dominio d’essa università, heredi e successo[ri] / ciò è a quello ben custodire, conservare et reverire et quello / o parte d’esso etiam pro minima vendere, alienare, donare / et permutare in modo nesciuno, o dal detto altaro dove / sarà collocato et reposto ammoverlo, eccetto che in caso / essa università volesse erigere cappella particolare per detto / glorioso corpo et non altrimente quia sic et caetera, promettendo es[so] / signore illustrissimo la detta donatione haverla sempre rata [et] / fìrma et quella non revocare per vitio d’ingratitudine / o per causa di qualsivoglia raggione et modo, ancorché eccede / summa et valore de ducati cinquicento, la quale donatione non si / reputi per una ma per più fatte in diversi lochi e tempi / infra la summa dalla raggione promessa, et che in quella / non sia recessa insinuatione alcuna, ma habia efficacia / cossì come fosse fatta in presenza di qualsivoglia giodice / ecclesiastico o secolare, con decreto, insinuatione et autorità / d’esso et in ogn’altro suo mezzo. /

Et accorrendo detta donatione potersi revocare per qualsivoglia / causa et raggione vole esso signore che detta revocatione non habia / effetto nullo, ma tante volte de novo dona quante volte / se potesse ut supra revocare et caetera, renuntiando espressamente solamente esso / signore alla l(egi) fin(ali) et toti titulo ac l(egi) si unquam codice de revocandis / donationibus ac l(egi) de insinuandis donationibus et ipsi insinuationi et caetera. /

Dandono potesta esse parte a me preditto notare nel presente contra[ctus] / potter apponere tutte clausule solite et consuete apponersi / de stilo de notari residentes nella cita de Napoli. /

Et per osservanza delle cose predette detto illustrissimo signor don Giovanni obliga / sua signoria illustrissima et sui illustrissimi heredi et caetera et beni presenti et futuri / et detti sinnico et eletti se stessi in nome de detta università, / heredi e successori di quella, e loro beni alla pena d’onse / d’oro cento, mediante et caetera, potestate capiendi et caetera, costitutione precarii et caetera, et / renuntiaverunt et caetera, iuraverunt et caetera. /

Presentibus: indice Felice Mazzarella / reverendo donno Ascanio Forziato / donno Fabritio Palma / donno Federico Coluccia / Ascanio Marone / dottore Bernardino de Marco / dottore Anselmo Muccio / donno Nicolao di Spera di Santo Angelo de Fratta / donno Nuntiante dello Russo / donno Laurentio Marchetto terre Sassi / Pompeo Marone et Marcello de Marcus. 

(Documento conservato in: Archivio di Stato di Potenza, Archivi notarili, Distretto di Potenza, I versamento, notaio Marcello De Marco di Vietri, vol. 174, cc. 113r-114v.)


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Delle vite de gli huomini illustri di S. Domenico parte prima (-seconda). Di F. Gio. Michele Piò bolognese lettore teologo domenicano: Seconda parte, Volume 2. Giovanni Michele Piò. Appresso Giacomo Giovanni Ardizzoni & Gio. Battista de Rossi, 1613. Con licenza de' Superiori 

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Altri passarono in Costantinopoli e, e ridussero il Paleologo Imperatore dell'Oriente, alla unione la Quartadecima volta della Chiesa Orientale con l'Occidentale; Vi fu anco tra i Peregrinanti, Frate Gherardo, che fu poi il primo Vescovo di Russia, Frate Bernardo, che poscia fu il primo Arcivescovo d'Alicia, ambi compagni di Santo Giacinto, il Beato Fra Anselmo, F. Alessandro, F. Alberto, F. Simone, che l'anno 1245. da Innocenzo IV. furono mandati al Concilio di Lione, al gran Cane de Tartari; imperocche essendo venuti il Rè come s'è detto, & alcuni grandi del Regno al predetto Concilio, e quì battizzati dal Pontefice, il Papa a loro preghiere vi destinò un Legato a latere, e questo fu il B. Anselmo predetto, a cui diede i tre nominati per compagni, & alcuni Padri Francescani, a fine, che vedessero di convertire alla fede il gran Cane Imperator loro, & quella barbara gente, il che seguì, perché egli si ridusse alla Fede di Chrsito, l'anno 1246. & innumerabili tartari con esso, come si coglie da Gherardo nel settimo libro, ove racconta, che passando nel 1249. San Lodovico Rè di Francia con l'armata di Cipro, intese da alcuni Tartari, che il gran Cane con una gran moltitudine di nobili, e plebei s'era fatto Christiano. Morì in Persia questo Beato Anselmo, havendo sparso il sangue colà per Christo, mentre che con ardentissimo spirito, procurava la seconda volta, che vi passò, di ridurre quelli Idolatri al vero culto di Dio. Vedesi in certi intagli della B. Vergine di Chiaromonte, di Martino Barone, stampati in Roma, il nome di questo Servo di Dio col titolo di beatitudine, con queste parole, per testimonio del Bzovio. B. Anselmus Ordini Pradicatorum, F. Ioannes de Plano, F. Benedictus ordinis S. Francisci, Nuntij Apostolici in Perside multa pro Christo passi, & alij pro Christi fide occisi. Di questo Anselmo, & della nonciatura, che egli fece in Persia ai Tartari, discorre a longo, F. Feranado del Castiglio nella Centuria alla prima Parte, al libro 2 nel Capitolo 27. & lo chiama Ascellino, e vuole che egli arrivasse in Persia del 1247. alli 24. di Maggio havendo passati per il viaggio incredibili travagli di fame, e di sete, di freddo, & d'altri perigli d'huomini, e di bestie, che stesse un'anno in Persia, tra quei barbari in continuo timore, d'essere ucciso, per non aver mai voluto adorare Baitnoit Capitano dei Tartari, ne il gran Cane, come Dio in terra, con continue ingiurie, e villanie, e senza altro cibo, che di pane dato loro a misura, & alquanto di latte, hora di Asina, hor di Vacca, che perciò non avesse mai udienza, ne risolutione alcuna, & che non facesse  altro frutto allhora, che patire per amor di Dio, havendo consumati nel viaggio tra l'andare, stare e tornare, tre anni, e sette mesi, il che è differente da quello, che accenna Genebrando, e inferisce il Bzovio. Vedasi il predetto Capitolo di Fra Ferdinando, che è cosa curiosa, e notabile. 


Storia universale delle Missioni Catoliche dal secolo XIII sino ai tempi nostri, del B.one Henrion, Commendatore dell'ordine di san Gregorio Magno. Prima versione italiana. Tomo primo. G. Pomba EC. - Aless. Fontana, Editori. Torino, 1846.

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Nel 1252, Innocenzo IV concepì il pensiero di formare un corpo di missionari, i cui membri cavati dalle due famiglie di san Francesco e di san Domenico, fossero sempre parimente numerosi che zelanti. Questa riunione ebbe il nome che esprimeva molto bene la sua missione: fu questa la Società dei frati viaggiatori per Gesù Cristo - Peregrinantium propter Christum. Ebbe essa nel suo grembo vescovi ed arcivescovi, ai quali la Santa Sede impartì ami poteri. I religiosi che facevano parte di essa dovevano spargersi sopra le terre dei musulmani e degli idolatri per predicare la fede cattolica; scorgesi dai diplomi emanati da diversi pontefici, ch'essi adempirono molto bene alla loro missione. Ad istanza di san Luigi, che andava con ardore in traccia di tutti i mezzi per propagare il cristianesimo, Innocenzo IV ordinò, nel 1253, che un gran numero di religiosi si trasferissero in Oriente, onde istruirvi i Pagani ed i Musulmani, ricondurre all'unità gli eretici, ed essere di presidio alla fede dei cristiani in ischiavitù. Commise al cardinale Odone, suo legato, di eleggere tra i Francescani e i Domenicani, uomini forniti di pietà e di dottrina, i quali fossero elevati al grado di vescovi, e rivestili dell'autorità necessaria per concedere ai cristiani tuttavia poco consolidati della Tartaria le dispense in materia di digiuno e di matrimonio che fossero state convenienti di dare. Oltre le istruzioni indirizzate al legalo, il Papa ingiunse al maestro generale dei Frati Predicatori d’inviare in Levante un gran numero di missionari, ed investì questi apostoli di diversi privilegi, siccome il poter promovere alle funzioni di acolito, il dar licenze per certe irregolarità, l’assolvere gli omicidi dei chierici, il fondar chiese in quelle remote regioni, il riconsacrare quelle che fossero state profanate, l'assegnare sacerdoti ad esse pel servizio, l'autorizzare gl'infedeli o scismatici convertiti a conservare le loro mogli. Esortò egli particolarmente il provinciale dei Domenicani di Polonia a spedire un bel numero de' suoi frati fra i "Ruteni, i Danesi, i Bulgari, i Comani, i Siri, gli Iberi, gli Alani, i Gazari, i Goti, i Zici, i Giacobiti, i Nubi, i Nestoriani, i Giorgiani, gli Armeni, i Mosteliti, gli Indi e gli altri popoli pagani" per adoprarsi alla loro conversione. I Frati Predicatori, fedeli alla loro vocazione, si sparsero ben tosto a tramontana dell'Europa e dell'Asia. Innocenzo IV diè autorità a quelli della Polonia che predicavano in tal modo il Vangelo alle nazioni, a portare il cappello, i calzari ed i guanti rossi, a somiglianza dei cardinali, cui aveva egli dato il cappello rosso nel concilio generale di Lione: simboli eloquenti, in quanto che pareano significare che i Domenicani polacchi erano disposti a versare il loro sangue per la Chiesa, e ch'erano infiammati dello zelo il più ardente per la propagazione del Vangelo. Il frate predicatore Benedetto e i suoi compagni che il capitolo generale dell'ordine, tenutosi a Bada nel 1254, spedi fra i Comani, raccolsero, fra questo popolo, una copiosa messe spirituale. Altri Domenicani non ottennero minori frutti nella Tracia e nella Georgia. Il frate Anselmo, rivestito del titolo di legalo, si spinse nelle più intime parti della Persia con parecchi compagni; vi avevano essi convertito parecchi idolatri, allorché vennero presi e sgozzati nel 1255, mentre adempivano al loro ministero apostolico.


Sagro diario Domenicano, Tomo Terzo. Nel quale si contengono le vite de Santi, Beati e Venerabili dell'Ordine de' Predicatori. Composto dal M. R. P. Maestro F. Domenico Maria Marchese, Reggente de Studij nel Collegio di San Tomaso di Napoli. Dedicato all'Angelico Dottore S. Tomaso D'Aquino. In Napoli, nella Stamperia Giacinto Passaro, 1672.

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27. di Giugno. Martirio delli B. B. Anselmo, Alberto, Alessandro & Simone. Cavato dal Bzovio, Malsei, Martino Barone & altri. Il Beato Anselmo (ò come altri dicono) Azzelino, fù quegli, che (come narrano l'historie tutte di quei tempi) insieme cò gl'altri tre nominati Compagni, e due Padri dell'Ordine di S. Francesco, fù mandato Nuncio Apostolico al gran Cane de Tartari, dal Sommo Pontefice Innocentio IV. dal Concilio di Lione, l'anno 1245. Patirono essi in questa sì perigliosa Legatione travagli insopportabili, poiche gionti, dopo lungo, e travaglioso viaggio, nell'Esercito de Tartari, e fattolo intendere al Generale di esso, chiamato Boijotho. Volea quegli, con culto dovuto solo a Dio, essere adorato; Ricusò Frat'Anselmo con li suoi compagni di farlo, poiche, come Christiani, nò poteano dar quello culto à Creatura veruna, e come Legati del Pontefice, Capo, e Signore di tutto il Mondo, non dovean sogettarsi à niun altro Principe sopra la Terra, dal che sdegnati i Tartari, & il lor Duce Baijotho, li condannò tutti à morte, e già, contro ogni legge delle genti, si sarebbe eseguita così ingiusta sentenza, se quel Signore, che lor voleva coronare con più trionfali allori la fronte, nò havesse mosso gl'animi d'una principal Concobina, ò Moglie del detto Duce, e dell'interprete, ò Commissario de Nuncij, à dissuadere à quei Barbari l'ingiusta occisione di quegl'innocenti, quali però imperterriti, sempre costanti nella prima risposta, non una ma più volte, offersero le proprie vite à quei Tiranni per la lor Santa Fede, & authorità della fede Apostolica. Così perseverorno un anno intiero, con infiniti patimenti, e travagli, trattati da quei Barbari, peggio che cani, senza altro profitto ò frutto, che di patire assai, ed obedire, che non son però poco guadagni per l'Anime. Il Bzovio però è di parere, che non fù senza frutto così lungo patire, anzi che fù sì abbondante, che infinita moltitudine di Tartari ridussero alla fede, àzi che istesso grà Cam, cò li principali Baroni del Regno fussero sogettati alla Chiesa per mezzo del S. Bettesimo. Il certo è, che dopò trè anni di continui patiméti, ritornorono in Europa, e indi infervorati dello zelo della salute dell'anime, passorno in Persia, ove, dopò haver faticato assai nella Predicazione dell'Evangelo, e la conversione de molti alla Santa fede, furono da quei fieri Barbari Idolatri, dopò esquisiti tormenti, occisi, passando così con la corona del martirio alla gloria, l'anno 1255. Secondo Alfonso di Fernandez nella sua concertatione Predicatoria. Fanno alcuni Authori memoria della lor morte in questo giorno 27 di Giugno.


Dell'historia generale di S. Domenico et dell'Ordine suo de' Predicatori. Composta per il molto Rever. Padre M. F. Ferdinando del Castiglio, in lingua castigliana; E poi tradotta nella nostra Italiana lingua dal Reverendo Padre F. Timoteo Bottoni. Parte Prima. In Venetia, 1589. Appresso Damiano Zenaro.

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Papa Innocenzo IIII, di cui abbiamo fatto già di sopra qualche mentione, ad istanza e petitione de i Frati Predicatori mandò alcuni di essi a predicar la fede agl'infedeli, perché di ragion divina al Papa si appartiene predicar l'Evangelio & manifestarlo per tutto il mondo. Et in questa parte da niuno gli può esser fatta contraddittione; pur ch'egli osservi le leggi, & la forma, & il  modo, che Dio ha dato per questo effetto. Hora, i primi Pagani a cui fur mandati questi religiosi, furono i Tartari. Erano questi popoli (secondo che ne scrive Vincenzo Beluacense, come testimonio di quei tempi) de la Provincia di Samaria vicini al Danubio, gente fiera, & di costumi non humani; ma in tutto bestiali; perché non sapeano stare in pace fra loro, né ancor aver concordia, né amicitia alcuna con altre genti. Andavano sempre armati & quelli, che tra di loro era più crudele, & maggior Tiranno, lo stimavano per il migliore. Et chi spargeva più sangue era il più onorato da tutti, si che tutta la potenza loro era Tirannia, insolenza & crudeltà. Venero già dalle parti Orientali; & i prinicpij lor furono non solo blasfemi, ma scelerati; perché mediante le stragi; rubbamenti; & la violenza, che usavano contra de' loro vicini, vennero a poco a poco, tanto ingrossando, che diventarono potenti, & nominati per tutto il mondo. Ma tutte queste iniquità sono finalmente domate dall'Evangelio, il quale di huomini in huomini bestiali suol cavare Angeli; & i leoni rabbiosi & feroci fa diventare agnelli, de' quali il Cielo è pieno, stando tutti in compagnia di quello Agnello immaculato, che scancellò col proprio sangue i peccati del mondo. Papa Innocentio, adunque desiderato guadagnar questa gente, vi mandò un Frate di quest'ordine, c'havea nome F. Ascellino (alcuni però lo chiamano Fra Anselmo) per principale, & tre altri per suoi conpagni; con i quali anco si accompagnarono alcuni altri Padri dell'Ordine di San Francesco. La somma dell'imbasciata loro era pregarli, che desistettero da quelli aggravii, tirannie, rubbamenti & crudeltà, che facevano tutta via a danno de' Christiani. Cose tutte, che senza altro maestro, con il lume solo della ragione naturale si potevano persuadere a tutti quelli che ne fossero dotati. Erano ancor più pregati & esortati, che volessino udir la legge Christiana e quello che in essa conteneva; acciò che quando parendo loro (come veramente era) tanto giusta, tanto santa, tanto ragionevole, tanto celeste, tanto divina, & di tali, & così grandi, & solidi fondamenti, conoscessino la gratia grande che Dio faceva loro, mostrandogli il cammino della verità. & sapessino parimente, che colui, il quale era il vero Figliuolo del vero Dio, era morto in Croce per dar la vita con la sua morte a tutti gli huomini. Il qual punto appresso de' Tartari era il più stravagante che si potesse loro proporre; perché essi adoravano & riverivano in terra per loro Dio il gran Signore che gli dominava, & che chiamavo il gran Cane, chiamandolo & tenendolo come figliuolo di Dio. & così si intitolava egli nelle sue lettere, & patenti che in nome suo erano fatte. [...] Quei barbari, come incapaci di tanta ragione, non rispondevano pure una sola parola, ma con braveri, con ferocia, con ingiurie & malissimi trattamenti, pigliando occasione non solo da la riverenza, che [i Predicatori] negavano a quel tiranno, ma etiandio da la pretensione che significavano di havere a predicar loro Christo. Cani, pensate forse d'averci a fare simili a voi, dicevano quei Tartari, volete dunque che siamo Christiani? Il padre vostro non è egli un cane, come siete anche voi? Queste e simili altre cose dicevano con tanto romore, con tanta collera, & con tanto strepitio & confusione, che il povero Fra Ascellino (Fra Anselmo) non poteva pur dire una sola parola, che quando avesse avuto ancora la voce, come una tromba, comunque non sarebbe stato udito. Finalmente dando di ciò quei Ministri notizia al Generale Baitnoit, egli comandò subito, che fussino tutti morti contra la legge naturale, che difende la innocenza; & contra la ragione delle genti, la quale vuole che tutti gli Ambasciatori vengano & partano senza essere offesi, ma i Consiglieri del Tiranno si divisero fra loro; perché alcuni volevano che fussino morti due soli di essi; & che gli altri tutti li rimandassero al Papa. Altri che il principale, il quale era Fra Ascellino (Fra Anselmo) fosse scorticato e che, empita poi la pelle di paglia, fosse data ai compagni, che la portassino a Roma. Altri erano di parere che due di loro fussino prima frustati per tutto il campo, & che poi si tagliasse loro la testa, & gli altri due si tenessino in prigione, fintanto che i Christiani venissino per liberarli. [...] ma quel Generale stette sempre saldo in quello, che si mozzasse loro la testa [...] Ma Dio, il quale, come dice il Salmo, dissipa i consigli delle genti, & distrugge i disegni dei popoli, volse anco confondere la furia di questa canaglia, & tutti i loro pensieri, & discorsi per mezzo solamente della concubina di esso Baitnoit, la quale biasimò così fatta risoluzione [...] Finalmente a Dio piacque che per questa via i servi suoi se la cavassero quel giorno [...] In seguito [disse] Fra Ascellino (Fra Anselmo) che l'ordine a lui dato era di far l'ambasciata sua al Generale primo dei Tartari, che avesse incontrato quando avesse voluto udirla, altrimenti se ne tornassino a Roma senza passare più oltre. [...] Ma qui di nuovo tornò quella perfida canaglia ad imperversare contro quei Religiosi, dicendo loro un carro di vituperi, & andandoli con le dita fino sugli occhi, come a traditori & bestemmiatori, perché nei ragionamenti passati avevano tanto ingrandito la dignità del Papa [...] Finalmente ebbero la licenza di andarse, che fu il giorno proprio di S. Giovanni Battista. Ma l'altro dì fu loro revocata & con nuove calunnie, & aggiramenti li trattennero ancora tre altre settimane, sopportando tuttavia nuove ingiurie, & nuove tirannie senza avere da mangiare altro, che un poco di pane dato loro a peso & misura, & talvolta un poco di latte, quando di asina & quando di vacca. Ma alla fine per preghi & mezzo d'un altro Principe furono spediti l'ottava di S. Iacopo Apostolo, essendo stati un anno intero in quei paesi. & tra l'andare & il tornare consumarono tre anni & sette mesi, Fra Alessandro & Fra Alberto perseverarono in compagnia di Fra Ascellino (Fra Anselmo) tre anni; & Fra Simone due, senza essersi giammai fatto altro frutto che partire per l'amor di Dio, il che però è pur assai & molto da esser desiderato.


La citta nova di Peperno edificata nel Latio. Libro secondo. Del M. R. P. Fra Teodoro Valle da Peperno. In Napoli. Per Secondino Roncagliolo, 1646.

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Alla pagina 139 si legge: [Nella città di Leopoli suddetta] Divenne questa sata società per li rari soggetti in quella ascritti, così segnalatissima in tutti i tempi, che fu cose di maraviglia, poiché si rese celebre, d'un San Vincenzo Ferrerio suddetto chiamato per eccellenza l'Apostolo dell'occidente, d'un San Giacinto Pollacco, chiamato Apostolo della Polonia, d'un Fra Gerardo che fu poi il primo Vescovo di Russia, d'un Fra Bernardo, che fu appresso il primo Arcivescovo d'Alicia, quale segato per mezzo, consumò per amor di Christo, il martirio d'un Frà Anselmo, ch'anche morì martire, d'un Alessandro, Alberto, Simone, Henrico [...].


Altre fonti rilevate

Tra Medioevo e Rinascimento, Volume 5,Edizione 2. Hans-Georg Beck. Editoriale Jaca Book, 1993. Alla pagina 128 si legge:

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Storia della Chiesa in Italia, Volume 1. Gregorio Penco. Jaca Book, 1978. Alla pagina 368 si legge:

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Storia dei viaggiatori italiani nelle Indie orientali, compilata da Angelo de Gubernatis: Con estratti d'alcune relazioni di viaggio a stampa ed alcuni documenti inediti. Angelo De Gubernatis. F. Vigo, 1875. Alle pagine 2 e 3 si legge:

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Nominato ancora nei volumi 

- Rinascimento europeo, Giovanni Laini. Editions du Panorama, 1965. Alla pagina 106 (v. Ascellino fra Anselmo);

Il Papato, l'Europa cristiana e i Tartari. Pubblicazioni della Università cattolica del Sacro Cuore: Scienze storiche, Volumi 12-13. Giovanni Soranzo, Università cattolica del Sacro Cuore. Società editrice "Vita e pensiero", 1930. Alla pagina 114;

Storia degli Italiani: dall'Italia del Mille all'Italia del Piave. Niccolò Rodolico. Sansoni, 1964. Alla pagina 109;

Biblioteca italiana ossia giornale di letteratura, scienze ed arti, Volume 50. Presso la Biblioteca Pubblica Bavarese. Alla pagina 297;


CONCLUSIONE

(Beato Fra Anselmo Martire o Fra Ascellino o Fra Azzelino)

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Biografia tratta da: L'istoria degli uomini illustri dell'Ordine di s. Domenico scritta in lingua francese dal r. p. Antonio Touron e tradotta nell'italiana favella da un religioso del medesimo Ordine. Tomo 1. [-3.], Volume 1. 1745.

IPOTESI conclusiva: Tutto ci lascia pensare che il Sant'Anselmo Martire venerato presso Vietri di Potenza, del quale sembravano non esservi affatto notizie, sia il Beato Fra' Anselmo, detto Fra' Ascellino o Fra' Azzelino, O. P. (Domenicano), evangelizzatore dei Tartari, fra mille sofferenze, per ordine di Sua Santità Papa Innocenzo IV. Rivestito, dunque, del titolo di legato, quindi morto in odium fidei nell'anno del Signore 1255 ca., probabilmente per mano degl'idolatri Persiani, nell'adempimento del suo dovere, ricevendo finalmente la corona della gloria. Della Peregrinantium propter Christum facevano parte, oltre al Beato Fra' Anselmo Ascellino, noto pure come il Lombardo, anche alcuni suoi confratelli Predicatori (Domenicani) e dei Minori (Francescani). Del loro martirio abbiamo delle testimonianze, come nel Bzovio dove si legge: B. Anselmus Ordini Praedicatorum, F. Ioannes de Plano, F. Benedictus ordinis S. Francisci, Nuntij Apostolici in Perside multa pro Christo passi, & alij pro Christi fide occisi. Probabilmente si è creduto che fosse Francescano per via dell'appartenenza di alcuni suoi compagni (nel martirio) all'Ordine dei Frati Minori. Si può supporre che i suoi resti mortali furono ricondotti a Roma durante la Nona Crociata, ma non abbiamo ancora prove di ciò. Dio sia lodato!


(EXTRA. Omonimo domenicano del 1200 - Non influisce nelle nostre conclusioni) Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da s. Pietro sino ai nostri giorni specialmente intorno ai principali santi ... Compilazione del Cavaliere Gaetano Moroni Romano, Primo Aiutante di Camera di Sua Santità Gregorio XVI, Vol. XXVIII, Venezia, dalla Tipografia Emiliana, 1844. 

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Nel secolo seguente in Linguadoca gli eretici albigesi, ed in Italia gli eretici patarini, pur chiamati con altri nomi, infestavano varie province, riproducendo gli errori dei manichei e di altri. Contro gli albigesi spiegò un zelo ardentissimo s. Domenico, il quale fu grandemente coadiuvato dal genovese b. Fulcone o Folchetto fatto vescovo di Tolosa nel 1205. Quindi avendo avuto principio il tribunale della inquisizione, questa fu stabilita pure in Genova, ed il primo inquisitore mandato a Genova da Innocenzo IV fu il padre Anselmo di cui riparleremo. [...] Innocenzo IV passò per Alessandria, trascorse il Monferrato, ricevette in grazia Tommaso conte di Savoia, col quale maritò una sua nipote. Amò grandemente i suoi parenti, che molti ne aveva, e quelli c'erano letterati e di buona vita esaltò a dignità; gli altri furono provveduti di grossi benefizi, ed in tempi che molti erano sedotti dagl'imperiali, conveniva meglio al Papa servirsi de' suoi, più che degli altri. Questo gran Pontefice morì nel 1254. Novelle insurrezioni insorte poscia in Genova, diedero origine alla carica di capitano del popolo nel 1257. Ad Innocenzo IV successe Alessandro IV, il quale avendo saputo che il p. Anselmo inquisitore di Genova, avendo compilato le costituzioni pel s. offizio avea fulminato la scomunica, per gli ostacoli che fece il governo per trascriverle negli statuti della città, accettò l'appellazione di questa, annullò le censure, ma volle la trascrizione e fu obbedito. 


(EXTRA. Omonimo domenicano del 1200 - Non influisce nelle nostre conclusioni) Nuova istoria della repubblica di Genova: del suo commercio e della sua letteratura dalle origini all'anno 1797, Volume 2. Michele Giuseppe Canale. Firenze, Felice Le Monnier, 1860.

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Innocenzo III pontefice avea approvalo il tribunale della santa inquisizione instituito da San Domenico, mentre l'eresie degli Albigesi e d’altri settarj si allagavano nel mondo cattolico; i religiosi dell’ Ordine Domenicano erano stati investiti della presidenza dell’uffizio; da per tutto in breve ebbe a stabilirsi. Folchetto, il famoso poeta provenzale, e nostro genovese, forse della famiglia di Castello, il quale di gentile trovatore s’era fallo rigido vescovo, desiderò che quella instituzione si radicasse in Genova sua patria. Il governo, che temeva le tante sètte d’eresiarchi che allora funestavano l'Italia e singolarmente la Lombardia, sapendo che la parte ghibellina in mille modi e con mille arti tentava di usurpare il principato, fece instanza perchè una mano d’inquisitori piantasse sede tra noi; San Domenico prima di morire ne dava promessa. Venne, difatti, stabilita, e il primo inquisitore mandatoci da Innocenzo IV pontefice ebbe nome di Anselmo. Il primo atto con che il nuovo tribunale esercitava l'accordato potere era contro un maestro Luca; accusato questi di esser caduto in eresia, venne condannato da' frati predicatori; ed essendo scampato alla condanna, gli si confiscarono i beni, a tenore delle canoniche costituzioni, come scrive l'annalista Giustiniani. Senonchè poco dopo l’instituzione del Sant’Uffizio, sembra che l’Impero, geloso della propria giurisdizione, mirasse a volerne regolar le leggi e la processura. Federigo II intervenne in ciò colla imperiale autorità, ed emanò alcune costituzioni colle quali si dovessero reggere le Inquisizioni d’Italia; imperocché quello che in appresso si disse Concordato tra noi, ebbe luogo dopo i tempi di Paolo III, Pio e Paolo IV, e Pio V. Fu allora che la forma del tribunale più rigorosamente si ristrinse e si fondò l'autorità della congregazione. In forza di quelle costituzioni imperiali, si stabiliva fra le altre cose: 1° Che il principe laico dovesse eleggere otto o dieci persone per assistere e consultare il Sant’Uffizio. 2° Che in tutte le parti ugualmente i principi fossero obbligali di accordargli due famigli. 3° Che gli stessi principi avessero eziandio obbligo di provvedere gl’inquisitori di un notaro, il quale non poteva esser che laico. 4° Che non fosse permesso agl’inquisitori di valersi di alcuno ecclesiastico per notaro, ma si servissero di quelli che dava loro il principe temporale (ne’ tempi più moderni di quello del vescovo). Ora, correndo l’anno 1256, lo stesso frate Anselmo de’ predicatori, durando nella carica d'inquisitore, immaginò che le costituzioni di Federigo, le quali riguardavano l’uffìzio, unitamente alle canoniche costituzioni d’Innocenzo IV, dovessero far corpo cogli statuti della Repubblica, e quindi aver forza di legge civile; fece instanza affinchè fossero inserte. La Repubblica che sottilmente mirava a non far cosa che pregiudicasse alla sua libertà e indipendenza dall’Impero, sentì di leggieri che s’ella avesse data esecuzione a quelle leggi, e queste riguardale come proprie, avrebbe pòrto un argomento all’Impero da combattere l'integrità delle proprie esenzioni; sicché costantemente negava. Frate Anselmo, trovato l’ostacolo, rappresentò a Roma ad Alessandro IV, allora pontefice, l’inutilità de’suoi sforzi; chiese del modo di regolarsi in quella malagevole congiuntura; Alessandro spedì tosto una bolla colla data di Anagni il 13 di luglio del 1256; io la riferirò per esteso, e per essere inedita mancando nel Bollario. [...] La bolla pontificia non ebbe maggior effetto delle parole ed instanze di frate Anselmo; e bisogna credere che l'arcivescovo Innocenzo Gualtieri de’signori di Vezzano o non potesse o non volesse adoperarsi in quella disputa, perocché l'inquisitore dovè usare dell'estremo rimedio indicalo da Alessandro; scagliò egli dunque l’anatema sul consiglio, i consiglieri e il podestà; sottopose tutto il Comune ad interdetto. La Repubblica a scolparsi mandava legali al pontefice, il quale concesse la sospensione della sentenza di scomunica profferita dal frate sino alla prossima Pasqua; dopo il qual termine si dovesse provvedere alla domanda dell’uffizio. Tornavano i legali, e coloro che le pubbliche cose maneggiavano, ivano cercando un temperamento che fosse atto a conservarsi la benevolenza della Chiesa, nonché a mantenere illesi i diritti della propria libertà. Era podestà Filippo Della Torre di famosa casa milanese, guelfo di parte, ma dato a’ vizi e sbordellamenti, facile alla corruzione; costui, com’è fama, si trovò con frate Anseimo, dal quale ottenuta una buona satolla de'beni confiscati agli eresiarchi, cessò le opposizioni; le costituzioni di Federigo e quelle d’Innocenzo IV vennero tosto registrale.


(EXTRA. Omonimo domenicano del 1200 - Non influisce nelle nostre conclusioni) Secoli cristiani della Liguria, ossia, Storia della metropolitana di Genova ... Volume Primo. Scritti da Gio. Battista Semeria, Prete della Congregazione dell'Oratorio di Torino. Tipografia Chirio e Mina di Torino, 1843.

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Per quello che riguarda la repubblica di Genova, Vi venne ammessa l'inquisizione quasi sin dal primo suo cominciamento per impulso di papa Innocenzo IV, il quale deputò a primo inquisitore il domenicano Anselmo, religioso nazionale, entrato nell'ordine quando la morte rapiva il santo fondatore. Avendo egli compilato le nuove costituzioni che nell’uffizio di Genova dovevano osservarsi, presentolle al governo l'anno 1256, affinché fossero trascritte nel libro degli statuti e dei capitoli della città, conforme a un decreto d'Innocenzo III, pubblicato in Viterbo. Lette queste costituzioni non piacquero interamente, chepperò ricusava il governo di accettarle in ogni parte; ma persistendo dal canto suo il padre Anselmo, e veggendosi non obbedito, la causa andò a Roma. Pronunciava il pontefice allora regnante Alessandro IV, che le regole dell’inquisitore fossero trascritte ed osservate, e toglieva tutte le censure che il padre Anselmo aveva fulminate. Il primo a comparire dinanzi al santo ufficio di Genova fu certo maestro Lucchino, sospetto o convinto di società coi patareni, la cui eresia era di moda: non tortura, né morte ebbe il reo, ma bando e confisca dei beni suoi. Ed è questo l'unico esempio di grave punizione, giacché gl’inquisitori furono sempre discreti, e tutte le pene loro solevano terminare con una grave riprensione, o tutto al più con una moderata prigionia, quale sarebbe da infliggersi a qualunque uomo immorale. Non ebbero per altra parte mai vasto campo da esercitarvi il proprio zelo, perché in Genova non allignavano gli eretici, così pur anche vigilando e provvedendo le leggi civili. Ed è cosa veramente di grandissimo stupore che i Genovesi, commercianti nel medio evo più di qualunque altra nazione di Europa nell'Oriente e nell'occidente, quasi sempre in contatto con cervelli stravolti d'ogni fantasia e d’ogni setta, non abbiano mai attaccato errori stranieri, né mai colle immense ricchezze che recavano in patria abbiano frammischiato una qualche erronea dottrina.


(EXTRA. Omonimo domenicano del 1200 - Non influisce nelle nostre conclusioni) Storia politica, commerciale, e letteraria della repubblica di Genova dall'origine fino al 1340. Volume 2. Michele Giuseppe Canale. Capolago Tipografia Elvetica, 1851.

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La digitazione è la medesima che in Nuova istoria della repubblica di Genova: del suo commercio e della sua letteratura dalle origini all'anno 1797, Volume 2. Michele Giuseppe Canale. Firenze, Felice Le Monnier, 1860.


IPOTESI: Tutto ci lascia pensare che il Sant'Anselmo Martire venerato presso Vietri di Potenza, del quale sembravano non esservi affatto notizie, sia il Beato Fra' Anselmo, detto Fra' Ascellino o Fra' Azzelino, O. P. (Domenicano), evangelizzatore dei Tartari, fra mille sofferenze, per ordine di Sua Santità Papa Innocenzo IV. Rivestito, dunque, del titolo di legato, quindi morto in odium fidei nell'anno del Signore 1255 ca., probabilmente per mano degl'idolatri Persiani, nell'adempimento del suo dovere, ricevendo finalmente la corona della gloria. Della Peregrinantium propter Christum facevano parte, oltre al Beato Fra' Anselmo Ascellino, noto pure come il Lombardo, anche alcuni suoi confratelli Predicatori (Domenicani) e dei Minori (Francescani). Del loro martirio abbiamo delle testimonianze, come nel Bzovio dove si legge: B. Anselmus Ordini Praedicatorum, F. Ioannes de Plano, F. Benedictus ordinis S. Francisci, Nuntij Apostolici in Perside multa pro Christo passi, & alij pro Christi fide occisi. Probabilmente si è creduto che fosse Francescano per via dell'appartenenza di alcuni suoi compagni (nel martirio) all'Ordine dei Frati Minori. Si può supporre che i suoi resti mortali furono ricondotti a Roma durante la Nona Crociata, ma non abbiamo ancora prove di ciò. Dio sia lodato!


Breve ricerca su Sant'Anselmo Martire (Comune di Vietri - PZ), richiesta dal Consigliere comunale di Vietri (PZ), Emilio Carmine Carleo, per la comune conoscenza dei signori Luigi Modrone di Potenza ed Antonio Musacchio di Vaglio (PZ), al Presidente di SVRSVM CORDA®, Carlo Di Pietro, il quale si è avvalso, amDg, anche della consulenza dello storico ed Associato Michele Di Pietro.

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