Il Sillabario del Cristianesimo, mons. F. Olgiati, Vita e Pensiero, Milano, 1942. Gesù Cristo ed il popolo ebreo. Entriamo, dunque, per un brevissimo istante nella grande biblioteca della storia, in questa immensa biblioteca, così ricca di volumi. Ogni popolo, ogni età ne ha scritto uno, con le sue gesta, con le sue lacrime, spesso col suo sangue. I volumi si aggiungono ai volumi e così sarà fino alla fine del mondo. La parte della biblioteca, che non può suscitare dubbi di sorta a proposito della nostra tesi, riguarda un popolo singolare, una nazione privilegiata, assistita in un modo soprannaturale da Dio: il popolo ebreo. Cristo è il centro della storia di questo popolo. Ogni fatto, ogni avvenimento di esso, tutta quanta la sua vita non mira ad altro che all’Aspettato dalle genti, al Messia. L’età dei patriarchi; l’età del miracolo da Mosè a Samuele; l’età della profezia da Samuele a Geremia; l’età della preghiera da Geremia alla venuta del Redentore, non sono che una preparazione di Gesù Cristo. La storia profana, civile, esteriore del popolo ebreo - come luminosamente ha mostrato il Fornari - consuona e serve di involucro e di sostegno al progresso della storia sacra, religiosa, interiore; attraverso la formazione d’Israele in popolo per opera di Mosè, e poi in nazione per opera di Giosuè e finalmente in Stato con la fondazione del regno preparato dai Giudici e rinnovato dopo l’esilio di Babilonia per opera di Esdra e di Neemia, noi sentiamo avanzarsi il Cristo. Egli «così venne al mondo, come arriva a noi una persona di cui abbiamo già udito il suono dei passi. Il suono della venuta fu prima debole, come suole, e di lontano, poi forte e vicino; ma incominciato in fin dal principio, e poi continuato senza intermissione e in ultimo così chiaro, che allora tutte le cose parvero voci di annunzio». Come ogni popolo, anche il popolo eletto ebbe la sua letteratura. È la parte della Bibbia, che si chiama Antico Testamento e che forma l’ammirazione anche dell’incredulo. Tutte quelle pagine ispirate, sia che raccontino eventi storici, sia che cantino inni e speranze, sia che ammaestrino, non sono che una prefazione del Vangelo, per esprimerci col Lacordaire e riescono incomprensibili, se si prescinde da Gesù Cristo, promesso, profetizzato, atteso, invocato. Invano i Faraoni tentano di abbrutire gli Ebrei nell’immane lavoro di quei monumenti di morti, che sono le Piramidi; essi sono destinati da Dio ad innalzare in mezzo all’umanità il tempio della vita. Le vicende più svariate e più dolorose, dall’esilio di Babilonia alla perdita della libertà di fronte alle aquile romane, non distruggono questo popolo, che vive, animato da un’unica forza interiore, sostenuto dalla certezza di essere l’eletto da Dio per preparare la venuta del Desiderato delle genti. L’idea messianica - scrive ancora Lacordaire - circolava nelle sue vene come il suo sangue più puro, e senza di essa è impossibile spiegare la sua fede, i suoi destini. Anche gli Ebrei di oggi, che attendono il Messia, quasi non fosse venuto, attestano con l’eloquenza d’un fatto strano come fosse radicata l’aspettazione del Giusto in quella nazione. Io non mi dilungo su questo punto. Tutta la storia sacra è una prova di quanto asserisco. Dai campi della Caldea con le promesse divine ad Abramo, al giuramento di Dio ad Isacco, a Giacobbe, a Giuda; dai canti nazionali e religiosi di Davide alle descrizioni dettagliate del futuro Messia fatte da Isaia; dalle sponde dell’Eufrate, dall’esilio di Babilonia con la profezia di Daniele, all’annuncio di Aggeo, possiamo dire che Gesù Cristo è stato l’anima del popolo giudeo. Chi volesse ignorarlo o sopprimerlo nella storia di quel popolo, imiterebbe colui che volesse intendere un libro, togliendo il pensiero che lo ispira.