Centro Studi Vincenzo Ludovico Gotti

Mio piccolo Amico, hai mai visto qualcuno de tuoi compagni di scuola con una candida veste indosso, trasformato in un minuscolo pretino, servire all’altare? Certo, chissà quante volte, non è vero? E forse ti sei detto: «Quanto mi piacerebbe saper rispondere alla Messa! Ma chi me lo insegna... Come si fa?...». Eccoti accontentato, mio caro fanciullo. Questo libretto è stato scritto per insegnarti due cose: 1) che cosa devi essere e 2) che cosa devi fare per diventare davvero un buon Chierichetto. Dico buon Chierichetto, perchè Chierichetti poco o punto buoni ve ne sono e parecchi, purtroppo. Se però tu vuoi essere un vero Chierichetto, studia questo libretto e poi presentati al tuo Parroco o al tuo Assistente Ecclesiastico e digli cosi:  «Io vorrei fare il Chierichetto, proprio come è scritto in questo libro. Me lo permette?». Vedrai come sarà contento il tuo Parroco, e come si presterà volentieri per darti qualche istruzione pratica che ti aiuti a compiere ancor meglio tutto ciò che in queste pagine è descritto.

L’Autore - Mons. Francesco Tonolo

Cliccare qui per scaricare il libretto in PDF con riconoscimento OCR.

N.B. Per Messa intendiamo la Santa Messa in latino, celebrata spalle al popolo, secondo l'Ordo di San Pio V. Il cosiddetto Novus Ordo Missæ - o rito riformato, in lingua volgare e con la partecipazione del popolo - «rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino, il quale, fissando definitivamente i canoni del rito, eresse una barriera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse l’integrità del Magistero». «Quanto di nuovo appare nel Novus Ordo Missæ e, per contro, quanto di perenne vi trova soltanto un posto minore o diverso, se pure ancora ve lo trova, potrebbe dar forza di certezza al dubbio - già serpeggiante purtroppo in numerosi ambienti - che verità sempre credute dal popolo cristiano possano mutarsi o tacersi senza infedeltà al sacro deposito dottrinale cui la fede cattolica è vincolata in eterno». «Le recenti riforme hanno dimostrato a sufficienza che nuovi mutamenti nella liturgia non porterebbero se non al totale disorientamento dei fedeli che già danno segni di insofferenza e di inequivocabile diminuzione di fede. Nella parte migliore del Clero ciò si concreta in una torturante crisi di coscienza di cui abbiamo innumerevoli e quotidiane testimonianze» (A. Card. Ottaviani, A. Card. Bacci, A. D. 1969, Breve esame critico al Novus Ordo Missæ).

Consentire al browser di scaricare le pagine dal nostro server. Il tempo del download può variare in base alla velocità della connessione internet dell'utente. In caso di utilizzo della presente Opera digitalizzata è gradita la menzione alla fonte Sursum Corda - Organizzazione di Volontariato. Per inviare una donazione Cliccare qui.

 

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Sillabario del Chirichetto - Sursum corda

Cliccare qui per scaricare il libretto in PDF con riconoscimento OCR.

A cura di CdP

• Nella Congregazione del Santo Ufficio dell’anno 1673, trattando di questo capitolo della disciplina, fu deliberato un decreto di questo tenore: «Nella Congregazione Generale del Santo Ufficio del giorno 7 giugno 1673. Alla domanda se un Sacerdote di Livorno poteva far menzione nella Messa del Patriarca degli Armeni pregando per lui, pur essendo scismatico; e lo si chiede con insistenza affinché quella Nazione possa stringere con sempre maggiore affetto l’amicizia con i Latini: la Sacra Congregazione rispose che non si poteva, e doveva essere assolutamente proibito».

• «Nella stessa Congregazione, il 20 giugno 1674, dopo la lettura della comunicazione del R. P. D. Nunzio a Firenze, scritta il 10 aprile 1674 alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide, e da questa trasmessa alla Sacra Congregazione del Sant’Ufficio, fu decretato di rispondere allo stesso Nunzio che, quanto a pregare nella Sacra Liturgia per il Patriarca degli Armeni, la Sacra Congregazione restava fedele al decreto emanato nell’anno 1673, che cioè non si poteva e che era assolutamente proibito».

• È dello stesso tenore il simile Decreto della Congregazione per la correzione dell’edizione del Messale dei Copti, tenutasi nell’anno 1732, ove fra gli altri dubbi proposti, ci fu anche questo: «Se e come si debbano emendare quelle parole con le quali il Sacerdote fa menzione del Patriarca, del Vescovo, ecc...». La risposta è stata questa: «All’inizio del Messale si ponga la rubrica nella quale viene istruito e ammonito il Sacerdote, riguardo alle cose che deve osservare nella celebrazione della Messa; fra queste una rubrica speciale sulla menzione del Romano Pontefice, nonché del Patriarca e del Vescovo, se sono uniti alla Chiesa di Roma; altrimenti si ometta la loro citazione; e questa rubrica sia ripetuta nel luogo appropriato».

Infatti gli eretici e gli scismatici sono soggetti alla censura di una speciale scomunica per la legge Can. De Liguribus (23, quest. 5), e del Can. Nulli (5, dist. 19). I Sacri Canoni della Chiesa vietano di pregare pubblicamente per gli scomunicati, come si legge nel A Nobis (cap. 4, n. 2) e nel cap. Sacris, De Sententia Excomunicationis. Quantunque niente vieti che si possa pregare per la loro conversione, tuttavia non si deve permettere che i loro nomi siano pronunciati nella preghiera solenne del Sacrificio.

• Tutto questo concorda con l’antica disciplina, della quale tratta Estius nel Delle Sentenze (4° libro, dist. 12, § 15). A tal fine è sufficiente pregare con la mente e col cuore Dio Ottimo Massimo, che si degni di riportare gli erranti nel seno della Santa Madre Chiesa, come pure afferma Silvio nel suo Commento alla 3a parte di San Tommaso (tomo 4, quest. 83, art. 1, quest. 9). Questa è anche l’opinione dello stesso San Tommaso d’Aquino (4° Sent., dist. 18, quest. 2, art. 1), in risposta al primo quesito: «Si può pregare per gli scomunicati, ma non con le Orazioni che si fanno per i membri della Chiesa».

• Non è necessario, per soddisfare questo dovere di cristiana carità, sconvolgere le leggi della Chiesa, che esclude dal novero dei suoi fedeli i nomi di coloro che si sono separati dalla sua unità e dalla sua obbedienza; proibendo di pregare pubblicamente per essi, essa esclude la loro menzione dalla Liturgia della Messa, che è una preghiera pubblica. Per questo il venerabile Cardinale Bellarmino nelle sue Controversie (tomo 3, lib. 6, De Missa, cap. 6), scrive egregiamente, a proposito del nostro argomento: «Qualcuno può chiedere se è lecito in questi tempi offrire il Santo Sacrificio per la conversione degli eretici e degli infedeli. Un motivo di dubbio deriva dal fatto che tutta la Liturgia della Chiesa Latina, come è in uso, si riferisce ai fedeli, come si evidenzia dalle preghiere di offerta, sia nel Canone, sia fuori di esso. Rispondo: Sono persuaso che questo è lecito, purché non si aggiunga nulla alla Messa; ma solamente nell’intenzione del Sacerdote si applichi il Divin Sacrificio per la conversione degli infedeli e degli eretici. Ciò infatti compiono tutti gli uomini pii e dotti: e non li possiamo riprendere per questo, poiché non esiste alcuna proibizione espressa della Chiesa».

[da Papa Benedetto XIV, Ex quo primum, 1° marzo 1756].

Cosa impariamo? Che è totalmente erronea e fantasiosa la dottrina di Mons. Lefebvre e dei cosiddetti Lefebvriani, i quali sostengono che le citazioni dei nomi del Romano Pontefice e del Vescovo diocesano durante la Messa - benché a loro palese dire eretici o comunque rei de facto di scisma - sarebbero una lecita preghiera per la loro fede, affinché questi si convertano al cattolicesimo. Qualcosa di assurdo e parimenti blasfemo! Al contrario, come abbiamo chiaramente appreso, la Chiesa comanda che non è lecito e non è permesso, in alcun modo, di menzionare quei nomi, di chi ritenuti dagli stessi celebranti eretici o scismatici, nelle preghiere pubbliche della Chiesa, soprattutto nella Santa Messa. Quale accordo fra Cristo e Beliar? O quale relazione c'è tra il fedele e l'infedele?

Approfondimenti: Benedetto XIV: Motivi della citazione del Romano Pontefice durante la Messa; - Comunicazione nelle cose sacre o communicatio in sacris

[...] È solo in seno alla vera Chiesa che può fermentare l'eresia antiliturgica, vale a dire quell'eresia che si pone come nemica delle forme del culto. Soltanto dove c'è qualche cosa da distruggere il genio della distruzione cercherà di introdurre tale deleterio veleno. L'Oriente ne ha provato una volta sola, ma violentemente, i colpi, e ciò è avvenuto ai tempi dell'unità. Nel secolo VIII sorse una setta furibonda la quale sotto il pretesto di liberare lo spirito dal giogo della forma ha rotto, strappato, bruciato i simboli della fede e dell'amore del cristiano. Il sangue fu sparso per la difesa dell'immagine del Figlio di Dio come era stato sparso quattro secoli prima per il trionfo del vero Dio sugli idoli. Ma è stato riservato alla cristianità occidentale di vedere organizzare nel suo seno la guerra più lunga, più ostinata, che ancora continua, contro l'insieme degli atti liturgici. Due cose contribuiscono a mantenere le chiese dell'Occidente in tale stato di prova: innanzi tutto, come si è detto, la vitalità del cristianesimo romano, il solo degno del nome di cristianesimo, e di conseguenza quello contro cui dovevano rivolgersi tutte le forze dell'errore. In secondo luogo il carattere razionalmente materiale dei popoli occidentali, i quali, privi dell'agilità dello spirito greco come del misticismo orientale, in fatto di credenze, non sanno che negare, che rigettare lontano da sé quanto li disturba o li umilia, incapaci per questa duplice ragione, di seguire al pari dei popoli semitici una stessa eresia per lunghi secoli. Ecco il motivo per cui da noi, se si trascurano certi fatti isolati, l'eresia non ha mai proceduto che per via di negazione e di distruzione. In questa direzione, come ora vedremo, vanno tutti gli sforzi della immensa setta antiliturgista.

Il suo punto di partenza conosciuto è Vigilanzio, questo gallo immortalato dagli eloquenti sarcasmi di san Girolamo [Fu denunziato a san Girolamo nell'anno 404 dal sacerdote  come nuovo eretico di Aquitania, che in uno scritto aveva attaccato il culto dei santi e delle reliquie. Due anni più tardi Girolamo, dopo averne ricevuto le opere, compose per confutarlo il Contra Vigilantium presbyterum Gallum]. Egli declama contro la pompa delle cerimonie, insulta grossolanamente il loro simbolismo, bestemmia le reliquie dei santi, attacca a un tempo il celibato dei sacri ministri e la castità delle vergini. Il tutto per preservare la purezza del cristianesimo. Come si vede ciò non è una cattiva anticipazione in un gallo del IV secolo. L'Oriente che in questo ambito ha prodotto soltanto l'eresia iconoclasta, ha risparmiato, anche se per difetto di consequenzialità, i riti e gli usi della liturgia privi di un rapporto immediato con le sacre immagini.

Dopo Vigilanzio l'Occidente restò tranquillo per vari secoli. Ma quando le stirpi barbariche, iniziate dalla Chiesa alla civiltà, si furono alquanto familiarizzate con l'opera del pensiero, sorsero prima uomini, poi sette che negarono grossolanamente quello che non comprendevano, dicendo che quanto i sensi non percepiscono immediatamente non è reale. L'eresia dei sacramentari, del tutto impossibile in Oriente, ebbe inizio nel secolo XI in Occidente, in Francia, con le bestemmie dell'arcidiacono Berengario [Berengario di Tours, eretico (Tours primi anni dell'XI secolo-ivi 1088) - Al Concilio Laterano del 1059 fu costretto a ritrattare le sue opinioni, ma ritornato in Francia riprese a insegnarle. Richiamato a Roma, finì per accettare una formula ortodossa davanti al Sinodo Lateranense del 1079. In seguito si ritirò presso Tours e visse in pace con la Chiesa, pur restando intimamente legato alle sue opinioni]. La reazione contro una così mostruosa eresia fu universale nella Chiesa, ma era da prevedere che il razionalismo, una volta scatenatosi contro il più augusto degli atti del culto cristiano, non si sarebbe fermato. Il mistero della presenza reale del Verbo divino sotto i simboli eucaristici doveva diventare il bersaglio di tutti gli attacchi. Bisognava allontanare Dio dall'uomo, e per attaccare con maggiore sicurezza questo dogma capitale bisognava bloccare tutte le strade della liturgia, che se si può dir così sboccassero nel mistero eucaristico.

Berengario non aveva fatto altro che dare un segnale: il suo assalto sarebbe stato rinforzato già nel suo secolo e nei seguenti, e doveva risultarne per il cattolicesimo il più lungo e il più spaventoso attacco che abbia mai subito. Tutto iniziò, dunque, dopo l'anno 1000. "Era forse - dice Bossuet - il tempo della terribile liberazione di satana rivelata dall'Apocalisse dopo mille anni. Ciò può significare disordini estremi: mille anni dopo che il forte armato, vale a dire il demonio vittorioso, fu legato da Gesù Cristo con la sua venuta nel mondo" [Bossuet, Histoire des variations des Églises protestantes, lib. XI § 17, Paris, 1688].

L'inferno aveva smosso la feccia più infetta del suo pantano, e mentre il razionalismo si risvegliava, avvenne che satana gettasse sull'Occidente, come un soccorso diabolico, l'impura semenza che l'Oriente aveva seminato con orrore nel suo seno fin dall'origine, la setta che san Paolo chiama il mistero d'iniquità, l'eresia manichea. È noto come sotto il falso nome di gnosi essa aveva macchiato i primi secoli del cristianesimo, con quale perfidia si era nascosta secondo i tempi nel seno della Chiesa, permettendo ai suoi seguaci di pregare, e persino di comunicare con i cattolici, penetrando fino alla stessa Roma, ove fu necessario per scoprirla l'occhio penetrante di un san Leone e di un san Gelasio. Questa setta abominevole, sotto il pretesto di spiritualismo in preda a tutte le infamie della carne, bestemmiava nel segreto le pratiche più sante del culto esteriore come grossolane e troppo materiali. Si può vedere quanto ce ne riferisce sant'Agostino nel libro contro Fausto il manicheo il quale accusava di idolatria il culto dei santi e delle loro reliquie.

Gli imperatori d'Oriente avevano perseguito tale setta infame con le loro disposizioni più severe, senza riuscire a estinguerla. La si ritrova nel IX secolo in Armenia sotto la direzione di un capo chiamato Paolo, dal quale a questi eretici in Oriente fu dato il nome di pauliciani. Ed essi vi divennero così potenti da sostenere guerre contro gli imperatori di Costantinopoli. Pietro Siculo, inviato presso di loro da Basilio il Macedone per trattare uno scambio di prigionieri, ebbe la possibilità di conoscerli e scrisse un libro sui loro errori.

"Egli vi descrive questi eretici - dice Bossuet - con le caratteristiche loro proprie, con i loro due princìpi, con il disprezzo che avevano nei confronti del Vecchio Testamento, con la loro abilità prodigiosa di nascondersi quando volevano, e con gli altri segni che abbiamo visto. Ma ne sottolinea due o tre che non bisogna dimenticare: la loro particolare avversione per le immagini della croce, conseguenza naturale del loro errore, perché essi rifiutavano la passione e la morte del Figlio di Dio; il loro disprezzo per la santa Vergine, che non consideravano la Madre di Gesù Cristo, in quanto egli non avrebbe carne umana; e soprattutto il loro allontanamento dall'eucaristia" [Ivi, lib. XI § 14]. "Essi sostenevano inoltre che i cattolici onorano i santi come divinità, ed è per questo che vietano ai laici di leggere la sacra Scrittura, per paura che scoprano vari errori come questo" [Ibidem.].

Esisteva già, come si vede, l'eresia antiliturgica del tutto formata. Non le mancavano che popolazioni disposte ad accoglierla. Per arrivare in Europa la setta passò per la Bulgaria ove gettò profonde radici: questo fu il motivo che diede in Occidente il nome di bulgari ai suoi adepti. Nel 1017, sotto il re Roberto, se ne scoprirono numerosi a Orléans, e poco dopo altri nella Linguadoca, poi in Italia, ove si facevano chiamare càtari, cioè puri, infine fino in fondo alla Germania. La loro parola infame era cresciuta dall'interno come il cancro [2Tm 2,17], e la loro dottrina era sempre la stessa, fondata sulla credenza nei due princìpi e sull'odio per tutto l'aspetto esteriore del culto, rafforzato da tutte le abominazioni gnostiche. Del resto erano molto dissimulati, confusi nella Chiesa con gli ortodossi, pronti a ogni sorta di spergiuro piuttosto che farsi scoprire quando avessero deciso di non parlare. Erano già molto forti nel XII secolo nel sud della Francia, e non si può dubitare che Pietro di Bruys [Pietro di Bruys, eresiarca (Bruis, Hautes-Alpes, o Broues, Drôme primi del XII secolo-St. Gilles presso la foce del Rodano dal 1132 al 1140). Sacerdote, venne privato dell'ufficio parrocchiale. Si fece allora sobillatore del popolo contro i sacerdoti da lui considerati impostori: tra il 1112 e il 1120 aveva iniziato la sua propaganda ereticale nel Delfinato, per passare poi in Guascogna, a Narbona, Tolosa e Arles. Nel giorno di venerdì santo a St.-Gilles fu finito tra le fiamme dal popolo indignato] ed Enrico [Enrico di Losanna, eretico (ultimi decenni dell'XI secolo-dopo il 1145). È variamente denominato; a Losanna aveva dimorato prima di comparire notoriamente in Francia. Con una seducente eloquenza popolare si presentava alle folle come profeta di Dio, scagliandosi contro la vita mondana e i vizi del clero. Ma la sua equivoca predicazione di austerità era venata di princìpi eterodossi. Convinto di eresia al Concilio di Pisa (1135) abiurò i suoi errori, continuò tuttavia la sua propaganda antiecclesiastica nel sud della Francia, collegando la sua azione con quella di Pietro di Bruys (vedi nota precedente), di cui fu considerato erede e continuatore. Arrestato dal vescovo di Tolosa finì la sua vita in carcere], le cui dottrine avevano come avversari san Bernardo e Pietro il Venerabile, non fossero due dei capi principali. Nel 1160 li si vede passare in Inghilterra, dove furono chiamati poplicani o publicani. In Francia li si indica con il nome di albigesi a causa della loro potenza in una delle nostre province, e color che sono più profondamente iniziati ai disgustosi misteri della setta sono chiamati patarini. È noto con quanto zelo le popolazioni cattoliche del medioevo si scagliassero contro questi settari: la Chiesa ritenne di poter bandire contro di loro la crociata, e cominciò una guerra di sterminio, alla quale parteciparono direttamente o indirettamente tutti i grandi personaggi della Chiesa e dello Stato. La dottrina degli albigesi fu soffocata, almeno quanto al suo predominio esteriore. Essa rimase sordamente come seme di tutti gli errori che dovevano esplodere nel XVI secolo, e le dottrine del loro mostruoso misticismo si perpetuarono fino ai nostri giorni nell'eresia quietista, probabilmente nemico più pericoloso della vera dottrina liturgica dello stesso razionalismo puro.

Una nuova branca della setta, meno mistica e perciò più appropriata ai costumi dell'Occidente, spuntava a Lione sullo stesso tronco del manicheismo importato dall'Oriente nel momento stesso in cui il primo ramo era minacciato di una distruzione violenta. Nel 1160 a Lione il mercante Pietro Valdo formava la setta dei fanatici turbolenti, conosciuti sotto il nome di poveri di Lione, ma soprattutto sotto quello di valdesi, dal nome del loro fondatore. Fu allora che si poté presagire l'alleanza dello spirito della setta con quella di cui Berengario era stato presso di noi il primo organo. Liberati ben presto dalle opinioni manichee, impopolari da noi, essi predicavano soprattutto la riforma della Chiesa, e per attuarla scalzavano audacemente tutto l'insieme del suo culto. Prima di tutto per loro non vi è più sacerdozio, ogni laico è sacerdote; il sacerdote in peccato mortale non può più consacrare; di conseguenza non vi è più eucaristia certa; i chierici non possono possedere i beni della terra; si devono avere in orrore le chiese, il sacro crisma, il culto della Vergine e dei santi, la preghiera per i morti. Bisogna sottoporre ogni cosa alla sacra Scrittura, ecc. I valdesi ritengono la morale della Chiesa scandalosa per il suo rilassamento, e ostentano un rigore di comportamento che contrasta con la dissolutezza degli albigesi.

Ma la Francia non era il solo teatro di questa reazione violenta contro la forma nell'ambito del cattolicesimo. Alla fine del XIV secolo sorgeva in Inghilterra Wyclif [John Wyclif, eresiarca inglese (castello di Wycliffe-on-Tees, Yorkshire 1324 o 1328-Lutterworth 1384). Studiò a Oxford, nel 1353 divene maestro nel Collegio di Balliol. Fu ordinato sacerdote, si laureò in teologia nel 1372. Fin dal 1370 aveva iniziato a insegnare, commentando le sentenze di Pietro Lombardo. Si mise a capo di un movimento antipapale in Inghilterra, atteggiandosi a riformatore religioso. Scrisse varie opere di teologia. Le sue dottrine, condensate in 45 proposizioni, furono condannate dal Concilio di Costanza (4 maggio 1415)] e dava a intendere quasi tutte le bestemmie dei valdesi. Tuttavia, poiché ogni sistema di errore in religione, per avere qualche consistenza, ha bisogno di appoggiarsi da vicino o da lontano sul panteismo, non potendo da noi, come abbiamo osservato, il misticismo gnostico convenire alle masse, Wyclif pensò di sostenere le sue dottrine dissolventi su un sistema di fatalismo, la cui fonte era una volontà immutabile di Dio, nella quale si trovavano assorbite tutte le volontà delle creature.

All'incirca negli stessi tempi Jan Hus [Jan Hus, agitatore religioso (Husinec, Boemia meridionale 1370 ca.-Costanza 1415). Predicatore e professore di teologia all'università di Praga. Fece proprie gran parte delle dottrine dell'eresiarca inglese Wyclif (vedi nota precedente), e diede origine al movimento detto hussitismo. Chiamato davanti al Concilio di Costanza a difendere le proprie tesi, fu accusato di eresia: non avendo voluto ritrattare fu condannato al rogo e giustiziato il 6 luglio 1415. I suoi errori condannati dal concilio riguardano soprattutto l'ecclesiologia] dogmatizzava in Germania e preparava quella immensa rivolta che per secoli doveva separare intere nazioni dalla comunione romana. Anch'egli si fondava molto sulle conseguenze esagerate del dogma della predestinazione, e passando alla pratica umiliava il sacerdozio davanti al laicismo, predicava la lettura della sacra Scrittura a spese della Tradizione e ledeva l'autorità suprema in materia liturgica con le sue rivendicazioni per l'uso del calice nella comunione laica.

Venne infine Lutero, il quale non disse nulla che i suoi precursori non avessero detto prima di lui, ma pretese di liberare l'uomo nello stesso tempo dalla schiavitù del pensiero rispetto al potere docente, e dalla schiavitù del corpo rispetto al potere liturgico. Calvino e Zwingli lo seguirono portandosi dietro Socini, il cui naturalismo puro era la conseguenza immediata delle dottrine preparate da tanti secoli. Ma col Socini ogni errore liturgico si arresta: la liturgia, sempre più ridotta, non arriva fino a lui. Ora, per dare un'idea dei danni provocati dalla setta antiliturgica, ci è parso necessario riassumere la marcia dei pretesi riformatori del cristianesimo da tre secoli a questa parte, e presentare l'insieme dei loro atti e della loro dottrina sulla epurazione del culto divino. Non vi è spettacolo più istruttivo e più idoneo a far comprendere le cause della così rapida propagazione del protestantesimo. Vi si potrà scorgere l'opera di una saggezza diabolica che agisce a colpo sicuro, e deve condurre senza meno a risultati di vasta portata.

I princìpi che stanno dietro all'eresia antiliturgica sono sempre i medesimi, anche se si ritrovano in sette e in movimenti di pensiero distinti, che vanno dal manicheismo, al luteranesimo, al giansenismo e al quietismo. Da notare come la sua elencazione ben si potrebbe integrare con movimenti sorti in seguito, quali il modernismo. Ciò mostra che gli errori, anche e soprattutto in questo campo, nella sostanza sono quelli di duemila anni fa, sempre riproposti. Allo stesso modo sempre uguali sono gli esiti delle riforme liturgiche, o meglio "antiliturgiche", che tali princìpi eterodossi hanno comportato. [Il confronto tra queste pagine profetiche (pubblicate nell'anno 1878) e la realtà attuale (a seguito della pretesa riforma liturgica di Montini - Paolo VI e di tutto il movimento che segue il Vaticano II) è immediato. Qui alcuni studi sul piano di sovversione nella Chiesa. Importante approfondimento: L’eresia antiliturgica dai Giansenisti a Giovanni XXIIIndR].

1° Odio della Tradizione nelle formule del culto

Il primo carattere dell'eresia antiliturgica è l'odio della Tradizione nelle formule del culto divino. Non si può contestare la presenza di tale specifico carattere in tutti gli eretici, da Vigilanzio fino a Calvino, e il motivo è facile da spiegare. Ogni settario che vuole introdurre una nuova dottrina si trova necessariamente in presenza della liturgia, che è la tradizione alla sua più alta potenza, e non potrà trovare riposo prima di aver messo a tacere questa voce, prima di aver strappato queste pagine che danno ricetto alla fede dei secoli trascorsi. Infatti, in che modo si sono stabiliti e mantenuti nelle masse il luteranesimo, il calvinismo, l'anglicanesimo? Per ottenere questo, non si è dovuto far altro che sostituire nuovi libri e nuove formule ai libri e alle formule antiche, e tutto è stato consumato. Nulla dava più impaccio ai nuovi dottori, essi potevano predicare del tutto a proprio agio: la fede dei popoli era ormai senza difesa. Lutero comprese questa dottrina con una sagacità degna dei nostri giansenisti, quando nel primo periodo delle sue innovazioni, all'epoca in cui si vedeva obbligato a conservare una parte delle forme esteriori del culto latino, stabilì per la messa riformata le regole seguenti: "Noi approviamo e conserviamo gli introiti delle domeniche e delle feste di Gesù Cristo, vale a dire di Pasqua, di Pentecoste e di Natale. Preferiremmo nella loro interezza i salmi da cui tali introiti sono tratti, come si faceva in antico; ma intendiamo conformarci all'uso presente. Non biasimiamo coloro che vorranno conservare gli introiti degli apostoli, della Vergine e degli altri santi, quando siano tratti dai salmi e da altri passi della scrittura" [Lebrun, Explications de la messe, 4, 13]. Lutero aveva troppo orrore dei cantici sacri composti dalla Chiesa stessa per l'espressione pubblica della fede. Sentiva troppo in essi il vigore della Tradizione che voleva bandire. Riconoscendo alla Chiesa il diritto di unire la propria voce nelle sacre assemblee agli oracoli delle scritture, rischiava di dover ascoltare milioni di bocche anatematizzare i suoi nuovi dogmi. Dunque odio contro tutto ciò che, nella liturgia, non è tratto esclusivamente dalle sacre Scritture.

2° Sostituzione delle formule ecclesiastiche con letture della sacra Scrittura

Il secondo principio della setta antiliturgica è, infatti, quello di sostituire le formule di stile ecclesiastico con letture della sacra Scrittura. Essa vi trova un duplice vantaggio: prima di tutto quello di far tacere la voce della Tradizione, della quale ha sempre timore; inoltre un mezzo per diffondere e sostenere i suoi dogmi per via di negazione o di affermazione. Per via di negazione passando sotto silenzio, per mezzo di un'abile scelta, i testi che esprimono la dottrina contraria agli errori che vogliono far prevalere; per via di affermazione mettendo in luce passaggi tronchi i quali, non mostrando che un aspetto della verità, nascondono gli altri agli occhi del volgo. Da vari secoli si sa bene che la preferenza data da tutti gli eretici alla sacre Scritture rispetto alle definizioni ecclesiastiche non ha altro motivo che la facilità di far dire alla parola di Dio tutto quello che si vuole, mostrandola e nascondendola a seconda delle esigenze. Vedremo d'altronde ciò che hanno fatto in questo campo i giansenisti, obbligati dal loro sistema a conservare il legame esteriore con la Chiesa; quanto ai protestanti, essi hanno ridotto quasi del tutto la liturgia alla lettura della Scrittura, accompagnata da discorsi nei quali la si interpreta (come si vuole). La scelta e la determinazione dei libri liturgici hanno finito per cadere nel capriccio del riformatore, il quale, in ultima istanza, decide non soltanto il senso della parola di Dio, ma il fatto stesso di detta parola. Così Martin Lutero ritiene che nel suo sistema di panteismo siano dogmi da stabilire l'inutilità delle opere e la sufficienza della sola fede, e quindi dichiarerà che l'epistola di san Giacomo è una epistola di paglia, e non una epistola canonica, per il solo fatto che vi si insegna la necessità delle opere per la salvezza. In tutti i tempi e sotto tutte le forme sarà lo stesso: niente formule ecclesiastiche, la sola Scrittura, ma interpretata, ma scelta, ma presentata da colui o da coloro che hanno interesse alla innovazione. La trappola è pericolosa per i semplici, e solo molto dopo ci si rende conto di essere stati ingannati, e che la parola di Dio, questa spada a doppio taglio, come dice l'Apostolo, ha causato gravi ferite perché era maneggiata da figli di perdizione.

3° Introduzione di formule erronee

Il terzo principio degli eretici sulla riforma della liturgia, dopo aver eliminato le formule ecclesiastiche e proclamato l'assoluta necessità di non utilizzare che le parole della Scrittura nel servizio divino, accorgendosi che la Scrittura non si piega sempre, come essi vorrebbero, a tutti i loro voleri, il loro terzo principio è, noi diciamo, di fabbricare e introdurre delle formule diverse, piene di perfidia, mediante le quali i popoli siano ancor più solidamente incatenati nell'errore, e tutto l'edificio della riforma empia sia consolidato per secoli.

4° Abituale contraddizione con i princìpi

Non ci si deve meravigliare della contraddizione che l'eresia denota in tal modo nelle sue opere, se si tiene presente che il quarto principio o, se si vuole, la quarta necessità imposta ai settari dalla natura stessa del loro stato di rivolta, è una abituale contraddizione con i loro stessi princìpi. Così deve essere per la loro confusione nel gran giorno, che presto o tardi viene, in cui Iddio rivela la loro nudità alla vista dei popoli che essi hanno sedotto, e anche perché non riesce all'uomo di essere conseguente: la verità sola può esserlo. Così tutti i settari, senza eccezione, cominciano col rivendicare i diritti dell'antichità [eresia antidogmatica / errore antiliturgico dell'archeologismo, ndR]: vogliono liberare il cristianesimo da tutto ciò che l'errore e le passioni degli uomini vi hanno introdotto di falso e indegno di Dio. Non vogliono nulla che non sia primitivo, e pretendono di riprendere dai suoi albori l'istituzione cristiana. Per conseguire tale effetto essi sfrondano, fanno scomparire, sopprimono: tutto cade sotto i loro colpi, e quando si lavora a ripristinare nella sua originaria purezza il culto divino, si trova che si è inondati di formule nuove che non datano che dal giorno prima, che sono incontestabilmente umane, dato che chi le ha redatte vive ancora. Ogni setta subisce questa necessità: lo abbiamo visto per i monofisiti, per i nestoriani, ritroviamo la stessa cosa in tutte le branche dei protestanti. La loro affettazione di predicare l'antichità non è giunta se non a metterli in condizione di battere in breccia tutto il passato, e poi si sono messi di fronte ai popoli sedotti e hanno giurato loro che tutto andava bene, che le superfetazioni papiste erano scomparse, che il culto divino era ritornato alla sua santità originaria. Sottolineiamo ancora una caratteristica nell'ambito del cambiamento della liturgia da parte degli eretici. Ed è che nella loro furia di innovare essi non si accontentano di sfrondare le formule di stile ecclesiastico, da loro marchiate col nome di parola umana, ma estendono la loro riprovazione alle letture e alle preghiere che la Chiesa ha improntato alla Scrittura. Cambiano, sostituiscono, non vogliono pregare con la Chiesa, così si scomunicano da sé stessi e temono fin la minima particella dell'ortodossia che ha presieduto alla scelta di quei passaggi.

5° Eliminazione delle cerimonie e delle formule che esprimono misteri. Sostituzione dell'altare col tavolo. Devastazione dell'architettura religiosa

Dato che la riforma della liturgia è stata intrapresa dai settari con lo stesso scopo della riforma del dogma, di cui è la conseguenza, ne consegue che come i protestanti si sono separati dall'unità al fine di credere di meno, così sono stati indotti a togliere dal culto tutte le cerimonie, tutte le formule che esprimono misteri. Hanno accusato di superstizione, di idolatria tutto quello che non gli sembrava puramente razionale, restringendo così le espressioni della fede, ostruendo con il dubbio e addirittura con la negazione tutte le vie che aprono al mondo soprannaturale. In tal modo non più sacramenti, eccetto il battesimo, in attesa del soccinianesimo che ne libererà i suoi adepti; non più sacramentali, benedizioni, immagini, reliquie dei santi, processioni, pellegrinaggi, ecc. Non vi è più altare, ma semplicemente un tavolo, non più sacrificio, come vi è in ogni religione, ma semplicemente una cena; non più chiesa, ma solamente un tempio, come presso i greci e i romani; non più architettura religiosa, perché non ci sono più misteri; non più pittura e scultura cristiana, perché non vi è più religione sensibile; infine non più poesia, in un culto che non è fecondato né dall'amore né dalla fede.

6° Estinzione dello spirito di preghiera

La soppressione dei misteri nella liturgia protestante doveva produrre senza fallo l'estinzione totale di quello spirito di preghiera che nel cattolicesimo si chiama unzione. Un cuore in rivolta non ha più amore, e un cuore senza amore potrà tutt'al più produrre delle espressioni passabili di rispetto o di timore, con la freddezza superba del fariseo: tale è la liturgia protestante. Si sente che colui che la recita si compiace di non appartenere al numero di quei cristiani papisti i quali abbassano Iddio al loro livello con la familiarità del loro linguaggio volgare.

7° Esclusione dell'intercessione della Vergine e dei Santi

Trattando nobilmente con Dio la liturgia protestante non ha bisogno di intermediari creati. Essa crede di mancare al rispetto dovuto all'Essere supremo invocando l'intercessione della Santa Vergine, la protezione dei Santi. Esclude tutta l'idolatria papista che domanda alla creatura quello che dovrebbe domandare a Dio solo. Sbarazza il calendario da tutti i nomi di uomini che la Chiesa romana iscrive con tanta temerità a fianco del nome di Dio: ha soprattutto in orrore quelli dei monaci e di altri personaggi degli ultimi tempi, che vi vede figurare a fianco dei nomi riveriti degli apostoli scelti da Gesù Cristo, dai quali fu fondata la Chiesa primitiva, che sola fu pura nella fede, e libera da ogni superstizione nel culto e da ogni rilassamento nella morale. [Alternativa: Sostituzione nel calendario di questi santi nomi, con nomi di soggetti moderni e propugnatori delle protestantiche eresie antidogmatiche - antiliturgiche, ndR]. 

8° L'uso del volgare nel servizio divino. Abolire il latino

Poiché la riforma liturgica ha tra i suoi fini principali l'abolizione degli atti e delle formule mistiche, ne segue necessariamente che i suoi autori debbano rivendicare l'uso della lingua volgare nel servizio divino. Questo è uno dei punti più importanti agli occhi dei settari. Il culto non è una cosa segreta, essi dicono: il popolo deve capire quello che canta. L'odio per la lingua latina è innato nel cuore di tutti i nemici di Roma: costoro vedono in essa il legame dei cattolici nell'universo, l'arsenale dell'ortodossia contro tutte le sottigliezze dello spirito settario, l'arma più potente del papato. Lo spirito di rivolta, che li induce ad affidare all'idioma di ciascun popolo, di ciascuna provincia, di ciascun secolo la preghiera universale, ha del resto prodotto i suoi frutti, e i riformati sono in grado ogni giorno di accorgersi che i popoli cattolici, nonostante le loro preghiere in latino, gustano meglio e compiono con più zelo i doveri del culto dei popoli protestanti. A ogni ora del giorno ha luogo nelle chiese cattoliche il servizio divino; il fedele che vi assiste lascia sulla soglia la sua lingua materna; al di fuori dei momenti di predicazione egli non intende che accenti misteriosi, che cessano di risuonare nel momento più solenne, il canone della messa. E tuttavia questo mistero lo affascina talmente che non invidia la sorte del protestante, quantunque l'orecchio di quest'ultimo non intenda mai suoni di cui non capisce il significato. Mentre il tempio riformato, una volta alla settimana, riunisce a fatica i cristiani puristi, la Chiesa papista vede senza posa i suoi numerosi altari assediati dai suoi religiosi figli; ogni giorno essi si allontanano dal loro lavoro per venire ad ascoltare queste parole misteriose che devono essere di Dio, perché nutrono la fede e leniscono i dolori. Riconosciamolo, è un colpo maestro del protestantesimo aver dichiarato guerra alla lingua sacra: se fosse riuscito a distruggerla, il suo trionfo avrebbe fatto un gran passo avanti. Offerta agli sguardi profani come una vergine disonorata, la liturgia, da questo momento, ha perduto il suo carattere sacro, e ben presto il popolo troverà eccessiva la pena di disturbarsi nel proprio lavoro o nei propri piaceri per andare a sentir parlare come si parla sulla pubblica piazza. Togliete alla Église française le sue declamazioni radicali e le sue diatribe contro la pretesa venalità del clero, e andate a vedere se il popolo continuerà a lungo ad andare a sentire il sedicente primate delle Gallie gridare: "Le Seigneur soit avec vous"; e altri rispondergli: "Et avec votre esprit". Tratteremo altrove, in modo specifico, della lingua liturgica.

9° Diminuire il numero delle preghiere

Togliendo dalla liturgia il mistero che umilia la ragione, il protestantesimo si guardava bene dal dimenticarne la conseguenza pratica, cioè la liberazione dalla fatica e dal disagio imposti al corpo dalle pratiche della liturgia papista. Innanzi tutto non più digiuno e astinenza, non più genuflessione nella preghiera, per il ministro del tempio non più offici giornalieri da compiere, neppure preghiere canoniche da recitare in nome della Chiesa. Questa è una delle forme principali della grande emancipazione protestante: diminuire il numero delle preghiere pubbliche e personali. L'evento ha dimostrato ben presto che la fede e la carità, che si alimentano della preghiera, si sarebbero estinte nella riforma, mentre esse non cessano di alimentare presso i cattolici, tutti gli atti di devozione a Dio e agli uomini, fecondate come sono dalle ineffabili risorse della preghiera liturgica compiuta dal clero secolare e regolare, cui si unisce la comunità dei fedeli.

10° Odio verso Roma e le sue leggi

Come era necessaria al protestantesimo una regola per discernere tra le istituzioni papiste quelle che potevano essere più ostili al suo principio, esso ha dovuto scavare nelle fondamenta dell'edificio cattolico, e trovare la pietra fondamentale che lo sostiene tutto. Il suo istinto gli ha fatto scoprire innanzi tutto il dogma inconciliabile con ogni innovazione: la potestà papale. Quando Lutero scrisse sulla sua bandiera: odio verso Roma e le sue leggi, non faceva che proclamare ancora una volta il grande principio di tutte le branche della setta antiliturgica. Quindi ha dovuto abrogare in massa il culto e le cerimonie, come l'idolatria di Roma; la lingua latina, l'ufficio divino, il calendario, il breviario, tutte abominazioni della grande meretrice di Babilonia. Il romano pontefice pesa sulla ragione con i suoi dogmi, pesa sui sensi con le sue pratiche rituali: bisogna dunque proclamare che i suoi dogmi non sono che bestemmia ed errore, e le sue osservanze liturgiche soltanto un mezzo per fondare più fortemente un dominio usurpato e tirannico. È per questo motivo che, nelle sue litanie emancipate, la chiesa luterana continua a cantare ingenuamente: "Dal furore omicida, dalla calunnia, dalla rabbia e dalla ferocia del turco e del papa, liberaci o Signore" [Lutherisches Gesangbuch, Leipzig, 667]... [N.B. Si può odiare il Papato ed il Magistero infallibile della Chiesa ancor più facilmente se ci si "traveste da Papa" (qui approfondimenti) e si persegue questo iniquo fine dall'interno della Chiesa, dalle viscere e dalle vene di Lei, ndR].

11° Distruzione del sacerdozio

L'eresia antiliturgica, per stabilire per sempre il suo regno, aveva bisogno di distruggere in fatto e in diritto il sacerdozio nel cristianesimo, perché sentiva che dove vi è un pontefice vi è un altare, e dove vi è un altare vi è un sacrificio, e quindi un cerimoniale mistico. Dunque dopo aver abolito la qualità di sommo pontefice, bisognava annientare il carattere del vescovo dal quale emana la mistica imposizione delle mani che perpetua la sacra gerarchia. Di qui un lato presbiterianesimo, che non è che la conseguenza immediata della soppressione del sommo pontificato. Da allora non vi sono più sacerdoti propriamente detti: come farà la semplice elezione, senza consacrazione, a rendere un uomo consacrato? La riforma di Lutero e di Calvino non conosce dunque che ministri di Dio, o degli uomini, come si vedrà. Ma è impossibile fermarsi qui. Scelto, istallato da laici, portando nel tempio la toga di una magistratura bastarda, il ministro non è che un laico investito di funzioni accidentali. Dunque nel protestantesimo non vi sono più altro che laici. E doveva essere così, perché non vi è più liturgia, come non vi è più liturgia perché non vi sono più altro che laici.

12° Il principe capo della religione

Infine, ed è l'ultimo grado dell'abbrutimento, non esistendo più il sacerdozio, dato che la gerarchia è morta, il principe, la sola autorità possibile tra i laici, si proclamerà capo della religione, e si vedranno i più fieri riformatori, dopo essersi scosso il giogo spirituale di Roma, riconoscere il sovrano temporale come sommo pontefice, e collocare il potere sulla liturgia tra le attribuzioni del diritto maiestatico. Non ci saranno dunque più dogma, né morale, né sacramenti, né culto, né cristianesimo se non in quanto piacerà al principe, perché a lui è devoluto il potere assoluto sulla liturgia, da cui tutte queste cose hanno la loro espressione e la loro applicazione nella comunità dei fedeli. Ecco dunque l'assioma fondamentale della Riforma, e nella prassi e negli scritti dei dottori protestanti. Quest'ultimo tratto completerà il quadro, e metterà il lettore in grado di giudicare la natura della pretesa liberazione, operata con tanta violenza nei confronti del papato per dare luogo in seguito, ma necessariamente, a una dominazione distruttiva della natura stessa del cristianesimo. È vero che ai suoi inizi la setta antiliturgica non aveva l'abitudine di blandire in questo modo i potenti: albigesi, valdesi, viclefiti, hussiti, tutti insegnavano che bisogna resistere e addirittura opporsi ai principi e ai magistrati che si trovano in stato di peccato, pretendendo che un principe sarebbe decaduto dal suo diritto dal momento in cui non fosse più in grazia di Dio. La ragione di ciò è che questi settari, temendo la giustizia dei principi cattolici, vescovi esterni, avevano tutto da guadagnare minando la loro autorità. Ma dal momento che i sovrani, associati alla rivolta contro la Chiesa, volevano fare della religione un affare nazionale, un mezzo di governo, la liturgia, ridotta al pari del dogma, nei confini di un paese, era naturalmente di competenza della più alta autorità di quel paese, e i riformatori non potevano fare a meno di provare una viva riconoscenza verso coloro che in tal modo prestavano il soccorso di un braccio potente per stabilire e mantenere le loro teorie. È ben vero che vi è tutta una apostasia in questa preferenza data al temporale sullo spirituale in materia di religione: ma qui si tratta del bisogno stesso della conservazione. Non bisogna soltanto essere conseguenti, bisogna vivere. È per questo che Lutero, che si era separato fragorosamente dal pontefice romano in quanto fautore di tutte le abominazioni di Babilonia, non si vergognò di dichiarare teologicamente la legittimità del doppio matrimonio per il langravio di Hesse, ed è per questo che l'abbé Gregoire trovò nei suoi princìpi il mezzo di associarsi al voto di morte contro Luigi XVI e in pari tempo di farsi il campione di Luigi XIV e Giuseppe II contro i romani pontefici.

Queste le principali massime della setta antiliturgica. Noi non abbiamo nulla esagerato: non abbiamo fatto che riportare la dottrina cento volte professata negli scritti di Lutero, di Calvino, dei Centuriatori di Magdeburgo, di Hospinian [Rudolf Hospinian (Wirth), storico della Chiesa protestante (Altdorf, presso Zurigo, 1547-Zurigo, 1626). Figlio del parroco e decano Adrian Wirth. Le sue opere si rivolgono soprattutto contro la dottrina cattolica dei sacramenti], di Kemnitz, ecc. I loro libri si possono consultare facilmente, o meglio l'opera che ne è uscita è sotto gli occhi di tutti. Abbiamo creduto utile porne in luce gli aspetti più importanti. Si ricava sempre una utilità dalla conoscenza dell'errore: l'insegnamento diretto talvolta è meno vantaggioso e meno facile. Spetta ora al logico cattolico trarne il contraddittorio.

Titolo originale: Institutions liturgiques, I², Paris, 1878, pp. 388-407. Traduzione italiana di Fabio Marino, pubblicata in "Civitas Christiana", Verona n° 7-9, 1997, 13-23 - Tratto dal sito di Unavox. Alcune brevi note [ndR] sono di Sursum Corda.

Per riflettere sull'inquietante similitudine esistente tra i programmi della Massoneria e la situazione ecclesiale scaturita dal Vaticano II. La potente Loggia massonica dell'Alta Vendita, nell'Ottocento, auspicava di poter introdurre negli ambienti cattolici i principii fondamentali della sètta, quali il naturalismo e il relativismo religioso. L'ambizioso e temerario progetto intendeva conquistare alla causa dei «Fratelli», non solo dei sacerdoti e dei Vescovi imbevuti di questi errori, ma addirittura un Papa che, dal Soglio pontificio, avrebbe favorito e consolidato la penetrazione massonica (dei principii della Massoneria) in una società già anestetizzata e quasi incapace di reagire: ciechi che scambiano l’errore per la verità, le tenebre per la luce.

Effettivamente, questi principii, attraverso il cavallo di Troia del modernismo, sono penetrati in seno alla Chiesa, seppur fieramente combattuti da Papa San Pio X (1903-1914) e da altre eminenti figure del clero cattolico, quali il Cardinale Gaetano De Lai (1853-1928), Mons. Umberto Benigni (1862-1934), i Monsignori Andrea, Jacopo e Gottardo Scotton e don Paolo De Töht (1881-1965). Durante il Vaticano II, i seguaci del neomodernismo riuscirono ad imporre, alla maggioranza dei cattolici, gli errori già condannati dal Magistero di Pio IX (1846-1878), con l'Enciclica Quanta Cura, di San Pio X, con l'Enciclica Pascendi Dominici Gregis, e da Pio XII (1939-1958), con l'Enciclica Humani Generis. Dopo la morte di Pio XII, sul Trono di Pietro siedono dei personaggi che, effettivamente, insegnano delle dottrine di chiara matrice massonica (Qui approfondimenti). Introduzione tratta da L'istruzione permanente dell'Alta Vendita. Prosegue nel video:

 

L'umiltà è quella virtù morale che, in base alla vera conoscenza che l'uomo ha di se stesso quale creatura tratta dal nulla e capace di peccare, fa amare il nascondimento e il disprezzo di sé, contro i due opposti eccessi della superbia, che fa attribuire tutto il proprio bene all'uomo, e la pusillanimità, che non sa riferirlo a Dio come alla sua prima ed esclusiva origine, inducendo al pessimismo ed all'inerzia (dal Dizionario del Cristianesimo, E. Zoffoli). Prosegue nel video:

 

 

Premessa. Il lettore italiano, con la traduzione del presente studio di John Vennari, ha la possibilità di riflettere sull'inquietante similitudine esistente tra i programmi della Massoneria e la situazione ecclesiale scaturita dal Vaticano II. Infatti, l'Autore ricorda come la potente Loggia massonica dell'Alta Vendita, nell'Ottocento, auspicava di poter introdurre negli ambienti cattolici i principii fondamentali della sètta, quali il naturalismo e il relativismo religioso (qui approfondimenti). L'ambizioso e temerario progetto intendeva conquistare alla causa dei «Fratelli», non solo dei sacerdoti e dei Vescovi imbevuti di questi errori, ma addirittura un Papa che, dal Soglio pontificio, avrebbe favorito e consolidato la penetrazione massonica nella società. 

Effettivamente, questi principii, attraverso il cavallo di Troia del modernismo (qui approfondimenti), sono penetrati in seno alla Chiesa, seppur fieramente combattuti da Papa San Pio X (1903-1914) e da altre eminenti figure del clero cattolico, quali il Cardinale Gaetano De Lai (1853-1928), Mons. Umberto Benigni (1862-1934) - Sodalitium Pianum, i Monsignori Andrea, Jacopo e Gottardo Scotton e don Paolo De Töht (1881-1965). Durante il Vaticano II, i seguaci del neomodernismo riuscirono ad imporre, alla maggioranza dei cattolici, gli errori già condannati dal Magistero di Pio IX (1846-1878), con l'Enciclica Quanta Cura, di San Pio X, con l'Enciclica Pascendi Dominici Gregis e da Pio XII (1939-1958), con l'Enciclica Humani Generis. Dopo la morte di Pio XII, sul Trono di Pietro siedono dei personaggi che, effettivamente, insegnano delle dottrine di chiara matrice massonica. (Nessuna illazione: si tratta dell'evidenza dei fatti, ndR).

Sarebbe sbagliato, però, parlare di «Papi massoni»: infatti, questi individui, benché canonicamente eletti al Pontificato, non sono formalmente Papi, poiché, non attuando il bene della Chiesa e insegnando l'errore, non possono ricevere da Cristo l'autorità suprema, per governare, insegnare e santificare la Chiesa (qui approfondimenti). Quindi, come dimostra l'Autore, vi è una chiara coincidenza di insegnamento tra i principii massonici e le teorie neomodernistiche del Vaticano II; ma il progetto dei sèttari di avere un Papa imbevuto di principii massonici e dunque, oggettivamente al servizio della Massoneria, non si è potuto realizzare, né mai si potrà realizzare.

Parlare quindi di «Papa massone» o comunque di «Papa che insegna l'errore» è in contrasto con l'autentica fede cattolica; prima l'insegnamento di Giovanni Paolo II (1920-2005) e ora di Benedetto XVI (e di Bergoglio, ndr) è certamente in sintonia con i principii delle Logge ma, come abbiamo visto, non si tratta di Magistero della Chiesa, poiché questi «papi» non sono rivestiti dell'autorità pontificia. Paradossalmente, se le Logge non sono riuscite ad avere un «Papa» secondo le loro necessità, si può invece sostenere che, in un certo senso, hanno ottenuto dei «tradizionalisti» secondo le loro necessità, poiché negando l'infallibilità pontificia (qui approfondimenti) e umiliando abitualmente la figura del Romano Pontefice, essi - di fatto - arrecano danno alla Chiesa. Il cattolico, quindi, per conservare integralmente la fede deve abbeverarsi alla fonte sicura dell'insegnamento dei veri Papi, per poter ricevere i mezzi necessari per contrastare i nemici della Chiesa e, contemporaneamente, crescere nell'amore per il «dolce Cristo in terra», che gli stessi nemici vorrebbero cancellare. di don Ugo Carandino

*** L'Istruzione permanente dell'Alta Vendita Suprema, di John Vennari ***

Per ulteriori approfondimenti guardare il video.

Introduzione. Pochi cattolici conoscono l'Istruzione permanente dell'Alta Vendita, un documento segreto scritto agli inizi del XIX secolo che descrive accuratamente il disegno di sovversione della Chiesa cattolica. L'Alta Vendita era la Loggia più elevata della Carboneria, una Società Segreta italiana con collegamenti con la Massoneria e che, insieme a quest'ultima, venne condannata dalla Chiesa cattolica. Nel suo libro Freemasonry and the Anti-Christian Movement («La Massoneria e il movimento anticristiano»), Padre Edward Cahill s.j. (1868-1941) scrive: «Si presume comunemente che (l'Alta Vendita) sia stata la centrale operativa della Massoneria europea». La Carboneria era molto attiva in Italia e in Francia. Nel suo libro Athanasius and the Church of Our Time («Sant'Atanasio e la Chiesa del nostro tempo»), Mons. Rudolph Graber (1903-1992), Vescovo di Ratisbona, cita un massone secondo cui «la mèta (della Massoneria) non è più la distruzione della Chiesa, ma di avvalersene infiltrandola». In altre parole, siccome la Massoneria non può distruggere completamente la Chiesa di Cristo, non solo progetta di sradicare l'influenza del cattolicesimo nella società, ma anche di usare la struttura della Chiesa come uno strumento di «rinnovamento», di «progresso» e di «illuminazione intellettuale» per promuovere molti dei suoi principii e scopi.

Uno schema. La strategia progettata nell'Istruzione permanente dell'Alta Vendita è sbalorditiva per la sua audacia e per la sua astuzia. Fin dalle prime righe, questo documento parla di un processo che richiederà decenni per essere portato a termine. Gli estensori del documento erano consci del fatto che non avrebbero visto la sua realizzazione. Essi stavano preparando un piano che sarebbe stato tradotto in pratica dalle generazioni successive di iniziati. Dice l'Istruzione permanente: «Nelle nostre file il soldato muore e la lotta prosegue». L'Istruzione prevedeva la divulgazione delle idee e degli assiomi liberali in tutta la società e all'interno delle istituzioni della Chiesa cattolica; nel corso degli anni, il laicato, i seminaristi, il clero e i prelati avrebbero dovuto essere gradualmente imbevuti di principii progressisti. Col tempo, questa mentalità sarebbe così penetrata che i nuovi preti ordinati, i nuovi Vescovi consacrati e i nuovi Cardinali nominati avrebbero finito col pensare che queste idee erano al passo col pensiero moderno che ha le sue radici nella Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e nei principii della Rivoluzione Francese del 1789 (l'uguaglianza di tutte le religioni, la separazione tra Chiesa e Stato, il pluralismo religioso, ecc...). Alla fine, da queste file sarebbe uscito un Papa che avrebbe condotto la Chiesa sul cammino dell'«illuminazione intellettuale» e del «rinnovamento». Essi affermavano che non era loro scopo insediare un massone sulla Cattedra di Pietro. La loro mèta era quella di creare quelle condizioni ideali che alla fine avrebbero generato un Papa e una Gerarchia persuasi dalle idee del cattolicesimo liberale, credendo comunque di essere ancora cattolici fedeli. Questi responsabili cattolici, non si sarebbero più opposti alle idee moderne della Rivoluzione (come avevano costantemente fatto i Papi dal 1789 fino al 1958 - con la morte di Papa Pio XII - che condannò i principii liberali), ma li avrebbero introdotti nella Chiesa. Il risultato finale sarebbe stato un clero e un laicato cattolico che marcia sotto la bandiera dell'illuminazione intellettuale, ma che è convinto di marciare sotto la bandiera delle Chiavi Apostoliche.

Tutto ciò è possibile? A coloro che pensano che questo progetto sia irrealizzabile, che si tratti di una mèta senza speranza di essere raggiunta senza che il nemico se ne avveda, ricordiamo che Papa Pio IX e Papa Leone XIII (1810-1903) chiesero che L'Istruzione permanente venisse pubblicata, indubbiamente per impedire che tale tragedia si concretizzasse. Comunque, se un simile evento si fosse realizzato, ci sarebbero stati tre segni chiari ed evidenti per riconoscerlo: - uno sconvolgimento di notevole rilevanza, di fronte al quale il mondo intero capirebbe che all'interno della Chiesa cattolica c'è stata una rivoluzione che l'ha posta in linea con le idee moderne. Sarebbe chiaro a tutti che c'è stato un «aggiornamento»; - una nuova teologia verrebbe introdotta e adottata, pur essendo in contraddizione con gli insegnamenti precedenti; - i massoni stessi canterebbero il loro grido di vittoria, credendo che la Chiesa cattolica è stata finalmente «illuminata» su taluni punti quali l'uguaglianza delle religioni, la laicità dello Stato, il pluralismo e altri compromessi verrebbero accettati.

L'autenticità dei documenti dell'Alta Vendita. Gli incartamenti segreti dell'Alta Vendita, che finirono nelle mani di Papa Gregorio XVI, abbracciano un periodo che va dal 1820 al 1846. Essi furono pubblicati su richiesta di Pio IX da Jacques Crétineau-Joly (1803-1875) nella sua opera L'Église Romaine en face de la Révolution («La Chiesa di Roma di fronte alla Rivoluzione») . Con un Breve di approvazione del 25 febbraio 1861 indirizzato all'autore, Pio IX garantì l'autenticità di questi documenti, ma non permise a nessuno di divulgare i veri nomi dei membri dell'Alta Vendita citati in questo carteggio. Il testo completo dell'Istruzione permanente dell'Alta Vendita è contenuto anche nel libro di Mons. George E. Dillon intitolata Grand Orient Freemasonry Unmasked («Il Grand'Oriente della Massoneria smascherato»). Quando a Leone XIII venne presentata una copia del libro di Mons. Dillon, egli ne rimase impressionato ed ordinò che ne venisse stampata, a sue spese, una edizione in lingua italiana . Nell'Enciclica Humanum genus (del 20 aprile 1884), Leone XIII fece appello ai leader cattolici affinché restituissero «ai massoni la loro faccia, strappando loro la maschera» . La pubblicazione di questi documenti è un mezzo per strappare tale maschera. E se i Papi hanno chiesto che queste lettere fossero pubblicate, è perché volevano che tutti i cattolici venissero messi a conoscenza dei piani delle Società Segrete per sovvertire la Chiesa dall'interno, per metterli in guardia e impedire che tale catastrofe avvenisse.

Un Papa imbevuto delle idee massoniche. Quella che segue non è tutta l'Istruzione, ma le parti più pertinenti alla nostra discussione. Dice questo documento: «Il nostro fine ultimo è quello di Voltaire e dei rivoluzionari francesi: la distruzione finale del cattolicesimo e dell'idea cristiana [...]. Il Papa, chiunque sarà, non verrà mai alle società segrete. Sta alle società segrete compiere il primo passo verso la Chiesa, con lo scopo di conquistare entrambi. Il compito che stiamo per intraprendere non è il lavoro di un giorno, o di un mese, o di un anno; può durare molti anni, forse un secolo; ma nelle nostre file il soldato muore e la lotta prosegue. Noi non intendiamo guadagnare i Papi alla nostra causa, farne dei neofiti dei nostri principii, dei propagatori delle nostre idee. Sarebbe un sogno ridicolo, e, in qualsiasi modo si svolgano gli avvenimenti, se per esempio dei Cardinali o dei prelati siano entrati, di loro spontanea volontà o di sorpresa, a parte dei nostri segreti, questo non è nient'affatto un incentivo per desiderare la loro elevazione alla Sede di Pietro. Quella esaltazione ci rovinerebbe. L'ambizione li avrebbe condotti all'apostasia, i bisogni del potere li costringerebbero a sacrificarci. Quello che noi dobbiamo domandare, quello che dobbiamo cercare e aspettare, come gli ebrei aspettano il Messia, è un Papa secondo le nostre necessità [...]. Con quello marceremo più sicuramente all'assalto della Chiesa che con gli opuscoli dei nostri Fratelli in Francia e anche con l'oro dell'Inghilterra. Volete saperne la ragione? È questa: per distruggere la pietra sulla quale Dio ha costruito la Sua Chiesa, noi non abbiamo bisogno di aceto annibaliano, o di polvere da sparo, né delle nostre stesse braccia. Noi abbiamo il dito mignolo del successore di Pietro impegnato nella congiura e questo dito vale per una simile crociata tutti gli Urbani II e tutti i San Bernardo della cristianità. Senza dubbio raggiungeremo questo fine supremo dei nostri sforzi. Ma quando? Come? L'ignoto non è stato ancora rivelato. Ciononostante, niente deve dissuaderci dal piano tracciato; al contrario, tutto deve tenderci: l'opera è appena abbozzata, ma fin da oggi dobbiamo lavorarci con lo stesso ardore come se il successo dovesse coronarla domani. Desideriamo che questa istruzione rimanga segreta per i soli iniziati, e che venga detto ai soli ufficiali del consiglio della suprema Vendita (Loggia) che dovrebbero instillarla nei loro Fratelli, in forma di istruzione o di memorandum [...]. Or dunque, per assicurarci un Papa fornito delle qualità richieste, si tratta di formare a questo Papa una generazione degna del regno che desideriamo. Lasciamo da parte le persone anziane e quelli di età matura; andiamo alla gioventù, e se è possibile, anche ai bambini [...]. Escogiterete per voi stessi, senza grandi sforzi, una reputazione di buoni cattolici e di puri patrioti. Questa reputazione permetterà l'accesso delle nostre dottrine negli ambienti del giovane clero, così come nei conventi. Per forza di cose, nel giro di alcuni anni, questo giovane clero avrà occupato tutte le cariche; e governerà, amministrerà, giudicherà, formerà il consiglio del sommo gerarca, sarà chiamato a scegliere il Pontefice che deve regnare. E questo Pontefice, come la maggior parte dei suoi contemporanei, sarà necessariamente imbevuto più o meno dei principii italiani umanitari (leggi "rivoluzionari") che abbiamo incominciato a mettere in circolazione. È un piccolo grano di senape nera che stiamo affidando alla terra; ma la luce del sole della giustizia lo farà crescere sino al potere più elevato, e un giorno vedremo che ricco raccolto produrrà questo piccolo seme. Nel percorso che stiamo tracciando ai nostri Fratelli si devono vincere grandi ostacoli e superare molteplici difficoltà. Si trionferà con l'esperienza e con la perspicacia. Ma il fine è così bello che vale la pena di spiegare tutte le vele al vento per raggiungerlo. Volete rinnovare radicalmente l'Italia? Cercate il Papa di cui abbiamo appena disegnato il profilo. Desiderate stabilire il regno degli eletti sul trono della prostituta di Babilonia? Lasciate il clero marciare sotto il Suo stendardo, mentre crede di marciare sotto la bandiera delle Chiavi Apostoliche. Vuoi distruggere l'ultimo vestigio dei tiranni e degli oppressori? Piazzate le vostre trappole (le reti) come Simon Pietro; gettatele nelle sacrestie, nei seminari e nei conventi piuttosto che in fondo al mare: e se non avete fretta, vi promettiamo una pesca più miracolosa della sua. Il pescatore di pesci divenne pescatore di uomini; voi porrete dei nostri amici attorno alla Cattedra Apostolica. Avrete predicato una rivoluzione in tiara e cappa, camminando con la croce e la bandiera, una rivoluzione che non avrà bisogno se non che di essere un po' spronata per mettere il fuoco ai quattro lati del mondo». Ora non ci rimane che esaminare se questo piano è stato coronato da successo.

Penetrazione dei principii massonici. Per tutto il XIX secolo, la società è stata permeata in modo crescente dai principii liberali dell'«illuminazione intellettuale» e della Rivoluzione Francese, è ciò a grande detrimento della fede cattolica e dello Stato cattolico. Nozioni apparentemente religiose come quella di «gentile e garbato», di pluralismo e di indifferentismo religioso, di una democrazia che crede che ogni autorità venga dal popolo, della falsa nozione di libertà, di separazione tra Chiesa e Stato, di adunate interconfessionali e di altre simili novità stavano affascinando le menti dell'Europa, infettando gli uomini di Stato e gli ecclesiastici. I Papi del XIX secolo - e ben presto anche quelli del XX - ingaggiarono una guerra totale contro queste pericolose tendenze. Con un'acuta presenza di spirito, radicata in una certezza di fede intransigente, questi Papi non si lasciarono ingannare. Essi sapevano che i cattivi principii, per quanto onorevoli possano sembrare, non possono produrre buoni frutti, e che questi cattivi principii erano il peggio del peggio, poiché non solo erano radicati nell'eresia, ma anche nell'apostasia. Come autentici generali che riconoscono essere loro dovere mantenere il possesso della loro terra ad ogni costo, questi Papi tirarono potenti bordate contro gli errori del mondo moderno e spararono incessantemente. Le Encicliche erano i loro colpi di cannone, e non mancarono mai il loro obiettivo. Il colpo più devastante e monumentale entrò sotto forma di Sillabo degli errori, del 1864, di Pio IX, e quando il fumo si diradò, a tutti coloro che erano coinvolti nella battaglia fu chiaro a quale dei due schieramenti appartenevano. Le linee di demarcazione erano state chiaramente tracciate. In questo grande Sillabo, Pio IX condannò gli errori principali del mondo moderno, non perché erano moderni, ma perché queste nuove idee erano radicate nel naturalismo panteistico ed erano perciò incompatibili con la dottrina cattolica, così come erano distruttive per la società. Gli insegnamenti del Sillabo erano anti-liberali, e i principii del liberalismo erano anti-Sillabo. Questo fu incontestabilmente riconosciuto da entrambe le parti. Padre Denis Fahey (1883-1954) definì questo confronto «Pio IX contro la deificazione panteistica dell'Uomo». Parlando a nome dell'altro schieramento, il massone francese Ferdinand Buisson (1841-1932) dichiarò similmente: «Una scuola non può rimanere neutrale tra il Sillabo e la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo».

I «cattolici liberali». Il XIX secolo vide anche una razza nuova di cattolico che utopisticamente cercò un compromesso tra le due parti. Questi uomini cercarono ciò che credevano essere «buono» nei principii del 1789 e tentarono di introdurlo nella Chiesa. Molti ecclesiastici, contagiati dallo spirito dell'epoca, furono presi nella rete che era stata gettata «nelle sacrestie e nei seminari». Essi divennero noti come «cattolici liberali». Papa Pio IX ebbe a dire che essi erano i peggiori nemici della Chiesa. Nonostante questo monito, il loro numero aumentò progressivamente. 

San Pio X e il modernismo. Questa crisi giunse al culmine all'inizio del XX secolo quando il liberalismo del 1789, che era stato un «soffio al vento», turbinò vorticosamente nel tornado modernista. Padre Vincenzo Miceli identificò questa eresia tracciando l'identità della «trinità di genitori del modernismo». Egli scrisse: «il suo antenato religioso è la Riforma protestante; il suo genitore filosofico è l'Illuminismo; la sua ascendenza politica proviene dalla Rivoluzione Francese». Papa San Pio X, che ascese al soglio pontificio nel 1903, riconobbe nel modernismo una piaga letale che doveva essere cauterizzata. Egli scrisse che il più importante obbligo del Papa è assicurare la purezza e l'integrità della dottrina cattolica, e affermò che se non avesse fatto nulla, avrebbe mancato gravemente al suo dovere essenziale. San Pio X scatenò la guerra contro il modernismo emanando un'Enciclica (la Pascendi Dominici Gregis) e un Sillabo di proposizioni errate (il Lamentabili), istituì il giuramento anti-modernista, che doveva essere prestato da tutti i sacerdoti e insegnanti di Teologia, eliminò i seminari e le Università in mano ai modernisti e scomunicò i superbi e gli impenitenti. Egli frenò efficacemente l'espansione del modernismo nella sua epoca. Tuttavia, si racconta che quando una persona si congratulò con lui per avere sradicato questo grave errore, San Pio X rispose immediatamente che, nonostante tutti i suoi sforzi, non era riuscito ad uccidere quella bestia, ma l'aveva solamente sepolta. Egli avvertì che se i responsabili della Chiesa non fossero stati vigilanti, essa sarebbe riapparsa in futuro più virulenta che mai.

La Curia in allarme. Un fatto quasi sconosciuto, avvenuto sotto il pontificato di Papa Pio XI (1857-1939), dimostra che la corrente sotterranea del pensiero modernista fosse già attiva nell'immediato periodo successivo al regno di San Pio X. Padre Raymond Dulac riferisce che durante il Concistoro segreto del 23 maggio 1923, Pio XI interpellò i trenta Cardinali della Curia circa l'opportunità di indire un Concilio Ecumenico. Erano presenti prelati illustri come i Cardinali Rafael Merry del Val (1865-1930), Gaetano De Lai, Pietro Gasparri (1852-1934), Tommaso Pio Boggiani (1863-1942) e Louis Billot (1846-1931). I Cardinali si dichiarano sfavorevoli ad una simile evenienza. Il Cardinal Billot avvertì: «L'esistenza di profonde lacerazioni tra l'episcopato stesso non può essere celata [...]. Si corre il rischio di dare luogo a discussioni che verrebbero prolungate indefinitamente». Il Cardinale Boggiani richiamò le teorie moderniste, dalle quali - disse - una parte del clero e dei Vescovi non era esente. «Questa mentalità potrebbe indurre certi Padri a presentare mozioni o a introdurre metodi incompatibili con la tradizioni cattolica». Il Cardinal Billot fu ancora più esplicito: «I peggiori nemici della Chiesa, i modernisti, che sono già pronti, come mostrano certe indicazioni, vogliono produrre la rivoluzione nella Chiesa, un nuovo 1789». Nello scoraggiare l'idea di un Concilio per le ragioni che abbiamo appena visto, questi Cardinali si mostrarono più idonei a riconoscere i «segni dei tempi» di tutti i teologi del post-Concilio. Inoltre, la loro cautela era radicata in qualche cosa di ben più profondo. Forse essi erano rimasti turbati anche dalle letture delle opere dell'infame canonico scomunicato Paul Roca (1830-1893), il quale predicò la rivoluzione e la «riforma» della Chiesa e predisse una sovversione di quest'ultima che sarebbe stata provocata da un Concilio.

I deliri rivoluzionari di Roca. Nel suo libro Athanasius and the Church of Our Time, Mons. Graber riporta la «profezia» pronunciata dall'ex canonico Roca della nascita di una "nuova Chiesa" illuminata, che sarebbe stata influenzata dal «socialismo di Gesù e degli Apostoli». In pieno XIX secolo, Roca aveva predetto: «La nuova Chiesa che, forse, non potrà mantenere niente della dottrina scolastica e della forma originale della Chiesa di una volta, avrà, nondimeno, la sua benedizione la giurisdizione canonica da Roma». Commentando questa «profezia», scrive Mons. Graber: «Pochi anni fa, sembrava del tutto impossibile immaginare tali cose; ma oggi?». L'ex canonico Roca predisse anche una «riforma liturgica». Parlando della liturgia futura, egli credeva «che il culto divino, come lo regolano il cerimoniale, il rituale e le costituzioni della Chiesa romana, sarà, prossimamente, tramite un Concilio Ecumenico, sottomesso ad un cambiamento totale che ripristinerà la venerabile semplicità dell'epoca d'oro degli Apostoli, corrispondente alla coscienza e alla civiltà moderna» (ipocrita eresia dell'archeologismo, ndR). Egli previde che mediante un Concilio si sarebbe realizzato «un accordo perfetto tra gli ideali della civiltà moderna e l'ideale di Cristo e il Suo Vangelo. Questa sarà la consacrazione del Nuovo Ordine Sociale e il solenne battesimo della civiltà moderna». Roca parlò anche del futuro del Papato. Egli scrisse: «Si delinea un sacrificio che sarà una solenne riparazione [...]. Il Papato cadrà; morirà sotto il sacro coltello che i Padri dell'ultimo Concilio forgeranno. Il Cesare-Papa è un'ostia (la vittima) coronata per il sacrificio». Roca predisse entusiasticamente una «nuova religione», un «nuovo dogma», un «nuovo rituale» e un «nuovo sacerdozio». «Egli chiama "progressisti" i "nuovi sacerdoti"; parla della "soppressione" dell'abito talare e del "matrimonio dei sacerdoti"». L'eco agghiacciante delle affermazioni Roca e dell'Istruzione permanente dell'Alta Vendita risuona nelle parole del rosacroce Rudolf Steiner (1861-1925) che dichiarò nel 1910: «Abbiamo bisogno di un Concilio e di un Papa che lo convochi». 

Il grande Concilio che non venne mai indetto. Circa nel 1948, Papa Pio XII, su richiesta del fedele e cattolicissimo Cardinale Ernesto Ruffini (1888-1967), prese in considerazione l'idea di convocare un Concilio generale, la cui necessaria preparazioni avrebbe richiesto alcuni anni. È evidente che alla fine alcuni elementi progressisti presenti in Vaticano riuscirono a dissuadere Pio XII dalla realizzazione poiché era chiaro fin dall'inizio che questo Concilio sarebbe stato in sintonia con la Lettera Enciclica Humani generis. Come questa grande Enciclica del 1950, il nuovo Concilio avrebbe combattuto le «false opinioni che minacciano di minare le fondamenta della dottrina cattolica». Tragicamente, Pio XII si convinse di essere troppo avanti negli anni per prendere sulle proprie spalle questo grave compito, e si rassegnò all'idea che «questo sarà un compito del mio successore».

Roncalli consacra l'ecumenismo. Durante tutto il pontificato di Pio XII, il Sant'Uffizio, sotto l'abile comando del Cardinale Alfredo Ottaviani (1890-1979), riuscì a salvaguardare la fede cattolica tenendo i cavalli selvaggi del modernismo rinchiusi energicamente in un recinto. Molti degli attuali teologi neo-modernisti narrano sdegnosamente come - durante questo periodo - ad essi e ai loro amici sia stata messa la museruola. Ma lo stesso Ottaviani non poteva impedire quello che sarebbe accaduto nel 1958. Un nuovo tipo di "papa", «che i progressisti credevano avrebbe favorito la loro causa», sarebbe asceso al Soglio pontificio costringendo un riluttante Ottaviani a togliere il catenaccio e ad aprire il recinto provocando la fuoriuscita disordinata e precipitosa dei modernisti. Tuttavia, un tale evento non era del tutto imprevisto. Alla notizia della morte di Pio XII, un modernista, il vecchio dom Lambert Beauduin (1873-1960), un amico del Cardinale Angelo Roncalli (il futuro Giovanni XXIII), confidò a Padre Louis Bouyer: «Se eleggono Roncalli, tutto sarà salvo; egli sarebbe capace di indire un Concilio e di consacrare l'ecumenismo». E così accadde: il Cardinale Roncalli fu eletto e convocò un Concilio che «consacrò» l'ecumenismo. La «rivoluzione in tiara e cappa» era iniziata. (Approfondimento sull'eresia dell'ecumenismo).

La rivoluzione di "papa" Giovanni. È cosa nota e superbamente documentata [Cfr. P. R. Wiltgen s.v.d., The Rhine Flows into the Tiber («Il Reno sfocia nel Tevere»), TAN, Hawthorne 1985] che una cricca di teologi liberali (i periti) e di Vescovi dirottarono il Concilio Vaticano II (1962-1965) con l'intento di ricostruire una Chiesa a loro immagine tramite l'attuazione di una «nuova teologia». I critici e i difensori del Vaticano II concordano su questo punto. Nel suo libro Vatican II Revisited («Il Vaticano II rivisitato»), Mons. Aloysius J. Wycislo (1908-2005) - un entusiasta fautore della rivoluzione inaugurata dal Vaticano II - dichiara con ammirazione che «teologi e studiosi biblici che erano rimasti "in discredito" per anni riapparvero come periti (esperti teologici che consigliavano i Vescovi al Concilio) e i loro libri e i commentari scritti nel post-concilio sono diventate opere di successo». Egli scrive che «l'Enciclica Humani generis di Pio XII aveva [...] avuto un effetto devastante sul lavoro di un buon numero di teologi preconciliari», e spiega che «durante la prima preparazione del Concilio, quei teologi (principalmente francesi e tedeschi) la cui attività era stata paralizzata da Pio XII, erano ancora sotto censura. "Papa" Giovanni tolse pacificamente il veto che colpiva quelli che tra loro erano i più influenti. Un certo numero di essi fu ancora guardato con sospetto dai membri del Sant'Uffizio». Mons. Wycislo declama gli encomi di alcuni progressisti trionfanti come Hans Küng, Karl Rahner (1904-1984), John Courtney Murray (1904-1967), Yves Congar (1904-1995), Henri de Lubac (1896-1991), Edward Schillebeeckx e Gregory Baum, che erano stati considerati come sospetti fino al Concilio, ma che in seguito sono diventate le colonne portanti della teologia post-conciliare. In effetti, quelli che Pio XII considerava non idonei a percorrere la via del cattolicesimo, ora tenevano sotto controllo la città. E come per coronare la loro impresa, il giuramento anti-modernista venne tranquillamente abrogato. San Pio X aveva visto giusto. La mancanza di vigilanza da parte dell'autorità aveva permesso al modernismo di ritornare armato di vendetta. 

Marciando sotto una nuova bandiera. Durante il Vaticano II, ci furono innumerevoli scontri tra il Cœtum Internationalis Patrum («Gruppo Internazionale dei Padri»), che lottava per mantenere inalterata la Tradizione della Chiesa, e il gruppo progressista del Reno. Alla fine, prevalse tragicamente il secondo, formato da elementi liberali e modernisti. Era ovvio a chiunque, che avesse occhi per vedere, che il Concilio aveva spalancato la porta a molte idee che erano state precedentemente anatemizzate dalla Chiesa docente, ma che erano al passo con il pensiero modernista. Ciò non accadde accidentalmente, ma fu il frutto di un disegno preciso. Durante il Vaticano II, i progressisti evitarono di condannare gli errori modernisti. Inoltre, essi inserirono intenzionalmente numerose ambiguità nei testi dei documenti conciliari che intendevano sfruttare a loro vantaggio dopo il Concilio. Queste ambiguità [a parer nostro sono presenti non solo ambiguità ma evidenti errori di dottrina anti-cattolica, ndR] sono state utilizzate per promuovere un genere di ecumenismo che era stato già condannato da Pio XI, una libertà religiosa che era già stata condannata dai Pontefici del XIX e XX secolo (specialmente da Pio IX), una nuova liturgia che seguiva le linee dell'ecumenismo e che Mons. Annibale Bugnini (1912-1982) definì «una notevole conquista della Chiesa cattolica», una collegialità che colpisce al cuore il primato pontificio, e infine un «nuovo atteggiamento verso il mondo», specialmente in uno dei documenti più importanti del Concilio: la Gaudium et Spes. Come gli autori dell'Istruzione Permanente dell'Alta Vendita avevano sperato, i concetti della cultura liberale avevano finalmente incontrato l'adesione dei membri più ragguardevoli della Gerarchia cattolica ed erano in tal modo penetrati all'interno della Chiesa. Il risultato è stata una crisi di fede senza precedenti che non accenna a migliorare. Alla stesso tempo, innumerevoli ecclesiastici che occupano posizioni di rilievo, evidentemente inebriati dallo «spirito del Vaticano II», lodano continuamente le riforme post-conciliari che hanno permesso a questa calamità di abbattersi sulla Chiesa.

Acclamazioni dalle Logge massoniche. Tuttavia, non solo molti uomini di Chiesa, ma anche numerosi massoni hanno celebrato questa svolta degli eventi. Essi si sono allietati del fatto che finalmente i cattolici «hanno visto la luce» da quando molti dei loro principii sono stati accettati dalla Chiesa. Nel suo libro L'œcuménism vu par un franc-maçon de tradition («L'ecumenismo visto da un massone di tradizione»), il barone Yves Marsaudon, del Rito Scozzese, ha lodato l'ecumenismo scaturito dal Vaticano II. Egli ha scritto: «I cattolici [...] non devono dimenticare che tutte le strade conducono a Dio. E dovranno accettare che la coraggiosa idea di libertà di pensiero, che possiamo realmente definire una rivoluzione, partita dalle nostre Logge massoniche, si è magnificamente estesa sotto la cupola di San Pietro». Lo spirito di dubbio e di rivoluzione permanente proprio dell'era post-conciliare deve evidentemente aver scaldato il cuore del massone francese Jacques Mitterand (1908-1991), il quale ha scritto approvando: «Qualcosa è cambiato all'interno della Chiesa, e le risposte date dal Papa alle questioni più urgenti, come il celibato ecclesiastico e il controllo delle nascite, sono oggetto di veementi dibattiti all'interno della Chiesa stessa; la parola del Sommo Pontefice viene messa in discussione dai Vescovi, dai sacerdoti e dai fedeli. Per un massone, un uomo che mette in dubbio un dogma è già un massone senza grembiule». Marcel Prelot, senatore della regione del Doubs, in Francia, si spinge molto più in avanti nel descrivere quello che è successo. Egli scrive: «Abbiamo lottato per un secolo e mezzo per far sì che le nostre idee prevalessero nella Chiesa e non ci siamo riusciti. Finalmente, è venuto il Vaticano II e abbiamo trionfato. Da quel momento, le proposizioni e i principii del cattolicesimo liberale sono stati definitivamente e ufficialmente accettati dalla Santa Chiesa». L'affermazione di Prelot merita una precisazione; è necessario fare una distinzione tra la Chiesa e gli uomini di Chiesa. Nonostante certe pretese dei massoni, è impossibile che errori dottrinali possano essere accettati «definitivamente e ufficialmente dalla Santa Chiesa». La Chiesa, Corpo Mistico di Cristo e Sua Sposa senza macchia, non può cadere nell'errore. Nostro Signore ha promesso che «le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa» (Mt 16, 18). Ma questo non significa che gli ecclesiastici, anche quelli appartenenti ai livelli più elevati, non possano essere contagiati dallo spirito liberale del nostro tempo e possano essere promosse idee e pratiche contrarie al Magistero ... della Chiesa.

Una rottura col passato. Quei «conservatori» che negano che vari punti del Vaticano II costituiscano una rottura con la Tradizione e con il Magistero precedente - o come minimo pecchino di ambiguità, implicazioni od omissioni - non hanno ascoltato i veri promotori e sbandieratori del Concilio che spudoratamente lo hanno ammesso. Padre Yves Congar, uno degli artefici della riforma, notava con soddisfazione che «la Chiesa ha fatto, pacificamente, la sua "Rivoluzione d’Ottobre"». Lo stesso Padre Congar affermava che la Dichiarazione del Vaticano II sulla libertà religiosa Dignitatis Humanæ è in contrasto con il Sillabo di Pio IX. A riguardo del paragrafo § 2 di detta Dichiarazione, egli ebbe a dire: «Non si può negare che un testo come questo dica materialmente qualcosa di diverso dal Sillabo del 1864, e addirittura quasi l'opposto delle proposizioni 15 e 77-79 di quel documento». (...) Joseph Ratzinger, apparentemente non turbato dalla sua stessa ammissione, ha affermato di considerare il documento conciliare Gaudium et spes una specie di «contro-Sillabo»: «Se si volesse fare una diagnosi del testo (Gaudium et spes) nell'insieme, è probabile che diremmo che (in rapporto ai testi sulla libertà religiosa e sulle religioni del mondo) esso è una revisione del Sillabo di Pio IX, quasi una specie di contro-Sillabo [...]. Permetteteci di essere contenti di dire che il testo serve come un contro-Sillabo, così come esso rappresenta, da parte della Chiesa, un tentativo di riconciliazione ufficiale con la nuova era inaugurata dal 1789». La nuova epoca inaugurata dal 1789 consiste, in effetti, nell'elevazione dei Diritti dell'Uomo al di sopra dei diritti di Dio. In verità, un commento come quello del Cardinale Ratzinger è inquietante, specialmente quando proviene dal "prefetto" della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, la quale ha il compito di preservare la purezza della dottrina cattolica. Possiamo anche citare un'asserzione simile del progressista Cardinale Leo Iozef Suenens (1904-1996), a suo tempo Padre conciliare, il quale parlò in termini di «vecchi regimi» che sono terminati. Le parole che egli ha usato per elogiare il Concilio sono tra le più efficaci, le più agghiaccianti e le più schiaccianti. Suenens ha dichiarato che «il Vaticano II è stato la Rivoluzione Francese nella Chiesa».

«Una rivoluzione in tiara e cappa». La rivoluzione post-conciliare porta impressi tutti i segni di garanzia nell'aver adempiuto i disegni dell'Istruzione Permanente dell'Alta Vendita e le profezie dell’ex canonico Roca: il mondo intero è testimone di un profondo cambiamento su scala mondiale avvenuto all'interno della Chiesa cattolica, un cambiamento che la pone al passo col mondo moderno; i difensori e i detrattori del Vaticano II hanno entrambi dimostrato che certi orientamenti dottrinali introdotti a partire dal Concilio, costituiscono una rottura col passato; i massoni stessi si rallegrano del fatto che, grazie al Concilio, le loro idee hanno si sono estese «magnificamente sotto la cupola di San Pietro». Prosegue ...

da L'Istruzione permanente dell'Alta Vendita Suprema, di John Vennari

Video sull'eresia dell'ecumenismo

Video sulla laicità e sulla separazione Chiesa-Stato

Video sull'Istruzione permanente dell'Alta Vendita

La questione del cosiddetto "papa eretico"

Nel precedente articolo abbiamo studiato, sebbene in sintesi, la fase processuale, la formula di condanna e la punizione nella quale incorse il Galilei. Abbiamo, dunque, puntualmente confutato le obiezioni dei moderni, i quali pretendono usare il caso Galilei contro l’infallibilità del Pontefice e contro ogni vera scienza e storia sacra. Veniamo adesso - per nota di colore polemico - ad una brevissima difesa della Chiesa e del Papa scritta dal dotto p. Franco: «Contro quei libertini e miscredenti, i quali usano dipingere Galileo incomparabile tra i sotterranei di un carcere, catene al collo, bove alle mani, ceppi ai piedi, e poi, tirandolo come esempio negativo, esclamano fremendo: “Ecco tutta la tolleranza della Chiesa”». Abbiamo imparato che Galileo venne trattato con somma benevolenza; con lui ci volle tanta pazienza, a cominciare da quella del Bellarmino e di Papa Urbano VIII; fu condannato solo in ultima istanza e per aver disobbedito, per non aver detto la verità e per essersi reso sospetto di eresia; fece abiura secondo la formula prescrittagli; non fece un giorno di carcere ma visse “in custodia” presso case nobiliari; morì in obbedienza nella sua villa del Gioiello. Riferisce dalle cronache il p. Franco che «Galileo ebbe tutta la libertà di difendersi: ed infatti si difese, ma secondo il suo metodo e la sua solita mania, non già dimostrando ai suoi giudici il moto della terra, ma argomentando contro di essi dai Libri di Giobbe e di Giosuè: egli si perse in un labirinto di argomenti teologici (che non gli competevano), che faremmo fatica a credere se non ce ne facesse fede la sua apologia manoscritta. Nondimeno, nel condannarlo come recidivo, e nell’esigere da lui una ritrattazione, non si usò alcuna apparenza di rigore, se non che per la forma e per l’esempio (mere minacce procedurali che - come da protocollo - mai si sarebbero potute applicare ad un anziano ammalato)». E, pur volendo per ipotesi ammettere un errore del Sant’Uffizio, «questo (da solo) non è la Chiesa, e quindi non gli compete l’infallibilità che è dote propria solo del Romano Pontefice». La sentenza mirò a condannare il «sistema usato», soprattutto per lo scandalo gravissimo che ragionevolmente se ne temeva. Altresì la ricerca scientifica non venne affatto impedita.

Prosegue nel volume «Obiezioni più comuni», Roma, 1864.

Negli anni seguenti (siamo nel 1613, ndR) si accese la polemica a proposito dell’accettabilità della dottrina eliocentrica nei riguardi della Fede. Galileo diffondeva nelle discussioni orali e nella corrispondenza epistolare quella teoria; ma, salvo poche eccezioni, trovava concorde «contro di sé l’opinione universale imbibita, si può dire, ab orbe condito».

• Ad alcuni, anche dotti, pareva che il sistema di Tycho-Brahe fosse sufficiente a concordare le nuove scoperte con la tradizione religiosa. Era del resto costume largamente invalso di introdurre nelle discussioni, anche puramente filosofiche, autorità della Scrittura e dei Padri e non si mancò di fare altrettanto anche nella questione eliocentrica, per condannarla come contraria alla Fede ed eretica. Nel dicembre del 1613 il p. Castelli aveva sostenuto in proposito una discussione a Pisa dinanzi alla corte di Toscana e ne aveva dato relazione a Galileo. Questi riprese l’argomento in una lunga lettera al Castelli del 21 dicembre che ebbe pronta divulgazione, mostrando quanto malamente procedessero coloro che tiravano in campo la Scrittura in tali argomenti e come non avessero forza le prove che se ne pretendevano trarre. Con intendimento propriamente teologico scendeva invece in campo a Napoli, sul principio del 1615, il p. Paolo Antonio Foscarini carmelitano (m. nel giugno del 1616) con una lettera in cui, fatte le lodi di Galileo, mostrava assai bene come i passi scritturali e patristici contro la dottrina eliocentrica venissero assai incongruamente allegati ed ammettevano diversa interpretazione. Galileo conobbe questa lettera che fu presto stampata, e prese animo in quello stesso anno ad indirizzare a Maria Cristina, madre del granduca, una lettera veramente mirabile per chiarezza e precisione anche teologica, in cui svolgeva gli argomenti già toccati nella lettera al Castelli ed in altre; e, mostrate le relazioni fra scienza e Fede, confutava a sua volta gli argomenti opposti. Non era stato lui a portare la discussione nel campo scritturale, ma vi era portato dalla necessità di salvaguardare la sua situazione di scienziato e di credente. Questa lettera non fu allora stampata; ma fu diffusa in copie negli ambienti colti della Toscana.

• Il 7 febbraio 1615 il p. Niccolò Lorini, domenicano, aveva inviato da Firenze al card. Paolo Sfondrati, prefetto della Congregazione dell’Indice, copia della lettera del Galilei al p. Castelli, come contenente «molte proposizioni o sospette o temerarie». Poiché la lettera non era stampata, il cardinale la trasmise al card. Mellini segretario del Sant’Uffizio, dove fu tosto presa in esame. Il 20 marzo il p. Tommaso Caccini, pure domenicano, presentò formale denuncia al Sant’Uffizio contro il Galilei, ed un accertamento giudiziario fu perciò iniziato a Firenze. Accortosi che le inimicizie fiorentine non avrebbero mancato di avere ripercussioni a Roma, Galileo decise di recarvisi senz’altro. Egli sperava di tirare dalla sua gli elementi più colti dell’Urbe, e non fece conto dell’avvertimento degli amici che «i peripatetici vi erano potentissimi». Molti degli illustri personaggi che, anche nella Curia, stavano per lui, non vedevano di buon occhio che egli si andasse palesando come convinto sostenitore delle dottrine copernicane; apprezzando i suoi studi e le sue scoperte, non intendevano seguirlo per quella via. Nell’ardore dei suoi convincimenti, Galileo non seppe rendersi conto che difficile cosa era smantellare una costruzione filosofica insegnata come inoppugnabile in tutte le scuole ecclesiastiche e laiche, e che dura cosa doveva apparire a quei maestri rinunciare a dottrine insegnate e tenute per lunghi anni con pieno convincimento. Lasciata Firenze con licenza del granduca, Galileo giungeva a Roma l’11 dicembre 1615, ospite dell’oratore granducale sul Pincio, e si diede subito un gran da fare disputando sulle sue teorie con i personaggi più in vista, persino con il p. Caccini, mettendo anche per scritto le sue argomentazioni e suscitando per conseguenza l’avversione contro di sé dei seguaci dei vecchi sistemi, i quali ne facevano senz’altro questione di ortodossi religiosa. Tutto questo portava alla necessaria conseguenza che conveniva mettere in chiaro i rapporti fra la teoria copernicana e la tradizione cristiana, e portare così ufficialmente la discussione dal campo personale a quello strettamente dottrinale. Fu facile perciò agli avversari di Galileo persuadere il Sant’Uffizio della necessità di una decisione che togliesse ogni incertezza. Il Sant’Uffizio deferì l’esame ad una commissione di undici teologi i quali il 24 febbraio 1616 ai due quesiti loro proposti risposero: 1) «Che il sole sia nel centro del mondo ed immobile di moto locale: è proposizione assurda e falsa in filosofia e formalmente eretica, perché è espressamente contraria alla Sacra Scrittura»; 2) «Che la terra non sia centro del mondo né immobile, ma secondo se stessa si muova anche di moto diurno: è pure proposizione assurda e falsa in filosofia e, considerata teologicamente, è per lo meno erronea nella Fede». Questa risposta dei teologi fu ratificata l’indomani dai cardinali dell’Inquisizione, presente il Papa; ma non ebbe pubblicazione ufficiale come atto della Sacra Congregazione e restò come regola interna, quale conclusione di uomini dotti e qualificati in materia.

• Quanto a Galileo, che s’era pubblicamente compromesso con le sue discussioni, si volle procedere a suo riguardo in forma benigna, e fu affidato l’incarico al card. Bellarmino di ammonirlo ufficialmente perché desistesse dal propugnare tali teorie, con minaccia, in caso di disubbidienza, di essere carcerato. Il 26 febbraio il cardinale adempì l’incarico alla presenza del commissario del Sant’Uffizio e di alcuni testimoni. Il Galilei promise di ubbidire, impegnandosi a «in nessun modo tenere, insegnare o difendere a voce od in iscritto» dottrine eliocentriche. Da parte sua la Sacra Congregazione dell’Indice il 5 marzo proibì il libro del p. Foscarini con tutti gli altri, non elencati, che sostenessero le medesime dottrine, e decise che nelle nuove stampe dell’opera del Copernico si correggessero alcune poche frasi in modo che apparisse ch’egli aveva proposto il sistema eliocentrico quale semplice ipotesi astronomica. Poiché stava diffondendosi la voce che Galileo era stato obbligato ad un’abiura formale, questi ebbe cura di farsi rilasciare il 26 maggio dal card. Bellarmino un’attestato della comunicazione fattagli riguardo alla teoria copernicana. Così terminava quello che impropriamente fu chiamato il primo processo di Galileo. Questi ai primi di giugno tornò a Firenze, più deciso che mai ad adoperarsi nel migliore e più prudente dei modi al trionfo delle sue dottrine con dimostrare per allora l’inconsistenza delle dottrine avversarie.

• Il 1618 fu l’anno delle comete: ne comparvero tre delle quali l’ultima (novembre - gennaio del 1619), suscitò particolare interesse negli astronomi e nel pubblico; si discuteva soprattutto sulla loro natura: se fossero cioè veri pianeti o pure meteore. Se ne aspettava il giudizio di Galileo, ma egli era malato e non potè fare osservazioni dirette. Fu invece il p. Orazio Grassi, astronomo del Collegio Romano, a stampare una pubblica disputa: De tribus cometis, e Galileo si appigliò all’esame di questa stampa, facendo figurare il suo amico Mario Guiducci in un discorso tenuto all’Accademia fiorentina. Più che a stabilire una dottrina, la lettura era diretta a dimostrare l’insostenibilità delle teorie del Grassi e di altri astronomi, compreso Tycho-Brahe, lamentando che, invece di dirette osservazioni, si ragionasse soltanto sulla base di teorie preconcette. Il p. Grassi replicò sotto la veste di un supposto discepolo in difesa della dottrina del maestro, e con il nome di Lotario Sarsi Sigensano pubblicò a Perugia la Libra astronomica ac philosophica (1619) in confutazione del Guiducci. Gli amici di Galileo furono d’accordo che si dovesse rispondere, e questi nell’ottobre del 1623 pubblicò il Saggiatore, con il quale in 52 capitoli prese in esame tutte le asserzioni del Sarsi. Lavoro polemico, non trattazione propriamente sistematica, in cui l’autore si guarda bene dal presentarsi quale difensore della teoria copernicana, pure insinuandone qua e là la superiorità, distrugge le asserzioni del Sarsi e le sue obbiezioni al discorso del Guiducci e fa osservare che nella ricerca scientifica, più che alle opinioni degli autori, bisogna ricorrere alla osservazione diretta dei fenomeni ed alle matematiche; perciò evita di allegare la Sacra Scrittura come purtroppo si faceva. Il libro, indirizzato al giovane patrizio romano Virginio Cesarini e dedicato al nuovo papa Urbano VIII, ebbe larga diffusione provocando una controreplica da parte del p. Sarsi. Confidando nella benevolenza che Urbano VIII gli aveva dimostrato anni prima, Galileo nell’aprile del 1624 intraprese un nuovo viaggio a Roma, ebbe promessa di benefici ecclesiastici, ma quanto all’accettazione delle sue idee non incontrò che delusioni; sicché, quasi per scusarsi, confutando i suoi avversari, scriveva che non intendeva con questo di sostenere le dottrine copernicane, ma di far conoscere agli eretici che, pur non potendole accettare, non si ignoravano gli argomenti sui quali esse si fondavano.

• Intanto una nuova prova si affacciò all’indagine di Galileo in favore dell’eliocentrismo: quella del flusso e riflusso del mare. Egli non ne voleva sapere dell’influsso degli astri, quasi quale reazione a quello che era uno dei caposaldi dell’astrologia di allora, perciò pensava che sulla causa delle maree nulla avesse a che vedere l’influsso del sole e della luna; secondo lui, esse erano dovute alla rotazione della terra. Volle inquadrare questo nuovo supposto argomento in una trattazione più ampia che prendesse in esame i due massimi sistemi cosmologici: il tolemaico ed il copernicano; vi pose mano nell’autunno del 1624, ma solo nell’ottobre del 1629 vi attese con il proposito di condurre l’opera sino alla fine. Essa è concepita come un dialogo diviso in quattro giornate con tre interlocutori: Filippo Salviati, che vi sostiene le parti copernicane, professando però ripetutamente di ragionare come di una ipotesi scientifica che la Fede non accetta, Gian Francesco Sagredo, che fa la parte dell’ascoltatore, colto ma profano, che ripete gli argomenti chiarendoli; il terzo è Simplicio, il tradizionalista, non ignorante né sciocco, sempre attaccato ai dottori ed ai libri, senza contatto con la natura e con l’esperimento che, non senza tratti caricaturali, difende le idee correnti. Essi disputano sulla natura dei cieli, sul moto diurno della terra e sul moto intorno al sole, sul flusso e riflusso del mare e la caduta dei gravi.

• L’opera si doveva stampare a Roma e vi doveva provvedere il principe Federico Cesi, capo dell’Accademia dei Lincei; perciò nel maggio del 1630 Galileo si portò a Roma e si mise in relazione con il p. Niccolò Riccardi, maestro del Sacro Palazzo, per averne la licenza per la stampa. La regola imposta era che fosse esposto il sistema eliocentrico come pura ipotesi matematica e perché nel testo non era così, si dovette ridurre l’opera sotto aspetto ipotetico, con un capo ed una perorazione in tal senso, ed anche il corpo della trattazione doveva subire dei ritocchi; dopo ciò il p. Riccardi si riservava il diritto di rivedere il tutto. In ogni modo il primo esame riuscì favorevole. Il 1° agosto  1630 il Cesi moriva ed il Galilei decise che la stampa si facesse a Firenze con dedica al granduca; ma, causa le lunghe titubanze del p. Riccardi, essa non fu terminata che nel febbraio del 1632 ed uscì con l’imprimatur del vicegerente di Roma, del maestro dei Sacri Palazzi, dell’Inquisitore di Firenze, del vicario generale di Firenze e del governo granducale.

• Il libro fu diffuso largamente dal febbraio del 1632 e giunse anche a Roma, dove il suo contenuto non piacque e nel luglio si tentò di impedirne colà la diffusione; il Papa volle in proposito che si andasse sino al fondo e se ne occupasse senz’altro il Sant’Uffizio; ed infatti una commissione fu incaricata dell’esame. Convincimento comune fu ben tosto che, nonostante le apparenze, l’autore difendesse come vera la teoria copernicana; si notò che la prefazione inviata dal p. Riccardi da Roma era stampata in carattere diverso, quasi come estranea al resto, e che venivano bistrattati autori venerati nella Chiesa. Ed a chi proponeva che lo si correggesse, il Papa rispose che sarebbe stato necessario rifare da capo tutto il libro. Le decisioni non si fecero attendere molto. Il 23 settembre 1632 Urbano VIII fece comandare all’Inquisitore di Firenze che intimasse, nelle forme legali, a Galileo di comparire entro ottobre dinanzi all’inquisizione romana. Le dilazioni di Galileo, che allegava le sue cattive condizioni di salute, furono ritenute come scappatoie e si ricorse alle minacce, si volle avere il manoscritto originale e si fecero ritirare tutti gli esemplari stampati. Poiché il Papa non intendeva cedere, anche il granduca esortò Galileo all’ubbidienza. Questi lasciò Firenze il 20 gennaio 1633, giunse a Roma il 12 febbraio e si costituì dinanzi al tribunale. Gli fu concessa la dimora presso l’ambasciatore di Toscana, Nicolini, al Pincio, con obbligo di vivere ritirato. Solo il 12 aprile fu obbligato ad entrare nel palazzo del Sant’Uffizio, dove gli furono assegnate le sole tre stanze disponibili, senza chiusura, con libertà di scendere in cortile, di tenere un servitore e ricevere il cibo dall’ambasciata. L’interrogatorio cominciò subito. Galileo aveva sperato di essere ammesso a difendere le sue teorie, ma non era questa la pratica del tribunale, per il quale esse erano ormai qualificate sino dal 1616 ed infatti la prima domanda del p. commissario Vincenzo Macolano fu sul precetto fattogli allora dal card. Bellarmino; Galileo ammise d’essere autore del Dialogo, aggiungendo di non avere «in detto libro né tenuta, né difesa l’opinione della mobilità della terra e della stabilità del sole». Su questa denegazione Galileo tentò di imperniare la sua difesa, mentre, come giustamente notava il p. commissario, il contrario «apparisce manifestamente nel libro da lui composto». Per risparmiargli misure di rigore, il commissario ottenne di trattare estragiudizialmente con lui, ed il 20 aprile lo indusse ad ammettere di avere ecceduto nel suo libro in favore delle dottrine copernicane e nel secondo interrogatorio del 30 aprile ammise che «gli argomenti portati per la parte falsa (copernicana) ch’egli intendeva di confutare, fossero in tal guisa pronunciati che per la loro efficacia fossero più potenti a stringere che facili ad esser sciolti», e si dichiarò pronto a scrivere in senso contrario e ad aggiungere a tale scopo una o due giornate al suo dialogo. Dopo questo secondo interrogatorio fu subito concesso di nuovo al Galilei, per motivo di salute, di stare «loco carceris» nel palazzo dell’ambasciatore Nicolini, tenendosi sempre a disposizione del Sant’Uffizio.

• Nella terza chiamata davanti al Sant’Uffizio, il 10 maggio, a proposito del precetto intimatogli nel 1616, Galileo insistette nell’asserire «di non avere scientemente e volontariamente trasgredito ai comandamenti fattigli» allora, e quanto al Dialogo non fece che riferirsi a quanto aveva detto nel primo interrogatorio. Egli sperava forse di sottrarsi ad una formale abiura, ma era chiaro che le sue asserzioni non erano vere. Dopo ciò il Papa il 16 giugno comunicò le sue decisioni: si doveva senz’altro ormai interrogare Galileo su quello che realmente sentisse (super intentionem) con la minaccia anche della tortura; e se avesse sostenuto, doveva fare l’abiura e venir condannato al carcere ad arbitrio della Congregazione con ingiunzione di non trattar più in alcun modo la dottrina copernicana sotto pena di essere trattato come «relapso»; il Dialogo si doveva proibire e la sentenza rendere pubblica trasmettendola ai nunzi ed inquisitori nei diversi paesi e specialmente a Firenze. L’interrogatorio «super intentionem» si svolse davanti al p. commissario il 21 giugno ed il Galilei sostenne di nuovo che prima del 1616 era stato indifferente fra i due grandi sistemi, ma che dopo non aveva più difeso il sistema copernicano. E fattagli la minaccia della tortura, rispose di essere lì per fare l’obbedienza, insistendo di nuovo sulla negativa quanto al sistema copernicano. La minaccia non era che un elemento procedurale, né avrebbe potuto, secondo la regola, essere inflitta a lui vecchio e malato; infatti «fu rimandato al luogo suo», e l’indomani nel convento della Minerva, davanti ai cardinali e prelati della Congregazione, gli fu letta la sentenza; in essa, pur ritenendo che Galileo non avesse detto pienamente la verità, si riconobbe che nell’esame rigoroso aveva risposto cattolicamente; in ogni modo egli si era reso «vehementer suspectum de haeresi» incorrendo nelle censure e pene relative; da esse dopo l’abiura veniva assolto; il Dialogo veniva proibito e l’autore condannato al carcere del Sant’Uffizio ad arbitrio della Congregazione con l’obbligo di recitare per tre anni una volta la settimana i sette salmi penitenziali. Galileo fece l’abiura secondo la formola prescritta accettando gli obblighi impostigli. Questo il processo di Galileo, per il quale, senza riprendere più in esame la decisione dottrinale del 1616 a proposito della inaccettabilità nel campo religioso del sistema copernicano, Galileo fu giudicato e condannato sul fatto della sua continuata adesione ad esso, dimostrata soprattutto dal Dialogo dei massimi sistemi. Ormai egli era un carcerato del Sant’Uffizio; però come carcere gli fu assegnato il Palazzo dell’oratore sul Pincio; il 30 giugno ebbe per grazia di soggiornare a Siena presso quell’arcivescovo Ascanio Piccolomini; poi il 1° dicembre ebbe il permesso di ritirarsi nella sua villa del Gioiello presso San Matteo d’Arcetri ch’egli aveva comperato il 27 settembre 1631 e colà rimase, come carcerato, sino alla morte. Vano fu infatti ogni tentativo di ottenere per lui grazia completa: Urbano VIII non ne volle sapere. Gli ultimi anni del Galileo furono contristati da noiose malattie nelle quali gli mancò il conforto della figliuola suor Maria Celeste, morta il 2 aprile 1634; nel dicembre del 1637 egli divenne completamente cieco. Particolarmente gli dispiacque la proibizione di stampa per tutte le sue opere. Tuttavia non intermise mai i suoi studi, particolarmente sul «moto e le resistenze», come egli stesso scriveva il 12 luglio 1636 e ne formò un volume stampato dagli Elzevir a Leida nel 1638 che fu venduto subito anche a Roma: Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla meccanica et i movimenti locali. (...)

Impariamo da «Le questioni disputate», San Tommaso d’Aquino, volume X, tomo I, ESD, 2003, alla pagina 347, questione 8: «Nella Chiesa non ci può essere errore biasimevole; ora, sarebbe un errore biasimevole se si venerasse come santo chi fu un peccatore, poiché alcuni, conoscendo i suoi peccati o l’eresia, se fosse il caso, potrebbe essere condotto all’errore: quindi la Chiesa in tali cose non può errare... Sant’Agostino, scrivendo a San Girolamo (Lettera 40,5), dice che se si ammette qualche menzogna nella Scrittura canonica muterà la nostra fede, che si basa sulla Scrittura canonica; ora, come siamo tenuti a credere ciò che si trova nella Sacra Scrittura, così [anche] ciò che è comunemente determinato dalla Chiesa, per cui è giudicato eretico chi sente contro la determinazione dei Concilii: quindi il comune giudizio della Chiesa non può essere erroneo... La canonizzazione dei santi è intermedia fra queste due cose: poiché tuttavia l’onore che prestiamo ai santi è una certa professione di fede, mediante la quale crediamo la gloria dei santi, bisogna piamente credere che nemmeno in queste cose il giudizio della Chiesa possa sbagliare.  Il Pontefice, a cui compete canonizzare i santi, può certificarsi sullo stato di qualcuno mediante l’esame della vita e l’attestazione dei miracoli, e soprattutto mediante l’istinto dello Spirito Santo, che “scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio” (1 Cor., 2, 10). La divina provvidenza assiste la Chiesa affinché in tali cose non si inganni a motivo della testimonianza fallibile degli uomini». Prosegue...

Veniamo adesso al Cardinale Prospero Lambertini (Papa Benedetto XIV), «De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione», Bononiae, 1737, alla pagina 297 e successive: «Dio è lodato nei Suoi santi, e mentre onoriamo i servi, l’onore si riversa nel Signore (...). Infatti nessun cristiano dubita (chi ne dubita quindi non è vero cristiano ...), e questo è attestato nella sacra Scrittura, che il Signore è lodato nei Suoi santi, e chi onora loro, onora direttamente il Signore, come attesta Egli stesso dicendo: “Chi onora voi, onora me, e chi accoglie voi, accoglie me”; e ancora: “Ciò che avete fatto ad ognuno dei miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me (...)”. Conviene sommamente che chi è santo presso Dio sia anche ritenuto santo dagli uomini». Finalmente scrive: «Infine, ut tantae questioni finem denique imponamus, si non haereticum, temerarium tamen, scandalum toti Ecclesiae afferentem, in Sanctos injuriosum, faventem haereticis negantibus auctoritatem Ecclesiae in Canonizatione Sanctorum, sapientem haeresim, utpote viam sternentem Infidelibus ad irridendum Fideles, assertorem erroneae propositionis, et gravissimis poenis obnoxium dicemus eum, qui auderet asserere, Pontificem in hac aut illa Canonizatione errasse, huncque aut illum Sanctum ab eo canonizatum non esse Cultu Duliae colendum; quemadmodum assentiuntur etiam illi, qui docet de Fide non esse, Papam esse infallibilem in Canonizatione Sanctorum, nec de fide esse, hunc aut illum Canonizatum esse Sanctum» (alla pagina CXIV, «Opus de servorum Dei beatificatione, et beatorum canonizatione», Tomus Primus, Neapoli, 1773, Ex Typographia Francisci Paci). Traduzione: «Infine, per porre al termine una così grande disputa, diremo che sia difensore di una proposizione erronea e meritevole di pene gravissime, che provoca scandalo a tutta la Chiesa, che sia offensivo verso i Santi, che favorisce gli eretici che negano l’autorità della Chiesa nella canonizzazione dei santi; che sa di eresia, in modo tale da spianare la via agli infedeli nell’irridere i Fedeli, chi osasse affermare che il Pontefice erri in questa o quella canonizzazione; se costui non sia eretico, ma tuttavia imprudente, (chi dica che) questo o quel Santo da lui (dal Papa) canonizzato non sia da innalzare al culto dei santi; allo stesso modo danno il proprio assenso a chi insegna che non sia di fede che il Papa sia infallibile nella canonizzazione dei Santi, né sia di fede che questo o quello canonizzato sia Santo». Quest’opera è stata paragonata da Papa Pio XII alla «Summa Theologiae» di San Tommaso (cfr. «Discorsi e radiomessaggi di Sua Santità Pio XII», volume XX, Città del Vaticano, 1959, pagine 465-467).

San Luigi Maria Grignion di Montfort ci ha lasciato scritto, all’inizio del capitolo Terzo del suo «Trattato della vera devozione a Maria»: Premesse queste cinque verità, bisogna adesso fare una buona scelta della vera devozione alla santissima Vergine: perché ci sono false devozioni alla santa Vergine, che è facile prendere per vere devozioni. Il diavolo, falsario e ingannatore abile e sperimentato, ha già ingannato e dannato tante anime con una falsa devozione alla santissima Vergine, e si serve ogni giorno della sua esperienza diabolica per dannarne molte altre, illudendole e facendole addormentare nel peccato, sotto pretesto di qualche preghiera mal detta e di qualche pratica esteriore che loro ispira. Come un falsario falsifica ordinariamente solo l’oro e l’argento e molto raramente gli altri metalli, perché non ne vale la pena, così lo spirito maligno non falsifica tanto le altre devozioni, quanto quelle di Gesù e di Maria, la devozione alla santa Comunione e la devozione alla santa Vergine, perché esse sono, tra le altre devozioni, quello che sono l’oro e l’argento tra i metalli.

Ad Antonio Ignazio, Arcivescovo di Friburgo, in Brisgovia.

• Il dolore che da tempo Ci affligge per colpa di certi ecclesiastici di codesta regione, fautori di novità e concordi nel sovvertire la salutare disciplina, Ci fu alquanto alleviato, Venerabile Fratello, dalla tua lettera che Ci avevi inviato il 10 gennaio di quest’anno. In essa, infatti, rispondendo a un’altra Nostra precedente lettera, Ci hai resi consapevoli dello zelo pastorale con cui cercavi di impedire che le loro macchinazioni raggiungessero qualche effetto sia nel convegno Bondorfiense, sia nel più affollato incontro (che si tenne a Sciaffusa) di altri chierici, della stessa indole, provenienti dalle vicine diocesi. Memore del tuo dovere, hai dichiarato di avere tale disposizione d’animo che, in caso di necessità, avresti voluto sacrificare la tua vita stessa per la Chiesa e per la salvezza delle anime. In seguito aspettavamo da te altre notizie che Ci facessero conoscere una più felice conclusione del tuo impegno. Ma ecco sopraggiungere un’altra recente causa di crudele affanno quando Ci fu riferito che parecchi canonici e numerosi parroci e sacerdoti, in lunga schiera, hanno seguito la processione di acattolici che in codesta città inauguravano un nuovo tempio. Non si trattava, Venerabile Fratello, di qualche ricorrenza civile, per nulla attinente alla Religione, in cui il clero cattolico è presente in omaggio al Principe e per attestare agli altri la civile concordia. Fu dedicata al culto acattolico [ossia protestante, ndR] una più ampia sede che i protestanti avevano sontuosamente costruito demolendo un antico tempio cattolico, perché i ministri protestanti potessero celebrare in essa, con maggiore sfarzo, i riti acattolici e insegnare l’eresia a un maggiore concorso di popolo, avversando la verità cattolica; pertanto tutta quella pompa sembra predisposta al fine di celebrare un nuovo trionfo dell’errore. Tanto meno Ci aspettavamo tali notizie in quanto riteniamo che tu sappia con quale lettera il Nostro Predecessore Papa Pio VIII di gloriosa memoria abbia rimproverato il Vescovo tuo predecessore che non aveva rifiutato di essere presente con il suo clero, mentre i protestanti collocavano una lapide celebrativa dello stesso tempio. Sappiamo che la tua fraternità, finora, non è stata presente alla cerimonia di inaugurazione del tempio e non vogliamo in alcun modo sospettare che per tuo ordine una tale ragguardevole schiera di tuoi sacerdoti abbia partecipato a quella cerimonia, tuttavia, dalle notizie che Ci sono state riferite, a stento possiamo dubitare che almeno alcuni di essi abbiano compiuto quel gesto dopo averti consultato. Era inoltre tuo preciso dovere prevenire l’accaduto o richiamare, in relazione al tuo ufficio, chi aveva commesso tale errore e condannare apertamente lo stesso fatto per porre riparo allo scandalo. Infatti da quel comportamento deve aver avuto origine un grosso scandalo poiché i sacerdoti cattolici, accompagnando la cerimonia acattolica con siffatto particolare rispetto, sembrano per ciò stesso averla approvata insieme con gli errori su cui si regge. Certo non altro vogliono i ministri protestanti se non che il clero cattolico, indotto a un tal modo di agire, attenui poi nel popolo fedele la memoria di quel dogma che riguarda la necessità della fede e dell’unità cattolica, al fine di raggiungere la salvezza; così essi potranno più facilmente adescare molti altri, in modo che si allontanino dallo stretto sentiero della verità cattolica e imbocchino sciaguratamente l’ampia via dell’errore e della perdizione.

• Ora dunque non ti sia grave, Venerabile Fratello, se richiamiamo alla tua memoria ciò che nel libro dell’Apocalisse (Ap., 2, 14 ss.) sta scritto in nome di Cristo all’indirizzo del Vescovo di Pergamo. Infatti se costui fu rimproverato e comandato di far penitenza perché non si era opposto come doveva agli eretici Nicolaiti nella sua diocesi, facilmente comprenderai che cosa si debba dire di un Vescovo che o permise o non proibì nei dovuti modi che il suo clero cattolico partecipasse alla processione dei protestanti e alla solenne consacrazione del loro nuovo tempio. Ma ciò che ti scriviamo per dovere del supremo apostolato non vorremmo fosse da te interpretato come un giudizio che allontana da te il Nostro animo; amiamo invece la tua fraternità con intimo slancio di carità, e nulla desideriamo di più che tu assuma un coraggio degno di un Arcivescovo cattolico e che tu vigili insonne e che tu ti dia cura di tutti come un buon soldato di Gesù Cristo; così ti renderai sempre benemerito della fede cattolica e della salute del gregge e quando verrà il divino Principe dei pastori otterrai l’incorruttibile corona di gloria.

• Ben presto avrai una nuova testimonianza della Nostra benevolenza verso di te come supplemento di questo rescritto della Nostra Penitenzieria, dal cui testo capirai in che modo Noi abbiamo assecondato le tue preghiere con cui avevi chiesto non solo la facoltà di sanare quei matrimoni che sospettavi contratti erroneamente tra consanguinei in tempo di Chiesa vacante, ma anche la facoltà di regolare, fino a un certo numero di casi, oltre i prossimi gradi di parentela, le nozze da contrarre in avvenire. A concederti questa facoltà, Venerabile Fratello, Ci indusse soprattutto il fatto che nelle ricordate richieste sembri ritenere più facile in futuro distogliere i cattolici della tua diocesi da un contratto nuziale con acattolici, riducendo così il danno spirituale loro e della prole nascitura. E siamo sorretti dalla ferma speranza che, a proposito di questi matrimoni misti, saprai validamente tutelare la sana dottrina e l’integrità dei canoni e delle istituzioni di questa Santa Sede. Inoltre, se un uomo o una donna cattolica vorranno contrarre siffatte nozze, senza ottenere la dispensa della Chiesa o senza aver prima assunto le opportune cautele con cui porre al sicuro l’osservanza degli obblighi della loro religione e in particolare l’educazione cattolica di tutti i figli di ambo i sessi, in questo caso ricorderai che è tuo stretto dovere opporti con tutte le forze a un tal matrimonio e che non farai assolutamente nulla né permetterai al tuo clero di compiere alcun atto per cui sembriate approvarlo. Ma circa questo argomento abbiamo reso note parecchie disposizioni sia in altre Nostre lettere, soprattutto in quella inviata agli Arcivescovi e ai Vescovi di Barivera, sia anche nelle allocuzioni rivolte già per tre volte ai Cardinali in Concistoro e poi rese pubbliche.

• Inoltre, cogliendo questa occasione di scriverti, non Ci possiamo trattenere dall’indicare certe altre questioni che esigono particolare attenzione dalla tua fraternità. Proprio quei sacerdoti (che più sopra abbiamo menzionato), ansiosi di novità, non si fanno scrupolo di sminuire i sacri Riti né di contestare le lodevoli consuetudini della Chiesa, e nulla di intentato tralasciano per indurti, Venerabile Fratello, a pubblicare un nuovo libro rituale che accondiscenda ai loro desideri. Pertanto tu, memore del tuo dovere, preserva con fermezza le Istituzioni dei Padri e non permettere mai che codesto clero receda in alcuna parte da quelle norme che sono codificate nel Libro rituale di Santa Romana Chiesa o da quelle che forse furono aggiunte ad esse in un altro rituale (se è in vigore presso di voi) che sia antico ed approvato dall’autorità canonica. Confidiamo dunque, Venerabile Fratello, che tu obbedirai a questi Nostri moniti; e poiché in questa materia comprendemmo che nulla è mutato, ti esortiamo e ti scongiuriamo caldamente in nome del Signore di non trattenerti dal reprimere e dal correggere le innovazioni che avanzano. Per quella stessa smania di rinnovamento che agita non poca parte del tuo clero vi è motivo di temere che anche nei loro insegnamenti al popolo e nelle preparazione dei fanciulli alla dottrina cristiana usino qualche nuovo libro di tipo sospetto. Pertanto, allo scopo di stornare un siffatto pericolo, non omettere di raccomandare, Venerabile Fratello, la lettura del Catechismo Romano che fu scritto per decreto del Concilio Tridentino soprattutto ad uso dei parroci e che poi fu edito per ordine di San Pio V, Nostro Predecessore, e nel quale, per richiamare le parole dell’Enciclica di Clemente XIII, Nostro Predecessore, «In Dominico agro» del 14 giugno 1761, si ha «un sussidio molto opportuno per rimuovere gl’inganni di false opinioni e per propagandare e rafforzare la vera e santa dottrina».

• Del pari è necessario che tu provveda, con ogni sforzo, affinché sia nelle scuole superiori, sia nelle inferiori dei fanciulli, nulla sia insegnato alla gioventù fedele che non coincida con la verità cattolica. In primo luogo tu avrai massima cura di affidare la formazione dei chierici a uomini prestanti per integrità di costumi e per fama di sana dottrina; per merito loro lo stesso clero più giovane, sotto la tua continua vigilanza, sia educato alla pietà e alla cultura in tal guisa che sia lecito a ben diritto sperare che dalla loro schiera emergano sacerdoti che con la parola e con l’esempio risplendano di luce davanti ai popoli.

• Infine non dubitiamo che ti sia noto tutto ciò che scrisse su argomenti di grandissima importanza Pio VIII, Predecessore Nostro di felice memoria, in una lettera all’Arcivescovo tuo predecessore e ai Vescovi suffraganei il 30 giugno 1830, e poi ciò che Noi stessi scrivemmo più diffusamente in altra lettera ai medesimi il 4 ottobre 1833, e in parecchie lettere che inviammo sia nello stesso giorno, sia in altri momenti, allo stesso tuo predecessore in particolare. Ora dunque, mentre aspettiamo una sollecita risposta a questa Nostra lettera a te rivolta, nello stesso tempo chiediamo alla tua fraternità di informarci sul presente stato delle cose sacre di costì e di altre questioni che furono esposte in quella precedente lettera, e di tutto ciò che riguarda la tutela delle leggi divine ed ecclesiastiche. (...)

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 30 novembre 1839, anno nono del Nostro Pontificato. Il Papa Gregorio XVI: Epistola «Dolorem quo».

L'amicizia è una mutua comunicazione di affetto e di beni, veri o falsi, fra due o più persone. Si specifica secondo la varietà dei beni che si comunicano. L'amicizia che si fonda solo su doti sensibili o frivole, mirando a godere della presenza e dei vezzi della persona amata, è detta falsa amicizia. Anzi, in fondo si tratta di mascherato egoismo, poiché si ama un soggetto più per il piacere che si prova di stare in sua compagnia, e si è pronti a rendergli un servizio per il piacere che si prova a maggiormente affezionarselo. Prosegue nel video:


Dicono i moderni: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato …». Quindi concludono: «Chi non agisce sempre in questa maniera non applica il Vangelo». A tale miseria si riduce la mistificatoria dottrina dei modernisti sull’immigrazione (qui approfondimenti). Ecco una prima elementare obiezione, rispondo: Gesù non si riferiva genericamente “all’uomo”, anzi è vero l'esatto contrario, sicché aggiunge: «Estote ergo prudentes sicut serpentes» - «Siate dunque prudenti come i serpenti». Gesù - a prescindere dalle etnie - non intendeva affatto sfamare lo spacciatore, abbeverare il trafficante di schiavi, ospitare il violentatore, favorire il predicatore di odio, eccetera... Replicherò meglio alla blasfemia esegetica immigrazionista più in basso. Si tratta di una volgare pseudo-esegesi di Modernismo.

Premessa. Per chi non ne fosse a conoscenza, devo premettere che il Modernismo è «sintesi di tutte le eresie», «porta all’ateismo», «distrugge ogni religione» e purtroppo «serpeggia nelle viscere della Chiesa» (cfr. Pascendi Dominici gregis, San Pio X; anche Humani generis, Pio XII: qui approfondimenti). Dunque i miasmi dei modernisti non sono dottrina della Chiesa, sebbene provochino grave scandalo contro la Chiesa.

Facciamo attenzione. Oggigiorno il primo e più immediato sigillo per distinguere il modernista dal cattolico è la sua adesione all’ecumenismo, a prescindere se questi sia favorevole o contrario all'attuale sistema migratorio: la sua dottrina presenterà certamente dei difetti. L’ecumenismo - complesso di eresie e gravi errori contro il Vangelo, contro il Credo apostolico e contro numerosi dogmi (qui un comodo dossier video di 142 minuti) - è condannato dalla Chiesa mediante la Mortalium Animos di Papa Pio XI, la Orientalis Ecclesiae di Papa Pio XII e presso numerosi altri luoghi (qui approfondimenti). Dunque l’ecumenista è un modernista manifesto, ragion per cui non può essere contemporaneamente anche cattolico. La sua dottrina non è espressione della mente di Dio.

Avendo appena smascherato il modernista (= abitualmente aderisce all’ecumenismo, caldeggia la distruzione di ogni religione, e della Chiesa se fosse possibile), la creatura ragionevole, per logica conseguenza, non può prendere assolutamente in considerazione la dottrina salottiera dei modernisti, nemmeno quella sull’immigrazione (qui approfondimenti), anche se il pulpito si maschera di virtù (cfr. I S. Giov., IV,1): «Et non mirum, ipse enim satanas transfigurat se in angelum lucis» - «Ciò non fa meraviglia, perché anche satana si maschera da angelo di luce» (II ad Cor., XI, 14).

Oggi la stampa conservatrice li definisce «cattocomunisti», in verità l’etichetta non è appropriata poiché il modernista può essere “cattocomunista”, “cattodemocristiano” oppure “cattofascista”, se proprio vogliamo sforzarci di usare declinazioni politicheggianti (qui approfondimenti di teologia politica).  Da bravi protestanti, i modernisti usano il «sola Scriptura» e  «violentano la Scrittura» (cfr. Providentissimus Deus, Leone XIII: qui approfondimenti)  in ragione dei loro interessi particolari (probabilmente talvolta non ne sono troppo consapevoli), così anche per la questione dell’immigrazione. Il «violentatore della Scrittura» è lungi dall’essere misericordioso o caritatevole, piuttosto è vero l’esatto contrario, dato che il padre di Lutero, il padre del «sola Scriptura» (cfr. Exsurge Domine, Leone X: qui approfondimenti) e «padre della menzogna» è il demonio (cfr. S. Giov., VIII, 44). Al contrario, la misericordia è carità e «si compiace della verità» (cfr. I Cor., XIII).

Rafforzo ciò che ho dimostrato. Gli stessi modernisti, così solerti a citare il Vangelo per caldeggiare un’immigrazione incontrollata e spersonalizzante - proprio come impone il demone dell’ecumenismo, «spirito che intende abbattere ogni credo religioso con la mescolanza egualitaria»: qui approfondimenti - non si peritano mai di citare il Vangelo per contrastare le turpitudini morali così diffuse. Non lo fanno poiché, facendolo, perderebbero quei consensi mondani che tanto li allettano, tuttavia è scritto: «Modo enim hominibus suadeo aut Deo? Aut quaero hominibus placere? Si adhuc hominibus placerem, Christi servus non essem!» - «Infatti, è forse il favore degli uomini (ossia dei mondani) che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!» (ad Gal., I, 10).

Contro il falso concetto di carità ed amore - piuttosto il trionfo dell’animalesca concupiscenza più o meno invertita (qui approfondimenti) - il Vangelo dice chiaramente: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti» (S. Matt., XIX,17); «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti» (S. Giov., XIV,15); «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama» (S. Giov., XIV, 21); «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore» (S. Giov., XV, 10); «Da questo sappiamo d'averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti» (I S. Giov., II, 3); «Chi dice: “Lo conosco” e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui» (I S. Giov., II, 4); «Da questo conosciamo di amare i figli di Dio: se amiamo Dio e ne osserviamo i comandamenti … in questo consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi» (I S. Giov., V, 2-3); «E in questo sta l'amore: nel camminare secondo i suoi comandamenti. Questo è il comandamento che avete appreso fin dal principio; camminate in esso» (II S. Giov., V, 6); «Qui appare la costanza dei santi, che osservano i comandamenti di Dio e la fede in Gesù» (Apoc., XIV, 12); eccetera. Ebbene, solo per citare un esempio, davanti alle diffuse ed invereconde perversioni morali, i modernisti (parimenti immigrazionisti) sono abilissimi nell’occultamento del Vangelo, mentre rispondono maldestramente: «Dio è amore», nell’intenzione di propagandare e di favorire l’esatto contrario dell’amore, come ho appena dimostrato usando correttamente il Vangelo.

Ipocrisia. Da questo capiamo che lo spirito del modernismo, dell’immigrazionismo, dell’ecumenismo è particolarmente fariseo: «In hypocrisi loquentium mendacium et cauteriatam habentium suam conscientiam» - «Sedotti dall'ipocrisia di impostori, già bollati a fuoco nella loro coscienza» (I ad Tim., IV, 2). Voglio solo aggiungere che i modernisti non hanno mai parlato di assistenza religiosa al migrante, bensì solo di assistenza spicciola, materiale, mondana, al massimo psicologica (sic!). In seguito vedremo che l'assistenza religiosa (oramai vietata dalla religione ecumenica) è, invece, la maggior premura del cattolico di ogni epoca: questo differisce l'uomo di mondo, dall'uomo di Dio!

Fonte autorevole. Ciò premesso, smascherati pertanto i ciarlieri portaparola della modernità, usiamo l’Enciclopedia Cattolica (Imprimatur 8 ottobre 1950, Vol. V, Coll. 291-299) per difendere la dottrina cristiana sull’immigrazione. Inizio delle citazioni:

Il diritto di emigrare, per andare alla ricerca di un nuovo domicilio, rompendo il vincolo giuridico che lega l’uomo alla società, nella quale è nato, è stato discusso fin dagli albori del moderno diritto internazionale. Prima ancora che il Grozio toccasse l’argomento e il Vattel più tardi gli dedicasse maggiore attenzione, il Vitoria, aveva fissato alcuni princìpi e dato in linea di massima la soluzione del problema. Secondo il Vitoria, la terra con i suoi beni è stata destinata al servizio del genere umano, di modo che tutti gli uomini hanno il diritto primordiale di farne uso, per la propria sussistenza e il proprio perfezionamento. La divisione della proprietà non distrugge questa essenziale destinazione delle risorse naturali della terra, e quindi se esse non vengono sfruttate dal popolo che le possiede, qualsiasi uomo, anche se appartenente ad altra società politica, può occuparle per fare ad esse raggiungere il loro scopo, purché la sua azione non sia nociva a quella cui appartiene il territorio. Questa conclusione viene da lui rafforzata con l’appello al principio d’eguaglianza. Se una società permette a degli estranei di muovere alla ricerca di cose preziose, esistenti nel territorio di sua giurisdizione, non può escludere gli altri dal godimento della medesima concessione, senza una ragione appoggiata sulle esigenze del bene comune. Inoltre la legge naturale detta il precetto della comune solidarietà e impone la necessità degli scambi tra le varie genti; può, dunque, l’uomo fissare il proprio domicilio su qualsiasi parte della terra, per intrecciare relazioni di collaborazione con altri popoli, nel cui territorio ha il diritto di risiedere o di transitare liberamente, se ciò non porta detrimento agli altri. Le tesi del Vitoria è, dunque, moderatamente liberista, in quanto all’affermazione del diritto umano di emigrare congiunge la considerazione del bene comune della terra di immigrazione, dal quale il diritto riconosciuto può venire limitato. I princìpi da lui fissati sono diventati patrimonio della dottrina cattolica.

Altre soluzioni. Presentemente tengono il campo tre soluzioni, due estreme e l’altra intermedia. Le estreme traggono rispettivamente origine o dal culto eccessivo della libertà, distintivo della concezione liberale, o dalle teorie che più o meno inclinano verso l’assolutismo del potere dello Stato e si atteggiano diversamente, pur mantenendo il principio della sovranità illimitata. La tesi liberale sostiene che il diritto d’emigrare non è altro se non una manifestazione della libertà umana, che si dirige verso la scelta d’un domicilio più conveniente alla persona interessata, e poiché l’autonomia individuale è un diritto sacro e intangibile, il cittadino ha la facoltà di emigrare a sua discrezione. La società conseguentemente non avrebbe il potere di sopprimerla né quello di limitarla, eccetto in caso di vera emergenza. Le teorie, invece, che più o meno si ispirano al concetto del potere assoluto dello Stato, movendo dal principio che l’individuo non possiede per sé nessun diritto personale, se non in quanto gli viene concesso dall’autorità pubblica, gli nega il diritto d’emigrare ed attribuisce allo Stato un potere discrezionale d’impedirne l’esercizio. Concezioni organiciste, razziste o nazionaliste concorrono a confermare questo atteggiamento, in quanto nel vincolo che lega l’uomo alla terra d’origine e alla società politica o nazionale vedono un vincolo di natura fisica.

La terza soluzione, diventata la più comune presso gli internazionalisti, si riannoda all’opinione espressa dal Vitoria. Essa riconosce all’uomo il diritto naturale di emigrare, ma ne subordina l’esercizio al bene comune delle due società interessate, temperando i poteri dello Stato con i limiti imposti dal diritto della persona umana, e la libertà dell’individuo con le restrizioni richieste dal bene collettivo. È questa la soluzione che viene accolta dalla dottrina cattolica. Tra i diritti fondamentali dell’uomo è da annoverarsi quello della libertà personale. La facoltà d’emigrare è l’esercizio di tale diritto, volto alla scelta d’un nuovo domicilio, all’elezione di un nuovo campo di attività, ritenuti più convenienti ai bisogni della vita; lo Stato non può, dunque, intervenire per sopprimerla o ridurla in modo arbitrario. Il legame poi, che congiunge l’uomo a un determinato aggregato politico, compreso quello in cui è nato, non è di natura fisica, ma è essenzialmente una relazione morale, che egli può rompere quando la necessità o la convenienza lo consigliassero. Si aggiunge a rafforzare il suo diritto il carattere di mezzo della vita sociale in ordine ai fini prevalenti della vita. Se l’uomo non può fare a meno d’inserirsi entro un organismo sociale, perché fuori di esso non potrebbe né vivere, né progredire, tuttavia questa necessità finale non lo lega in modo indissolubile al ceppo, dal quale procede, potendo egli conseguire il medesimo scopo e in maniera più sicura in altra compagine collettiva. Egli può, dunque, cercare sotto altri cieli e fra nazioni straniere i mezzi per attuare il fine della sua esistenza.

Opporsi all’emigrazione. Ne segue che lo Stato, in virtù del diritto di sovranità, non ha la facoltà di opporsi in modo assoluto all’emigrazione. Tuttavia l’uso di tale diritto da parte del cittadino trova delle restrizioni naturali nel bene collettivo, la cui cura è devoluta al potere supremo dello Stato, che con la sua legge può imporre delle condizioni, come le impone a qualsiasi esercizio della libertà personale nel campo sociale, affinché il deflusso emigratorio non pregiudichi gli interessi più generali della collettività. Il paese di provenienza ha conseguentemente il diritto di subordinare la emigrazione al compimento previo di alcune obbligazioni sociali, come sarebbe, ad es., il servizio militare, e può adottare provvedimenti più rigorosi o in caso di necessità, imminenza d’un conflitto, o per frenare un esodo della popolazione, che per la sua ampiezza tornerebbe dannoso all’efficienza della propria vita. L’interesse più universale del corpo sociale prevale allora sull’interesse e sul diritto dell’individuo che desidera espatriare.

[Distinguiamo subito l’emigrazione dall’immigrazione. L’Enciclopedia sta analizzando, fino a questo momento, la questione dell’emigrazione: ovvero di chi intende partire e del suo rapporto col paese d’origine. Per conseguenza, possiamo usare la medesima dottrina, ovvero i princìpi assoluti che essa esprime, per disciplinare anche il fenomeno dell’immigrazione, quindi di chi potrebbe ospitare, ndR].

Il paese d’immigrazione. Alquanto più arduo riesce determinare gli obblighi del paese d’immigrazione [il paese di destinazione del migrante, ndR], il quale non ha dei doveri giuridici positivi verso l’immigrante, non appartenendo questi alla sua compagine sociale. E tuttavia, se si tiene presente il principio posto dal Vitoria della destinazione essenziale dei beni della terra al servizio del genere umano, lo Stato non ha diritto di considerare i suoi sudditi come beneficiari esclusivi delle risorse del suo territorio e di riservarne ad essi soltanto il godimento. Se, dunque, possiede dello spazio disponibile, dove le risorse naturali giacenti inoperose potrebbero essere valorizzate dal lavoro di altre braccia, ha un dovere stretto di giustizia di permettere che queste vi s’insedino e vi traggano i mezzi di sussistenza. Nondimeno anche a questo riguardo non bisogna perdere di vista l’altro principio fissato dallo stesso Vitoria della conveniente tutela del bene collettivo, e quindi si dovrà ammettere che anche il paese d’immigrazione ha la facoltà di apportare delle restrizioni all’arrivo degli stranieri, sottoponendo l’ingresso nel suo territorio a condizioni particolari, affinché il loro afflusso non sia pregiudiziale all’ordine e alla sicurezza pubblica. Tali restrizioni, però, dovranno essere sempre fondate sopra una reale esigenza del bene comune e non dettate dall’egoismo nazionale o da altri pregiudizi etnici. Indubbiamente non tutte le varietà della specie umana si possono fondere tra di loro, in modo che non ne derivino inconvenienti gravi nell’ordine morale e sociale. Facendo attenzione alla maggiore e minore assimilabilità delle stirpi umane, può uno Stato stabilire delle discriminazioni; queste però non possono arrivare al grado di condannare intere popolazioni ad un’esistenza di miseria, giacché ogni uomo ha diritto di ricavare dalla terra i mezzi di sussistenza, a qualsiasi gruppo egli appartenga. Alcune leggi restrittive esistenti in qualche paese d’immigrazione, come, ad es. negli Stati Uniti, devono essere considerate come ingiuste, non perché stabiliscano dei contingenti, legittimi in certe circostanze, ma perché il contingentamento tende a escludere popoli maggiormente bisognosi di lasciar defluire la loro eccedenza demografica, per ragioni infondate …

Le condizioni di lavoro dell’emigrante nel paese di adozione sottostanno alle leggi morali e giuridiche generali, che regolano questa materia. Occorre tuttavia far menzione di un particolare aspetto, messo in luce da Pio XII nel radiomessaggio del 1° giugno 1941. Commemorando il cinquantenario della Rerum Novarum, il Papa ha rilevato come esistano regioni abbandonate al capriccio vegetativo della natura, dove utilmente si potrebbe trasferire la mano d’opera, e come sia sovente inevitabile che alcune famiglie, emigrando, si cerchino altrove una nuova patria. In questo caso va rispettato il diritto della famiglia ad uno spazio vitale. «Dove questo accadrà - egli soggiunge - l’emigrazione raggiungerà il suo scopo naturale, che spesso convalida l’esperienza, vogliamo dire la distribuzione più favorevole degli uomini sulla superficie terrestre, acconcia a colonie di agricoltori; superficie che Dio creò e preparò per uso di tutti».

La naturalizzazione. Un breve cenno meritano ancora in questa parte morale e giuridica l’assimilazione e la naturalizzazione dell’immigrato, rispetto alle quali, mentre è da affermare il diritto dello Stato accoglitore di lavorare al lento assorbimento dello straniero, stabilitosi nel suo territorio, nella sua compagine sociale e politica, in modo da conseguirne l’amalgamazione con le popolazioni native e assicurare l’unità, è da escludere insieme categoricamente che il processo possa essere forzato da provvedimenti oppressori. L’assimilazione deve piuttosto essere lasciata al giuoco spontaneo delle virtù naturali dell’uomo, le quali presto o tardi producono l’effetto associativo, se aiutate prudentemente dall’azione stimolatrice del potere pubblico: la naturalizzazione invece, con l’acquisto della nuova cittadinanza, essendo un atto volontario dell’individuo, con il quale egli spiritualmente aderisce al nuovo aggregato politico, non può mai essere imposta con mezzi coercitivi. Le legislazioni a questo proposito non sono concordi, ispirandosi alcune al ius soli, come quella degli Stati Uniti, altre al ius sanguinis e altre ancora a un sistema misto. Sarebbe opportuno che si conseguisse in ciò una certa uniformità, per evitare l’inconveniente grave della doppia cittadinanza.

L’immigrato naturalizzato o no, gode, anche in seno al paese che lo ha accolto, il diritto di usare la lingua originaria nella sua famiglia e tra i suoi connazionali e di professare liberamente la propria religione in luoghi di culto [qualora già esistenti, ed ammesso che non ne derivino inconvenienti gravi nell’ordine morale e sociale. Fare riferimento all'Allocuzione Ci riesce di Papa Pio XII, ndR]…

Valutazione sociale numero uno. I giudizi sul valore sociale dell’emigrazione si dimostrano discordanti a causa del diverso aspetto, sotto il quale viene considerata, e del rilievo dato ad alcuni elementi a preferenza di altri, che pure non vanno trascurati in una valutazione obiettiva del fatto. Gli oppositori dell’emigrazione, generalmente di tendenza nazionalistica, indugiano in modo particolare nel rilevare i mali, che essa causa al paese. Innanzi tutto l’emigrazione involerebbe alla nazione una forza preziosa, la quale, se mantenuta entro i confini della patria, potrebbe rinvigorire la sua efficienza. L’emigrante è perduto per sempre, non soltanto come elemento numerico, ma come uomo dotato d’intelligenza, volontà e operosità fisica e spirituale, e con lui è perduta la sua prole, la quale, nata in paese straniero, conserva soltanto un pallido ricordo della patria d’origine. Inoltre l’emigrazione porta via di solito gli individui meglio dotati, nel pieno vigore delle loro forze e nel periodo di maggiore rendimento, i quali profonderanno la loro attività in terre straniere, senza che alla nazione, alla quale devono la nascita, il sostentamento e l’educazione, ne derivi alcun beneficio diretto. Le rimesse che egli manda, non arrivano a compensare le spese incontrate per il suo allevamento, educazione e formazione intellettuale e professionale. Non è esatto nemmeno dire che con l’emigrazione si dilata la cultura nazionale o si purifica l’organismo sociale dalle tossine pericolose, liberandolo degli individui meno buoni. Nella realtà l’emigrato, particolarmente alla seconda generazione, viene compiutamente assorbito nella cultura del paese d’adozione, e solo con ulteriori spese la nazione d’origine può mantenere desta la fiamma della propria, aprendo e mantenendo scuole e istituti per la sua assistenza. L’emigrazione poi, come possono dimostrare le statistiche, lungi dal purificare l’organismo sociale, gli sottrae i membri più giovani, più attivi e più ardimentosi. Coloro che si avventurano verso un avvenire spesso ignoto non sono i deboli, i malati, gl’incapaci e i minorati intellettualmente e fisicamente. L’emigrazione, dunque, opera una selezione a rovescio, trascinando via gl’individui validi e lasciando in patria gli inetti [Oggigiorno - anno 2018 - le inchieste giudiziarie ed i dossier internazionali dimostrano il contrario: ovvero in alcuni paesi di origine si tende ad inviare all'estero i soggetti peggiori o gli inetti, casomai i galeotti o ex galeotti, impedendo agl’individui validi di emigrare, ndR]. Si aggiunge agli inconvenienti descritti la sua inadeguatezza a risolvere il problema interno dell’eccessiva densità della popolazione in relazione alle risorse del suolo, giacché un popolo prolifico, nonostante il deflusso migratorio, avrà sempre di fronte la medesima scarsità di materie e la medesima sproporzione demografica. Occorre poi tener presente che l’emigrazione sconvolge sovente la vita familiare, dalla quale separa per lungo tempo il padre, che non sempre è in grado di ricostituire l’unità domestica. Premendo su queste e altre ragioni, dedotte dal prestigio nazionale, l’emigrazione viene giudicata come un male sociale, che si può accettare per necessità maggiore, ma non si può approvare come mezzo ordinario per risolvere i problemi di vita d’una nazione.

Valutazione sociale numero due. Al polo contrario stanno i suoi fautori, in cui favore militano gli argomenti precedentemente accennati, fondati sulla libertà dell’uomo a scegliersi sulla terra la dimora che crede più conforme al soddisfacimento dei suoi bisogni. Non può tuttavia negarsi che una parte di verità è contenuta nelle ragioni degli oppositori, riguardo alle quali è da rilevare in modo generale che il numero è forza quando può essere utilmente impiegato in lavoro proficuo; quando, invece, è condannato all’inerzia per la mancata possibilità di adoperarne le energie, al cui superamento si oppongono le condizioni economiche del paese, non rappresenta un valore, ma un peso, che può diventare sorgente di disagio per tutti, diminuendo il livello di vita e dando origine a movimenti irrequieti delle masse insoddisfatte. I computi in cifre delle perdite economiche, cui è vittima il paese di partenza, tradiscono una mentalità mercantilistica. Anche sotto l’aspetto economico, del resto, l’uomo conta o vale non per quanto costa, ma per quanto è utile, cioè per quanto in determinate condizioni può produrre. Se, dunque, in una nazione vi è eccedenza di uomini rispetto al fabbisogno, tale eccedenza non costituirà un bene economico, finché quelle condizioni dureranno. Nel complesso computo dei vantaggi e degli svantaggi dell’emigrazione forse i primi prevalgono sui secondi. Dopo tanti anni di esperimento si possono ritenere ancora in linea di massima valide le conclusioni, alle quali pervenne il Congresso internazionale di pubblica beneficenza, tenuto a Bruxelles nel 1856, secondo il quale: 1) l’accrescimento della popolazione non può e non deve essere contrastato da disposizioni legali; 2) i mali del pauperismo dovuti all’incremento della popolazione possono essere attenuati in maniera efficace, per quanto indiretta, attraverso l’emigrazione; 3) per conseguenza deve essere accordata agli emigranti piena libertà e ogni possibile protezione; 4) i governi, le associazioni e i privati devono combinare i loro sforzi per ottenere dall’emigrazione tutti i benefici che ne possono derivare.

La valutazione positiva diventa alquanto incerta, se l’emigrazione si considera nei suoi riflessi morali, poiché è indubbio che molto spesso il trapianto in altro ambiente diventa fatale per chi lo tenta, né si può negare che l’allontanamento specialmente del capo di famiglia può disorganizzare e travolgere il nucleo familiare. Esiste poi una triste esperienza riguardo alla facile contrazione di nuove abitudini, vizi e malattie, delle quali il luogo d’origine dell’emigrante era immune. Fatto il bilancio del pro e del contro, tutto consiglia ad andar molto cauti nel pronunciarsi sul valore sociale e morale dell’emigrazione. [Stesso principio per il caso dell’immigrazione, ndR].

Aspetto internazionale. Più che nei tempi passati, nei quali ha dominato il regime della più estesa libertà, particolarmente dopo la prima guerra mondiale e maggiormente ancora dopo la seconda, l’emigrazione è diventata un problema internazionale, che non può essere risolto se non mediante provvedimenti collettivi, i quali dispongano un piano organico per la conveniente distribuzione della popolazione sulla terra e regolino le correnti migratorie, dirigendole verso quegli sbocchi dove si sente la necessità della mano d’opera. Le mutate condizioni economiche dei paesi, le aumentate esigenze dell’operaio, che anche all’estero reclama un equo trattamento, la sempre crescente regolamentazione della produzione da parte dello Stato, impediscono oggi l’emigrazione libera di massa e permettono solo quella qualificata secondo il fabbisogno dell’economia locale. D’altra parte la situazione di disagio endemico, nella quale si trovano alcune nazioni sovrappopolate in relazione alle possibilità di lavoro, crea per se stessa un problema non solo interno ma anche internazionale, alla cui soluzione sono interessate tutte le nazioni, per impedire che la pressione demografica, con il conseguente pauperismo, diventi cattiva consigliera e spinga verso l’espansione violenta. Occorre cercare a queste masse insoddisfatte uno sbocco, attenuando, per quanto è possibile, la necessità d’emigrare, e aumentando insieme le possibilità d’immigrare, e ciò non potrà ottenersi senza una collaborazione collettiva.

Il carattere intenzionale dell’emigrazione risulta ancora dalla stretta interdipendenza economica delle varie nazioni, determinata dalla ineguale distribuzione della ricchezza. Nel campo economico le nazioni non possono vivere isolatamente, ma dipendono le une dalle altre e si completano a vicenda. Le più dotate di mezzi e di fonti di materie prime non possono disinteressarsi delle altre ad economia depressa, alle quali devono venire in aiuto per sollevarne il tenore comune di vita, il che sovente non si può ottenere senza un deflusso regolato della loro eccedenza demografica. Non sono poi meno internazionali gli altri aspetti dell’emigrazione, come quelli del protezionismo sociale, della parità di trattamento fra nazionali e stranieri, della cittadinanza, delle discriminazioni razziali e nazionali, ciascuno dei quali presenta un problema pratico, alla cui soluzione hanno eguale interesse tanto i paesi d’immigrazione quanto i paesi d’emigrazione. L’intima connessione poi con altri fenomeni internazionali, quali la circolazione dei capitali e delle merci, estende ancora di più la necessità di una regolamentazione a carattere collettivo, con la quale il problema venga globalmente affrontato.

La mancanza di una sentita solidarietà internazionale. Non sono mancati i tentativi di mettersi per questa via, ma sono rimasti infruttuosi. La mancanza di una sentita solidarietà internazionale, l’assenza di consapevolezza dell’interdipendenza tra le varie economie, il mancato riconoscimento della necessità di considerare e risolvere in tutti i suoi aspetti la questione dell’emigrazione e il nazionalismo esagerato hanno impedito che si conseguissero sul piano internazionale dei risultati apprezzabili. L’unico organo internazionale a carattere ufficiale che abbia svolto un lavoro positivo, anche nel settore dell’emigrazione, è stata l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, la quale ha promosso la stipulazione di numerose convenzioni internazionali, con disposizioni per la tutela degli interessi economici, sanitari e morali degli emigranti, e insieme, subordinatamente alla lotta per la prevenzione e repressione della disoccupazione, si è occupata del collocamento internazionale della mano d’opera. Questo organo è sopravvissuto alla seconda guerra mondiale, uscendone anzi rafforzato per merito della sua ottima struttura …

Assistenza religiosa agli emigranti. Il fenomeno dell’emigrazione creò nel secolo scorso, accanto ad altri problemi, quello dell’assistenza religiosa agli emigranti. I primi emigranti, trasferiti da regioni, ove la vita religiosa era intensa, in regioni, che appena ieri avevano cessato di essere terre di missione, o erano monopolio dei protestanti, senza un’adeguata istruzione, lontani dal Clero locale, da cui spesso non erano compresi, alle prese con la miseria, con lo sfruttamento e con la cupidigia di arricchire, finirono spesso per cadere in mano o dei protestanti, o più spesso ancora dell’indifferentismo religioso o di un ateismo pratico. Fu l’esperienza diretta od indiretta di questi dolorosi fatti, che mosse nel secolo scorso alcune anime grandi ad organizzare l’apostolato per gli emigranti e per gli emigrati italiani. [L’Ecumenismo, come abbiamo imparato, al contrario del Cattolicesimo vuole l’amalgama della molteplicità dei soggetti nell’indifferentismo religioso, quindi nell'ateismo pratico, ndR] … L’assistenza religiosa, specifica per gli emigranti, deve un po’ seguire il corso più o meno celere dell’assimilazione dell’emigrante nel paese d’arrivo, e segue naturalmente diversi indirizzi a seconda che l’emigrazione è temporanea o perpetua. Dove l’assimilazione è rapida e l’emigrazione perpetua, l’unico mezzo per assicurare l’assistenza spirituale è quello di aumentare proporzionalmente il numero dei Sacerdoti, portandoli dai paesi d’origine. È quanto si è fatto e si va facendo … Fine delle citazioni.

Conclusione. 1) Emigrante è colui che parte; 2) Diventa immigrato per chi lo accoglie; 3) L’emigrante deve aver adempiuto ai suoi doveri in Patria, se ciò non gli è stato iniquamente impedito; 4) Se in Patria un soggetto è ostacolato ingiustamente nell’onesto percorso di vita, può pensare di diventare un emigrante; 5) L’emigrante deve, in ogni modo, adoperarsi all’emigrazione secondo il diritto; 6) L’emigrante ordinariamente deve dirigersi verso quella Nazione in grado di garantirgli  un tenore comune di vita; 7) Significa che l’emigrante non si dirigerà verso quelle Nazioni dove la disoccupazione è galoppante, dove già gli autoctoni si vedono privati in qualche misura dei loro diritti, eccetera...; 8) Divenuto immigrato in terra altrui, questi deve, in ogni modo, cooperare per la preservazione dell’ordine e della sicurezza pubblica; 9) La Nazione d’immigrazione (ossia dove l’immigrato approda) ha la facoltà di apportare delle restrizioni all’arrivo degli stranieri, sottoponendo l’ingresso nel suo territorio a condizioni particolari, affinché il loro afflusso non sia pregiudiziale all’ordine e alla sicurezza pubblica; 10) Non tutte le varietà della specie umana si possono fondere tra di loro, in modo che non ne derivino inconvenienti gravi nell’ordine morale e sociale. 

Rispondo alla mistificazione iniziale. Dicono: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato …». Concludono: «Chi non agisce sempre in questa maniera non applica il Vangelo». Quando dobbiamo applicare la massima evangelica usurpata dai modernisti? Ho elencato alcuni punti sintetici. In essi intendo far risplendere la legge naturale, la misericordia, la giustizia e la prudenza. Dunque, almeno per la questione immigrazione e così come oggi si presenta ai miei occhi, credo che la massima in questione debba applicarsi solo sussistendo, tutte insieme, le condizioni testé schematizzate; possono esserci alcune marginali eccezioni. D'altronde la dottrina immigrazionista - una costola del pensiero cosmopolita - è in aperta contraddizione con la dottrina cattolica che rifulge per buon senso ed uso di retta ragione. Esempio 1. Lo spacciatore scappa dalla Nazione X per rifugiarsi nella Nazione Y e spacciare con meno restrizioni? Non è applicabile la massima evangelica. Esempio 2. Il predicatore sunnita espatria dalla Nazione X verso la Nazione Y per fare proseliti? Non è applicabile la massima evangelica. Esempio 3. L’onesto coltivatore scappa dalla Nazione X perché ci sono le bande di predoni che lo rapinano? È applicabile la massima evangelica, tuttavia bisogna precisare: questi può recarsi legalmente nella Nazione Y dove sarà meglio tutelato ed aiutato - in prova temporanea (qui approfondimenti) - a procacciarsi un lavoro dignitoso, possibilmente il medesimo che aveva in Patria. E così via applicando quei princìpi assoluti che abbiamo studiato …

Il cattolicesimo non si inventa: i modernisti, siano essi di destra (prossimi al razzismo) di centro (esposti ai venti) o di sinistra (i progressisti), lo inventano!

a cura di Carlo Di Pietro

Nel senso attualmente corrente vuol significare: «pietosa uccisione non dolorosa di un malato ritenuto ormai inguaribile e tormentato da sofferenze intollerabili»; può essere applicata per volontaria richiesta del soggetto o per coercizione altrui. Il problema può essere considerato in modo particolare dal punto di vista della deontologia medica, della criminologia, della psicologia, della morale cristiana.

Dall’angolo prospettico della deontologia medica, essendo il fine della medicina quello di conservare il più a lungo possibile la vita umana e opporsi alla morte, l’omicidio liberatore dalle sofferenze non può ammettersi, come essenzialmente opposto al suddetto fine; inoltre, non può aversi l’assoluta certezza della inguaribilità del male, posta la possibilità d’una diagnosi errata, le impensate risorse dell’organismo, il continuo progresso dei mezzi di cura. D’altro lato, la medicina è in possesso dei migliori mezzi per alleviare le sofferenze, usabili con ampia larghezza, senza apprezzabile danno per la vita dell’infermo.

Sotto l’aspetto criminologico, il problema assume innumeri aspetti, e conduce a conclusioni nettamente negative rispetto alla pratica dell’eutanasia e ad una possibile sua (pretesa, ndR) legalizzazione. In quasi tutte le legislazioni passate e presenti le ipotesi, sia di partecipazione al suicidio e sia di omicidio del consenziente, sono ritenute punibili, pur con attenuazione di pena in riguardo ai motivi determinanti. Anche prescindendo genericamente dalle condizioni di malattia della vittima, se il tipo di infermità è tale da invalidare l’autoconsenso, questo diviene inefficace, non essendo espressione di libera volontà. L’eteroconsenso, negli incapaci, è cosa illecita per la mancante volontà del paziente da una parte, dall’altra per il grave rischio di fini occulti egoistici e criminosi degli interessati. Addivenire a considerare l’eutanasia motivo di non punibilità del soggetto attivo (come da alcuni è oggi voluto e proclamato e anche attuato in clamorosi processi, il che è indice di una odierna aborrenda tendenza) sarebbe socialmente improvvido e all’estremo pericoloso. Infatti, è intuibile quanto spesso, con “leggi” (ndR) simili, l’apparente fine di bene diverrebbe un pretesto mascherante i più turpi interessi, cioè quanto spesso la «pietosa morte» inflitta sarebbe l’arbitraria anticipazione, nel campo rigoglioso della delinquenza evoluta, di una morte altrimenti troppo tarda a venire per il desiderio degli interessati.

All’esame psicologico, indagando i motivi determinanti, il più delle volte non può considerarsi altruistico il fine dell’eutanasia, considerato nell’apparente desiderio pietoso d’interrompere le intollerabili sofferenze del paziente; a un esame più profondo, il movente appare materiato dal raffinato egoismo di non voler patire il patimento altrui, o volersi liberare dal peso di una penosa assistenza. La carità cristiana viene così distrutta e la filantropia sociale si risolve nel più banale egoismo. 

Dal lato della morale cristiana, l’eutanasia è inaccettabile, come violazione del quinto comandamento: «non uccidere» (l’innocente, ndR) che si erge, come barriera insuperabile, ad ammonire che Dio solo è padrone assoluto della vita e non è lecito dar morte a sé o ad altri. I pagani stessi (Pitagora, Cicerone) ebbero chiaro nella mente ed espressero nelle loro opere il concetto, che è illecito allontanarsi dalla vita senza il comando di Colui che l’ha data, (Cicerone, De senectute, 20, 73; Somnium Scipionis, 3, 7). Nei riguardi d’un’anestesia a fondo, essa è moralmente lecita, purché non valga ad accelerare la morte e consenta all’infermo, almeno a intervalli, quella lucidità che gli permetta di curare i supremi interessi dell’anima e di regolare i suoi doveri di giustizia.

Dal punto di vista pratico attualmente in America si tenta in ogni maniera di ottenere la legalizzazione dell’eutanasia sia volontaria che coercitiva; a Nuova York esiste una «Euthanasia Society» forte anche di un numeroso gruppo di medici aderenti; essa ha organizzato un «American Advisory Council» composto di cento membri, tra cui numerosi appartenenti al clero protestante, uomini politici in vista (il senatore dello stato di Nebraska John H. Comstock, che già nel 1937 aveva proposto al voto nel suo stato una legge che legalizzasse la eutanasia volontaria), massimi esponenti della propaganda eugenica negativa (Margaret Sanger - in foto, ndR); essi attivamente lavorano e premono perché venga portata all’assemblea di stato di Nuova York un «proposed bill to legalize euthanasia».

(Voce tratta da «Enciclopedia Cattolica», Vaticano, Imprimatur 8 ottobre 1950, Vol. V, Coll. 864-866). Fine della citazione.

Purtroppo, dagli anni ‘50 ad oggi, complici soprattutto la funestissima “nuova pentecoste” del Vaticano Secondo e la propaganda massonica, la società cosiddetta “civile” è notevolmente regredita, giungendo fino a superare in barbarie lo stesso paganesimo. In molte nazioni si è preteso addirittura legalizzare la cosiddetta «eutanasia» e questo odioso crimine si sta diffondendo largamente. Anno 2017, in Italia i due partiti - atei - di maggioranza, il «Partito Democratico» ed il «Movimento 5 Stelle», con il concorso di una potentissima invasiva campagna mediatica, si stanno impegnando per la “legalizzazione” di detto crimine.

Denzinger 3866-3873 (pagg. 1832-1835): Ep. S. Officii ad archiep. Bostoniensem, 8 Aug. 1949 - Lettera del S. Uffizio all'arcivescovo di Boston, 8 agosto 1949. La Lettera si volge contro i membri del «St. Benedict’s Center» e del «Boston College», che spiegavano in modo rigoristico il principio «al di fuori della chiesa nessuna salvezza» («extra Ecclesiam nulla salus»; cf. Denzinger 802, nota 1 ossia: San Cipriano di Cartagine, Lettera 73 a Giubaiano, c. 21 - CSEL 3/II, 7953s; PL 3, 1169A etc ...): sarebbero esclusi dalla salvezza eterna tutti gli uomini eccetto i cattolici ed i catecumeni. Uno dei rigoristi, Leonard Feeney, fu scomunicato il 4 febbraio 1953. - Ed.: AmER 127 (ott. 1952) 308-310.

De necessitale Ecclesiae ad salutemNecessità della Chiesa per la salvezza

- Principali ragioni dottrinali alla base della futura scomunica -

Fra le cose poi che la Chiesa ha sempre predicato e non cessa mai di predicare, è contenuta anche quell'infallibile sentenza che ci insegna che «fuori della chiesa non c’è nessuna salvezza». Tuttavia, questo dogma deve essere compreso nel senso in cui lo comprende la stessa Chiesa (non come lo comprende il p. Leonard Feeney, ndR). Il nostro Salvatore infatti non ha affidato le cose che sono contenute nel deposito della fede, per la loro spiegazione, ai giudizi privati, ma al Magistero ecclesiastico. E in primo luogo la Chiesa certamente insegna che in questo caso si tratta di un rigorosissimo precetto di Gesù Cristo. Lui stesso infatti, con chiare parole, ha ordinato ai Suoi discepoli di insegnare a tutte le genti di osservare tutte le cose che Lui stesso aveva comandato. Fra i comandamenti di Cristo poi, non occupa un posto minore quello che ci comanda di essere incorporati con il battesimo nel Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa, e di aderire a Cristo e al Suo Vicario, mediante il quale Lui stesso governa in terra in modo visibile la Chiesa. Per questo non si salva colui che, sapendo che la Chiesa è stata divinamente istituita da Cristo, rifiuta tuttavia di sottomettersi alla Chiesa o rifiuta l’obbedienza al Pontefice romano, vicario di Cristo in terra. Il Salvatore poi, non solo ha predisposto in un precetto che tutte le genti dovessero entrare nella Chiesa, ma ha pure stabilito che la Chiesa fosse il mezzo di salvezza senza del quale nessuno può entrare nel Regno della gloria celeste. Nella sua infinita misericordia Dio ha voluto che, di quei mezzi per la salvezza che solo per divina istituzione, non invero per intrinseca necessità, sono disposti al fine ultimo, in certe circostanze, gli effetti necessari alla salvezza, possano essere ottenuti, anche dove siano applicati soltanto con il voto o il desiderio. Questo lo vediamo enunciato con chiare parole nel sacrosanto Concilio di Trento, sia riguardo al sacramento della rigenerazione, sia al sacramento della penitenza (Denzinger, 1524-1543). A suo modo, la stessa cosa deve dirsi riguardo alla Chiesa, dato che essa è mezzo generale di salvezza. Poiché non si richiede sempre, affinché uno ottenga l’eterna salvezza, che sia realmente incorporato come un membro nella Chiesa, ma questo almeno è richiesto, che egli aderisca alla stessa con il voto e il desiderio. Questo voto, poi, non è necessario che sia sempre esplicito, come accade per i catecumeni, ma dove l’uomo soffre di ignoranza invincibile, Dio accetta pure un voto implicito, chiamato con tale nome, perché è contenuto in quella buona disposizione dell’animo, con la quale l’uomo vuole la sua volontà conforme alla volontà di Dio. Queste cose sono chiaramente insegnate nella [Lettera enciclica di Pio XII] ... riguardo al Corpo mistico di Gesù Cristo. In questa infatti il sommo Pontefice distingue chiaramente fra quelli che sono realmente incorporati nella Chiesa come membra, e quelli che solo in voto aderiscono alla Chiesa. ... «In realtà, tra i membri della chiesa bisogna annoverare esclusivamente quelli che ricevettero il lavacro della rigenerazione, e professando la vera fede, né da se stessi disgraziatamente si separarono dalla compagine di questo corpo, né per gravissime colpe commesse ne furono separati dalla legittima autorità» (Denzinger, 3802). Verso la fine poi della medesima Lettera enciclica, invitando all’unità, con animo ricolmo di amore, quelli che non appartengono alla struttura della Chiesa cattolica, ricorda quelli «che da un certo inconsapevole desiderio e anelito sono ordinati al mistico corpo del Redentore»; non li esclude affatto dalla salvezza eterna, d’altra parte tuttavia asserisce che si trovano in uno stato tale in cui non possono sentirsi sicuri della propria salvezza ... dal momento che sono privi di quei tanti doni e aiuti celesti che solo nella chiesa cattolica è dato di godere (Denzinger, 3821). Con queste prudenti parole disapprova sia coloro che escludono dalla salvezza eterna tutti quelli che aderiscono alla Chiesa soltanto con un voto implicito, sia coloro che falsamente sostengono che gli uomini possono ugualmente essere salvati in ogni religione (cf. Denzinger, 2865). E non si deve neppure pensare che sia sufficiente un qualsiasi voto di entrare nella Chiesa, perché l’uomo sia salvato. Si richiede infatti che il voto, mediante il quale qualcuno è ordinato alla Chiesa, sia modellato mediante la perfetta carità; e il voto implicito non può avere effetto, se l’uomo non ha una fede soprannaturale (Sono poi citati Eb. 11,6 e il Concilio di Trento, Sessione VI, c. 8: Denzinger, 1532). Da quanto detto sopra è dunque chiaro che quanto viene proposto (si tratta di un articolo di R. Karam, Reply to a Liberal, in From the Housetops 3, la rivista dell’istituto St. Benedict’s Center) nel protocollo «From the Housetops», fascicolo III, come dottrina genuina della Chiesa cattolica, da questa invece è molto lontana, ed è fortemente nociva sia per quelli che sono dentro, che per quelli che sono fuori. ... Perciò non si riesce a capire come l’istituto «St. Benedict Center» sia in sé coerente, perché, mentre si propone come una scuola cattolica e come tale vuole essere considerato, in realtà tuttavia non si adegua alla cose prescritte nei canoni 1381 e 1382 del Codice di diritto canonico (anno 1917), ed insieme si pone come fonte di discordia e di ribellione contro l’autorità ecclesiastica, e causa di turbamento per molte coscienze. E non si capisce neppure come un religioso, cioè p. (Leonard) Feeney, si presenti come «difensore della fede» e contemporaneamente non dubiti di avversare una istituzione catechetica proposta dalla legittima autorità ... Fine della citazione.

In questo articolo proponiamo una semplice, equilibrata e cattolica spiegazione del dogma Extra Ecclesiam nulla salus. Raccomandazione: Consigliamo ai nostri stimati Associati, Sostenitori e gentili Lettori, di NON usare il presente Documento per alimentare polemiche sul web con i moderni seguaci di p. Feeney. Essi già non ascoltarono la Chiesa docente, come possiamo pretendere che ascoltino noi? Non dobbiamo certo ricordare che Sursum Corda è una Onlus che intende occuparsi di misericordia corporale e spirituale (ognuno di noi membri secondo i propri doveri di stato e le proprie capacità), mentre NON intende affatto occuparsi di polemiche web o di inopportuna, e spesso inefficace, apologetica da social network. Ammonisce sant'Alfonso: Poveri ciechi, che perdono tanti giorni (dissipando quel tempo che Dio ha dato ... per fare penitenza), ma giorni che non tornano più! Sforziamoci, dunque, di impiegare bene il nostro tempo.

Voce tratta dalla prestigiosa Enciclopedia Cattolica, Vaticano, Imprimatur 9 ottobre 1948, Vol. I, Coll. 105-112.

Teologia morale

L’aborto è l’espulsione dell’uovo o dell’embrione o del feto immaturo, cioè non viabile; in altri termini, non ancora capace, naturalmente od artificialmente, di vita extrauterina. «Uovo» è il termine adoperato ad indicare il prodotto della concezione dall’inizio alla seconda settimana com­pleta; «embrione» s’adopera per il tempo che va dalla seconda settimana alla quarta; «feto» per i mesi che in­tercorrono fra la quarta settimana e il parto regolare. L’atto dell’aborto va distinto: a) dalla semplice accelera­zione del parto. Il feto non può vivere fuori del seno ma­terno se non, generalmente, dopo il settimo mese completo di gestazione; eccezionalmente anche dopo il sesto, quan­do si hanno i mezzi per le cure speciali necessarie al neo­nato, ad esempio l’incubatrice artificiale. Si deve notare però che a formare un giudizio sulla viabilità del feto separato dalla madre, non conta tanto il numero dei mesi, quanto il suo sviluppo fisico e le sue disposizioni. L’espulsione del feto tra il settimo (o sesto) e il nono mese di gesta­zione si indica col termine di parto prematuro o accele­razione del parto; b) dal feticidio od embriotomia nelle sue varie forme (craniotomia, sviscerazione, transito di corrente elettrica) che uccide il feto nel seno materno per renderne possibile l’estrazione; c) dalle pratiche anticoncezionali, che mirano preventivamente ad impedire la fecondazione.

L’aborto può avvenire spontaneamente per cause morbose varie del padre o della madre, ad esempio la sifilide (invo­lontario o naturale) o per intervento dell’uomo (volonta­rio o artificiale). In questo caso è diretto, se il mezzo che si adopera tende di sua natura a procurarlo; indiretto, se né l’intenzione, né l’atto compiuto mirano a questo, ma ad altro scopo, ad esempio curare un’infermità della madre; di modo che l’aborto sia soltanto una conseguenza permessa e non propriamente voluta, anche se prevista. L’aborto può volersi e praticarsi per motivi egoistici in­degni e perversi (criminale) o per indicazione medica per salvare la madre (terapeutico) o per impedire la na­scita di creature tarate (eugenico) o per salvare l’onore o evitare danni economici (a indicazione sociale). È dolorosamente noto quanto sia diffusa la pratica dell’aborto nei nostri tempi, fino a diventare la soluzione più comune di tante situazioni e la prima a cui si ricorre; fino ad essere in alcuni Stati “legalizzato” (abbiamo aggiunto le virgolette, ndR). Il che si deve soprattutto all’irreligiosità crescente ed alla concezione materialistica della vita, che spinge a ricercare il piacere sempre, ad ogni costo, con qualsiasi mezzo ed a sottrarsi a qualunque dovere che pesi.

Princìpi

a) È gravemente illecito uccidere direttamente l’uovo o l’embrione o il feto nel seno materno. Questo in forza della legge naturale con­fermata dal V comandamento divino: «Non uccide­rai». La creatura innocente che si apre alla vita, ha il diritto di vivere come qualunque altra persona umana. Quest’uccisione rimane gravemente illecita an­che quando la si intende solo come mezzo per salvare la madre, perché il fine non giustifica i mezzi, né è mai lecito fare il male perché ne derivi un bene. Resta perciò proibito il feticidio o embriotomia in tutte le sue specie. Così le risposte del Sant’Uffizio del 28 maggio 1884, 19 agosto 1889, 25 luglio 1895 (Denz.-U., nn. 1889, 1890, 1890 a. Cf. anche l’enciclica Casti connubii di Pio XI, 31 dicembre 1930: Denz-U., nn. 2242, 224.3).

b) È gravemente illecito procurare l’aborto diretto del­l’embrione o del feto vivente (se il feto fosse già morto, naturalmente è lecito estrarlo). Perché ciò equivale ad un’uccisione diretta; si espelle infatti dalla madre una creatura che separata dalla madre non può vivere. L’illiceità rimane anche quando l’aborto è procurato come mezzo per salvare l’onore della giovane, o evitare l’infamia della madre o la vendetta del marito o il peso della prole, o assicurare la salute stessa della madre; ciò sempre in forza dello stesso motivo che il fine non giustifica il mezzo e non si deve fare il male per ricavarne un vero o presunto bene. Resta quindi condannato non solo l’aborto criminale, ma ogni altro aborto diretto ad indicazione terapeutica, sociale o eugenica. Così il Sant’Uffizio nella sua risposta del 25 luglio 1895 (Denz-U., n. 1890 a. Cf. anche le gravissime parole (…) dell’enciclica Casti connubii, -U., nn. 2242, 2243, 2244). Sono anche gravemente illeciti, almeno per la cattiva inten­zione, tutti i tentativi di aborto, ai quali si suole ricorrere con i più diversi mezzi e rimedi, anche se poi di fatto non si approda a nulla.

c) L’accelerazione del parto non è illecita in se stessa, purché esista una causa grave e si compia in tempo e condizioni che assicurino la vita del feto e della madre (Sant’Uffizio, 4-6 maggio 1898, 5 marzo 1902: -U., n. 1890 b-1890 c). La causa grave può consi­stere nel salvare la vita della madre o del feto, quando l’accelerazione del parto è l’unico o il migliore rimedio per conseguire il fine. La causa deve sempre essere proporzionata al pericolo.

d) L’aborto indiretto è lecito quando vi sia una causa grave. Ciò in virtù del principio della doppia causa­lità: è lecito porre un’azione buona o indifferente, dalla quale segua direttamente un doppio effetto: l’uno buono, al quale si mira; l’altro cattivo, che solo si tollera o si permette, quando però ci sia un motivo proporzionatamente grave. È quindi lecito sommini­strare alla madre gravemente inferma un rimedio, an­che se questo fosse pregiudiziale al feto, quando si verificano queste condizioni: la malattia della madre dev’essere tanto più grave quanto maggiore è il peri­colo dell’aborto; manchino altri rimedi inoffensivi; il rime­dio adoperato serva direttamente in beneficio della ma­dre e quindi la morte eventuale del feto non s’intenda, ma si eviti al possibile. Il feto, qualora avvenisse l’aborto, dev’essere battezzato (purché non appaia evidentemente essere morto, ndR).

e) Lo stesso principio si può applicare in parecchi altri casi di grave pericolo di morte per la madre; quando il pericolo non si può scongiurare altrimenti che con un intervento chirurgico. Così: 1) quando si tratta di utero gravido canceroso o di un tumore, che non si possa asportare senza nel medesimo tempo asportare anche l’utero gravido, l’isteroctomia è lecita, perché la conseguente morte del feto non è né lo scopo a cui si mira (finis operationis; si mira a togliere l’utero non in quanto gravido, ma in quanto infetto), né l’oggetto dell’azione (finis operis; l’oggetto, qui, non è che l’organo da asportare). 2) quando si tratta di idramnios acuto o di utero incar­cerato e retroflesso, che altrimenti non possa ricollo­carsi a posto, non consta essere illecita la puntura del­l’involucro per farne uscire il liquido amniotico e quindi facilitare le manovre necessarie. 3) quando si tratta di gravidanze extrauterine o feti ectopici. Si ha gravidanza extrauterina quando l’uovo fecondato si è impiantato nella cavità peritoneale, sull’ovaia o più frequentemente nella trom­ba uterina. Questa gravidanza difficilmente giunge a termine e anche in questi casi è necessario l’intervento chirurgico; di solito si interrompe ai primi mesi per il manifestarsi di un’emorragia, o la rottura della tromba e il distacco della placenta. Tutto ciò provoca la morte del feto e costituisce un pericolo molto grave per la madre. Quale condotta tenere? Se il feto ectopico è già viabile, si può ricorrere all’accelerazione del parto (Sant’Uffizio, 4-6 maggio 1898: -U., n. 1890 b). Se il feto non è viabile e si presume vivo e non urge il pericolo di emorragia, bisogna aspettare e vigilare attentamente per potere intervenire in tempo. Quando l’emorragia è avvenuta o è imminente, al­lora si può intervenire direttamente contro l’emorra­gia e asportare il tumore, anche se è un sacco fetale e ne seguirà la morte del feto. In questo caso l’even­tuale aborto non è né il finis operis, né il finis operantis. Naturalmente non è mai lecito agire diret­tamente sul feto e ucciderlo, perché allora si avrebbe un omicidio diretto.

f) Altre operazioni sono lecite quando si tratta di feto viabile, perché non sono direttamente uccisive del feto (taglio cesareo, operazione di Porro, sinfisitomia, laparatomia e simili); ma si richiedono le se­guenti condizioni: che non si possa ovviare altrimenti alla morte della madre o del figlio; che vi sia probabile speranza di salvare la madre e si provveda alla salute spirituale e temporale della prole.

Apologetica

Per coonestare (dare parvenza di onestà a ciò che in realtà è disonesto, utilizzando argomentazioni cavillose o false, ndR) in qualche modo il grave delitto dell’aborto, si fa ricorso a molti pretesti. Alcuni di essi si richiamano alla teoria del controllo delle nascite (per i quali ivi., v. nascite, controllo delle); altri toccano più da vicino il nostro argomento:

a) ( Dicono: ) L’embrione, e il feto nei primi tempi, non (sarebbe) ancora animato dall’anima razionale; in questo caso, procurando l’aborto, non si (commetterebbe) omicidio. Si risponde: Già il Sant’Uffizio (4 marzo 1679: -U., nn. 1184-85) ha dichiarato illecito l’aborto diretto col pre­testo che il feto sia inanimato. Ed a ragione; perché è sentenza oggi largamente condivisa quella che ritiene che l’anima razionale informa l’uovo fin dal primo momento della avvenuta fecondazione. Se le facoltà superiori dor­mono, gli è che l’organismo non permette loro ancora di agire, perché non ancora sufficientemente sviluppato. Ma i più moderni studi istologici sui fenomeni che avvengono nell’ovulo fecondato, rivelano che è presente un principio vivificatore che tutto coordina e orienta. In tutti i casi si deve ragionare così: Se l’uovo o l’embrione o il feto già sono animati dall’anima razionale, l’omicidio diretto c’è; tanto più deprecabile in quanto molto spesso si priva la creatura incipiente della vita eterna (va al Limbo); se eventualmente - (per ipotesi) - non fosse ancora animato, c’è un omicidio imperfetto, se si vuole, ma sempre omicidio, perché si stronca un pro­cesso vitale naturalmente preordinato a sboccare in un essere umano;

b) ( Dicono: ) Il bambino è una semplice appendice della madre; ora è lecito tagliarsi una mano per salvare una vita. No; il bambino dimostra fin dal principio un organismo in formazione, ma auto­nomo, con la sua circolazione, col suo proprio sangue, e le proprie pulsazioni; attinge dalla madre, ma elabora da sé, in forza di un principio vitale suo proprio. È dunque non un’appendice, ma un individuo sui iuris;

c) ( Dicono: ) Il feto è un ingiusto aggressore che attenta alla vita della madre. Si deve rispondere: No. Allo stesso modo e con maggior ragione si dovrebbe dire aggreditrice la madre che non è sana, ha insufficienze epatiche, disfunzioni endocrine, per cui il feto non trova nell’organismo materno le con­dizioni necessarie al suo sviluppo; del resto il feto non ha nessuna colpa se è venuto alla vita. (Cf. enciclica Casti connubii: -U., n. 2242);

d) ( Dicono: ) Si dovran­no dunque perdere due vite? No, ma si devono salvare tutte e due; la formola esatta non è «o la madre o il bam­bino», ma «e la madre e il bambino». I diritti della madre e del figlio sono i diritti di due persone umane pari grado; non si può ucciderne una per salvare l’altra. Non si può in un naufragio strappare il salvagente a uno per darlo a un altro;

e) ( Dicono: ) Ma è un orrore lasciar morire una madre e privare la famiglia del suo più forte sostegno. Si deve ri­spondere: Ci vogliono tutte le cure e le premure e as­sistenze possibili per scongiurare questo doloroso pericolo; e se queste sono ben condotte, generalmente si salvano e la madre e il figlio. Ma nel caso deprecabile che non esista rimedio alcuno, non c’è che abbassare il capo e rim­piangere la impotenza umana. In un incendio, nell’affon­damento di un sottomarino, non è sempre possibile sal­vare tutti; si è costretti talora a contemplare la morte altrui senza potere intervenire. Lasciar morire, non è uccidere; e si deve lasciar morire, ma non mai uccidere. In nessun caso;

f) ( Dicono: ) Nel caso di gravidanze extramatrimoniali ne va di mezzo l’onore di una fanciulla o di una donna spo­sata e delle loro famiglie. E non solo l’onore, ma la pace, l’armonia, ecc. L’aborto, in questi casi, salverebbe tutto. ( Risposta: ) Dobbiamo però osservare che l’onore si salva evitando il male; e non raddoppiandolo;

g) ( Dicono: ) «La donna ha il diritto di abortire come ha il diritto di tagliarsi i capelli e le un­ghie, di ingrassare o dimagrire» (Madd.na Pelletier, in L’émancipation sexuelle de la femme, presso R. Biot, p. 118). L’obiezione è troppo volgare e indegna; nessun paragone possibile fra i capelli, le unghie, ecc. e una creatura umana, massime considerata come destinata ad essere figlia di Dio e a godere la felicità eterna.

Diritto

Il primo accenno all’aborto come delitto, lo troviamo in un passo della Bibbia (Ex. 21, 22), dove esso, peraltro, viene considerato più come conseguenza di una lesione personale che come reato a sé stante. Nella Grecia antica, la imperante rilassatezza dei costumi non solo tollerava, ma finanche favoriva l’aborto, come è facile rilevare da taluni scritti di Ippocrate e di Aristotele. I Romani, con­vinti che il feto rappresentasse semplicemente una por­zione delle viscere materne, non punirono l’aborto procurato come tale (astraendo, cioè, dal danno e dall’ingiuria even­tualmente arrecati alla madre) né durante la repubblica né nei primi tempi dell’impero; e soltanto dall’epoca di Settimio Severo in poi lo assimilarono al veneficium, repri­mendolo con la multa, con l’esilio, coi lavori forzati ed anche con la pena capitale se avesse causato la morte della gestante.

La Chiesa fin dai primi secoli considerò il procurato aborto alla stessa stregua dell’omicidio (si ricordino: il Con­cilio Illiberitano, a. 306, can. 63; il Concilio Ancirano, a. 314, can. 21; il Concilio Trullano, a. 692, can. 91; il Con­cilio di Worms, a. 869, can. 35), distinguendo però tra la soppressione del feto animato e quella del feto inanimato (can. 8, C. XXXII, q. 2). Tale distinzione venne ribadita da Gregorio XIV nella costituzione Sedes Apostolica del 31 maggio 1591, ma fu poi abbandonata da Pio IX con la costituzione Apostolicae Sedis del 12 ottobre 1869.

Il vigente CIC (can. 2350, § 1 - Pio-Benedettino del 1917, ndR) contempla il procu­rato aborto fra i delitti contro la vita risolvendo così nel modo più consono alla tradizione e alla dottrina catto­lica la controversia lungamente agitatasi, e non ancora sopita, circa la obiettività giuridica del reato in pa­rola. Il bene tutelato dalla norma penale è, dunque, per il canonista, la vita del nascituro, a nulla rilevando che si tratti di vita intrauterina e che il feto non possa propriamente chiamarsi soggetto di un diritto alla vita. Qualsiasi fedele, non esclusa la madre, può rendersi responsabile di questo delitto, il cui elemento materiale è costituito dalla violenta interruzione della gravidanza. Indifferente è la natura dei mezzi (interni o esterni, chimici, meccanici, morali) usati per commetterlo.

Il momento consumativo coincide con la distru­zione del prodotto del concepimento, verificatasi in conseguenza delle manovre abortive; si tratta per­tanto di delitto materiale, che ammette il tentativo sotto il duplice aspetto del frustrato e del conato. L’ele­mento psicologico consiste nel dolo, ossia nella co­scienza e volontà da parte del delinquente di provo­care l’aborto; onde, ad integrare il delitto, non basta l’aborto cosiddetto indiretto.

Le pene comminate dal CIC sono le seguenti: «Procurantes abortum, matre non excepta, incurrunt, effectu secuto, in excommunicationem latae sententiae, Ordinario reservatam; et si sint clerici, praeterea deponantur» (can. 2350, § 1). Per incorrere nella scomunica si richiedono dunque tre condizioni: a) che si tratti di vero aborto diretto (perciò non cadono sotto la pena l’ac­celerazione del parto, l’embriotomia e altre operazioni illecite). Nulla conta la distinzione tra feto animato e inanimato; e indifferente è il mezzo che si adopera, purché sia la vera causa dell’aborto; b) che si tratti di un aborto procurato, voluto cioè e attuato a bella posta: quindi sotto il termine di «procurantes» si devono inten­dere tutti coloro, senza dei quali non si sarebbe potuto ottenere l’aborto, cioè la madre, il medico, l’infermiera che coopera, il mandante (can. 2209 § 1, 3; 2231); c) che l’aborto sia realmente avvenuto. Inoltre, alle stesse condizioni, i chierici colpevoli divengono irregolari (can. 985, n. 4) e devono essere deposti (can. 2350, § 1).

Circa le cause modificatrici della imputabilità deve notarsi che trattandosi di actus intrinsece malus, lo stato di necessità (di cui è tipico esempio il caso del medico, il quale ritenga di non poter salvare la vita della ge­stante se non procurandole l’aborto) non fa venir meno il delitto, ma costituisce una semplice attenuante valu­tabile di volta in volta a seconda delle circostanze (v. can. 2205, §§ 2 e 3). Quando si tratta di timore grave, i colpevoli dell’aborto diretto peccano gravemente, ma, secondo parecchi teologi, non incorrono nella sco­munica. È tuttavia da tener presente, agli effetti pra­tici, che anche per questo, come per ogni altro delitto ecclesiastico, vige il principio sancito dal can. 2218, § 2, in virtù del quale va esente da pena chi risulti non essere gravemente imputabile.

Gli elementi costitutivi del delitto di procurato aborto si ritrovano pressoché identici nella maggior parte delle legi­slazioni civili, sebbene diversa, per variare di tempi e di luoghi, apparisca la sua classificazione giuridica. Alcuni codici (come quello toscano del 1853 e quello germanico) lo collocano tra i delitti contro la vita; altri (ad es. il Co­dice francese) tra i delitti contro la persona; altri ancora (Codice sardo del 1859 e Codice belga) tra i delitti contro l’ordine delle famiglie; altri, infine (come il Codice cileno) tra i delitti contro il buon costume.

Il Codice penale vigente in Italia (nell’anno 1948, ndR), innovando ri­spetto a quello abrogato, pone(va) il procurato aborto nel ti­tolo X, tra i «delitti contro la integrità e la sanità della stirpe». Esso distingue, anzitutto, l’aborto di donna non consenziente (art. 545) dall’aborto di donna consen­ziente (art. 546) prevedendo in entrambe le ipotesi un notevole aggravamento di pena per il caso che dall’aborto sia derivata la morte della gestante o una lesione per­sonale (art. 549); più mitemente punisce la donna che si procura essa stessa l’aborto (art. 547); considera come reato a sé il fatto di chi istiga una donna incinta ad abortire, somministrandole mezzi idonei (art. 548); ed assimila inoltre, quoad poenam, ai delitti di lesione personale e di omicidio preterintenzionale le pratiche abor­tive commesse su donna erroneamente ritenuta in­cinta, qualora da esse derivi una lesione o la morte della donna (art. 550). Aggrava, in ogni caso, il reato la circostanza che il colpevole sia persona eser­cente una professione sanitaria (art. 555); mentre le pene, varianti da un minimo di sei mesi a un massimo di quindici anni di reclusione, vengono diminuite dalla metà ai due terzi se il fatto sia stato commesso per salvare l’onore proprio o di un prossimo congiunto (art. 551). (la voce prosegue ...)

Voce tratta dalla prestigiosa Enciclopedia Cattolica, Vaticano, Imprimatur 9 ottobre 1948, Vol. I, Coll. 105-112.

* Anni '60. In foto alcune cosiddette femministe, nate, strumentalizzano una bambina, nata, in una delle tante manifestazioni di propaganda abortista.

Tratto da Enciclopedia Cattolica, Vol. IV, Coll. 117-119, Imprimatur 8 ottobre 1950. Per comunicazione nelle cose sacre o communicatio in sacris si intende la partecipazione dei cattolici alle cerimonie sacre (preghiere, funzioni, pre­diche, riti) compiuti dagli acattolici (eretici, scisma­tici, infedeli) dentro o fuori della loro chiese o templi. Questa partecipazione può essere: attiva, quando, cioè, si prende parte al culto religioso positivamente, compiendo qualche atto, che con esso abbia relazione; passiva, quando vi si prende parte solo negativamente, astenendosi da ogni azione, che dica relazione con la cerimonia religiosa; formale, quando vi sia l’ade­sione della mente e del cuore; materiale, quando quest’adesione manca e tutto si riduce ad un atto di presenza esteriore e fisica. La comunicazione nelle cose sacre si suole designare con il nome di comunicazione in divinis, per di­stinguerla dalla comunicazione in profanis cioè nelle relazioni pri­vate e pubbliche che riguardano la vita domestica e civile, e dalla comunicazione in rebus mixtis, cioè nelle rela­zioni, le quali importano atti che si possono conside­rare o hanno un lato anche religioso, come i matri­moni, i funerali e cerimonie simili. La condotta dei cattolici a questo riguardo è re­golata in linea di massima dal CIC (Codex Iuris Canonici del 1917), e nelle varie sue applicazioni dalle norme emanate dalle Sacre Con­gregazioni romane.

La comunicazione in profanis. - Secondo il diritto canonico vigente, è lecita, quando non vi sia pericolo di danno spirituale; illecita, quando questo pericolo vi sia. Per­ciò si devono evitare anche quelle azioni, le quali, mas­sime in alcune determinate circostanze, possono signifi­care o importare una familiarità o confidenza o dimesti­chezza eccessive, e per conseguenza pericolose, con gli acattolici, specialmente per le persone «semplici e de­boli nella fede» (cf. Sum. Theol., 2a-aae, q. 10, a. 9). Le relazioni con gli scomunicati vitandi sono regolate da norme particolari (CIC, can. 2267).

La comunicazione in divinis. Non è mai lecito ai fe­deli di assistere attivamente o prendere parte, in qualsiasi modo, ai riti sacri degli acattolici (CIC, can. 1258 § 1). Ciò vale non soltanto quando si tratta di riti falsi o empi in se stessi, ma anche quando si tratta di quei riti che sono propri di questa o quella setta o gruppo eretico, scismatico, pagano. Perché simile partecipazione equivale alla profes­sione di una falsa religione e per conseguenza al rin­negamento della fede cattolica. E anche nel caso che ogni idea di rinnegamento potesse escludersi, rimangono sempre tre danni assai gravi: 1) il peri­colo di perversione nel cattolico che vi partecipa; 2) lo scandalo, sia dei fedeli, che prendono motivo di giudicar male della persona che tratta con gli av­versari della fede e forse anche di dubitare della verità di essa, sia degli acattolici stessi, che così si confermano nel loro errore; 3) l’indifferentismo in materia di religione, cioè l’approvazione esteriore di credenze erronee e l’idea che l’espressione esterna della propria fede sia una cosa trascurabile.

In particolare: 1. Sacramenti: a) Battesimo: un cat­tolico non può fare da padrino, neanche per interposta persona, in un Battesimo conferito da un ministro ere­tico, perché ciò sarebbe come un obbligarsi a istruire o far istruire il battezzato in una dottrina erronea (S. Uffi­zio, 10 maggio 1710; 7 luglio 1864; Collectan. de Prop. Fide, Roma 1907, nn. 478, 1257). b) Eucaristia: un cat­tolico non può assistere alla Messa di un sacerdote eretico o scismatico, anche se, urgendo il precetto festivo, do­vesse altrimenti rimanere senza Messa (S. Uffizio, 7 ag. 1704; ibid., n. 267). c) Matrimonio: non è lecito con­trarre matrimonio davanti a un ministro eterodosso, nean­che nel caso di un matrimonio di religione mista, nep­pure se già prima si è contratto, o s’intende contrarlo dopo, davanti al sacerdote cattolico (CIC, can. 1063). La trasgressione importa la scomunica riservata all’Or­dinario (can. 2319). Se però il ministro eterodosso funge soltanto da funzionario dello Stato, è lecito servirsi di lui, quando non ne derivi pericolo di perversione o di scandalo o di disprezzo dell’autorità ecclesiastica (can. 1526 § 2). d) Ultimi Sacramenti: in pericolo di morte, man­cando il sacerdote cattolico, si può ricevere l’assoluzione da un sacerdote eretico, alla condizione che vi sia la probabilità che essa venga data secondo il rito cattolico (S. Uffizio, 30 giugno e 7 luglio 1864; Collectan. de Propag. Fide, n. 1257, ad 6). Inoltre: un cattolico non può chiamare il ministro di un culto eterodosso al capezzale di un moribondo della medesima religione perché gli amministri i Sacramenti. Può, però, ricorrere all’inter­vento di un correligionario dell’infermo, o anche avver­tire egli stesso il ministro eterodosso semplicemente del desiderio del moribondo di ricevere una sua visita. In questo secondo caso non si ha che un invito simile a quello che si rivolgerebbe ad una persona qualsiasi, pa­rente o amica. — 2. Altre cerimonie. Resta proibito ai cattolici di pregare, cantare, suonare l’organo nelle chiese e cappelle di eretici e scismatici, da soli o con essi, mentre questi fanno le loro funzioni religiose (S. Congr. di Propag. Fide, 12 giugno e 8 luglio 1889; Collectan. de Prop. Fide, n. 1713). - 3. Dispute pubbliche. I cattolici non possono prendere parte a discussioni e controversie, specialmente pubbliche, in materia di fede con gli acattolici, senza il permesso della S. Sede, o, nei casi urgenti, dell’Ordinario (CIC, can. 1325 § 3). — 4. Uso comune della chiesa. L’Or­dinario può concedere l’uso di una chiesa cattolica per le funzioni dei dissidenti, però in ore diverse dalle funzioni cattoliche. Così avviene, p. es., in Alsazia, Germania, Svizzera e nella chiesa del S. Sepolcro a Gerusalemme (S. Uffizio, 5 giugno 1889; CIC, Fontes, n. 1119).

La comunicazione in rebus mixtis. La presenza o parte­cipazione puramente passiva alle cerimonie di un culto acattolico è dalla Chiesa tollerata, quando sus­siste un motivo di onore o di ossequio civile; alla condizione, però, che il motivo sia grave (approvato in caso di dubbio dall’Ordinario), sia escluso il peri­colo di scandalo o di perversione e non vi si presti parte alcuna né immediata, né mediata. Si può quindi assistere, in questi casi, ai funerali, ai matrimoni e ad altre cerimonie simili degli acattolici (CIC, can. 1258 § 2).

Così nel caso dei funerali: a) se il funerale è orga­nizzato come manifestazione di incredulità o di disprezzo della religione cattolica, non vi si può partecipare (S. Uf­fizio, 11 maggio 1892; CIC, Fontes, n. 1154); b) negli altri casi si può o per motivo di dovere civile (quando, p. es., si tratta del padrone, di un capo militare, del capo dello Stato); o per ragioni di onore (quando si tratta di un parente prossimo, di un pubblico benefattore, di un amico molto intimo). Però accompagnando il corteo fu­nebre non si può portare la candela accesa, né far suf­fragi per l’anima del defunto, né cantare, perché questi e simili atti indicano partecipazione al rito religioso. Il visitare le chiese degli eretici può essere ammesso a ti­tolo di curiosità o di studio, purché non comporti alcuna intenzione di partecipare agli eventuali riti religiosi o non sia imposto dall’autorità civile per indicare un’armonia di credenze fra cattolici e acattolici (S. Uffizio, 13 genn. 1818; CIC, Fontes, n. 856).

Gli acat­tolici possono ricevere le benedizioni con l’intenzione di ottenere il lume della fede, o, con questo, la salute del corpo (CIC, can. 1149). Il can. 1152, poi, permette di recitare sopra di essi anche gli esorcismi. Inoltre la Congregazione del S. Uffizio ha dichiarato che le donne scismatiche possono cantare con le cattoliche nelle fun­zioni liturgiche (cattoliche, ndR) (24 genn. 1906); che in via di eccezione gli acattolici possono fare da testimoni in un matrimo­nio cattolico (19 ag. 1891); che un protestante può temporaneamente fare da organista in una chiesa cattolica, purché non ne derivi scandalo (22 febbr. 1820); che la partecipazione degli acattolici al culto cattolico si ammetta solo con riserva, non abbia carattere ufficiale e non com­porti comunione di pensiero con essi (22 giugno 1859; CIC, Fontes, rispettivamente nn. 1276, 1144, 858,952).

Voce compilata dal P. Celestino Testore

[per CIC si intende Codex Iuris Canonici Pio-Benedettino del 1917]

[Qui video] La prestigiosa Enciclopedia Cattolica (Vol. V, Vaticano, Imprimatur 8 ottobre 1950, Coll. 63-65) afferma: La teoria dell'ecumenismo - Parola derivata da «ecumenico», ossia universale, che viene adoperata nei tempi moderni per indicare ogni sorta di attività religiosa che non si limiti ai problemi interni di una Chiesa cristiana. Nel senso proprio ecumenismo è la teoria più recente escogitata dai movimenti interconfessionali, specialmente protestanti, per raggiungere l’unione delle Chiese cristiane. Qui si parla dell’ecumenismo in senso stretto. L'ecumenismo presuppone come sua base l’eguaglianza di tutte e Chiese dinanzi al problema dell’unione.

Ciò sotto il triplice aspetto psicologico, storico ed escatologico: a) Psicologicamente tutte le Chiese devono riconoscersi ugualmente colpevoli della separazione, cosicché, invece di incolparsi l’una l’altra, ognuna ha da chiedere perdono; b) Storicamente nessuna Chiesa, dopo la separazione, può credersi la Chiesa unica e totale di Cristo, ma soltanto parte di quest’unica Chiesa: conseguentemente, nessuna può arrogarsi il diritto di obbligare le altre a ritornare a lei, bensì tutte debbono sentire l’obbligo di riunirsi tra loro, (vaneggiando di) ricostituire la Chiesa Una e Santa fondata dal Salvatore; c) Escatologicamente la Chiesa futura, risultante dall’unione, non potrà essere identica a nessuna delle Chiese ora esistenti.

La S. Chiesa ecumenica, che sorgerà in questa nuova Pentecoste, sorpasserà ugualmente tutte le singole confessioni cristiane. Si vede subito che tali teorie sono in contrasto con la fede cattolica. Esse tuttavia offrono un certo (apparente) vantaggio di ordine pratico, togliendo tra le varie Chiese ogni rivalità, e prospettando tutto l’arduo problema dell’unione in un piano senza ortodossi ed eretici, senza vincitori e senza vinti. Perciò si sono moltiplicate le riviste unionistiche con il titolo di Oecumenica, perfino le due più importanti associazioni internazionali unionistiche, Life and Work e Faith and Order, si sono fuse nel 1946 in una sola con il titolo «Concilio ecumenico», il cui primo congresso venne celebrato ad Amsterdam dal 22 agosto al 5 settembre 1948.

Ecumenismo protestante. Data l’origine dell’ecumenismo, esso trovò larga accoglienza nel campo protestante. Luterani, calvinisti, anglicani e le altre sètte minori costituiscono l’elemento più numeroso dell’ecumenismo, il quale trovò anche nei protestanti i suoi principali autori; e ciò benché non regni tra di loro un accordo perfetto (La prestigiosa Enciclopedia Cattolica dedica un'intera voce all'argomento, ivi. Coll 65-70, che qui non tratteremo, ndR).

Ecumenismo orientale. Gli orientali separati logicamente dovrebbero prendere posizione contro l’ecumenismo, giacché essi, al pari dei cattolici, si proclamano l’unica vera Chiesa di Cristo. Nondimeno i principali esponenti delle Chiese orientali e gli autori più rinomati si dimostrano pronti a schierarsi accanto agli ecumenisti protestanti.

Il pensiero degli orientali è stato raccolto nel volume Il problema ecumenico nella coscienza ortodossa, pubblicato dall’YMCA (s. d.) di Parigi. In generale si può dire che gli ecumenisti orientali, principalmente russi, si riallacciano al concetto della «Chiesa universale», tanto frequente tra i pensatori russi del secolo XIX. Alcuni distinguono tra l’essenza o natura e la forma della Chiesa (nel linguaggio della teologia cattolica questi concetti rispondono al corpo ed all’anima, ovvero alla materia ed alla forma della Chiesa), per dire che la Chiesa ecumenica futura conserverà la forma della Chiesa loro, ma in un corpo nuovo, più universale, attraverso il quale essa possa sviluppare tutte le sue pienezze di vita e di santità. Altri più radicali e senza scrupoli teologici, come Nicolao Berdjaev, distinguono lo spirito e la confessione, troppo angusta nelle formole dogmatiche. Tutte queste impalcature della Chiesa orientale, al pari di quelle delle altre Chiese cristiane, sono destinate a scomparire nella Chiesa futura; lo spirito invece (a loro dire) rimarrà intatto nella fusione con le altre Chiese cristiane.

Ecumenismo cattolico. Per i cattolici sono precluse le vie dell’ecumenismo nel senso originario del termine, principalmente dopo che il papa Pio XI nella sua enciclica Mortalium animos (6 gennaio 1928) e Pio XII nella Orientalis Ecclesiae (1944) hanno ribadito il genuino concetto dell’unità della Chiesa, ed hanno tracciato il metodo da seguire per promuovere il ritorno dei dissidenti. 

Scrive Pio XII (Orientalis Ecclesiae): «Non conduce al desideratissimo ritorno degli erranti figli alla sincera e giusta unità in Cristo, quella teoria che ponga a fondamento del concorde consenso dei fedeli solo quei capi di dottrina, sui quali o tutte o la maggior parte delle comunità, che si gloriano del nome cristiano, si trovino d’accordo, bensì l’altra che, senza eccettuarne né sminuirne alcuna, integralmente accoglie qualsiasi verità da Dio rivelata».

Si aggiunga che la Congregazione del Sant'Uffizio, in data 5 giugno 1948, nel richiamare le prescrizioni canoniche che vietano le riunioni miste (peggio ancora le preghiere od i riti misti, ndR), dice che esse prescrizioni «maggiormente si devono osservare, quando si tratta dei cosiddetti convegni ecumenici a cui i cattolici, laici e chierici, non possono prender parte veruna senza previo consenso della Santa Sede». Queste direttive sono state confermate nell'Istruzione del Sant'Uffizio, del 20 dicembre 1949 sul «movimento ecumenico». Tuttavia alcuni cattolici fautori del movimento unionista favoreggiano l’ecumenismo, non inteso alla maniera dei protestanti, ma come tattica che cerca i punti di contatto con i cristiani dissidenti, dai quali, secondo alcuni, i cattolici avrebbero diverse lezioni da imparare. Tutto questo sembra per lo meno inopportuno, poiché si presta a confusioni l’uso di un termine che, nel senso corrente, involge teorie anticattoliche.

Nel 1934 lo ieromonaco Alessio van der Menschbrugghe, nell’articolo Danger du formalisme, in Oecumenica, I (1934), pp. 312-28, e Oscar Bauhofer nel libro Einheit u. Glauben, Einsiedeln 1935, mostrano aperta inclinazione in favore dell’ecumenismo. Ad esso aderiscono l’abate P. Coutourier nei suoi articoli della Revue apologétique (1937) ed il p. M. J. Congar nel libro pubblicato nel 1937 a Parigi: Chrétiens désunis. Principes d’un «oecuménisme» catholique.

Ma questo tentativo è di natura da sollevare delle gravi riserve. Infatti, se per i cattolici ecumenismo significa ciò che i dissidenti intesero nel coniare la parola, esso comporta l’ammissione delle Chiese separate e protestanti come parti della vera Chiesa, nonché l’affermazione che la Chiesa cattolica non possiede in se stessa attualmente la pienezza essenziale. Il p. Congar difficilmente può sottrarsi alla necessità di ammettere almeno in parte questi postulati assegnati all’ecumenismo: non solo i singoli separati di buona fede (sarebbero) membri della Chiesa vera ed unica; ma anche le loro Chiese (possederebbero) tali e tanti elementi della vera Chiesa, che i dissidenti si (salverebbero) nelle loro Chiese, le quali (potrebbero) per il fatto stesso considerarsi non totalmente distaccate dall’unica Chiesa fondata da Cristo per la salvezza delle anime. In quanto alla Chiesa cattolica, ad essa, è chiaro, non manca nulla di essenziale, ma sì un certo grado di perfezione. Così (essi intendono ristabilire) un certo equilibrio ed uguaglianza: benché in maniera ed in grado diverso, tutti senza distinzione andiamo verso l’unione per integrare ciò che ci difetta nelle singole Chiese. Bisogna confessare che anche questo uso dell’ecumenismo ha urtato fra i cattolici contro una diffidenza pressoché generale. Essi lo trovano troppo ardito e pericoloso...

P. Maurizio Gordillo, autore della voce Ecumenismo sull'Enciclopedia Cattolica, non era profeta né veggente, tuttavia aveva la fede cattolica, usava la ragione, e facilmente riuscì a prevedere le funeste conseguenze del pericoloso ecumenismo. Veniamo ad alcune - essendo davvero numerose - principali condanne a quella che, soprattutto dopo gli evidenti sviluppi avutisi dal 1965 ad oggi, può essere definita, almeno giornalisticamente, eresia ecumenica

Una, Santa, Cattolica ed Apostolica

Papa Leone XIII nella Satis Cognitum afferma: Gesù Cristo istituì nella Chiesa un “vivo, autentico e perenne magistero”, che egli stesso rafforzò col suo potere, informò dello spirito di verità e autenticò coi miracoli; e volle e comandò che i precetti della sua dottrina fossero ricevuti come suoi. Dunque ogni volta in cui questo magistero dichiara che questo o quel dogma è contenuto nel corpo della dottrina divinamente rivelata, ciascuno lo deve tenere per vero, poiché, se potesse essere falso, ne seguirebbe che Dio stesso sarebbe autore dell’errore dell’uomo, il che ripugna: “O Signore, se vi è errore, siamo stati ingannati da te” [Richardus de S. Victore, De Trin., lib. I, cap. 2]. Quindi, rimossa ogni ragione di dubitare, a chi mai sarà lecito ripudiare una sola di queste verità, senza che egli venga per questo stesso a cadere in eresia e senza che, essendo separato dalla Chiesa, rigetti in complesso tutta la dottrina cristiana? Tale è infatti la natura della fede che nulla tanto le ripugna come ammetterne un dogma e ripudiarne un altro. Infatti la Chiesa dichiara apertamente che la fede è una “virtù soprannaturale, con la quale, ispirati ed aiutati dalla grazia di Dio, crediamo che sono vere le cose da lui rivelate, non già per l’intrinseca verità delle medesime conosciuta con il lume naturale della ragione, ma per l’autorità dello stesso Dio rivelante, che non può ingannare né essere ingannato” [Conc. Vat., sess. III, cap. 3]. Se dunque si conosce che una verità è stata rivelata da Dio, e tuttavia non si crede, ne consegue che nulla affatto si crede per fede divina. Infatti quanto Giacomo Apostolo sentenzia a proposito del delitto in materia di costumi, deve affermarsi circa un’opinione erronea in materia di fede: “Chiunque avrà mancato in un punto solo, si è reso colpevole di tutti”. Anzi, a più forte ragione deve dirsi di questa che di quello. Infatti, meno propriamente si dice violata tutta la legge da colui che la trasgredì in una cosa sola, non potendosi vedere in lui, se non interpretandone la volontà, un disprezzo della maestà di Dio legislatore. Invece colui che, anche in un punto solo, dissente dalle verità rivelate, ha perduto del tutto la fede, in quanto ricusa di venerare Dio come somma verità e proprio motivo di fede; perciò Agostino dice: “In molte cose concordano con me, in alcune poche no; ma per quelle poche cose in cui non convengono con me, a nulla giovano loro le molte in cui convengono con me”[S. Augustinus, In Psal. LIV, n. 19]. E con ragione; perché coloro che prendono della dottrina cristiana quello che a loro piace, si basano non sulla fede, ma sul proprio giudizio: e non “riconducendo tutto il proprio intelletto all’obbedienza a Cristo”(1Cor 10,5), obbediscono più propriamente a loro stessi che a Dio. “Voi, diceva Agostino, che nel Vangelo credete quello che volete, e non credete quello che non volete, credete a voi stessi piuttosto che al Vangelo” [S. Augustinus, lib. XVII, Contra Faustum Manichaeum, cap. 3]. Fine della citazione.

Extra Ecclesiam nulla salus

Ci domandiamo: dato che l'ecumenismo, lo abbiamo visto, è una teoria falsa od eretica (dipende dalle condizioni), come si concilia la dottrina cattolica con la salvezza di coloro i quali si trovano, senza propria colpa, fuori dal collettivo umano chiamato Chiesa (Una, Santa, Cattolica ed Apostolica)? Risponde Papa Pio IX nella Quanto conficiamur ed altrove. Cito: Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, ancora dobbiamo ricordare e biasimare il gravissimo errore in cui sono miseramente caduti alcuni cattolici. Credono infatti che, vivendo nell’errore, lontani dalla vera fede e dall’unità cattolica, possano pervenire alla vita eterna. Ciò è radicalmente contrario alla dottrina cattolica. (Tuttavia) a Noi ed a Voi è noto che coloro che versano in una invincibile ignoranza circa la nostra santissima religione, ma che osservano con cura la legge naturale ed i suoi precetti, da Dio scolpiti nei cuori di tutti; che sono disposti ad obbedire a Dio e che conducono una vita onesta e retta, possono, con l’aiuto della luce e della grazia divina, conseguire la vita eterna. Dio infatti vede perfettamente, scruta, conosce gli spiriti, le anime, i pensieri, le abitudini di tutti e nella sua suprema bontà, nella sua infinita clemenza non permette che qualcuno soffra i castighi eterni senza essere colpevole di qualche volontario peccato. Parimenti è notissimo il dogma cattolico secondo il quale fuori dalla Chiesa Cattolica nessuno può salvarsi e chi è ribelle all’autorità e alle decisioni della Chiesa, chi è ostinatamente separato dalla unità della Chiesa stessa e dal Romano Pontefice, Successore di Pietro, cui è stata affidata dal Salvatore la custodia della vigna, non può ottenere la salvezza eterna. Infatti le parole di Cristo Nostro Signore sono perfettamente chiare: “Chi non ascolta la Chiesa, sia per te come un pagano o come un pubblicano (Mt. 18,17). Chi ascolta voi ascolta me; chi disprezza voi disprezza me, e chi disprezza me disprezza Colui che mi ha mandato (Lc. 10,16). Colui che non mi crederà sarà condannato (Mc. 16,16). Colui che non crede è già giudicato (Gv. 3,18). Colui che non è con me è contro di me, e colui che non accumula con me, dissipa” (Lc. 11,23). Allo stesso modo l’Apostolo Paolo dice che questi uomini sono “corrotti e condannati dal loro proprio giudizio” (Tt. 3,11) e il Principe degli Apostoli li dice “maestri mendaci che introducono sette di perdizione, rinnegano il Signore, attirano su di sé una rapida rovina” [Epist. 2, c. 2, v. 1]. Non sia mai che i figli della Chiesa cattolica siano nemici di coloro che non sono uniti a Noi dagli stessi legami di fede e di carità; devono al contrario prodigarsi nel render loro tutti i servizi della carità cristiana, nella loro povertà, nelle loro malattie, in tutte le altre disgrazie da cui sono afflitti; devono fare in modo di aiutarli sempre e soprattutto di trascinarli fuori dalle tenebre di errori in cui miseramente versano, di ricondurli alla verità cattolica ed alla Chiesa, Madre amatissima, che non cessa mai di tender loro affettuosamente le sue mani materne, di aprir loro le braccia, per rafforzarli nella fede, speranza e carità, per farli fruttificare in ogni genere di buone opere e per far loro ottenere la salute eterna. Fine della citazione.

Libertà di coscienza

Ci domandiamo: dato che l'ecumenismo, lo abbiamo visto, è una teoria falsa od eretica, come si concilia la dottrina cattolica con la pretesa libertà di coscienza? Risponde, per esempio, Papa Gregorio XVI nella Mirari Vos. Cito: Veniamo ora ad un’altra sorgente trabocchevole dei mali, da cui piangiamo afflitta presentemente la Chiesa: vogliamo dire l’indifferentismo, ossia quella perversa opinione che per fraudolenta opera degl’increduli si dilatò in ogni parte, e secondo la quale si possa in qualunque professione di Fede conseguire l’eterna salvezza dell’anima se i costumi si conformano alla norma del retto e dell’onesto. Ma a voi non sarà malagevole cosa allontanare dai popoli affidati alla vostra cura un errore così pestilenziale intorno ad una cosa chiara ed evidentissima, senza contrasto. Poiché è affermato dall’Apostolo che esiste “un solo Iddio, una sola Fede, un solo Battesimo” (Ef. 4,5), temano coloro i quali sognano che veleggiando sotto bandiera di qualunque Religione possa egualmente approdarsi al porto dell’eterna felicità, e considerino che per testimonianza dello stesso Salvatore “essi sono contro Cristo, perché non sono con Cristo” (Lc. 11,23), e che sventuratamente disperdono solo perché con lui non raccolgono; quindi “senza dubbio periranno in eterno se non tengono la Fede cattolica, e questa non conservino intera ed inviolata” (Symbol. S. Athanasii). Ascoltino San Girolamo il quale - trovandosi la Chiesa divisa in tre parti a causa dello scisma - racconta che, tenace come egli era del santo proposito, quando qualcuno cercava di attirarlo al suo partito, egli rispondeva costantemente ad alta voce: “Chi sta unito alla Cattedra di Pietro, quegli è mio” (S. Girolamo, Ep. 58). A torto poi qualcuno, fra coloro che alla Chiesa non sono congiunti, oserebbe trarre ragione di tranquillizzante lusinga per essere anche lui rigenerato nell’acqua di salute; poiché gli risponderebbe opportunamente Sant’Agostino: “Anche il ramoscello reciso dalla vite ha la stessa forma, ma che gli giova la forma se non vive della radice?”(S. Agostino, Salmo contro part. Donat.). Da questa corrottissima sorgente dell’indifferentismo scaturisce quell’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza: errore velenosissimo, a cui apre il sentiero quella piena e smodata libertà di opinione che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato, non mancando chi osa vantare con impudenza sfrontata provenire da siffatta licenza qualche vantaggio alla Religione. “Ma qual morte peggiore può darsi all’anima della libertà dell’errore?” esclamava Sant’Agostino (Ep. 166). Tolto infatti ogni freno che tenga nelle vie della verità gli uomini già diretti al precipizio per la natura inclinata al male, potremmo dire con verità essersi aperto il “pozzo d’abisso” (Ap. 9,3), dal quale San Giovanni vide salire tal fumo che il sole ne rimase oscurato, uscendone locuste innumerabili a devastare la terra. Conseguentemente si determina il cambiamento degli spiriti, la depravazione della gioventù, il disprezzo nel popolo delle cose sacre e delle leggi più sante: in una parola, la peste della società più di ogni altra esiziale, mentre l’esperienza di tutti i secoli, fin dalla più remota antichità, dimostra luminosamente che città fiorentissime per opulenza, potere e gloria per questo solo disordine, cioè per una eccessiva libertà di opinioni, per la licenza delle conventicole, per la smania di novità andarono infelicemente in rovina. Fine della citazione.

Libertà religiosa

Ci domandiamo: dato che l'ecumenismo, lo abbiamo visto, è una teoria falsa od eretica, come si concilia la dottrina cattolica con la supposta legislazione degli Stati che intendono favorire, o addirittura servire, la pretesa libertà di culto? Risponde Papa Pio XII nel Discorso ai giuristi cattolici del 6 dicembre 1953, meglio noto come Allocuzione Ci riesce. Cito: Per il giurista, l'uomo politico e lo Stato cattolico sorge qui il quesito: possono essi dare il consenso ad un simile regolamento, quando si tratta di entrare nella Comunità dei popoli e di rimanervi? Ora relativamente agl'interessi religiosi e morali si pone una duplice questione: 1) La prima concerne la verità oggettiva e l'obbligo della coscienza verso ciò che è oggettivamente vero e buono; 2) la seconda riguarda l'effettivo contegno della Comunità dei popoli verso il singolo Stato sovrano e di questo verso la Comunità dei popoli nelle cose della religione e della moralità. La prima può difficilmente essere l'oggetto di una discussione e di un regolamento fra i singoli Stati e la loro Comunità, specialmente nel caso di una pluralità di confessioni religiose nella Comunità medesima. La seconda invece può essere della massima importanza ed urgenza. Or ecco la via per rispondere rettamente alla seconda questione. Innanzi tutto occorre affermare chiaramente: che nessuna autorità umana, nessuno Stato, nessuna Comunità di Stati, qualunque sia il loro carattere religioso, possono dare un mandato positivo o una positiva autorizzazione d'insegnare o di fare ciò che sarebbe contrario alla verità religiosa o al bene morale. Un mandato o una autorizzazione di questo genere non avrebbero forza obbligatoria e resterebbero inefficaci. Nessuna autorità potrebbe darli, perchè è contro natura di obbligare lo spirito e la volontà dell'uomo all'errore ed al male o a considerare l'uno e l'altro come indifferenti. Neppure Dio potrebbe dare un tale positivo mandato o una tale positiva autorizzazione, perchè sarebbero in contraddizione con la Sua assoluta veridicità e santità. Un'altra questione essenzialmente diversa è: se in una comunità di Stati possa, almeno in determinate circostanze, essere stabilita la norma che il libero esercizio di una credenza e di una prassi religiosa o morale, le quali hanno valore in uno degli Stati-membri, non sia impedito nell'intero territorio della Comunità per mezzo di leggi o provvedimenti coercitivi statali. In altri termini, si chiede se il «non impedire», ossia il tollerare, sia in quelle circostanze permesso, e perciò la positiva repressione non sia sempre un dovere. Noi abbiamo or ora addotta l'autorità di Dio. Può Dio, sebbene sarebbe a Lui possibile e facile di reprimere l'errore e la deviazione morale, in alcuni casi scegliere il «non impedire», senza venire in contraddizione con la Sua infinita perfezione? Può darsi che in determinate circostanze Egli non dia agli uomini nessun mandato, non imponga nessun dovere, non dia perfino nessun diritto d'impedire e di reprimere ciò che è erroneo e falso? Uno sguardo alla realtà dà una risposta affermativa. Essa mostra che l'errore e il peccato si trovano nel mondo in ampia misura. Iddio li riprova; eppure li lascia esistere. Quindi l'affermazione: Il traviamento religioso e morale deve essere sempre impedito, quando è possibile, perchè la sua tolleranza è in sè stessa immorale - non può valere nella sua incondizionata assolutezza. D'altra parte, Dio non ha dato nemmeno all'autorità umana un siffatto precetto assoluto e universale, nè nel campo della fede nè in quello della morale. Non conoscono un tale precetto nè la comune convinzione degli uomini, nè la coscienza cristiana, nè le fonti della rivelazione, nè la prassi della Chiesa. Per omettere qui altri testi della Sacra Scrittura che si riferiscono a questo argomento, Cristo nella parabola della zizzania diede il seguente ammonimento: Lasciate che nel campo del mondo la zizzania cresca insieme al buon seme a causa del frumento (cfr. Matth. 13, 24-30). Il dovere di reprimere le deviazioni morali e religiose non può quindi essere una ultima norma di azione. Esso deve essere subordinato a più alte e più generali norme, le quali in alcune circostanze permettono, ed anzi fanno forse apparire come il partito migliore il non impedire l'errore, per promuovere un bene maggiore. Con questo sono chiariti i due principii, dai quali bisogna ricavare nei casi concreti la risposta alla gravissima questione circa l'atteggiamento del giurista, dell'uomo politico e dello Stato sovrano cattolico riguardo ad una formula di tolleranza religiosa e morale del contenuto sopra indicato, da prendersi in considerazione per la Comunità degli Stati. Primo: ciò che non risponde alla verità e alla norma morale, non ha oggettivamente alcun diritto nè all'esistenza, nè alla propaganda, nè all'azione. Secondo: il non impedirlo per mezzo di leggi statali e di disposizioni coercitive può nondimeno essere giustificato nell'interesse di un bene superiore e più vasto. Fine della citazione.

Indifferentismo ed ateismo

Ecumenismo, come è stato dimostrato, è il sofisma utilizzato per nascondere l'indifferentismo che, a sua volta, è ateismo. Leggiamo brevemente alcune sentenze della Chiesa a riguardo. Cito Papa Leone XII nella Ubi primum: (...) Esiste una setta, a voi certamente nota, la quale, arrogandosi a torto l’appellativo di filosofica, ha riesumato dalle ceneri disperse falangi di quasi tutti gli errori. Questa setta, presentandosi sotto la carezzevole apparenza della pietà e della liberalità, professa il tollerantismo (così lo chiama), o indifferentismo, e lo estende non solo agli affari civili, sulla qual cosa non esprimiamo parola alcuna, ma anche alla materia religiosa, insegnando che Dio ha dato a tutti gli uomini un’ampia libertà, in modo che ognuno, senza alcun pericolo, può abbracciare e professare la setta e l’opinione che preferisce, secondo il proprio personale giudizio. Contro tale empietà di uomini deliranti, l’Apostolo Paolo ci mette in guardia: "Io vi esorto, fratelli, a controllare coloro che alimentano divisioni e scandali contro la dottrina che avete appresa, e ad allontanarvi da loro. In questo modo, essi non servono nostro Signore Gesù Cristo, ma il proprio ventre, e attraverso dolci parole e benedizioni seducono le anime semplici" (Rm. 16,17-18). È vero che tale errore non è nuovo, ma in questi tempi esso infierisce contro la stabilità e l’integrità della fede cattolica. Infatti Eusebio, citando Rodone, riferisce che questa follia era già stata propagata da certo Apelle, eretico del secondo secolo, il quale asseriva che non occorreva approfondire la fede, ma che ciascuno doveva arroccarsi nell’opinione che si era formata. Apelle sosteneva che coloro i quali avevano riposto la propria speranza nel Crocifisso si sarebbero salvati, purché la morte li avesse raggiunti nel corso di buone opere. Anche Retorio, come attesta Agostino, blaterava che tutti gli eretici camminavano nella retta via e predicavano delle verità. "Ma ciò è così assurdo, osserva il santo Padre, che mi sembra incredibile". In seguito, questo indifferentismo si è talmente diffuso e accresciuto, che i suoi seguaci riconoscono non solo tutte le sette che, fuori della Chiesa cattolica, ammettono oralmente la rivelazione come base e fondamento, ma affermano spudoratamente che sono nella retta via anche quelle società che, respingendo la divina rivelazione, professano il semplice deismo ed anche il semplice naturalismo. L’indifferentismo di Retorio fu giudicato da Sant’Agostino cosa assurda in diritto e nel merito, anche se veniva circoscritto in determinati limiti. Ma una tolleranza che si estenda fino al deismo ed al naturalismo - teorie che furono respinte perfino dagli antichi eretici - potrebbe mai essere ammessa da una persona che usi la ragione? Tuttavia (Oh tempi! Oh filosofia menzognera!) una siffatta pseudo-filosofia è approvata, difesa e sostenuta.

Cito Papa Pio IX nella Apostolicae nostrae: (...) sapete benissimo come i popoli cristiani siano afflitti e sconvolti o da cruentissime guerre, o da dissidi intestini; o da morbi pestiferi, o da violenti terremoti o da altri gravissimi mali. Questo soprattutto riempie di dolore: che fra tanti lutti e danni mai abbastanza pianti, i figli delle tenebre, che nella loro generazione sono più cauti dei figli della luce, di giorno in giorno si sforzano sempre più, con ogni inganno, arte e preparazione, di condurre una guerra durissima contro la Chiesa cattolica e la sua dottrina salvifica; di stravolgere e distruggere l’autorità d’ogni potere legittimo; di indurre al male e corrompere le menti e gli animi di tutti; di propagare dovunque il veleno mortale dell’indifferentismo e dell’incredulità; di sconvolgere tutti i diritti divini e umani; di eccitare ed alimentare i dissensi, le discordie e i moti di empie ribellioni; di consentire qualunque malvagia scelleratezza e crudelissima azione; di non lasciare nulla d’intentato affinché – se potesse mai accadere – la nostra santissima religione sia tolta di mezzo e la stessa società umana sconvolta dalle fondamenta.

 Cito ancora Pio XI nella Exultavit cor nostrum: Di qui dobbiamo deplorare una caligine di errori diffusa nelle menti di molti; una guerra aspra contro tutta la cattolicità e contro questa Sede Apostolica; l’odio terribile contro la virtù e l’onestà; i peggiori vizi considerati onesti con nome menzognero; una sfrenata licenza di tutto opinare, di vivere e di tutto osare; l’insofferente intolleranza di qualsiasi autorità, potere o comando; il disprezzo e il ludibrio per tutte le cose sacre, per le leggi più sante e per le migliori istituzioni; una miseranda corruzione dell’improvvida gioventù; una colluvie pestifera di cattivi libri, di libelli volanti, di giornali e riviste che insegnano a peccare; il mortifero veleno dell’incredulità e dell’indifferentismo; i moti di empie cospirazioni e ogni diritto, sia umano, sia divino, disprezzato e deriso. E non Vi è ignoto, Venerabili Fratelli, quali ansietà, quali dubbi, quali esitazioni e quali timori sollecitino e angustino per conseguenza gli animi di tutti, specialmente dei benpensanti, poiché sono da temere i peggiori mali per il costume pubblico e privato allorché gli uomini, allontanandosi miseramente dalle norme della giustizia, della verità e della religione, e servendo alle malvagie e indomite passioni, tramano nel loro cuore qualsiasi nefandezza.

Sempre Pio IX nella Singulari quidem: E neppure ignorate, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, che tra i tanti e mai abbastanza deplorati mali che turbano e sconvolgono la società ecclesiastica e civile, ora ne emergono in particolare due, che si possono considerare a buon diritto come l’origine di tutti gli altri. A Voi infatti sono anzitutto noti gli innumerevoli e funestissimi danni che sulla società cristiana e civile si riversano dal fetido errore dell’indifferentismo. Da qui la grave negligenza in tutti i doveri verso Dio in cui viviamo, ci muoviamo e siamo; da qui trascurata la santissima religione; da qui scosse e quasi sconvolte le fondamenta di ogni diritto, della giustizia e della virtù. Da questa ignobile forma d’indifferentismo non molto si scosta la teoria, eruttata dalle tenebre, dell’indifferenza delle religioni per cui uomini estranei alla verità, avversari del vero credo religioso e immemori della loro salute, docenti di principi contraddittori e sprovvisti di solido convincimento, non ammettono alcuna differenza tra le professioni di fede più divergenti, vivono in pace con tutti, e pretendono che a tutti, a qualunque religione appartengano, sia aperto l’ingresso alla vita eterna. Infatti nulla importa loro, sebbene di diverse tendenze, pur di cospirare alla rovina dell’unica verità. Voi vedete, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, di quale vigilanza occorre dar prova per impedire che il contagio di una peste tanto funesta infetti e distrugga miseramente le vostre pecore. Pertanto non rinunciate a premunire con zelo da questi esiziali errori i popoli a Voi affidati; a istruirli ogni giorno più intimamente nella dottrina della verità cattolica; a insegnare loro che, come vi è un solo Dio Padre, un solo Cristo Figlio di Lui, un solo Spirito Santo, così vi è una sola verità divinamente rivelata, una sola fede divina, principio d’umana salvezza, fondamento di ogni normativa per la quale il giusto vive, e senza la quale è impossibile piacere a Dio e pervenire alla comunione dei suoi figli (cf. Rm. 1,16-17; Eb. 11,5); non vi è che una vera, santa, cattolica, Apostolica, Romana Chiesa e una sola Cattedra fondata dalla voce del Signore su Pietro, e all’infuori di essa non si trova né la vera fede né la salute eterna, in quanto non può avere Dio come Padre chi non ha la Chiesa come madre e assurdamente confida di appartenere alla Chiesa colui che abbandona la Cattedra di Pietro sulla quale è fondata la Chiesa. Infatti non vi può essere maggior delitto e nessuna macchia più ripugnante che essersi posto contro Cristo; aver operato per la distruzione della Chiesa, generata e assicurata dal Suo sangue divino; aver lottato con il furore di ostile discordia contro l’unanime e concorde popolo di Dio, avendo dimenticato l’amore evangelico. Invero, il culto divino si compone di questi due elementi: di pie dottrine e di buone azioni; né la dottrina senza opere buone è gradita a Dio, né Dio accoglie le opere distinte dai dogmi religiosi; non nella sola pratica delle virtù o nella sola osservanza dei precetti, ma anche nel cammino della fede si trova l’angusta e ardua via che conduce alla vita. Quindi non desistete di ammonire e incitare continuamente i vostri popoli fedeli, in modo che non solo persistano irremovibili, ogni giorno di più, nella professione della religione cattolica, ma si adoperino anche di rendere salda la loro vocazione e la loro scelta attraverso le buone opere. Mentre poi Vi impegnate ad assicurare la salvezza del vostro gregge, non trascurate di richiamare con tanta bontà, tanta pazienza, tanta dottrina, i poveri erranti all’unico ovile di Cristo e di ricondurli all’unità cattolica soprattutto con queste parole di Agostino: "Venite, Fratelli, se volete essere innestati sulla vite. È doloroso vedervi giacere in terra così recisi; contate soltanto sui sacerdoti provenienti dalla Sede di Pietro e considerate come su quel soglio dei nostri padri l’uno successe all’altro; quella è la pietra che non può esser vinta dalle superbe porte degl’inferiChiunque mangerà l’agnello fuori di questa casa, è un empio; se qualcuno non sarà nell’arca di Noè, perirà nel momento del diluvio". Fine delle citazioni.

Irenismo

Sebbene la maggior parte degli ecumenisti di "casa nostra" lo neghino, ecumenismo è finalmente - nella dottrina o nella prassi a noi poco importa - irenismo. Nella prassi ecumenismo equivale ad irenismo; nella dottrina tale equivalenza può essere più o meno evidente, dipende dai sofismi utilizzati dai vari autori, ragion per cui, per smascherarli, noi dobbiamo focalizzare tutte le attenzioni sulla conclusione pratica alla quale conducono: ossia l'equivalenza, più o meno rivendicata, delle varie credenze, filosofie di vita o religioni. Equivalenza di fatto che le pretende, per conseguenza, tutte vere, pertanto tutte false: se Dio mente a qualcuno, non è Dio, quindi le varie credenze, filosofie di vita o religioni sarebbero tutte verosimilmente false e rappresenterebbero, quale meglio e quale peggio, solo l'esternazione di un sentimento soggettivo, di un'esperienza. Papa Pio XII, condannando ancora il modernismo (la nuova-teologia) nella Humani Generis, afferma: (...) Noi sappiamo bene che gli insegnanti e i dotti cattolici in genere si guardano da tali errori, è noto però che non mancano nemmeno oggi, come ai tempi apostolici, coloro che, amanti più del conveniente delle novità e timorosi di essere ritenuti ignoranti delle scoperte fatte dalla scienza in quest'epoca di progresso, cercano di sottrarsi alla direzione del sacro Magistero e perciò sono nel pericolo di allontanarsi insensibilmente dalle verità Rivelate e di trarre in errore anche gli altri. Si nota poi un altro pericolo, e tanto più grave, perché si copre maggiormente con l'apparenza della virtù. Molti, deplorando la discordia e la confusione che regna nelle menti umane, mossi da uno zelo imprudente e spinti da uno slancio e da un grande desiderio di rompere i confini con cui sono fra loro divisi i buoni e gli onesti; essi abbracciano perciò una specie di "irenismo" che, omesse le questioni che dividono gli uomini, non cerca solamente di ricacciare, con unità di forze, l'irrompente ateismo, ma anche di conciliare le opposte posizioni nel campo stesso dogmatico. E come un tempo vi furono coloro che si domandavano se l'apologetica tradizionale della Chiesa costituisse più un ostacolo che un aiuto per guadagnare le anime a Cristo, cosi oggi non mancano coloro che osano arrivare fino al punto di proporre seriamente la questione, se la teologia e il suo metodo, come sono in uso nelle scuole con l'approvazione dell'autorità ecclesiastica, non solo debbano essere perfezionate, ma anche completamente riformate, affinché si possa propagare con più efficacia il regno di Cristo in tutto il mondo, fra gli uomini di qualsiasi cultura o di qualsiasi opinione religiosa. (...) Infuocati da un imprudente "irenismo", sembrano ritenere un ostacolo al ristabilimento dell'unità fraterna, quanto si fonda sulle leggi e sui principî stessi dati da Cristo e sulle istituzioni da Lui fondate, o quanto costituisce la difesa e il sostegno dell'integrità della fede, crollate le quali, tutto viene sì unificato, ma soltanto nella comune rovina. Queste opinioni, provenienti da deplorevole desiderio di novità o anche da lodevoli motivi, non sempre vengono proposte con la medesima gradazione, con la medesima chiarezza o con i medesimi termini, né sempre i sostenitori di esse sono pienamente d'accordo fra loro; ciò che viene oggi insegnato da qualcuno più copertamente con alcune cautele e distinzioni, domani da altri, più audaci, viene proposto pubblicamente e senza limitazioni, con scandalo di molti, specialmente del giovane clero, e con detrimento dell'autorità ecclesiastica. Se di solito si usa più cautela nelle pubblicazioni stampate, di questi argomenti si tratta con maggiore libertà negli opuscoli distribuiti in privato, nelle lezioni dattilografate e nelle adunanze. Queste opinioni non vengono divulgate solo fra i membri del clero secolare e regolare, nei seminari e negli istituti religiosi, ma anche fra i laici, specialmente fra quelli che si dedicano all'educazione e all'istruzione della gioventù. Fine della citazione.

Pace universale

Ci domandiamo: dato che l'ecumenismo, lo abbiamo visto, è una teoria falsa od eretica, come si concilia la dottrina cattolica con la ricerca di pace fra i popoli? Subito diciamo che l'ecumenismo, al contrario di quanto sostengono gli ecumenisti, evidentemente si contrappone alla pace universale. Adduciamo immediatamente la prova più sensibile: negli ultimi 31 anni, ossia dalla prima apostasia della cosiddetta "giornata di Assisi" del 1986 (si legge comunicazione nelle cose sacre, significa apostasia - lo impareremo nel penultimo paragrafo), reiterata poi tutti gli anni, nonché replicata anche altrove ed in varie date e contesti, benché l'ecumenismo sia stato imposto quale religione ufficiale a molti cattolici nominali, il numero delle guerre e dei conflitti è aumentato a dismisura. Dunque, pur non avendone bisogno, anche alla prova dei fatti l'ecumenismo per la pace ha decretato il suo fallimento universale. Adesso veniamo alla motivazione dottrinale e soprannaturale di questo fallimento annunciato. Risponde, fra gli altri, Papa San Pio X nella sua Notre charge apostolique, condannando il movimento del Sillon francese di Marc Sangnier. Cito: Vogliamo attirare la vostra attenzione, Venerabili Fratelli, su questa deformazione del Vangelo e del carattere sacro di Nostro Signore Gesù Cristo, Dio e Uomo, praticata nel Sillon ed altrove. In altri ambienti è di moda, quando si tocca la questione sociale, mettere anzitutto da parte la Divinità di Gesù Cristo, e poi parlare soltanto della sua sovrana mansuetudine, della sua compassione per tutte le miserie umane, delle sue pressanti esortazioni all'amore del prossimo e alla fraternità. Certo, Gesù ci ha amati di un amore immenso, infinito, ed è venuto sulla terra a soffrire e a morire affinché, riuniti attorno a Lui nella giustizia e nell'amore, animati dai medesimi sentimenti di carità reciproca, tutti gli uomini vivano nella pace e nella felicità. Ma, per la realizzazione di questa felicità temporale ed eterna, Egli ha posto, con un'autorità sovrana, la condizione che si faccia parte del suo gregge, che si accetti la sua dottrina, che si pratichi la virtù e che ci si lasci ammaestrare e guidare da Pietro e dai suoi successori. Inoltre, se Gesù è stato buono con gli smarriti e con i peccatori, non ha rispettato le loro convinzioni erronee, per quanto sincere sembrassero; li ha tutti amati per istruirli, per convertirli e per salvarli. Se ha chiamato a Sé, per consolarli, quanti piangono e soffrono, non è stato per predicare loro l'invidia di un'uguaglianza chimerica. Se ha sollevato gli umili, non è stato per ispirare loro il sentimento di una dignità indipendente e ribelle all'ubbidienza. Se il suo Cuore traboccava di mansuetudine per le anime di buona volontà, ha saputo ugualmente armarsi di una santa indignazione contro i profanatori della casa di Dio, contro i miserabili che scandalizzano i piccoli, contro le autorità che opprimono il popolo sotto il carico di pesanti fardelli, senza muovere un dito per sollevarli. Egli è stato tanto forte quanto dolce; ha rimproverato, minacciato, castigato, sapendo e insegnandoci che spesso il timore è l'inizio della saggezza e che a volte conviene tagliare un membro per salvare il corpo. Infine, non ha annunciato per la società futura il regno di una felicità ideale, da cui sarebbe bandita la sofferenza; ma, con le sue lezioni e i suoi esempi, ha tracciato il cammino della felicità possibile sulla terra e della felicità perfetta in Cielo: la via regale della Croce. Sono insegnamenti che si avrebbe torto ad applicare soltanto alla vita individuale in vista della salvezza eterna; sono insegnamenti eminentemente sociali e ci mostrano in Nostro Signore Gesù Cristo una realtà ben diversa da un umanitarismo senza consistenza e senz'autorità. [Per concludere:] Venerabili Fratelli - bisogna ricordarlo energicamente in questi tempi di anarchia sociale e intellettuale, in cui ciascuno si atteggia a dottore e legislatore -, non si costruirà la città diversamente da come Dio l’ha costruita; non si edificherà la società, se la Chiesa non ne getta le basi e non ne dirige i lavori; no, la civiltà non è più da inventare, né la città nuova da costruire sulle nuvole. Essa è esistita, essa esiste; è la civiltà cristiana, è la civiltà cattolica. Si tratta unicamente d’instaurarla e di restaurarla senza sosta sui suoi fondamenti naturali e divini contro gli attacchi sempre rinascenti della malsana utopia, della rivolta e dell’empietà: "omnia instaurare in Christo" [(Ef. 1, 10) - l’espressione paolina fu assunta da Papa San Pio X come divisa del suo pontificato, ndR]. Fine della citazione.

Pax Christi in Regno Christi

Se la risposta di San Pio X non soddisfa, citiamo Papa Pio XI con il suo motto Pax Christi in Regno Christi. Ecumenismo, come abbiamo imparato, è il contraddittorio di cattolicesimo, e poiché quest'ultimo è l'unica via per raggiungere la vera pace, l'ecumenismo diventa una delle vie certamente non percorribili, la storia stessa lo attesta. Insegna Papa Pio XI nella Ubi arcano:  Abbiamo visto e considerato che causa precipua dello scompiglio, delle inquietezze e dei pericoli che accompagnano la falsa pace è l'essere venuto meno l'impero della legge, il rispetto dell'autorità, dopo che era venuta meno all'una ed all'altra la stessa ragion d'essere, una volta negata la loro origine da Dio, creatore e ordinatore universale. Orbene il rimedio è nella pace di Cristo, giacché pace di Cristo è pace di Dio, né questa può essere senza il rispetto dell'ordine, della legge e dell'autorità. Nel Libro di Dio infatti sta scritto: "Conservate la pace nell'ordine" ("Disciplinam in pace conservate", Ecclesiaste, 41, 17) , "gran pace avrà chi amerà la tua legge, o Signore" ("Pax multa diligentibus legem tuam Domine" Salmi, 118, 155) ; "chi osserva il precetto si troverà in pace" ("Qui timet praeceptum in pace versabitur" Libro dei Proverbi, 13, 13) . E Gesù stesso più espressamente insegna: "rendete a Cesare quel ch'è di Cesare" ("Reddite quae sunt Caesaris Caesari", Matteo, 22, 21) , e perfino in Pilato. Egli riconosce l'autorità sociale che viene dall'alto (Gv. 19, 11), come aveva riconosciuta l'autorità finanche nei degeneri successori di Mosè (Mt. 23,2), e riconosciuta in Maria e Giuseppe l'autorità domestica, loro soggettandosi per tanta parte della sua vita (Lc. 2, 51). E dagli Apostoli suoi faceva proclamare quella solenne dottrina che, come insegna "doversi da tutti riverenza ed ossequio ad ogni potestà legittima", così proclama pure "potestà legittima non esserci se non da Dio" (Rm. 13, 1-7) (1Pt. 2, 13-18). Se si riflette che i pensieri e gli insegnamenti di Gesù Cristo, sui valori interni e spirituali, sulla dignità e santità della vita, sul dovere dell'ubbidienza, sull'ordinamento divino della società, sulla santità sacramentale del matrimonio e la conseguente santità vera e propria della famiglia; se si riflette, diciamo, che questi pensieri ed insegnamenti di Cristo (insieme con tutto quel tesoro di verità da lui arrecato all'umanità), furono da Lui stesso unicamente affidati alla sua Chiesa, con solenne promessa di indefettibile assistenza, affinché in tutti i secoli ed in tutte le genti ne fosse maestra infallibile, non si può non vedere quale e quanta parte può e deve avere la Chiesa Cattolica nel portare rimedio ai mali del mondo e nel condurre alla sincera pacificazione. (...) Per questo, per essere cioè la Chiesa, ed essa sola, formatrice sicura e perfetta di coscienze, mercé gli insegnamenti e gli aiuti a lei sola da Gesù Cristo affidati, non soltanto essa può conferire nel presente alla pace tutto ciò che le manca per essere la vera pace di Cristo, ma può ancora, piu di ogni altro fattore, contribuire ad assicurare questa pace anche per l'avvenire, allontanando il pericolo di nuove guerre. Insegna infatti la Chiesa (ed essa sola ha da Dio il mandato, e col mandato il diritto di autorevolmente insegnarlo) che non soltanto gli atti umani privati e personali, ma anche i pubblici e collettivi devono conformarsi alla legge eterna di Dio; anzi assai più dei primi i secondi, come quelli sui quali incombono le responsabilità più gravi e terribili. Quando governi e popoli seguiranno negli atti loro collettivi, sia all'interno sia nei rapporti internazionali, quelle norme di coscienza che gli insegnamenti, i precetti, gli esempi di Gesù Cristo propongono ed impongono ad ogni uomo; allora soltanto potranno fidarsi gli unì degli altri, ed aver anche fede nella pacifica risoluzione delle difficoltà e controversie che, per differenza di vedute e opposizione d'interessi, possono insorgere. (...) Appare, da quanto siamo venuti considerando, che la vera pace, la pace di Cristo, non può esistere se non sono ammessi i princìpi, osservate le leggi, ubbiditi i precetti di Cristo nella vita pubblica e nella privata; sicché bene ordinata la società umana, vi possa la Chiesa esercitare il suo magistero, al quale appunto fu affidato l'insegnamento di quei precetti. Ora tutto questo si esprime con una sola parola: "il regno di Cristo". Poiché regna Gesù Cristo nella mente degli individui con la sua dottrina, nel cuore con la sua carità, nella vita di ciascuno con l'osservanza della sua legge e l'imitazione dei suoi esempi. Regna Gesù Cristo nella famiglia quando, formatasi nella santità del vero e proprio Sacramento del matrimonio da Gesù Cristo istituito, conserva inviolato il carattere di santuario, dove l'autorità dei parenti si modella sulla paternità divina, dalla quale discende e si denomina (Ef. 3,15): l'ubbidienza dei figli su quella del fanciullo Gesù in Nazareth; la vita tutta quanta s'ispira alla santità della Sacra Famiglia. Regna finalmente Gesù Cristo nella società civile quando vi è riconosciuta e riverita la suprema ed universale sovranità di Dio, con la divina origine ed ordinazione dei poteri sociali, donde in alto la norma del comandare, in basso il dovere e la nobiltà dell'ubbidire. Regna quando è riconosciuto alla Chiesa di Gesù Cristo il posto che Egli stesso le assegnava nella società umana, dandole forma e costituzione di società, e, in ragione del suo fine, perfetta, suprema nell'ordine suo; costituendola depositaria ed interprete del suo pensiero divino, e perciò stesso maestra e guida delle altre società tutte quante; non per menomare l'autorità loro, nel proprio ordine competente, ma per perfezionarle, come la grazia perfeziona la natura, e per farne valido aiuto agli uomini nel conseguimento del fine ultimo, ossia della eterna felicità, e con ciò renderle anche più benemerite e più sicure promotrici della stessa prosperità temporale. (...) È dunque evidente che la vera pace di Cristo non può essere che nel regno di Cristo: Pax Christi in regno Christi; ed è del pari evidente che, procurando la restaurazione del regno di Cristo, faremo il lavoro più necessario insieme e più efficace per una stabile pacificazione. Così Pio X, proponendosi di instaurare omnia in Christo, quasi per un divino istinto preparava la prima e più necessaria base a quella "opera di pacificazione", che doveva essere il programma e l'occupazione di Benedetto XV. E questi due programmi dei Nostri antecessori, Noi congiungiamo in uno solo: la restaurazione del regno di Cristo per la pacificazione in Cristo: pax Christi in regno Christi; e con ogni sforzo Ci studieremo di attuarlo, unicamente confidando in quel Dio, che nell'affidarCi questo sommo potere, Ci prometteva la sua indefettibile assistenza. Fine della citazione.

Religione unica ed universale

L'ecumenismo è anche il maldestro tentativo, più o meno esplicitato, ciò dipende dalla furbizia degli autori che lo divulgano, di instaurare quell'unica religione universale: una sorta di parlameno simbolico delle religioni con a capo o il "Papa" (nella sua sola materiale occupazione delle Sede), oppure gli altri leaders in democratica rotazione. Insegna Papa San Pio X sempre nella Notre charge apostolique: (...) Cosa bisogna pensare della promiscuità in cui si troveranno coinvolti i giovani cattolici con eterodossi e con non credenti di ogni genere, in un'opera di questa natura? Per loro, non è mille volte più pericolosa di un'associazione neutrale? Che cosa dobbiamo pensare di questo appello a tutti gli eterodossi e a tutti i non credenti a provare l'eccellenza delle loro convinzioni sul terreno sociale, in uno speciale concorso apologetico, come se questo concorso non durasse da diciannove secoli, in condizioni meno pericolose per la fede dei fedeli e del tutto onorevoli per la Chiesa cattolica? Che cosa dobbiamo pensare di questo rispetto per tutti gli errori e della strana esortazione, fatta da un cattolico a tutti i dissidenti, a fortificare le loro convinzioni con lo studio e a farne sorgenti sempre più abbondanti di forze nuove? Che cosa dobbiamo pensare di un'associazione in cui tutte le religioni e perfino il "libero pensiero" possono manifestarsi apertamente, a loro piacimento? (...) Che cosa produrranno? Che cosa sta per uscire da questa collaborazione? Una costruzione puramente verbale e chimerica, in cui si vedranno luccicare alla rinfusa e in una confusione seducente le parole di libertà, di giustizia, di fraternità e di amore, di uguaglianza e di umana esaltazione, il tutto basato su una dignità umana male intesa. Si tratterà di un'agitazione tumultuosa, sterile per il fine proposto e che avvantaggerà gli agitatori di masse meno utopisti. Sì, davvero si può dire che (questa pseudo-dottrina, ndR) scorta il socialismo, con l'occhio fisso su una chimera. Temiamo che vi sia ancora di peggio. Il risultato di questa promiscuità nel lavoro, il beneficiario di quest'azione sociale cosmopolitica, può essere soltanto una democrazia che non sarà né cattolica, né protestante, né ebraica; una religione (...) più universale della Chiesa cattolica, che riunirà tutti gli uomini divenuti finalmente fratelli e compagni, nel "regno di Dio". (Dicono:) "Non si lavora per la Chiesa ma per l'umanità". (...) Ahimé!, (queste fantasie, ndR) sono solo un misero affluente del grande movimento di apostasia, organizzato, in tutti i paesi, per l'instaurazione di una chiesa universale, che non avrà né dogmi, né gerarchia, né regole per lo spirito, né freno per le passioni, e che, con il pretesto della libertà e della dignità umana, ristabilirebbe nel mondo, qualora potesse trionfare, il regno legale dell'astuzia e della forza, e l'oppressione dei deboli, di quelli che soffrono e che lavorano. Fine della citazione.

Mortalium animos

L'ecumenismo è stato infallibilmente condannato, in tempi abbastanza recenti, anche da Papa Pio XI nell Mortalium animos. Per chi non ne fosse a conoscenza, una sentenza infallibile della Chiesa è, per conseguenza, anche inappellabile (Cliccare qui per studiare l'infallibilità della Chiesa e del Papa). Ovverosia, nella fattispecie, non è possibile relativizzarla o storicizzarla, quasi come se si possano attribuire senso e significato differenti - "più progrediti" come taluni blaterano - alle definizioni dottrinali (cf. Concilio Vaticano, Dei Filius, IV - "Se qualcuno dirà che può accadere che ai dogmi della Chiesa si possa un giorno - nel continuo progresso della scienza - attribuire un senso diverso da quello che ha inteso e intende dare la Chiesa: sia anatema"). Cito la condanna: Un obiettivo non dissimile cercano di ottenere alcuni per quanto riguarda l’ordinamento della Nuova Legge, promulgata da Cristo Signore. Persuasi che rarissimamente si trovano uomini privi di qualsiasi sentimento religioso, sembrano trarne motivo a sperare che i popoli, per quanto dissenzienti gli uni dagli altri in materia di religione, pure siano per convenire senza difficoltà nella professione di alcune dottrine, come su un comune fondamento di vita spirituale. Perciò sono soliti indire congressi, riunioni, conferenze, con largo intervento di pubblico, ai quali sono invitati promiscuamente tutti a discutere: infedeli di ogni gradazione, cristiani, e persino coloro che miseramente apostatarono da Cristo o che con ostinata pertinacia negano la divinità della sua Persona e della sua missione. Non possono certo ottenere l’approvazione dei cattolici tali tentativi fondati sulla falsa teoria che suppone buone e lodevoli tutte le religioni, in quanto tutte, sebbene in maniera diversa, manifestano e significano egualmente quel sentimento a tutti congenito per il quale ci sentiamo portati a Dio e all’ossequente riconoscimento del suo dominio. Orbene, i seguaci di siffatta teoria, non soltanto sono nell’inganno e nell’errore, ma ripudiano la vera religione depravandone il concetto e svoltano passo passo verso il naturalismo e l’ateismo; donde chiaramente consegue che quanti aderiscono ai fautori di tali teorie e tentativi si allontanano del tutto dalla religione rivelata da Dio. Ma dove, sotto l’apparenza di bene, si cela più facilmente l’inganno, è quando si tratta di promuovere l’unità fra tutti i cristiani. Non è forse giusto - si va ripetendo - anzi non è forse conforme al dovere che quanti invocano il nome di Cristo si astengano dalle reciproche recriminazioni e si stringano una buona volta con i vincoli della vicendevole carità? E chi oserebbe dire che ama Cristo se non si adopera con tutte le forze ad eseguire il desiderio di Lui, che pregò il Padre perché i suoi discepoli «fossero una cosa sola»? [Ioann., XVII, 21]. E lo stesso Gesù Cristo non volle forse che i suoi discepoli si contrassegnassero e si distinguessero dagli altri per questa nota dell’amore vicendevole: « In ciò conosceranno tutti che siete miei discepoli se vi amerete l’un l’altro»? [Ioann., XIII, 35]. E volesse il Cielo, soggiungono, che tutti quanti i cristiani fossero «una cosa sola»; sarebbero assai più forti nell’allontanare la peste dell’empietà, la quale, serpeggiando e diffondendosi ogni giorno più, minaccia di travolgere il Vangelo. Questi ed altri simili argomenti esaltano ed eccitano coloro che si chiamano pancristiani, i quali, anziché restringersi in piccoli e rari gruppi, sono invece cresciuti, per così dire, a schiere compatte, riunendosi in società largamente diffuse, per lo più sotto la direzione di uomini acattolici, pur fra di loro dissenzienti in materia di fede. E intanto si promuove l’impresa con tale operosità, da conciliarsi qua e là numerose adesioni e da cattivarsi perfino l’animo di molti cattolici con l’allettante speranza di riuscire ad un’unione che sembra rispondere ai desideri di Santa Madre Chiesa, alla quale certo nulla sta maggiormente a cuore che il richiamo e il ritorno dei figli erranti al suo grembo. Ma sotto queste insinuanti blandizie di parole si nasconde un errore assai grave che varrebbe a scalzare totalmente i fondamenti della fede cattolica. Pertanto, poiché la coscienza del Nostro Apostolico ufficio ci impone di non permettere che il gregge del Signore venga sedotto da dannose illusioni, richiamiamo, Venerabili Fratelli, il vostro zelo contro così grave pericolo, sicuri come siamo che per mezzo dei vostri scritti e della vostra parola giungeranno più facilmente al popolo (e dal popolo saranno meglio intesi) i princìpi e gli argomenti che siamo per esporre. Così i cattolici sapranno come giudicare e regolarsi di fronte ad iniziative intese a procurare in qualsivoglia maniera l’unione in un corpo solo di quanti si dicono cristiani. (...) La Sede Apostolica non può in nessun modo partecipare alle loro riunioni e che in nessun modo i cattolici possono aderire o prestare aiuto a siffatti tentativi; se ciò facessero, darebbero autorità ad una falsa religione cristiana, assai lontana dall’unica Chiesa di Cristo. Ma potremo Noi tollerare l’iniquissimo tentativo di vedere trascinata a patteggiamenti la verità, la verità divinamente rivelata? Ché qui appunto si tratta di difendere la verità rivelata. Gesù Cristo inviò per l’intero mondo gli Apostoli a predicare il Vangelo a tutte le nazioni; e perché in nulla avessero ad errare volle che anzitutto essi fossero ammaestrati in ogni verità, dallo Spirito Santo [Ioann., XVI, 13. 1]; forse che questa dottrina degli Apostoli venne del tutto a meno o si offuscò talvolta nella Chiesa, diretta e custodita da Dio stesso? E se il nostro Redentore apertamente disse che il suo Vangelo riguardava non solo il periodo apostolico, ma anche le future età, poté forse l’oggetto della fede, col trascorrere del tempo, divenire tanto oscuro e incerto da doversi tollerare oggi opinioni fra loro contrarie? Se ciò fosse vero, si dovrebbe parimenti dire che la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli e la perpetua permanenza nella Chiesa dello stesso Spirito e persino la predicazione di Gesù Cristo da molti secoli hanno perduto ogni efficacia e utilità: affermare ciò sarebbe bestemmia. Inoltre, l’Unigenito Figlio di Dio non solo comandò ai suoi inviati di ammaestrare tutti i popoli, ma anche obbligò tutti gli uomini a prestar fede alle verità che loro fossero annunziate «dai testimoni preordinati da Dio» [Act., X, 41], e al suo precetto aggiunse la sanzione « Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo; ma chi non crederà, sarà condannato » [Marc., XVI, 16]. Ma questo doppio comando di Cristo, da osservarsi necessariamente, d’insegnare cioè e di credere per avere l’eterna salvezza, neppure si potrebbe comprendere se la Chiesa non proponesse intera e chiara la dottrina evangelica e non fosse immune da ogni pericolo di errore nell’insegnarla. Perciò è lontano dal vero chi ammette sì l’esistenza in terra di un deposito di verità, ma pensa poi che sia da cercarsi con tanto faticoso lavoro, con tanto diuturno studio e dispute, che a mala pena possa bastare la vita di un uomo per trovarlo e goderne; quasi che il benignissimo Iddio avesse parlato per mezzo dei Profeti e del suo Unigenito perché pochi soltanto, e già molto avanzati negli anni, imparassero le verità rivelate, e non per imporre una dottrina morale che dovesse reggere l’uomo in tutto il corso della sua vita. Potrà sembrare che questi pancristiani, tutti occupati nell’unire le chiese, tendano al fine nobilissimo di fomentare la carità fra tutti i cristiani; ma come mai potrebbe la carità riuscire in danno della fede? Nessuno certamente ignora che lo stesso apostolo della carità, San Giovanni (il quale nel suo Vangelo pare abbia svelato i segreti del Cuore sacratissimo di Gesù che sempre soleva inculcare ai discepoli il nuovo comandamento: «Amatevi l’un l’altro»), ha vietato assolutamente di avere rapporti con coloro i quali non professano intera ed incorrotta la dottrina di Cristo: «Se qualcuno viene da voi e non porta questa dottrina, non ricevetelo in casa e non salutatelo nemmeno» [II Ioann., 10]. Quindi, appoggiandosi la carità, come su fondamento, sulla fede integra e sincera, è necessario che i discepoli di Cristo siano principalmente uniti dal vincolo dell’unità della fede. Fine della citazione.

Orientalis Ecclesiae

L'ecumenismo è stato condannato molte volte dalla Chiesa. Anche Papa Pio XII lo ha riprovato in più occasioni. Cito dalla Orientalis Ecclesiae: (...) Non è lecito, neppure sotto il pretesto di rendere più agevole la concordia, dissimulare neanche un dogma solo; giacché, come ammonisce il patriarca alessandrino: «Desiderare la pace è certamente il più grande e il primo dei beni, ma però non si deve per siffatto motivo permettere che ne vada di mezzo la virtù della pietà in Cristo» (Ep. 61: PG 77, 325.). Perciò non conduce al desideratissimo ritorno dei figli erranti alla sincera e giusta unità in Cristo, quella teoria, che ponga a fondamento del concorde consenso dei fedeli solo quei capi di dottrina, sui quali o tutte o almeno la maggior parte delle comunità, che si gloriano del nome cristiano, si trovino d'accordo, ma bensì l'altra che, senza eccettuarne né sminuirne alcuna, integralmente accoglie qualsiasi verità da Dio rivelata. Fine della citazione. La Orientalis Ecclesiae fornisce chiare istruzioni anche sulla vera pastorale cattolica - sull'esempio di San Cirillo - che si deve tenere con gli erranti, affinché essi riprovino i loro errori e tornino, uniti alla vera ed unica Chiesa, alla professione della fede di Gesù Cristo. 

Comunicazione nelle cose sacre

L'ecumenismo si manifesta soprattutto nella pretesa preghiera comune, che abbiamo già appurato avere effetti controproducenti per la pace, talvolta anche negli scabrosi e patetici rituali interconfessionali. Oggi si è arrivati alla fantasia, sdoganata dalle settarie società bibliche (cf. Pio IX - Qui pluribus), di favorire ed usare le cosiddette Bibbie interconfessionali. La prestigiosa Enciclopedia Cattolica (Vol. IV, Vaticano, Imprimatur 8 aprile 1950, Coll. 117-119) alla voce Comunicazione nelle cose sacre ci dice:  Per comunicazione nelle cose sacre o comumnicatio in sacris si intende la partecipazione dei cattolici alle cerimonie sacre (preghiere, funzioni, pre­diche, riti) compiuti dagli acattolici (eretici, scisma­tici, infedeli) dentro o fuori della loro chiese o templi. Questa partecipazione può essere: attiva, quando, cioè, si prende parte al culto religioso positivamente, compiendo qualche atto, che con esso abbia relazione; passiva, quando vi si prende parte solo negativamente, astenendosi da ogni azione, che dica relazione con la cerimonia religiosa; formale, quando vi sia l’ade­sione della mente e del cuore; materiale, quando quest’adesione manca e tutto si riduce ad un atto di presenza esteriore e fisica. La comunicazione nelle cose sacre si suole designare con il nome di comunicazione in divinis, per di­stinguerla dalla comunicazione in profanis cioè nelle relazioni pri­vate e pubbliche che riguardano la vita domestica e civile, e dalla comunicazione in rebus mixtis, cioè nelle rela­zioni, le quali importano atti che si possono conside­rare o hanno un lato anche religioso, come i matri­moni, i funerali e cerimonie simili. La condotta dei cattolici a questo riguardo è re­golata in linea di massima dal CIC (Codex Iuris Canonici, beninteso del 1917), e nelle varie sue applicazioni dalle norme emanate dalle Sacre Con­gregazioni romane. (...) La comunicazione in divinis. Non è mai lecito ai fe­deli di assistere attivamente o prendere parte, in qualsiasi modo, ai riti sacri degli acattolici (CIC, can. 1258 § 1). Ciò vale non soltanto quando si tratta di riti falsi o empi in se stessi, ma anche quando si tratta di quei riti che sono propri di questa o quella setta o gruppo eretico, scismatico, pagano. Perché simile partecipazione equivale alla profes­sione di una falsa religione e per conseguenza al rin­negamento della fede cattolica. E anche nel caso che ogni idea di rinnegamento potesse escludersi, rimangono sempre tre danni assai gravi: 1) il peri­colo di perversione nel cattolico che vi partecipa; 2) lo scandalo, sia dei fedeli, che prendono motivo di giudicar male della persona che tratta con gli av­versari della fede e forse anche di dubitare della verità di essa, sia degli acattolici stessi, che così si confermano nel loro errore; 3) l’indifferentismo in materia di religione, cioè l’approvazione esteriore di credenze erronee e l’idea che l’espressione esterna della propria fede sia una cosa trascurabile. Fine della citazione.

Breve conclusione

Nulla posso aggiungere, posso solo imparare dai Sommi Pontefici ed a loro ossequiamente obbedire. Auspico di avere fatto, alla maggior gloria di Dio, un decoroso lavoro di ricerca. La Vergine Maria ed i santi Martiri della fede ci sostengano nella battaglia contro l'ecumenismo, contro gli ecumenisti, contro i «falsi maestri che introducono eresie perniciose. Con discorsi gonfiati e vani adescano coloro che si erano appena allontanati da quelli che vivono nell’errore. Promettono libertà, ma essi stessi sono schiavi della corruzione. Si è verificato per essi il proverbio: Il cane è tornato al suo vomito e la scrofa lavata è tornata ad avvoltolarsi nel brago» (II Pt. 2, 1. 18-19. 22). Il mio commento critico - benché esiguo poiché ho lasciato devotamente parlare i Pontefici - può sembrare severo, tuttavia è la verità (cf. Gv. VIII, 32). Ammonisce altresì l'Apostolo: Quae autem conventio Christi cum Beliar! (II Cor. 6, 15). Ed ancora: Sed licet nos aut angelus de caelo evangelizet vobis praeterquam quod evangelizavimus vobis, anathema sit! (Gal. I, 8 segg.). San Giuseppe, San Michele, San Tommaso d'Aquino, San Pietro Canisio, San Carlo Borromeo, San Pio V, San Francesco di Sales, Sant'Alfonso, San Pio X e San Giovanni di Dio (nostro speciale protettore) ci preservino dal vomito e dal brago degli ecumenisti, ci facciano altresì portatori di vera carità (cf. I Cor. 13, 6) e di pace nel Santo Nome di Gesù (Atti IV, 12).

A cura di Carlo Di Pietro

 

 

Nel rito di conferimento e di amministrazione di qualsiasi sacramento, si distingue giustamente fra la parte "cerimoniale" e la parte "essenziale", che si è soliti chiamare "materia e forma". Tutti sanno che i sacramenti della nuova legge, in quanto segni sensibili ed efficaci della grazia invisibile, debbono significare la grazia che producono, e produrre la grazia che significano. Questa significazione, anche se deve essere contenuta in tutto il rito essenziale, nella materia cioè e nella forma, appartiene però particolarmente alla forma, dato che la materia è parte di per sé non determinata, che per mezzo di quella viene determinata. E questo, in modo ancora più esplicito, appare nel sacramento dell'ordine, la materia del cui conferimento, quale si manifesta in questo luogo, è l'imposizione delle mani, che di per sé poi non significa nulla di definito, e viene usata ugualmente per tali ordini e per la confermazione.

Ora poi, le parole che fino a questi ultimi tempi vengono ovunque usate dagli anglicani come forma propria dell'ordinazione presbiterale, e cioè: "ricevi lo Spirito Santo", non significano affatto in modo determinato l'ordine del sacerdozio, o la sua grazia e potestà, che in particolare è la potestà di "consacrare e di offrire il vero corpo e sangue del Signore" (Denzinger 1771), con quel sacrificio che non è "una pura commemorazione del sacrificio compiuto sulla croce" (Denzinger 1753). Tale forma poi è stata arricchita più tardi con le parole: "per la funzione e il compito di presbitero". Ma questo dimostra piuttosto che gli anglicani hanno visto loro stessi che quella prima forma era imperfetta e non idonea alla situazione.

La stessa aggiunta però, se anche fosse in grado di apportare alla forma il legittimo significato, è stata introdotta troppo tardi, quando ormai era trascorso un secolo dalla ricezione dell'Ordinale edoardiano, e quando proprio per questo, essendosi estinta la gerarchia, la potestà di ordinazione era ormai nulla. Inutilmente poi ultimamente si è cercato un aiuto alla causa dalle altre preghiere dell'Ordinale. Infatti, anche tralasciando tutto ciò che nel rito anglicano le dimostri insufficienti allo scopo, valga solo questo argomento fra tutti: dalle stesse è stato tolto di proposito tutto ciò che nel rito cattolico designa chiaramente la dignità e le funzioni del sacerdozio. Non può dunque essere adatta e sufficiente al sacramento quella forma che passa sotto silenzio quello che dovrebbe propriamente significare.

Le cose stanno allo stesso modo per quanto riguarda la consacrazione episcopale. Infatti, alla formula "ricevi lo Spirito Santo", non solo sono state aggiunte troppo tardi le parole "per la funzione e il compito di vescovo", ma anche riguardo alle medesime, come subito diremo, si deve giudicare altrimenti che nel rito cattolico. E non aiuta certo la causa il richiamare la preghiera del prefazio "Onnipotente Dio", dal momento che è ugualmente priva delle parole che dichiarano "il sommo sacerdozio". In verità, non giova a nulla a questo proposito, esaminare se l'episcopato sia un completamento del sacerdozio, o un ordine distinto da quello; o se conferito, come si dice, "per salto", cioè ad un uomo che non sia sacerdote, abbia effetto oppure no. Ma lo stesso [episcopato] senza dubbio appartiene con assoluta verità al sacramento dell'ordine, secondo l'istituzione di Cristo, ed è sacerdozio di grado supremo; questo appunto, dalla voce dei santi padri e dalla nostra consuetudine rituale, è dichiarato "sommo sacerdozio, pienezza del sacro ministero". Dal momento che il sacramento dell'ordine e il vero sacerdozio di Cristo è stato totalmente eliminato dal rito anglicano, e che nella consacrazione episcopale del medesimo rito in nessun modo è conferito il sacerdozio, proprio da questo consegue che anche l'episcopato non può essere in alcun modo veramente e giustamente conferito; e questo tanto più perché tra i primi doveri dell'episcopato c'è appunto quello di ordinare i ministri per la santa eucaristia e il sacrificio.

Tuttavia, per la retta e piena valutazione dell'Ordinale anglicano, oltre a ciò che è stato osservato su alcune sue parti, nulla vale sicuramente quanto il considerare attentamente in quali circostanze sia stato composto e pubblicamente costituito. Sarebbe lungo enumerare le singole cose, e non è necessario: la storia di quel tempo infatti, dice abbastanza chiaramente quali fossero i sentimenti degli autori dell'Ordinale nei confronti della chiesa cattolica, quali fautori si associassero dalle sette eterodosse, dove infine dirigessero i loro progetti. Ben sapendo infatti quale vincolo esista fra la fede e il culto, fra "la legge del credere e la legge del pregare", con il pretesto di reintegrare la sua forma primitiva, hanno alterato in molti modi l'ordinamento della liturgia secondo gli errori dei novatori. Per questo, in tutto l'Ordinale, non solo non c'è nessuna chiara menzione del sacrificio, della consacrazione e della potestà del sacerdote di consacrare e di offrire il sacrificio; ma anzi, cosa di cui sopra ci siamo occupati, sono state deliberatamente eliminate e distrutte tutte le tracce di queste cose che fossero rimaste nelle preghiere non completamente rifiutate del rito cattolico. Così si manifesta da sé il nativo carattere e lo spirito, come si dice, dell'Ordinale. Di qui poi, avendo portato con sé l'errore fin dall'inizio, se non ha potuto avere in nessun modo validità nella pratica delle ordinazioni, neppure in futuro, con il passare del tempo, essendo rimasto il medesimo, potrà avere valore. Ed hanno agito inutilmente quelli che, fin dai tempi di Carlo I, hanno cercato di introdurre qualcosa del sacrificio e del sacerdozio, avendo fatto qualche aggiunta all'Ordinale; e ugualmente si dà da fare inutilmente quella parte non certo molto grande di anglicani costituitasi in tempi recenti, che ritiene che lo stesso Ordinale possa essere compreso e ricondotto ad un significato sano e retto. Inutili, noi diciamo, sono stati e sono questi tentativi: e ciò anche per questo motivo, perché, se alcune parole dell'Ordinale anglicano, come ora si trova, si presentano in modo ambiguo, non possono assumere il medesimo senso che hanno nel rito cattolico. Infatti, come abbiamo visto, una volta cambiato il rito con cui veramente si è negato o corrotto il sacramento dell'Ordine, e dal quale è stato ripudiato qualsiasi concetto di consacrazione e di sacrificio, non ha più nessuna consistenza il "Ricevi lo Spirito Santo", Spirito che viene infuso nell'anima con la grazia del sacramento; e non hanno alcuna consistenza le parole "per la funzione e il compito di presbitero" o "di vescovo", e quelle simili, che restano nomi senza la realtà che Cristo ha istituito.

Moltissimi fra gli stessi anglicani, interpreti più fedeli dell'Ordinale, hanno ben conosciuto la forza di tale argomento; e questa apertamente oppongono a coloro che interpretando in modo nuovo lo stesso [Ordinale], con vana speranza attribuiscono agli ordini con esso conferiti il valore e la forza che non hanno. Con questo medesimo argomento cade anche l'opinione di coloro che dicono che come legittima forma dell'ordine possa essere sufficiente la preghiera "Onnipotente Dio, largitore di tutti i beni", che si trova all'inizio dell'azione rituale; anche se forse potrebbe essere ritenuta sufficiente in un qualche rito cattolico che la chiesa avesse approvato. Con questo intimo "vizio di forma", dunque, è congiunto un "vizio dell'intenzione", che il sacramento, per poter essere, richiede in modo ugualmente necessario. Riguardo alla disposizione o intenzione, essendo di per sé qualcosa di inferiore, la chiesa non giudica; ma dal momento che si manifesta all'esterno, deve giudicarla. Ora poi, quando qualcuno per compiere o conferire un sacramento, ha adoperato seriamente e giustamente la materia e la forma dovute, proprio per questo si ritiene che egli abbia inteso certamente fare ciò che fa la chiesa. Su questo principio si fonda la dottrina che tiene per fermo che è veramente un sacramento anche quello che è compiuto mediante il ministero di un eretico o di un non battezzato, purché con il rito cattolico. Al contrario, se il rito viene cambiato per introdurne un altro non approvato dalla chiesa, e per respingere ciò che fa la chiesa e che appartiene alla natura del sacramento secondo l'intenzione di Cristo, allora è chiaro che manca non solo l'intenzione necessaria al sacramento, ma che c'è anzi una intenzione contraria e opposta al sacramento.

Tutte queste cose a lungo e ripetutamente le abbiamo considerate fra Noi e coi Nostri venerabili fratelli giudici nella Suprema, l'assemblea dei quali Ci è piaciuto convocare presso di Noi in modo straordinario il venerdì 16 luglio, nella commemorazione di Maria, nostra Signora del Carmelo. Costoro concordemente hanno convenuto che la causa proposta già da tempo era stata conosciuta e giudicata dalla sede apostolica e che, istruita e trattata poi di nuovo la sua discussione, era emerso nel modo più chiaro con quale forza di giustizia e di sapienza [la sede apostolica] aveva deciso l'intera problematica. Abbiamo tuttavia ritenuto che la cosa migliore da farsi fosse il non pronunciare subito una sentenza, per meglio valutare l'utilità e il vantaggio di una nuova dichiarazione sul medesimo argomento in virtù della Nostra autorità, e per implorare supplici una più copiosa abbondanza di luce divina. Avendo poi Noi considerato che lo stesso capitolo dottrinale, anche se giustamente già definito, è stato da certuni rimesso in discussione, qualunque sia poi il motivo di questa nuova discussione; e che da questa situazione avrebbe potuto nascere facilmente un pericoloso errore per i non pochi che pensano di trovare il sacramento dell'Ordine e i suoi frutti dove invece non ci sono. Ci è sembrato bene nel Signore di rendere pubblica la Nostra sentenza.

Pertanto, approvando in modo globale tutti i decreti dei Nostri predecessori [es. Giulio III, Paolo IV, Clemente XI, ndR] su questo problema, e confermandoli e rinnovandoli pienamente, in forza della Nostra autorità, di nostra iniziativa, per sicura conoscenza. Noi dichiariamo e proclamiamo che le ordinazioni compiute con il rito anglicano sono state del tutto invalide e sono assolutamente nulle.

Condanna tratta dalla Apostolicae curae, SS Leone XIII, Lettera sulle ordinazioni anglicane, 13 settembre 1896

Per avere un’idea della grande evoluzione che si ebbe in seno alla Massoneria operativa, si deve tener conto di ciò che avvenne nella vita politica e sociale in Inghilterra dalla fine del sec. XVII, al principio del seguente, ed alle alterne vicende cui soggiacquero i due grandi partiti in contrasto, dei Tories, partigiani degli Stuart e fedeli alle tradizioni cattoliche, e dei Whigs, fautori del parlamentarismo e della «Riforma». Le Logge massoniche, sia per il segreto di cui si circondavano, sia per la loro medesima natura che non ispirava sospetti, offrivano terreno assai propizio alle cospirazioni, sì all’uno come all’altro partito. Quando alla morte di Anna Stuart (1 agosto 1714) i Tories, e con essi le Logge scozzesi o giacobite, decisero di tentare uno sforzo supremo in favore di Giacomo III (1688-1766), fu giocata l’ultima carta non solo della dinastia, ma anche della Massoneria. Nel 1714, il trionfo di Giorgio I d’Hannover (1660-1727) e il sopravvento dei Whigs segnarono la fine del giacobitismo e della Chiesa cattolica, e, con ciò, il primo grande successo della Massoneria inglese e protestante. Origini della Massoneria speculativa. Durante questi avvenimenti, quattro Logge operative dissidenti, esistenti in vari quartieri di Londra, dietro ispirazione di un protestante immigrato francese, John Theophilus Désaguiliers (1686-1744), membro della «Royal Society», si unirono in un’unica grande Loggia; ciò avvenne il 24 giugno 1717, festa di san Giovanni Battista. Così ebbe origine la «Gran Loggia d’Inghilterra», destinata a diventare la Gran Loggia madre mondiale: ed ebbe così principio anche la vera Massoneria speculativa. Le Logge giacobite subirono allora invasioni, i loro archivi vennero dispersi e bruciati. Fonte principale d’informazione restano i pochi cenni lasciati da James Anderson (1678-1739) nella prefazione delle «Costituzioni» del 1738, ma non vi si può dare cieca fede. Uno dei primi fondatori della «Gran Loggia», William Stukeley (1687-1765), attesta che molto contribuì alla voga della nuova istituzione il mistero di cui si circondava, nonché la suggestiva nomea che vi si coltivassero scienze occulte. Del vero carattere che la Massoneria veniva assumendo, non pare che quei primi membri avessero ancora percezione ben chiara.

Evoluzionismo è la teoria “scientifica” secondo la quale gli esseri viventi attuali sarebbero il risultato di una trasformazione progressiva di uno o più elementi primordiali. È detto anche Trasformismo.

Questa teoria nacque per opera del botanico francese Giovanni de Lamarck e più ancora dell’inglese Carlo Darwin, da cui prese il nome di Darwinismo.

L’Evoluzionismo materialistico ateo filosoficamente e teologicamente è tanto assurdo quanto il Materialismo e l’Ateismo. Ma c’è un Evoluzionismo teistico, che vorrebbe avere anche il battesimo di cristiano.

Scientificamente l’Evoluzionismo non ha alcunché di solide basi: gravi difficoltà si muovono contro di esso dalla sistematica, dalla geologia, dalla paleontologia, dall’embriologia, dalla genetica. La stabilità della specie è lo scoglio di tutto il sistema.

Filosoficamente, se si prescinde da un diretto intervento divino, l’Evoluzionismo urta contro il principio di causalità, che non tollera la derivazione di un effetto superiore da una causa inferiore.

Teologicamente si potrebbe per ipotesi (ammessa e non concessa) concedere un Evoluzionismo parziale subordinato all’influsso della Causa Prima, tanto nel regno vegetale quanto nel regno animale, escluso però l’uomo, che la Rivelazione dice creato da Dio nell’anima e plasmato da Dio nel corpo. Buona lettura ...

Evoluzionismo

Dice nostro Signore: «Sinite parvulos venire ad me. Ne prohibueritis eos» (San Marco, X, 14) - «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite».

Principalmente in tre modi i genitori impediscono ai bambini di andare a Gesù: 1° Ritardando o negando loro il Battesimo; 2° Fornendo loro un’educazione non cristiana o educandoli al falso cristianesimo (il modernismo); 3° Scandalizzandoli coi pessimi e diabolici esempi (es. apostasia, divorzio, adulterio, concubinato, furto, eccetera...).

Consapevoli della sconcertante vita sociale moderna, si ritiene opportuna la diffusione gratuita e massiva di questo prezioso libretto in cui l’Autore illustra con semplicità - utilizzando anche immagini ed esercizi - la Legge divina da osservare con rigore.

La Sacra Scrittura ci dice: «Quid proderit, fratres mei, si fidem quis dicat se habere, opera autem non habeat?» (San Giacomo, II, 14) - «Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere?». Prosegue: «… fides, si non habeat opera, mortua est in semetipsa» (Ivi., 17) - «La fede, se non ha le opere, è morta in se stessa». Conchiude il Santo: «… ego tibi ostendam ex operibus meis fidem» (Ivi., 18) - «Io con le mie opere ti mostrerò la mia fede».

Il presente libretto: 1° Insegna ai bambini - nondimeno agli adulti ordinariamente ignoranti - la via della salvezza; 2° Illustra le opere da compiere e quelle da fuggire per dimostrare la vera fede, per piacere adunque a Dio; 3° Con la grazia di Nostro Signore Gesù Cristo e l’ausilio della Santa Vergine Corredentrice, può aiutare i nostri figli e noi adulti a godere la Visione beatifica ed evitare la dannazione eterna.

CdP

Consentire al browser di scaricare le pagine dal nostro server. Il tempo del download può variare in base alla velocità della connessione internet dell’utente. In caso di utilizzo della presente Opera digitalizzata è gradita la menzione alla fonte Sursum Corda - Organizzazione di Volontariato.

Per inviare una donazione Cliccare qui. «Nessuno al mondo vorrà mai ammettere di essere avaro! Tutti negano di essere contagiati da questo tarlo che inaridisce il cuore. Chi adduce a scusa il pesante fardello dei figli, chi la necessità di crearsi una posizione solida... Quelli poi che sono avari più degli altri, non ammetteranno mai di esserlo, e il bello è che, in coscienza, sono proprio convinti di non esserlo! L’avarizia è una febbre maligna, che più è forte e bruciante e più rende insensibili» (San Francesco di Sales, Filotea). Per scaricare il PDF cliccare qui.

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

La Legge divina spiegata ai bambini (con illustrazioni ed esercizi)

Per inviare una donazione Cliccare qui. «Nessuno al mondo vorrà mai ammettere di essere avaro! Tutti negano di essere contagiati da questo tarlo che inaridisce il cuore. Chi adduce a scusa il pesante fardello dei figli, chi la necessità di crearsi una posizione solida... Quelli poi che sono avari più degli altri, non ammetteranno mai di esserlo, e il bello è che, in coscienza, sono proprio convinti di non esserlo! L’avarizia è una febbre maligna, che più è forte e bruciante e più rende insensibili» (San Francesco di Sales, Filotea). Per scaricare il PDF cliccare qui.

«Pater, si vis, transfer calicem istum a me; verumtamen non mea voluntas sed tua fiat», dice il Signore.

I moderni rivendicano l'assoluta autonomia delle istituzioni e dei processi legislativi, sostengono che esiste una sana laicità degli Stati. Recentemente è stato dichiarato da un'alta carica nella Chiesa: «C’è una sana laicità, per esempio la laicità dello Stato. In generale, uno Stato laico è una cosa buona; è migliore di uno Stato confessionale, perché gli Stati confessionali finiscono male». Ed ancora, difendendo la laicità degli Stati, lo stesso moderno sostiene un'improbabile differenza fra laicità e laicismo di Stato: «Però una cosa è la laicità e un’altra è il laicismo. Il laicismo chiude le porte alla trascendenza, alla duplice trascendenza: sia la trascendenza verso gli altri e soprattutto la trascendenza verso Dio; o verso ciò che sta al di là. E l’apertura alla trascendenza fa parte dell’essenza umana. Fa parte dell’uomo. Non sto parlando di religione, sto parlando di apertura alla trascendenza». A quanto pare, numerosi cattolici nominali e nostri contemporanei ritengono che non ci sia nulla da obiettare a tali affermazioni, le considerano normali e sovente da lodare. Proviamo a rispondere con la fede cattolica.

Domanda: E' cattolico sostenere che gli Stati debbano essere laici, che debba esserci separazione fra Stato e Chiesa, che gli Stati confessionali finiscono male, che la laicità di Stato sia una cosa buona?

Papa Pio XI afferma nella «Quas Primas»: «La peste della età nostra è il così detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi; e voi sapete, o Venerabili Fratelli, che tale empietà non maturò in un solo giorno ma da gran tempo covava nelle viscere della società. Infatti si cominciò a negare l'impero di Cristo su tutte le genti; si negò alla Chiesa il diritto - che scaturisce dal diritto di Gesù Cristo - di ammaestrare, cioè, le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli alla eterna felicità. E a poco a poco la religione cristiana fu uguagliata con altre religioni false e indecorosamente abbassata al livello di queste; quindi la si sottomise al potere civile e fu lasciata quasi all'arbitrio dei principi e dei magistrati. Si andò più innanzi ancora: vi furono di quelli che pensarono di sostituire alla religione di Cristo un certo sentimento religioso naturale. Né mancarono Stati i quali opinarono di poter fare a meno di Dio, riposero la loro religione nell'irreligione e nel disprezzo di Dio stesso. I pessimi frutti, che questo allontanamento da Cristo da parte degli individui e delle nazioni produsse tanto frequentemente e tanto a lungo, Noi lamentammo nella Enciclica “Ubi arcano Dei” e anche oggi lamentiamo: i semi cioè della discordia sparsi dappertutto; accesi quegli odii e quelle rivalità tra i popoli, che tanto indugio ancora frappongono al ristabilimento della pace; l’intemperanza delle passioni che così spesso si nascondono sotto le apparenze del pubblico bene e dell’amor patrio; le discordie civili che ne derivarono, insieme a quel cieco e smoderato egoismo sì largamente diffuso, il quale, tendendo solo al bene privato ed al proprio comodo, tutto misura alla stregua di questo; la pace domestica profondamente turbata dalla dimenticanza e dalla trascuratezza dei doveri familiari; l’unione e la stabilità delle famiglie infrante, infine la stessa società scossa e spinta verso la rovina».

Da tale illuminante risposta della Prima Sede, ricca di sentenze, si capisce facilmente che non corre alcuna differenza fra laicità e laicismo di Stato, così come si vorrebbe far credere oggi adulterando il significato della terminologia in uso. Capiremo che l'ostentata parola laicità dello Stato è solo un malcelato e democristiano sinonimo di laicismo di Stato, nonché prodromo dell'ateismo di Stato e della collettività. Dichiara difatti il Signore: «Ego sum via et veritas et vita; nemo venit ad Patrem nisi per me». Ora, che uno Stato (laico) pretenda di fare bene accettando, difendendo ed imponendo altre false vie, scansando o rigettando l'unica vera via, appare altamente temerario, se non del tutto folle. Questo è evidente non solo agli occhi di chi ha la grazia di possedere la vera fede, ma anche alla mente di chi usa il retto intelletto. Chi non lo capisce dovrebbe interrogarsi. In seguito i Pontefici ce lo diranno chiaramente e ne spiegheranno le ragioni. 

Pio XI, «Divini illius Magistri», sulla paventata educazione degli Stati cosiddetti laici ovverosia laicisti: «Da ciò appunto consegue, essere contraria ai principi fondamentali dell'educazione la scuola così detta neutra o laica, dalla quale viene esclusa la religione. Una tale scuola, del resto, non è praticamente possibile, giacché nel fatto essa diviene irreligiosa. Non occorre ripetere quanto su questo argomento hanno dichiarato i Nostri Predecessori, segnatamente Pio IX e Leone XIII, nei tempi dei quali particolarmente il laicismo cominciò ad infierire nella scuola pubblica. Noi rinnoviamo e confermiamo le loro dichiarazioni (Pio IX, Ep. Cum non sine, 14-7-1864; Syllabus, Prop. 48; Leone XIII, allocuzione Summi Pontificatus, 24-8-1880, Enc. Nobilissima, 8-2-1884, Ep. Quod multum, 22-8-1886, Ep. Officio sanctissimo, 22-12-1887, Ep. Enc. Caritatis, 19-3-1894, ecc.; vedi Cod. I. C. cum Fontium Annot. can. 1374) ed insieme le prescrizioni dei Sacri Canoni, onde la frequenza delle scuole acattoliche, o neutrali, o miste, quelle cioè aperte indifferentemente ai cattolici e agli acattolici, senza distinzione, è vietata ai fanciulli cattolici, e può essere solo tollerata, unicamente a giudizio dell'Ordinario, in determinate circostanze di luogo e di tempo e sotto speciali cautele (Cod. I C. c. 1374). E non può neanche ammettersi per i cattolici quella scuola mista (peggio, se unica a tutti obbligatoria), dove, pur provvedendosi loro a parte l'istruzione religiosa, essi ricevono il restante insegnamento da maestri non cattolici in comune con gli alunni acattolici».

In conclusione citeremo anche alcuni riferimenti menzionati dal Pontefice.

Pio XI, «Divini Redemptoris»: «Si può ben dire con tutta verità che la Chiesa, a somiglianza di Cristo, passa attraverso i secoli facendo del bene a tutti. Non vi sarebbe né socialismo né comunismo se coloro che goverano i popoli non avessero disprezzati gli insegnamenti e i materni avvertimenti della Chiesa: essi invece hanno voluto sulle basi del liberalismo e del laicismo fabbricare altri edifici sociali, che sulle prime parevano potenti e grandiosi, ma ben presto si videro mancare di solidi fondamenti, e vanno miseramente crollando l'uno dopo l'altro, come deve crollare tutto ciò che non poggia sull'unica pietra angolare che è Gesù Cristo».

Pertanto non corrisponde al vero neanche la pretesa che che gli Stati confessionali finiscono male. Difatti finiscono male gli Stati che adottano altre e false confessioni, quali il comunismo, il socialismo, il liberalismo, il laicismo, le false religioni, etc ... Che i suddetti pensieri politici e filosofici siano delle vere e proprie confessioni non è possibile negarlo, anzi la storia lo conferma, parimenti non è cattolico, né onesto, dare del bugiardo a Papa Pio XI.

Pio XI, «Dilectissima Nobis»: «Ma, tornando alla deplorevole “legge intorno alle confessioni e congregazioni religiose”, abbiamo constatato con vivo rammarico che in essa fin dal principio viene apertamente dichiarato che lo Stato non ha religione ufficiale, riaffermando così quella separazione dello Stato dalla Chiesa che fu purtroppo sancita nella nuova Costituzione Spagnola. Non ci indugiamo qui a ripetere quale gravissimo errore sia l’affermare lecita e buona la separazione in se stessa, specialmente in una Nazione che nella quasi totalità è cattolica. La separazione, chi bene addentro la consideri, non è che una funesta conseguenza (come tante volte dichiarammo, specialmente nell’Enciclica Quas primas) del laicismo, ossia dell’apostasia dell’odierna società che pretende estraniarsi da Dio e quindi dalla Chiesa. Ma se per qualsiasi popolo, oltre che empia, è assurda la pretesa di voler escluso dalla vita pubblica Iddio Creatore e provvido Reggitore della stessa società, in modo particolare ripugna una tale esclusione di Dio e della Chiesa dalla vita della Nazione Spagnola, nella quale la Chiesa ebbe sempre e meritamente la parte più importante e più beneficamente attiva nelle leggi, nelle scuole e in tutte le altre private e pubbliche istituzioni. Se un tale attentato torna a danno irreparabile della coscienza cristiana del paese (della gioventù specialmente, che si vuole educare senza religione, e della famiglia profanata nei suoi più sacri princìpi) non minore è il danno che ricade sulla stessa autorità civile, la quale, perduto l’appoggio che la raccomanda e la sostiene presso le coscienze dei popoli, vale a dire, venuta meno la persuasione della sua origine, dipendenza e sanzione divina, viene a perdere insieme la sua più grande forza di obbligazione e il più alto titolo di osservanza e di rispetto».

Dunque è chiaro che non è lecito e non è cattolico affermare che gli Stati debbono essere laici, che deve esserci separazione fra Stato e Chiesa. A coloro che sostengono che la laicità di Stato è una cosa buona, Papa Pio XI oppone la verità e denuncia l'apostasia dell’odierna società che pretende estraniarsi da Dio e quindi dalla Chiesa. Dunque laicità di Stato corrisponde all'apostasia della società che fu cattolica. Difatti impariamo dal «Catechismo Maggiore», numero 229, che «Gli apostati sono coloro che abiurano, ossia rinnegano con atto esterno la fede cattolica, che prima professavano». Pertanto i soggetti ed i politici che sostengono la legittimità della laicità di Stato, senza giri di parole, senza entrare nel merito della loro consapevolezza, dichiarano con atto esterno la loro apostasia individuale, poi legislativa ed infine collettiva.

 Papa Leone XIII con tiara

Impariamo cosa insegna Papa Leone XIII.

Leone XIII, «Au milieu»: «Non terremo lo stesso linguaggio [moderato, ndR] sull’altro punto, concernente il principio della separazione dello Stato e della Chiesa, il che equivale a separare la legislazione umana dalla legislazione cristiana e divina. Non vogliamo fermarci a dimostrare qui tutto ciò che ha di assurdo la teoria di questa separazione; ognuno lo comprenderà da se stesso. Quando lo Stato ricusa di dare a Dio ciò che è di Dio, ricusa per necessaria conseguenza di dare ai cittadini ciò, a cui hanno diritto come uomini; giacché, vogliasi o no, i veri diritti dell’uomo nascono precisamente dai suoi doveri verso Dio. Onde segue che lo Stato, venendo meno, sotto questo riguardo, al fine principale della sua istituzione, giunge in realtà a rinnegare se stesso e a smentire ciò che forma la ragione stessa della sua esistenza».

Leone XIII, «È giunto», sulla tolleranza e sui pretesi diritti delle false confessioni: «Non si tratta quindi di quella tolleranza di fatto, che in date circostanze può essere accordata ai culti dissidenti; ma bensì di riconoscere a questi i medesimi diritti che competono a quell’unica vera religione, che Dio costituì nel mondo e distinse con caratteri e segni ben chiari e definiti, perché tutti potessero ravvisarla come tale ed abbracciarla. Con siffatta libertà pertanto si pone nella stessa linea la verità e l’errore, la fede e l’eresia, la Chiesa di Gesù Cristo e qualsiasi istituzione umana: con essa si stabilisce una deplorevole e funesta separazione tra la società umana e Dio che n’è l’autore, e si giunge alla triste conseguenza dell’indifferentismo dello Stato in materia di religione, o ciò ch’è lo stesso, del suo ateismo».

Papa Leone XIII ci ha tosto fatto capire che non c'è differenza fra laicità di Stato e laicismo di Stato, al contrario di quello che vorrebbero i democristiani ed i modernisti, difatti la laicità, o laicismo di Stato, ha come funesta conseguenza l'indifferentismo, ovverosia come ultima e quasi automatica conclusione l'ateismo. Lo Stato laico, mediante la legislazione iniqua, perverte anche i fanciulli. A tal proposito afferma il Signore: «Et quisquis scandalizaverit unum ex his pusillis credentibus in me, bonum est ei magis, ut circumdetur mola asinaria collo eius, et in mare mittatur».

Leone XIII, «Immortale Dei»: «Così Gregorio XVI nell’Enciclica Mirari vos del 15 agosto 1832 colpì con parole durissime quelle teoriche che già venivano diffondendosi e secondo le quali non è necessario operare una scelta in materia di religione: è diritto di ciascuno professare qualsiasi fede gli aggradi; per ciascuno il solo giudice è la coscienza; inoltre è lecito proclamare qualsiasi opinione, e ordire rivolte contro lo Stato. Circa la separazione della Chiesa dallo Stato lo stesso Pontefice così si esprimeva: “Né più lieti successi potremmo presagire per la Religione e il Principato dai voti di coloro che vorrebbero vedere separata la Chiesa dal Regno, e troncata la mutua concordia dell’Impero col Sacerdozio. È troppo chiaro che dai sostenitori di una impudentissima libertà si teme quella concordia che fu sempre fausta e salutare al governo sacro e a quello civile”».

Impariamo che non è cattolica e non è lecita la separazione fra Trono ed Altare. Non è cattolico e non è lecito il primato della coscienza (... ognuno faccia ciò che ritiene sia bene secondo la propria coscienza ...). Non è cattolica e non è lecita la separazione fra Stato e Chiesa. Questa è la nostra fede a riguardo, dunque chi la abiura evidentemente manifesta la sua personale ed erronea credenza, che evidentemente non corrisponde alla fede cattolica. 

Leone XIII, «Libertas»: «Molte persone infatti vogliono lo Stato totalmente separato dalla Chiesa, in modo che in ogni norma che regola la convivenza umana, nelle istituzioni, nei costumi, nelle leggi, negli impieghi statali, nella educazione della gioventù, si debba considerare la Chiesa come se non esistesse, pur concedendo infine ai singoli cittadini la facoltà di dedicarsi alla religione in forma privata, se così piace. Contro costoro vale la forza di tutti gli argomenti coi quali confutammo l’opinione relativa alla separazione della Chiesa e della società civile, ma con questa postilla: è assurdo che il cittadino onori la Chiesa e che la società la disprezzi».

Leone XIII, «Nobilissima Gallorum»: «Per la verità, in questo tempo non senza affanno ed angoscia Noi vediamo profilarsi pericoli di tal natura: alcune cose si sono già fatte o si fanno assolutamente non conformi al bene della Chiesa, dato che alcuni, con animo avverso, hanno preso a calunniare e a rendere odiose le istituzioni cattoliche, e a proclamarle nemiche della società. Né minor angustia e afflizione Ci danno i disegni di coloro i quali, puntando sulla separazione della Chiesa e dello Stato, vorrebbero, presto o tardi, rotto l’accordo solennemente e con tanto vantaggio concluso con la Sede Apostolica».

Quindi chi afferma che gli Stati debbono essere laici, che deve esserci separazione fra Stato e Chiesa, che gli Stati confessionali finiscono male, che la laicità di Stato è una cosa buona, in realtà opera contro la Chiesa, attenta alla costituzione universale della Chiesa, ed afferma cose assurde: è assurdo che il cittadino onori la Chiesa e che la società la disprezzi. Costoro certamente hanno bisogno di cure pastorali ma potrebbero anche aver bisogno di cure mediche, dato che Papa Leone XIII, e Papa Gregorio XVI prima di lui, parlano di cose assurde e di deliri - deliramentum.  

San Pio X con tiara

Vediamo cosa ci dice a riguardo il caritatevolissimo Papa san Pio X.

San Pio X, «Iamdudum in Lusitania»: «Ecco che all'infame comportamento impongono quasi un compimento con la promulgazione di una pessima e dannosissima legge relativa alla separazione degli affari dello Stato e della Chiesa. A questo punto la coscienza dell'ufficio apostolico non Ci permette più in alcun modo di sopportare con rassegnazione e di lasciar correre nel silenzio una ferita così grave inferta al diritto e alla dignità della religione cattolica. (...) Riguardo poi alle cose nelle quali la sacra potestà della Chiesa si esercita in modo proprio, è molto più grave e molto più dannoso l'oltraggio di questa Separazione, che, come si è detto, diventa una indegna servitù della stessa Chiesa. (...) Noi, la legge sulla separazione della Repubblica portoghese e della Chiesa, legge che disprezza Dio e ripudia la professione di fede cattolica (...) la disapproviamo, condanniamo, rifiutiamo. Poiché deploriamo fortemente che una simile legge sia promulgata, ratificata, pubblicata, ed eleviamo solenne protesta a tutti coloro che ne furono autori o partecipi, per questo proclamiamo e annunciamo che qualsiasi cosa sia stato stabilito contro i diritti inviolabili della chiesa, è e deve essere ritenuto nullo e senza valore».

Capiamo che gli assertori delle proposizioni  gli Stati debbono essere laici, deve esserci separazione fra Stato e Chiesa, gli Stati confessionali finiscono male, la laicità di Stato è una cosa buona: essi disprezzano Dio e ripudiano la professione di fede cattolica. Tali soggetti vogliono una indegna servitù della stessa Chiesa allo spirito del mondo negli Stati apostati. In contro, ricorda l'Apostolo: «Nos autem non spiritum mundi accepimus, sed Spiritum, qui ex Deo est, ut sciamus, quae a Deo donata sunt nobis».

San Pio X, «Pascendi Dominici gregis»: «Ricordammo già sopra i congressi e i pubblici convegni come quelli nei quali i modernisti si adoperano di propalare e propagare le loro opinioni. I Vescovi non permetteranno più in avvenire, se non in casi rarissimi, i congressi di sacerdoti. Se avverrà che li permettano, lo faranno solo a questa condizione: che non vi si trattino cose di pertinenza dei Vescovi o della Sede Apostolica, non vi si facciano proposte o postulati che implichino usurpazione della sacra potestà, non vi si faccia affatto menzione di quanto sa di modernismo, di presbiterianismo, di laicismo».

Quindi al battezzato è opportunamente vietato parlare bene del laicismo.

San Pio X, «Vehementer»: «Queste misure ed altre ancora che a poco a poco separavano di fatto la Chiesa dallo Stato non erano niente altro che dei gradini posti allo scopo di arrivare alla separazione completa ed ufficiale: persino coloro che le hanno promosse, non hanno esitato a riconoscere questo, apertamente e frequentemente. (...) È una tesi assolutamente falsa, un errore pericolosissimo, pensare che bisogna separare lo Stato dalla Chiesa».

Pio XII con tiara

Cosa dice Papa Pio XII? Il Pastore del popolo e della vera misericordia.

Pio XII, «Haurietis aquas»: «Vi sono infine altri, i quali, ritenendo questo culto come troppo vincolato agli atti di penitenza, di riparazione e di quelle virtù che chiamano piuttosto "passive", perché prive di appariscenti frutti esteriori, lo giudicano meno idoneo a rinvigorire la spiritualità moderna cui incombe il dovere dell’azione aperta e indefessa per il trionfo della fede cattolica e la strenua difesa dei costumi cristiani, in mezzo a una società inquinata di indifferentismo religioso, incurante di ogni norma discriminatrice del vero dal falso nel pensiero e nell’azione, ligia ai principi del materialismo ateo e del laicismo».

Pio XII, «Gravi ed ad un tempo tenere, Radiomessaggio di Natale 1948»: «Tuttavia, se la costanza e la fermezza di tanti fratelli nella fede sono per Noi fonte di letizia e di santa fierezza, non possiamo sottrarCi all’obbligo di menzionare anche coloro, i cui pensieri e i cui sentimenti portano l’impronta dello spirito e delle difficoltà dell’ora. Quanti hanno sofferto detrimento od anche hanno naufragato nella fede e nella stessa credenza in Dio! Quanti, intossicati da un’aura di laicismo o di ostilità verso la Chiesa, hanno perduto la freschezza e la serenità di una fede, che era stata finora il sostegno e la luce della loro vita! Altri, bruscamente sradicati e strappati dal suolo nativo, errano alla ventura, esposti, specialmente i giovani, a un decadimento spirituale e morale, di cui non si potrebbe abbastanza valutare il pericolo».

Sono evidenti le conseguenze provocate dagli intossicati da un’aura di laicismo.

Papa Pio IX

Papa Pio IX nel «Sillabo» condanna, fra le altre funeste frasi, le seguenti proposizioni»: «I Re e i Principi non solo sono esenti dalla giurisdizione della Chiesa, ma di più, nello sciogliere le questioni di giurisdizione sono superiori alla Chiesa», «Si deve separare la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa», «Le leggi dei costumi non abbisognano di sanzione divina, né punto è mestieri che le leggi umane si conformino al diritto di natura, e ricevano da Dio la forza obbligatoria», «La Chiesa non ha potestà di stabilire impedimenti dirimenti del Matrimonio, ma tale potestà spetta all'autorità civile, per mezzo della quale si hanno da rimuovere gli impedimenti esistenti», «L'annullamento del principato civile che possiede la Sede Apostolica gioverebbe assaissimo alla libertà e felicità della Chiesa», «Ai tempi nostri non giova più tenere la religione cattolica per unica religione dello Stato, escluso qualunque sia altro culto», «Quindi lodevolmente in parecchie regioni cattoliche fu stabilito per legge, esser lecito a tutti gli uomini ivi convenuti il pubblico esercizio del proprio qualsiasi culto», «Infatti è falso che la civile libertà di qualsiasi culto o la piena potestà a tutti indistintamente concessa di manifestare in pubblico e all’aperto qualunque pensiero ed opinione influisca più facilmente a corrompere i costumi e gli animi dei popoli e a propagare la peste dell’indifferentismo» e «Il Romano Pontefice può e deve col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà venire a patti e conciliazione».

Il Pontefice nella «Quanta Cura» che introduce il «Sillabo», condannando precisamente le affermazioni summenzionate e molte altre, ci spiega da quale spirito esse provengono: «[...] nel presente tempo altre empie dottrine d’ogni genere vengono disseminate dai nemici di ogni verità e giustizia con pestiferi libri, libelli e giornali sparsi per tutto il mondo, con i quali essi illudono i popoli e maliziosamente mentiscono. Né ignorate come anche in questa nostra età si trovino alcuni che, mossi ed incitati dallo spirito di Satana, pervennero a tanta empietà da non paventare di negare con scellerata impudenza lo stesso Dominatore e Signore Nostro Gesù Cristo ed impugnare la sua Divinità».

Quindi coloro i quali affermano che gli Stati debbono essere laici, che deve esserci separazione fra Stato e Chiesa, che gli Stati confessionali finiscono male, che la laicità di Stato è una cosa buona, sono chiaramente mossi ed incitati dallo spirito di Satana. 

Papa Benedetto XV con tiara

Contro la laicizzazione degli Stati, precipuamente adempiendo al dovere cattolico di tutelare i giovani dal pervertimento morale, mentale e fisico (cf. San Matteo, XVIII, 16), la Chiesa comanda nel «Codice di Diritto Canonico» (detto Pio-Benedettino): «1372-1374. L’istruzione dei fedeli riguarderà specialmente la religione e la morale; l’educazione cristiana dei figli è obbligo non solo dei genitori, ma di chi ne fa le veci. In qualunque scuola elementare vi sarà l’istruzione religiosa, e dei sacerdoti idonei istruiranno i giovani nelle altre scuole superiori. I fanciulli non frequenteranno scuole acattoliche, neutre, miste, e solamente il Vescovo potrà tollerarlo con le dovute cautele».

Contro le smanie di lacità e di pervertimento diseducativo volute dai modernisti, dai democristiani e da altri uomini di prave ed invereconde dottrine, Papa Pio XII conclude nella «Summi Pontificatus»: «Venerabili fratelli! vi può essere dovere più grande e più urgente di annunziare ... le inscrutabili ricchezze di Cristo (Ef. 3,8) agli uomini del nostro tempo? E vi può essere cosa più nobile che sventolare il vessillo del Re davanti ad essi, che hanno seguìto e seguono bandiere fallaci, e riguadagnare al vittorioso vessillo della croce coloro che l'hanno abbandonato? Quale cuore non dovrebbe bruciare ed essere spinto al soccorso, alla vista di tanti fratelli e sorelle, che in seguito a errori, passioni, incitamenti e pregiudizi si sono allontanati dalla fede nel vero Dio, e si sono distaccati dal lieto e salvifico messaggio di Gesù Cristo? Chi appartiene alla milizia di Cristo - sia ecclesiastico, sia laico - non dovrebbe forse sentirsi spronato e incitato a maggior vigilanza, a più decisa difesa, quando vede aumentare sempre più le schiere dei nemici di Cristo, quando s'accorge che i portaparola di queste tendenze, rinnegando o non curando in pratica le vivificatrici verità e i valori contenuti nella fede in Dio e in Cristo, spezzano sacrilegamente le tavole dei comandamenti di Dio per sostituirle con tavole e norme dalle quali è bandita la sostanza etica della rivelazione del Sinai, lo spirito del Sermone della montagna e della croce? Chi potrebbe senza profondo accoramento osservare come questi deviamenti maturino un tragico raccolto tra coloro che, nei giorni della quiete e della sicurezza, si annoveravano tra i seguaci di Cristo, ma che - purtroppo, cristiani più di nome che di fatto - nell'ora in cui bisogna resistere, lottare, soffrire, affrontare le persecuzioni occulte o palesi, divengono vittime della pusillanimità, della debolezza, dell'incertezza e, presi da terrore di fronte ai sacrifici imposti dalla loro professione cristiana, non trovano la forza di bere il calice amaro dei fedeli di Cristo? In queste condizioni di tempo e di spirito, venerabili fratelli, possa l'imminente festa di Cristo re, in cui vi sarà pervenuta questa Nostra prima enciclica, essere un giorno di grazia e di profondo rinnovamento e risveglio nello spirito del regno di Cristo. Sia un giorno, in cui la consacrazione del genere umano al Cuore divino, la quale dev'essere celebrata in modo particolarmente solenne, riunisca presso il trono dell'eterno Re i fedeli di tutti i popoli e di tutte le nazioni in adorazione e in riparazione, per rinnovare a lui e alla sua legge di verità e di amore il giuramento di fedeltà ora e sempre. Sia un giorno di grazia per i fedeli, in cui il fuoco, che il Signore è venuto a portare sulla terra, si sviluppi in fiamma sempre più luminosa e pura. Sia un giorno di grazia per i tiepidi, gli stanchi, gli annoiati, e nel loro cuore, divenuto pusillanime, maturino nuovi frutti di rinnovamento di spirito, e di rinvigorimento d'animo. Sia un giorno di grazia anche per coloro che non hanno conosciuto Cristo o che l'hanno perduto; un giorno in cui si elevi al cielo da milioni di cuori fedeli la preghiera: La luce che illumina ogni uomo che viene a questo mondo (Gv. 1,9) possa rischiarare loro la via della salute e la sua grazia possa suscitare nel cuore inquieto degli erranti la nostalgia verso i beni eterni, nostalgia che spinga al ritorno a colui, che dal doloroso trono della croce ha sete anche delle loro anime e desiderio cocente di divenire anche per esse via, verità e vita (Gv 14,6)».

Dunque i portaparola di queste sentenze vengono definiti cristiani più di nome che di fatto e finalmente nemici di Cristo. Essi non trovano la forza di bere il calice amaro dei fedeli di Cristo. Abbiamo cominciato questo breve studio proprio con le parole del Signore: «Pater, si vis, transfer calicem istum a me; verumtamen non mea voluntas sed tua fiat». Oggigiorno colui che NON vuol bere il sacro calice amaro viene lodato. Colui che vuol bere il sacro calice amaro, colui che vuol essere cattolico, oggi viene definito calunniosamente "estremista" o "fondamentalista". Questa maniera insalubre e debole di giudicare è propria del pensiero massonico e modernista. Verosimilmente molti possono essere definiti massonisti e/o modernisti a loro insaputa.

Cristo RE

La Chiesa ha sempre denunciato e condannato pure l'inganno che si cela dietro gli apologisti della vaga apertura al trascendente e dell'esperienza soggettiva sentimentale. Domandiamoci, allora, se sia cattolico e sia lecito affermare che va bene lo stato laico, tanto l'importante è l’apertura [soggettiva] alla trascendenza [che] fa parte dell’essenza umana

San Pio X, «Communium rerum»: «Ma Dio volesse che cotesti miseri traviati, i quali hanno spesso in bocca le belle parole di "sincerità", di "coscienza", di "esperienza religiosa", di "fede sentita", "vissuta" e via dicendo, imparassero da sant'Anselmo e ne intendessero le sante dottrine, ne imitassero i gloriosi esempi: soprattutto bene si scolpissero nell’animo questo suo detto: Prima è da mondare il cuore con la fede, e prima da illuminare gli occhi mediante l’osservanza dei precetti del Signore..., e prima con l’umile obbedienza alle testitnonianze di Dio, dobbiamo farci piccoli per imparare la sapienza... E non solamente, tolta la fede e l’obbedienza dei Comandamenti di Dio, la mente è impedita di salire a intendere verità più alte, ma ancora alle volte l’intelligenza data viene sottratta e la fede stessa sovvertita, se si trascura la buona coscienza».

Ciò non è lecito e non è di fede cattolica. Sono teorie, come si apprende, di miseri traviati

Potremmo procedere a ritroso, Papa dopo Papa, individuando la medesima, immutabile, infallibile e rigorosa sentenza cattolica contro la laicità, o laicismo, degli Stati, ogni qual volta la Chiesa ha ritenuto, nei secoli, di far sentire la sua divina voce contro il medesimo e diabolico errore che in ogni tempo voleva divampare attraverso miseri traviati, intossicatinemici di Cristocristiani più di nome che di fatto, mossi ed incitati dallo spirito di Satana, etc....Come spiega Papa Pio XII nella «Humani Generis»: «Queste affermazioni vengono fatte forse con eleganza di stile; però esse non mancano di falsità. Infatti è vero che generalmente i Pontefici lasciano liberi i teologi in quelle questioni che, in vario senso, sono soggette a discussioni fra i dotti di miglior fama; però la storia insegna che parecchie questioni, che prima erano oggetto di libera disputa, in seguito non potevano più essere discusse». L'enunciazione del dogma della Regalità Sociale di Cristo, proclamato da Papa Pio XI nella «Quas Primas», vieta chiaramente e categoricamente ai battezzati di parlare positivamente di laicità, o laicismo, degli Stati. Nel contempo riconosce e dichiara la Regalità Sociale di Cristo non solo sui battezzati, ma su tutto l'universo, anche sui non battezzati.

Se lo riterrete opportuno, aiutateci a diramare questo breve studio e forse saremo tutti leggermente più liberi!

Carlo Di Pietro

La «medicina cattolica» - come la buddista, la mussulmana o l’ebrea rispetto ai loro codici religiosi - è quella scienza che considera la medicina in rapporto ai dogmi, alla morale e alla legislazione della Chiesa Cattolica. Questi rapporti sono così stretti e obbligati, che preoccupano tanto i cattolici che gli acattolici. Voler occuparsi di medicina senza interessarsi di metafisica è così impossibile, come fare della chimica senza preoccuparsi della fisica. Per studiare alcuni problemi di chimica o di medicina si può, è vero, arbitrariamente e per comodità di studio, fare astrazione sia dalla fisica e sia dalla metafisica; ma presto viene il momento in cui è impossibile lo studio senza ricorrere alla scienza complementare.

Un tempo qualche chimico poté credere che i fenomeni chimici e i fenomeni fisici fossero di ordine diverso, e che potessero venir considerati separatamente, ma questa è una credenza ormai sorpassata. Ugualmente è per la medicina e la metafisica; è una illusione volerle separare. La medicina atea non può essere uguale alla medicina cattolica; l’accettare o negare l’esistenza dell’anima, l’esistenza di esseri soprannaturali che possono agire spiritualmente o materialmente su noi, muta la morfologia, la fisiologia, la patologia, la terapeutica, la deontologia.

In quest’opera verranno riportate più di un centinaio di Tesi e di opere didattiche usate nelle Facoltà cattoliche di medicina e centinaia di studi e di articoli pubblicati da medici cattolici sulle questioni medico-religiose. Il «Bollettino della Società medica di San Luca», nei suoi quarantanni di esistenza, contiene innumerevoli studi che riguardano questo soggetto; inoltre è assai raro sfogliare una qualunque collezione di giornali di medicina, senza incontrarvi degli articoli medico-religiosi. Fino da oggi non esisteva un’opera che desse nel suo assieme una sintesi delle questioni medico-religiose. Questa deficienza aveva una grave ripercussione sulle opere pubblicate. Certi argomenti venivano trattati con frequenza e con profondità di studio, altri invece erano completamente trascurati. Gli scrittori erano generalmente sconosciuti gli uni agli altri; e si avevano pertanto delle ripetizioni, degli errori e delle insufficienze di documentazione, cose queste che diminuivano di molto il valore delle opere, che sotto altri rapporti erano sempre molto coscienziose e degne di nota.

Da un altro lato, se i teologi si preoccupavano molto di biologia e di medicina, al punto perfino di diminuire talvolta il soprannaturale (ciò che caratterizza l'errore del modernismo) i medici avevano spesso una tendenza a discutere le questioni medico-religiose, senza la necessaria documentazione filosofica e teologica. Infine prima della guerra, la aconfessionalità dell'insegnamento ufficiale era spesso inteso nel modo seguente: era permesso cioè esporre qualsiasi teoria che negasse il soprannaturale, poiché tutti i fenomeni erano ritenuti materiali, senza alcun carattere metafisico; e non era permesso enunciare qualsiasi teoria che ammettesse il soprannaturale poiché questa aveva un carattere religioso. Di modo che le Facoltà accettavano la tesi che interpretava le guarigioni di Lourdes in modo materialista e rifiutavano quella che conteneva, come diceva un membro della commissione: «un lato sentimentale, che, benché non fosse espresso, risaltava però dall’insieme della lettura».

La guerra però diede a tutto ciò un contraccolpo, quello di maturare e di allargare gli spiriti suscettibili di esserlo, e molti capirono che la scienza consiste nello studiare i fatti e nel ricercarne le cause, qualunque possano essere. Un chimico non si ferma dinanzi ad un fenomeno chimico quando si accorge che questo è dovuto o che è causa di un fatto fisico; ugualmente un biologo non si ferma dinanzi ad un fenomeno biologico, col pretesto che dipende da una causa metafisica, soprannaturale o spirituale, o che sfocia a conseguenze di questo ordine.

Sappiamo che la scienza non si suddivide in zone chiuse, ma vaste comunicazioni devono regnare in tutti i suoi domini e specialmente nella biologia. Il nostro «Compendio» è permeato da questo concetto e cerca riparare, in certa misura, i difetti che abbiamo constatato. Inoltre dà uno sguardo generale alle questioni medico-religiose; fornisce le nozioni elementari che è indispensabile aver presente allo spirito quando si iniziano questi studi; finalmente, per mezzo delle nozioni esposte e della ricca bibliografia, apporta documentazioni e spinge gli studiosi a lavori di maggior importanza.

In questo libro non si troveranno sviluppati esaurientemente tutti gli argomenti, a questo fine sarebbe necessario un vero trattato, e neppure saranno studiate specificamente le questioni teologiche o mediche che si trovano nelle opere proprie alle due scienze; non saranno oggetto di studio le discussioni, peraltro interessanti, ma che non possono essere trattate in un sunto conciso come deve essere un Compendio; per ultimo ci siamo astenuti dall’esporre teorie o argomentazioni personali. Abbiamo esposto le questioni medico-religiose come furono risolte dagli autori competenti in teologia e in medicina, in conformità colle dottrine della Chiesa cattolica.

Dobbiamo far notare che la bibliografia, dovendo essere pienamente documentaria, contiene l'enumerazione di opere cattoliche e non cattoliche. Deve dunque venir consultata con prudenza, e le asserzioni degli autori devono venir confrontate con la dottrina cattolica e le direttive della Chiesa... Dobbiamo ancora confessare che, iniziando questo lavoro, avevamo qualche incertezza circa alcuni punti: ci pareva che le idee fondamentali religiose avessero difficoltà ad accordarsi con quelle biologiche. Questa inquietudine derivava dalla nostra ignoranza; lo studio accurato che dovemmo fare per ogni capitolo della nostra opera ci dimostrò sempre un’armonia perfetta fra la scienza medica e la scienza religiosa. Pertanto, per la nostra convinzione profonda ed assoluta, basata sulla riconosciuta ed approvata solidità dell insegnamento della Chiesa nel dominio delle scienze naturali, noi dichiariamo di ripudiare formalmente qualsiasi cosa da noi esposta, che non fosse conforme alla dottrina della Chiesa, dando la nostra adesione piena e completa alla dottrina Cattolica.

Besancon, 18 ottobre 1935. Dott. Enrico BON

Cliccare qui per scaricare il libro in PDF. Consentire al browser di scaricare le pagine dal nostro server. Il tempo del download può variare in base alla velocità della connessione internet dell’utente. In caso di utilizzo della presente Opera digitalizzata è gradita la menzione alla fonte Sursum Corda - Organizzazione di Volontariato. Per inviare una donazione Cliccare qui. «L'avaro è privo non meno di quello che ha, che di quello che non ha, perché non si serve di quello che ha: egli chiude la sua fortuna nel suo forziere, questo adunque e non lui ne gode. Non possiede il denaro, ma ne è posseduto» (Cornelio Alapide).

Medicina e Religione

Cliccare qui per scaricare il libro in PDF. Consentire al browser di scaricare le pagine dal nostro server. Il tempo del download può variare in base alla velocità della connessione internet dell’utente. In caso di utilizzo della presente Opera digitalizzata è gradita la menzione alla fonte Sursum Corda - Organizzazione di Volontariato. Per inviare una donazione Cliccare qui. «L'avaro è privo non meno di quello che ha, che di quello che non ha, perché non si serve di quello che ha: egli chiude la sua fortuna nel suo forziere, questo adunque e non lui ne gode. Non possiede il denaro, ma ne è posseduto» (Cornelio Alapide).

Il presente studio che riporta, con aggiunte e modificazioni, gli articoli pubblicati nella Civiltà Cat­tolica, si propone di esaminare la definibilità dell’Assunzione corporea di Maria al cielo. L’indagine procede con criterio dogmatico; e, pur giovandosi degli studi meramente storici, li supera insieme e li domina. È ormai comune fra i teologi il parere che la ricerca, soltanto storica, non conduca e non possa condurre a risultati certi e sicuri. Lo ha di nuovo affermato il R. P. Balic, di fronte ad eccessive esi­genze storicistiche. Volentieri ammettiamo che con argomenti storici non si può dimostrare che nei primi secoli della Chiesa esistesse una tradizione circa l’Assunzione corporea della B. Vergine Maria; di qua nondimeno non segue in alcuna maniera che questa verità non si contiene nel deposito della Rivelazione implicitamente ed oscuramente (ma tuttavia realmente e veramente) (Antonianum, XXIV, 1949, p. 158, nota due). Si è aggiunta in appendice la Lettera sull’Assun­zione mandata dal Papa Pio XII ai Vescovi cattolici. È un documento di prima importanza, nel suo genere. Il volume si chiude con una nota bibliografica di alcune trattazioni ed opere, pubblicate dal 1944: semplice saggio degli studi che, oggi, felicemente si moltiplicano sull’Assunzione della Vergine. Tutti gli Autori — meno rarissime eccezioni — conven­gono che l’Assunzione si possa definire come dogma di fede. G. F.

La velocità di scaricamento delle pagine può variare in base alla connessione internet utilizzata. Per scaricare il PDF del libro cliccare qui. Per inviare una donazione a Sursum Corda cliccare qui. «Nessuno al mondo vorrà mai ammettere di essere avaro! Tutti negano di essere contagiati da questo tarlo che inaridisce il cuore. Chi adduce a scusa il pesante fardello dei figli, chi la necessità di crearsi una posizione solida... Quelli poi che sono avari più degli altri, non ammetteranno mai di esserlo, e il bello è che, in coscienza, sono proprio convinti di non esserlo! L’avarizia è una febbre maligna, che più è forte e bruciante e più rende insensibili» (San Francesco di Sales, «Filotea»).

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

Dogma Assunzione Maria

La velocità di scaricamento delle pagine può variare in base alla connessione internet utilizzata. Per scaricare il PDF del libro cliccare qui. Per inviare una donazione a Sursum Corda cliccare qui. «Nessuno al mondo vorrà mai ammettere di essere avaro! Tutti negano di essere contagiati da questo tarlo che inaridisce il cuore. Chi adduce a scusa il pesante fardello dei figli, chi la necessità di crearsi una posizione solida... Quelli poi che sono avari più degli altri, non ammetteranno mai di esserlo, e il bello è che, in coscienza, sono proprio convinti di non esserlo! L’avarizia è una febbre maligna, che più è forte e bruciante e più rende insensibili» (San Francesco di Sales, «Filotea»).

C’è tanto bisogno di illuminare le menti e specialmente i cuori di tanta gente che si professa cristiana, eppure non sa prendere una decisa posizione contro deviazioni anche gravi dalla legge divina e naturale, così per quel costume di concedere soverchiamente a certe false pietà che coprono con un velo tenue di misericordia l’intima malizia, quella di deviare la volontà dell’uomo, nell’ora della prova, da quello che è il sublime destino nostro, nonché la mirabile e soprannaturale funzione del dolore.

È certo che un’eutanasia esiste, la vera, la santa “eutanasia”, premio di chi ha vissuto secondo la legge di Dio, di chi ha saputo abbracciare la croce del Redentore, accettando umilmente i dolori della vita, quella santa “eutanasia” che è la morte gioiosa e serena dei Santi.

Così intesa, noi tutti la desideriamo e ad essa tendiamo; non già alla pietosa uccisione di chi non ha più speranza di salvezza umana: follia che ha solo riscontro in quell’ultra deplorevole e tremenda fuga della vita che è il suicidio.

Per noi credenti c’è poi quella considerazione importantissima che ogni minuto della vita nostra è prezioso, specialmente all’ultimo, quando grandi cose possono accadere nell’intimo della coscienza di un’anima che si prepara ad affrontare il finale rendimento dei conti, ed è proprio quando il dolore strazia ed infrange la nostra carne mortale, che più maturano i frutti della divina misericordia. Buona lettura ...

Eutanasia

La teosofia è una religione, e come tale si propone di cercare il divino, non già fuori della natura, ma nella natura stessa e nelle sue forze. Essa è, dunque, la negazione del soprannaturale, ed una nuova forma di naturalismo, ma di naturalismo ibrido. Giacché suo dogma fondamentale è che «ogni via è buona per coloro che la seguono, ogni via è divina, perché per essa gli uomini possono sempre giungere a Dio».
 
La teosofia rigetta ogni fede in un Dio personale, distinto dal mondo, poiché il suo Dio è il Dio di Spinoza. Ella prende l’Uno assoluto nel senso di Eraclito, cioè non come un Essere esistente in un atto perfetto, ma come un divenire, un evolversi eterno, come un circolo ininterrotto di evoluzioni.
 
Come sistema filosofico, la teosofia studia e crede di risolvere alcuni dei principali problemi riguardanti la costituzione degli esseri, la gradazione degli enti, l’origine, l’essenza e lo scopo della vita, nonché la condizione dell’uomo dopo la morte.
 
Da ultimo, la teosofia porta ancora in sé un carattere che ci dà il diritto di appellarla altresì — magari contro le sue alte proteste — col nome poco lusinghiero di setta, voglio dire il velo del segreto e del mistero, sotto il quale essa nasconde una parte del suo insegnamento, che svela solamente, per gradi ed a tempo debito, ai suoi iniziati privilegiati. Buona lettura ...
 
La Teosofia

Il degno e felice nome di Crociata, da voi scelto e imposto alla bella e grande vostra campagna, mentre s’ingemma della Croce, faro di salvezza del mondo, risveglia i gloriosi ricordi storici delle crociate dei popoli cristiani, sante spedizioni e battaglie, fatte e combattute insieme, sotto i sacri labari, per la conquista dei luoghi santi e per la difesa delle regioni cattoliche dalle invasioni e minacce degli infedeli. Anche voi intendete difendere un campo cattolico, il campo della purezza, e conquistarvi e custodirvi quei gigli che spandono il loro profumo, quale nembo del buon odore di Cristo, nelle famiglie, nei ritrovi amichevoli, per le vie, nelle adunanze, negli spettacoli, nei divertimenti pubblici e privati. È una crociata contro gli insidiatori della morale cristiana, contro i pericoli che al tranquillo scorrere del buon costume in mezzo ai popoli, vengono creando i potenti flutti dell immoralità traboccanti per le strade del mondo e che investono ogni condizione di vita.

Papa Pio XII

Consentire al browser di scaricare le pagine dal nostro server. Il tempo del download può variare in base alla velocità della connessione internet dell’utente. In caso di utilizzo della presente Opera digitalizzata è gradita la menzione alla fonte Sursum Corda - Organizzazione di Volontariato.

Per inviare una donazione Cliccare qui. «Nessuno al mondo vorrà mai ammettere di essere avaro! Tutti negano di essere contagiati da questo tarlo che inaridisce il cuore. Chi adduce a scusa il pesante fardello dei figli, chi la necessità di crearsi una posizione solida... Quelli poi che sono avari più degli altri, non ammetteranno mai di esserlo, e il bello è che, in coscienza, sono proprio convinti di non esserlo! L’avarizia è una febbre maligna, che più è forte e bruciante e più rende insensibili» (San Francesco di Sales, «Filotea»). Per scaricare il PDF cliccare qui.

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Verso l’Alto. La grande Crociata delle giovani donne

Per inviare una donazione Cliccare qui. «Nessuno al mondo vorrà mai ammettere di essere avaro! Tutti negano di essere contagiati da questo tarlo che inaridisce il cuore. Chi adduce a scusa il pesante fardello dei figli, chi la necessità di crearsi una posizione solida... Quelli poi che sono avari più degli altri, non ammetteranno mai di esserlo, e il bello è che, in coscienza, sono proprio convinti di non esserlo! L’avarizia è una febbre maligna, che più è forte e bruciante e più rende insensibili» (San Francesco di Sales, «Filotea»). Per scaricare il PDF cliccare qui.

M’immagino il sorriso birichino che illumina il tuo volto alla lettura del titolo. «Furba?! Lo sono già e come!». E ti fioriscono nella mente le marachelle combinate all’insaputa della mamma, le brillanti bugie scodellate alle compagne, la serietà composta con la quale, se studente, dopo aver marinato la scuola per combinarne qualcuna, dicevi alla professoressa «scusi tanto,… mi sentivo proprio male...». No, non è di questa furbizia di cattiva lega, che parlo, e neanche di astuzia, tanto meno di doppiezze o di imbrogli... So che in fondo li disprezzi questi mezzucci e, come le migliori giovani del novecento, ami in tutte le cose la sincerità e vuoi essere naturalmente franca e disinvolta. L’invito è piuttosto alla furbizia vera (chi è furbo non è oca), a quella furbizia che è sorella della prudenza, ma di una prudenza vigile e gioiosa a un tempo, a quella furbizia che è la caratteristica di ogni ragazza sveglia e intelligente, la quale presentandosi sulla gran scena del mondo ricca di giovinezza... e di inesperienza, fra le variopinte e insidiose strade che portano al gran mare della vita, vuol permettersi di scegliere la buona, e una volta scelta, percorrerla fino in fondo. Che bellezza sentirsi giovani, sane, leggere, libere! Che dono raro vedere tutta la vita colorata di azzurro, di rosso, di rosa! Quale fresca gioia tuffarsi in essa con l’eleganza dell’alcione che passa sfiorando l’onda marina e risale leggero verso l’azzurro cielo! Ma quante brutte sorprese per le giovinezze ignare! Quanti sogni infranti, quante spinose tristezze per le ragazze incantate che non hanno saputo o voluto guardare in faccia la realtà e mettere un po’ di prosa tra la troppa poesia del sogno! Non per spoetizzarti la vita, ma per chiarirtela, seguono queste pagine: poiché sarebbe deplorevole che l’agile volo dell’alcione si mutasse nel passetto della papera che scende a dilettarsi nel guazzo.

L’Autore

Cliccare qui per scaricare il libretto in PDF con riconoscimento OCR.

Consentire al browser di scaricare le pagine dal nostro server. Il tempo del download può variare in base alla velocità della connessione internet dell’utente. In caso di utilizzo della presente Opera digitalizzata è gradita la menzione alla fonte Sursum Corda - Organizzazione di Volontariato. Per inviare una donazione Cliccare qui. «Sant'Antonio da Padova racconta che essendo morto un avaro, si trovò il cuore di lui, non più in petto, ma in mezzo al mucchio di oro stipato nel suo forziere» (Cornelio Alapide). 

 

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Fatti Furba - La Donna Prudente

Cliccare qui per scaricare il libretto in PDF con riconoscimento OCR.

A cura di CdP.

Pagina 1 di 16