Catechismo di san Pio X commentato da padre Dragone

I neofiti di alcune tribù selvagge del Nord, rimasti privi di sacerdoti, facevano ogni anno oltre trecento chilometri per soddisfare il precetto pasquale.

Il terzo precetto ci ordina di accostarci alla Penitenza almeno una volta l’anno. Per avere il perdono dei peccati gravi è necessario il sacramento della Confessione, o almeno il proposito di riceverlo quando sarà possibile. I cristiani dei primi secoli erano ben consci della necessità della confessione e vi si accostavano spesso. In seguito, diminuendo il fervore, anche la frequenza alla Penitenza andò scemando. Perciò la Chiesa, nel quarto Concilio del Laterano (1215), dichiarò obbligatorio per tutti i cristiani che hanno raggiunto l’uso di ragione accostarsi al sacramento della Penitenza almeno una volta l’anno: «Ogni fedele dell’uno e dell’altro sesso, giunto all’età della discrezione confessi fedelmente tutti i suoi peccati al sacerdote, almeno una volta l’anno, e procuri di soddisfare la penitenza impostagli; riceva inoltre, almeno per Pasqua, il sacramento dell’Eucaristia... Se manca a questo precetto gli sia interdetto l’ingresso in chiesa finché vive, e dopo morte, sia privato della sepoltura ecclesiastica» (DB 437).

Con questa legge la Chiesa non impose un nuovo obbligo, ma rese più chiaro ed esplicito l’obbligo di confessare i peccati e ricevere la Santissima Eucaristia. Il Concilio non inventò la confessione, come dicono i protestanti, ma determinò quante volte ci sia l’obbligo di confessarsi. Il Concilio di Trento precisò: «Se qualcuno negherà che tutti e ciascuno dei fedeli cristiani siano obbligati a confessarsi una volta l’armo, conformemente alla Costituzione del Concilio Lateranense, sia scomunicato» (DB 918).

Per sè è obbligato alla confessione annuale soltanto chi ha peccato mortalmente e non si è ancora confessato; ma anche chi non ha peccati gravi può essere obbligato, per dare buon esempio. Chi si confessa male non soddisfa l’obbligo della confessione annuale. I debiti non si pagano con moneta falsa. La confessione annuale per lo più è fatta nel tempo pasquale, come preparazione alla comunione di Pasqua.

L’obbligo di accostarsi all’Eucarestia almeno nel tempo di Pasqua. Gesù Cristo dichiarò che chi non mangia la sua carne e non beve il suo sangue non avrà la vita eterna. Nei primi secoli della Chiesa non vi fu bisogno di nessuna legge per obbligare i fedeli alla comunione, che i fedeli ricevevano ogni volta che assistevano al santo Sacrificio della Messa. Diminuita poi la devozione e la frequenza all’Eucaristia, la Chiesa nella citata Costituzione del quarto Concilio del Laterano prescrisse la comunione almeno nel tempo di Pasqua. Il Codice di Diritto Canonico confermò questa legge: «Ogni fedele, dell’uno e dell’altro sesso, giunto all’età della discrezione, cioè all’uso di ragione, una volta all’anno, almeno a Pasqua, deve ricevere il sacramento dell’Eucaristia» (can. 859, 1).

Chi non ha potuto o voluto comunicarsi nel tempo pasquale, che comincia la domenica delle Palme (i vescovi possono anticiparne l’inizio fino alla quarta domenica di Quaresima) e finisce la domenica in Albis (i vescovi possono prolungarlo fino alla domenica della Santissima Trinità), deve farlo durante l’anno. La Chiesa ha prescritto la comunione nel tempo pasquale perchè la Quaresima con la penitenza prepara all’unione con Cristo, e ci fa vivere la nuova vita con Cristo risorto.

Preghiamo perchè si rialzi il livello della vita cristiana e si frequentino da tutti con più assiduità i sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia.

Quest’esempio dovrebbe servire per coloro che si vergognano a confessarsi, anche nel segreto di una sacrestia o di una chiesa deserta. Il P. Cybeo S. J. stava predicando una missione nel villaggio brasiliano di Lages. Quando la folla, che era in chiesa, vide avanzarsi un noto peccatore, di nome Bernardino de Sa e chiedere si confessarsi, ne restò stupita. Bernardino era sordo e fu condotto in sacrestia. Nonostante che il missionario lo esortasse ripetutamente a parlare sottovoce, volle fare la sua confessione a voce alta, in modo che tutti sentissero: « Che importa che tutti sentano? Tutti sanno i miei peccati!».

La Chiesa, imponendo di confessarci e comunicarci una volta l’anno, aggiunge la parola «almeno» per ricordarci l’utilità, anzi il bisogno di ricevere spesso, come è suo desiderio, questi sacramenti.

Gesù Cristo desidera ridarci la vita soprannaturale quando l’abbiamo perduta, con il sacramento della Penitenza, e di accrescerla, nutrendoci con l’Eucaristia. Dovremmo confessarci almeno ogni volta che siamo caduti in peccato mortale per toglierci dal pericolo della dannazione eterna, e anche più spesso, per avere abbondante la grazia sacramentale, che preserva dalle future cadute, per avere sempre l’anima monda da ogni colpa, correggere le cattive abitudini, vincere le tentazioni e soggiogare le passioni. La Comunione è il cibo spirituale e accresce la nostra vita di grazia quanto maggiori sono la devozione e la frequenza con cui ci nutriamo. La Chiesa nell’imporre il precetto della confessione annuale e della comunione pasquale adopera la parola «almeno» a ragion veduta, e vuol significare che per salvarsi il minimo indispensabile è confessarsi una volta l’anno e comunicarsi a Pasqua. L’avverbio «almeno» sta anche a indicare il vivissimo desiderio che ha la Chiesa perchè ci accostiamo a questi due sacramenti di salute e di vita molto più spesso di quanto sia prescritto. Il padre che dice al figlio: «Studia, almeno per avere la sufficienza all’esame!» non desidera certo che abbia soltanto la sufficienza; anzi vuole il massimo dei voti. Il povero che chiede in elemosina «almeno» una lira è tanto più contento quanto maggiore è l’offerta. Il Concilio Tridentino dichiara che è grande desiderio della Chiesa che noi ci comunichiamo spesso, anzi spessissimo e ogni volta che assistiamo alla Santa Messa, come si usava nella Chiesa primitiva.

Il Sommo Pontefice Pio X, fedele interprete del desiderio della Chiesa, nel decreto «Sacra Tridentina Synodus» (20 dicembre 1904) riguardo alla comunione frequente, vuole che essa, «essendo desideratissima da Gesù Cristo e dalla Chiesa cattolica, sia accessibile a tutti i fedeli, a qualsiasi classe e condizione appartengano, in modo che a nessuno che sia nello stato di grazia e abbia retta intenzione può essere negata». Con il consenso del confessore è cosa ottima la comunione quotidiana. Basta che vi siano lo stato di grazia [ovvero che sull’anima non gravi la disgrazia di aver commesso peccati mortali] e la retta intenzione, cioè il desiderio di unirsi più intimamente a Dio nella carità.

È necessario insistere sulla comunione frequente e anche quotidiana, ma più necessario ancora insistere sulla devozione e sulle disposizioni con cui deve essere fatta.

Il libro degli «Atti degli Apostoli», afferma che i primi cristiani di Gerusalemme erano assidui alle istruzioni degli apostoli e alla comune frazione del pane (2, 42), cioè alla Comunione eucaristica.

San Gerolamo (+ 420) ci fa sapere che ai suoi tempi i fedeli di Roma si comunicavano ogni volta che assistevano alla Messa.

San Basilio (+ 379) ci dice che i fedeli della sua chiesa si comunicavano la domenica, il mercoledì, il venerdì e il sabato di ogni settimana e in tutte le feste dei Martiri. Aggiunge che è «cosa salutare ricevere il corpo del Signore ogni giorno».

Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, fanciulla di pochi anni, quando ancora non era stata ammessa alla comunione, bramava stare vicina a coloro che si erano appena comunicati, per sentire, diceva, il buon odore della presenza di Gesù. Più tardi diceva: «Per procurarmi il bene della comunione non esiterei, se fosse necessario, a entrare nella tana di un leone ed espormi a ogni specie di patimenti».

da Padre Dragone, Commento al Catechismo di San Pio X. Disponibile in commercio la ristampa anastatica del Centro Librario Sodalitium, Verrua Savoia.

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II secondo precetto con le parole: Non mangiar carne nel venerdì e negli altri giorni proibiti, ci proibisce di mangiar carne nel venerdì (giorno della Passione e Morte di Gesù Cristo) e in alcuni giorni di digiuno. Il peccato crea un debito di colpa, che viene tolto con il perdono, e un debito di pena, che si sconta con la penitenza. La prima penitenza, necessaria per il perdono della colpa e per la remissione della pena, è il pentimento. Però difficilmente il pentimento è così perfetto da meritare il condono di tutta la pena. Ordinariamente ottiene la remissione solo di una parte della pena. L’altra parte dovrà essere scontata o con la penitenza e mortificazione volontaria in questa vita, o con le pene del Purgatorio. E’ quindi necessario che facciamo opere di penitenza, sia per eccitare un dolore più vivo, sia per scontare la pena ... (Per scaricare il pdf cliccare qui).

Papa San Pio X sul digiuno e sull’astinenza

Papa San Pio X sul digiuno e sull’astinenza

Papa San Pio X sul digiuno e sull’astinenza

Papa San Pio X sul digiuno e sull’astinenza

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Papa San Pio X sul digiuno e sull’astinenza

Papa San Pio X sul digiuno e sull’astinenza

Papa San Pio X sul digiuno e sull’astinenza

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I doni dello Spirito Santo, conferiti in germe nel Battesimo ed effusi con abbondanza nella Cresima, sono abiti buoni che hanno il compito di rendere facile, pronto, perfetto l’esercizio delle virtù soprannaturali, specialmente di quelle teologali, che senza i doni sono molto imperfette e conservano il modo umano nel loro esercizio. I sette doni dello Spirito Santo perfezionano l’uomo e lo inducono a seguire prontamente lo stimolo al bene e alla virtù suscitato dallo Spirito Santo (v. San Tommaso Summa Theologica, 1-2, 68). Le virtù, infatti, vengono ricordate da Isaia con quest’ordine: Lo Spirito del Signore riposerà sopra di lui; lo spirito di sapienza e d’intelletto, lo spirito di consiglio e di fortezza, lo spirito di scienza e di pietà; lo riempirà dello spirito del timor di Dio (Is. 11, 2-3).

Accenniamo brevemente ai singoli doni: a) La sapienza ci fa sentire e gustare la presenza di Dio in noi e rende capaci di giudicare di Dio e delle cose divine mediante la conoscenza sperimentale che ce ne dà. L’anima favorita di questo dono giudica tutto secondo i gusti di Dio ed ha una conoscenza di Lui e delle cose divine immensamente più chiara di quella che possono dare la ragione e la semplice fede. b) L’intelletto fa vedere le divine verità in modo più chiaro e profondo, quasi intuitivamente, senza bisogno di molti ragionamenti e sforzi. c) La scienza ci rende capaci di giudicare rettamente delle creature, ci fa conoscere quasi intuitivamente noi stessi e le cose create, senza lasciarci abbagliare dalle apparenze e deviare da pregiudizi. d) Il consiglio indica con prontezza i mezzi più adatti per agire con sicurezza, senza esitazioni e dubbi, in ordine al nostro fine e ordina ad esso i singoli atti; indica i mezzi pratici per agire rettamente e virtuosamente e inclina anche a cercare e seguire il consiglio delle persone prudenti e illuminate. e) La pietà inclina l’anima a rendere a Dio adorazione, di lode, di ringraziamento, di propiziazione, ecc., come a Padre infinitamente degno, mentre la virtù della religione induce a questi atti in quanto sono dovuti a Dio sommo sovrano creatore. Il dono della pietà ci fa vedere Dio in tutte le cose e di tutte le cose fa sgabello e via per innalzarci a Lui con amore di figli. E’ specialmente questo che forma gli apostoli, i missionari, i grandi eroi della carità, che sanno vedere e servire Dio nel prossimo. f) La fortezza, in quanto dono, perfeziona la virtù della fortezza, ne rende pronto, perfetto, totale l’esercizio e fa sì che l’anima affronti difficoltà e pericoli confidando unicamente in Dio e rivestendosi della sua potenza. g) Il timor di Dio non è il timore carnale, che fa evitare il male solo per non incorrere in mali temporali peggiori; non è il timore soprannaturale servile, che fa fuggire il male per paura dell’inferno e spinge a fare il bene solo in vista della ricompensa; ma è il timore filiale e perfetto, che induce a fuggire il male e a fare il bene solo per amor di Dio, per non disgustarlo col peccato e per piacere a Lui. Lo Spirito Santo oltre la grazia, le virtù e i doni, effonde in noi anche i suoi frutti: carità, gioia, pace, bontà, fedeltà, pazienza, benignità, dolcezza, temperanza (Gal. 5,22).

Tratto da: Carlo Tommaso Dragone, Spiegazione del Catechismo di San Pio X, Centro Librario Sodaltium, Verrua Savoia, 2019, pagg. 493 – 494. Fonte Sodalitium.

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Il terzo comandamento ricorda di santificare la festa e ci ordina di onorare Dio nei giorni di festa con atti di culto esterno, dei quali per i cristiani l’essenziale è la santa Messa. È necessario onorare Dio con atti di culto esterno. Ma l’uomo, assorbito nelle occupazioni e necessità materiali, dimentica molto facilmente questo dovere. Per richiamarlo a questo dovere fondamentale Dio fissò alcuni giorni, riservandoli unicamente al culto divino.

Nell’Antico Testamento Dio aveva fissato il sabato di ogni settimana come giorno di riposo e di preghiera liturgica e pubblica, a ricordo del settimo giorno della creazione, nel quale Egli aveva riposato (v. Gn 2, 1-3; Es 20, 8-11).

I primi cristiani conservarono l’uso di santificare il sabato, ma poi, anche per meglio distinguersi dagli Ebrei, per meglio ricordare la redenzione, che è la seconda creazione di Dio, per commemorare la risurrezione del Signore e la discesa dello Spirito Santo nella prima Pentecoste, avvenute di domenica, sostituirono questo giorno al sabato.

La Santa Messa è il centro e l’atto principale di tutto il culto cattolico. È il sacrificio del Nuovo Testamento in quanto è la rinnovazione e la continuazione del sacrificio del Calvario. Nella Messa la Chiesa e i cristiani offrono, in unione con Cristo, un culto di adorazione, di ringraziamento, di propiziazione e d’impetrazione degno di Dio. Perciò per santificare il giorno festivo si richiede prima di tutto l’assistenza alla Santa Messa.

La Messa è uno dei pochi atti di culto esterni comandati. Dev’essere anteposta a qualsiasi altra pratica di culto.

[N.B. La Chiesa non obbliga a compiere atti impossibili. Laddove non fosse possibile partecipare alla Messa (es. i Sacerdoti sono stati uccisi, non ci sono Sacerdoti entro distanze ragionevoli: oggi facilmente si percorrono anche 200 km con un’automobile o con un treno, i nemici di Cristo reprimono il culto pubblico e non vi è maniera prudente di partecipare alla Messa, si celebrano solo “messe” di eretici o di scismatici e casi simili) il fedele può temporaneamente sopperire - secondo le indicazioni della Chiesa e come attestato dalla storia - con privati atti di culto (es. incrementare le preghiere, recitare il Rosario e le Litanie magari in famiglia), con la lettura e la meditazione personale del Vangelo (si consigliano vivamente edizioni con imprimatur ed antecedenti gli anni ’60 - Es. Bibbia Ricciotti, Sales, Garofalo, Tintori, ecc…), con particolari atti di misericordia corporale e spirituale, ecc… Seguire la Messa in tv o su internet non soddisfa mai il Precetto. Possiamo trarre esempio dalle consuetudini dei fedeli giapponesi durante la cruenta repressione dell’Impero, dalle consuetudini dei fedeli cinesi durante la persecuzione del Comunismo, ecc…, ndR - Il P. Chiolino, nel periodico «Le missioni Cattoliche», racconta che parecchi cristiani della sua missione compiono a piedi un viaggio di venticinque chilometri di andata e altrettanti di ritorno, per assistere alla Messa domenicale e santificare il giorno del Signore. A mezzogiorno del sabato partono dalle loro abitazioni e a sera giungono alla missione. Mangiano le quattro croste di pane bagnato nell’acqua, che hanno portato con sé, recitano le orazioni e si coricano su una stuoia con il capo appoggiato a un sasso. La mattina presto: Santa Messa, istruzione del Padre, un po’ di conversazione col missionario e poi ritorno. E quando il missionario li interroga se non si sentano stanchi, rispondono invariabilmente: «Di domenica non bisogna forse onorare Dio? Noi non abbiamo né Sacerdote, né catechista, né cappella, e se non venissimo qui come potremmo adempiere il nostro dovere? Ma credi, padre, noi facciamo molto volentieri questa fatica. Il pensiero di onorare Dio ce la rende leggera e soave»].

San Francesco d ’Assisi per spiegare la necessità del culto esterno diceva: «Se tu avessi perduto gli occhi, le mani, i piedi e le altre membra del corpo e qualcuno te le avesse restituite, non ti sentiresti in dovere di servire il tuo benefattore di tutto cuore e per tutta la vita? Or ecco che Dio ci diede non solo le mani, i piedi, gli occhi, ma tutto ciò che abbiamo di buono nell’anima e nel corpo. Sarà troppo se Egli pretende che noi Lo serviamo, L ’onoriamo e Lo amiamo con tutta l’anima e con tutte le forze del corpo? Con quale allegrezza non dovremo adempiere questo comandamento! Il culto esterno è l’omaggio che noi tributiamo a Dio anche con il nostro corpo».

Gesù Cristo inculcò il culto esterno anche con il suo esempio. A dodici anni andò con San Giuseppe e Maria Santissima al tempio di Gerusalemme, per compiervi quegli atti di culto che prescriveva la legge di Dio. Ogni anno ritornava al tempio, nel tempo stabilito dalla legge. Dopo che ebbe iniziata la vita pubblica, quando entrò nel tempio e lo trovò trasformato in un mercato, cacciò indignato i profanatori, dicendo che la casa di Dio è casa di preghiera e che non dev’essere convertita in un luogo di mercato e di traffico. Egli stesso, nell’Ultima Cena, istituì il più solenne atto di culto del Nuovo Testamento, la Santa Messa, e comandò che fosse rinnovata dagli apostoli e dai loro successori.

Non basta adorare Dio internamente nel cuore, ma dobbiamo anche renderGIi il culto esterno comandato, perchè siamo soggetti a Dio in tutto l’essere, anima e corpo, e dobbiamo dare buon esempio; e anche perchè altrimenti si perde lo spirito religioso.

Non basta adorare Dio internamente nel cuore, ma dobbiamo anche rendergli il culto esterno comandato. Dio nell’Antico Testamento comandò il culto pubblico ed esterno, ne determinò il modo e la forma, fissò quali giorni dovevano essere riservati al suo culto, volle un tempio sontuoso, prescrisse i sacrifici e stabilì il modo di offrirli. Gesù Cristo partecipò al culto solenne del tempio, confermò i comandamenti che impongono il culto divino, istituì il sacrificio del Nuovo Testamento ed elesse gli apostoli e i loro successori come ministri del culto della Nuova Legge. Perciò è evidente che non basta onorare Dio con atti di culto puramente interno (atti di fede, di amore, di pentimento, ecc.), ma che si devono compiere atti esterni, che servano a manifestare l’adorazione, la fede, l’amore, la gratitudine, la riparazione, l’invocazione interiore.

Da Dio creatore e Padre provvido dipende non solo la nostra anima, ma anche il nostro corpo. Dipendiamo totalmente da Lui e perciò dobbiamo onorarLo, servirLo, amarLo con tutto il nostro essere, anima e corpo. Anche il corpo deve partecipare agli atti di culto, come l’adorazione, il ringraziamento, la riparazione e l’impetrazione.

Il Signore ci ha comandato: «Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinchè vedano le vostre opere buone e diano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5, 16). Non siamo monadi isolate e chiuse in se stesse, senza relazioni con le altre. Siamo esseri sociali e ogni nostro atto, buono o cattivo, ha un influsso sulla società in cui viviamo e sopra gl’individui con cui siamo in contatto, e servono d’incitamento al bene o al male. Abbiamo l’obbligo di dare buon esempio con le buone opere.

Ciò che gli altri vedono in noi non sono gli atti interiori, i sentimenti del cuore, i pensieri della mente e i propositi della volontà, ma sono gli atti esterni che danno buon esempio o scandalo (v. Mt 18, 6-8). Se ci limitassimo agli atti di culto interno non daremmo buon esempio agli altri e incorreremmo nella condanna che meritano coloro che danno scandalo, non onorando Dio.

L’atto interno, quando è accompagnato da quello esterno, diventa più intenso e più perfetto. Senza gli atti esterni la fede e l’amore a poco a poco illanguidiscono e si spengono. Chi comincia a trascurare la preghiera vocale, i’assistenza alla Messa, la partecipazione alla preghiera pubblica e sociale, a poco a poco s’intiepidisce, cade nel peccato e finisce con il perdere lo spirito religioso e la fede.

Vigiliamo e insistiamo, senza stancarci, per ottenere che i fanciulli del catechismo, giunti a una certa età non si credano emancipati e tanto evoluti da poter far a meno delle pratiche di culto esterno. È la via che conduce normalmente all'indifferenza, all’irreligiosità e all’empietà.

Sant’Anisia, vergine e martire, mentre si recava all’adunanza cristiana per partecipare alla celebrazione dei divini misteri, fu fermata da una guardia dell’imperatore Diocleziano, che le domandò dove andasse cosi umile e modesta. La fanciulla rispose: «Sono serva di Gesù Cristo e vado all’adunanza del giorno del Signore». Il soldato l’afferrò per un braccio dicendole: «Non ci andrai. Noi oggi adoriamo il dio sole e tu verrai con noi a offrire sacrifici!». Anisia, temendo per la sua virtù, gli alitò in volto dicendogli: «Va, miserabile! Gesù Cristo ti punirà». Il gesto indispettì il soldato e lo fece uscire di senno. Estratta la spada colpì e trafisse Anisia, che poco dopo spirava [martire, ndR].

Il terzo comandamento ci proibisce nei giorni di festa le opere servili. Non è possibile santificare la festa con atti di culto esterno e con la preghiera, quando si è occupati e assorbiti in lavori che, per loro natura, sono incompatibili con il raccoglimento e la devozione richiesti dal culto divino. Le opere più incompatibili sono i cosiddetti lavori servili.

Queste opere sono dette servili perchè un tempo erano riservate agli schiavi (servi) ed erano considerate disdicevoli per un uomo libero. I lavori ritenuti confacenti a un uomo libero erano detti opere liberali. Nei giorni di festa sono soltanto proibite le opere servili, non quelle liberali.

Le opere servili sono quei lavori che richiedono fatica fisica, sono fatti in vista di una mercede o guadagno e sono diretti a soddisfare le necessità materiali della vita, cioè a procurarsi il vestito e gli alimenti. Sono opere servili i lavori dei contadini, dei meccanici, dei sarti, calzolai, fabbri, falegnami, tipografi...; di coloro che lavorano nelle fabbriche e nelle officine, i lavori manuali (come raccogliere fiori e frutta a scopo di lucro), i lavori commerciali (comprare e vendere per mestiere), quelli forensi (citare in giudizio, discutere le cause, pronunciare le sentenze e sentire i testimoni in tribunale), eccetera …

Chi nei giorni di festa, senza vera necessità, impiega più di due ore nei lavori servili, non è scusato da peccato grave. Nei giorni di festa (domeniche e giorni di precetto) non sono proibite le opere liberali, che sono soprattutto lavoro dell’ingegno, allo scopo di istruirsi e ricrearsi. Sono opere liberali lo studio, l’insegnamento, la musica, il canto, la pittura, lo scrivere lettere o libri, ricopiare, fare o sviluppare fotografie, eccetera …

Oltre le opere servili e le opere liberali vi sono quelle cosiddette comuni, che sono proprie dei servi e degli uomini liberi, come andare in bicicletta, cavalcare, andare a caccia, pescare, viaggi e gite, competizioni sportive. Sono proibite solo quando impediscono il compimento dei doveri positivi per la santificazione della festa, come l’assistenza alla Messa.

Non stanchiamoci mai d’insistere sul dovere del riposo festivo tanto trascurato e conculcato.

San Gregorio di Tours racconta che un ardore simile al fuoco invase la mano destra di una donna della sua diocesi, che aveva profanato il giorno festivo compiendo lavori manuali. Il P. Krugdolf, missionario nelle Isole Filippine, narra che un giorno di festa vide alcuni cristiani della sua missione intenti alla pesca. Li esortò benevolmente perchè non facessero quel lavoro non necessario, ma non fu ascoltato. Due ore dopo passò nuovamente sulla spiaggia e constatò con raccapriccio che un furioso incendio aveva incenerito le capanne, le barche e i raccolti dei profanatori della festa.

Nelle domeniche e nelle feste di precetto sono proibite tutte le opere servili. Perchè siano permesse si richiede uno dei seguenti motivi: 

Sono permesse le opere servili necessarie alla vita propria o altrui, dell’anima o del corpo: 1) quelle che si devono fare ogni giorno (cuocere i cibi, spazzare e ordinare la casa...); 2) quelle necessarie al mantenimento proprio o della famiglia e che non si possono fare in altri giorni quando si è poveri (p. es. rattoppare i vestiti; 3) quelle dei panettieri, fornai, pompieri, ecc. quando sono richieste dal bisogno pubblico; 4) quelle che non possono essere interrotte senza gravi danni (p. es. nelle fabbriche di guerra, cantieri, fornaci, vetrerie); 5) quelle necessarie per preparare un viaggio per l’indomani, riparare gli strumenti di lavoro indispensabili per il giorno dopo, per riparare strade, ponti... necessari al traffico; 6) quelle necessarie per salvare il raccolto (del fieno, del grano, dell’uva...) dalla rovina o da gravi danni (della pioggia, della grandine, di un incendio...); 7) quelle necessarie all’utilità pubblica (servizio dei trasporti e comunicazioni...); 8) quelle che sono di una utilità straordinaria, come il preparare per una solennità religiosa, per un avvenimento pubblico, come la venuta del capo dello Stato.

Sono permesse le opere servili necessarie al servizio di Dio, come suonare le campane, portare statue in processione, scopare la chiesa e addobbare altari (almeno per consuetudine).

Sono permesse le opere servili giustificate dalla pietà, come il servire gl’infermi e i poveri, seppellire i morti, lavorare per i poveri veramente bisognosi.

Sono permesse le opere servili giustificate da altro grave motivo, come può essere la consuetudine di considerare permessi certi lavori, o la dispensa che il Sommo Pontefice può dare per tutta la Chiesa, il Vescovo per la sua diocesi e, in certi casi determinati, il Parroco nella sua parrocchia.

Il lavoro nei giorni di festa non ha mai portato fortuna e ricchezza. Mentre i figli d’Israele erano nel deserto trovarono un uomo che raccoglieva legna in giorno di sabato. Lo presentarono a Mosè, ad Aronne e a tutta l’assemblea, che lo misero in prigione, non sapendo che dovessero farne. E il Signore disse a Mosè: «Quell’uomo sia messo a morte e lapidato da tutta la moltitudine, fuori del campo ». E avendolo condotto fuori e lapidato, egli mori, come il Signore aveva comandato (Nm 15, 32-36).

Il riposo festivo è solo la condizione necessaria per poter santificare il giorno del Signore, poiché le opere servili sono incompatibili con la santificazione della festa, che consiste nell’assistere devotamente alla Santa Messa e in altre opere di pietà e pratiche di culto. Il giorno festivo dev’essere impiegato nell’onorare Dio con atti di culto e nel procurare il bene dell’anima propria.

Conviene occupare i giorni di festa a bene dell’anima. Il bene dell’anima nostra si ottiene glorificando Dio e arricchendoci di meriti. A questo è destinata la festa. Ciò che ci procura maggiori meriti e benedizioni dal cielo e dà maggior gloria a Dio è la Santa Messa. Oltre la Messa, che è obbligatoria, è bene occupare il giorno di festa nel purificare la nostra anima dal peccato accostandoci ai Sacramenti, esaminando la nostra coscienza, facendo buoni propositi...

Il giorno festivo è prima di tutto per il bene della nostra anima. Il primo bene dell’anima è la fede. Occorre alimentare e accrescere la nostra fede, e quindi frequentare l’istruzione religiosa … Se non vi è l’istruzione religiosa la fede s’indebolisce e muore.

Compiendo qualche opera buona, specialmente qualcuna delle opere di misericordia spirituale o corporale, come istruire i fanciulli aiutando a fare il catechismo, aiutare i poveri con qualche elemosina, visitare gli ammalati e i carcerati.

Perfino gli animali da fatica hanno bisogno di riposo. E anche il nostro corpo, dopo le fatiche dei lavori della settimana, ha bisogno di riposarsi e riprendere forze. Dio aveva imposto agli Ebrei anche il riposo degli animali da lavoro.

Se sempre è proibito assecondare i nostri vizi, nei giorni festivi riveste una sconvenienza maggiore. Invece di santificare il giorno del Signore lo si profanerebbe indegnamente con il peccato. La festa perciò non è per il ballo, per le partite spettacolose e dispendiose, per l’osteria, il gioco e i divertimenti proibiti!

La festa è il giorno del Signore; in essa dobbiamo essere maggiormente uniti a Lui con la pietà, la devozione, la preghiera. Sono perciò disdicevoli tutti quei divertimenti e sollievi che distolgono la mente e il cuore da Dio, disponendoli al peccato. Si devono quindi evitare le gare rumorose e spettacolari, i giochi dei baracconi e delle fiere.

La festa, istituita per l’onore di Dio e il bene spirituale del cristiano, per molti è il giorno dei peccati più gravi e più numerosi. Insegniamo ai fanciulli a riparare a tanti peccati e scandali.

Cristoforo Colombo, durante l’interminabile viaggio che lo portò alla scoperta dell’America, esigeva che i suoi equipaggi santificassero le feste con il riposo, con la preghiera e le opere buone. Anche per questo il Signore benedisse quel viaggio che doveva aprire alla civiltà una nuova epoca.

da Padre Dragone, Commento al Catechismo di San Pio X. Dalla pagina 232 alla pagina 238. Disponibile in commercio la ristampa anastatica del Centro Librario Sodalitium, Verrua Savoia.

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Catechismo Maggiore di San Pio X, Istruzione sopra le Feste del Signore, della Beata Vergine e dei Santi. Parte I, Delle Feste del Signore, Capo IX, Della processione che si fa nel giorno di San Marco e nei tre giorni delle Rogazioni minori.

• 79. Che cosa si fa dalla Chiesa nel giorno di San Marco e nei tre giorni delle Rogazioni minori? Nei giorni di San Marco e nei tre giorni delle Rogazioni minori si fanno dalla Chiesa processioni e preghiere solenni per placare Iddio, e renderlo a noi propizio affinché ci perdoni i peccati, tenga da noi lontani i suoi castighi, benedica i frutti della terra che cominciano a mostrarsi, e provveda ai nostri bisogni sia spirituali che temporali.

• 80. Le processioni di San Marco e delle Rogazioni sono esse antiche? Le processioni di San Marco e delle Rogazioni sono antichissime, e il popolo soleva concorrervi a piedi scalzi con vero spirito di penitenza ed in grandissimo numero, lasciando ogni altra occupazione per intervenirvi.

• 81. Che facciamo noi colle litanie dei Santi che si cantano nelle Rogazioni, o in altre simili processioni? Colle litanie dei Santi: - imploriamo misericordia dalla santissima Trinità; e per essere esauditi ci rivolgiamo in particolare a Gesù Cristo con quelle parole: Christe audi nos, Christe exaudi nos, cioè: Cristo ascoltateci, Cristo esauditeci; - invochiamo il patrocinio di Maria Vergine, degli Angeli e dei Santi del cielo, dicendo loro: orate pro nobis: pregate per noi; - ci rivolgiamo nuovamente a Gesù Cristo e lo preghiamo, per tutto ciò che Egli ha fatto per la nostra salute, a liberarci da tutti i mali, e principalmente dal peccato, dicendogli: libera nos, Domine: liberateci, o Signore; - gli domandiamo il dono di una vera penitenza, e la grazia di perseverare nel suo santo servizio, e preghiamo per tutti gli ordini della Chiesa, e per l’unione e felicità di tutto il popolo di Dio dicendo: te rogamus, audi nos: ascoltateci, o Signore, ve ne preghiamo; - terminiamo questa preghiera colle parole con cui si comincia, cioè coll’implorare la misericordia di Dio, dicendogli di nuovo: Kyrie eleison etc.: Signore, abbiate pietà di noi etc.

• 82. Come dobbiamo noi intervenire alle processioni? Noi dobbiamo intervenire alle processioni: - con buon ordine e con vero spirito di penitenza e di orazione, cantando adagio e con pietà ciò che canta la Chiesa; o, non sapendo, unendoci col cuore e pregando in particolare; - con modestia e raccoglimento, non guardando qua e là, né parlando ad alcuno senza necessità; - con viva fiducia, che Dio sia per esaudire i nostri gemiti, e le comuni orazioni, e accordarci ciò che è necessario tanto per l’anima, quanto per il corpo.

• 83. Perché nelle processioni si fa precedere la Croce? Nelle processioni si fa precedere la croce per insegnarci, che dobbiamo aver sempre innanzi agli occhi Gesù Cristo crocifisso per regolare la nostra vita e le nostre azioni secondo i suoi esempi, e per imitarlo nella sua passione, soffrendo pazientemente le pene che ci affliggono.

La Chiesa è apostolica perché s’è fondata sugli Apostoli e sulla loro predicazione e governata dai loro successori, i Pastori legittimi, i quali, senza interruzione e senza alterazione, seguitano a trasmettere la dottrina e il potere (Catechismo di san Pio X, n° 111).

• La Chiesa di Gesù Cristo dev’essere apostolica. Perché è fondata sugli Apostoli e sulla loro predicazione. Gesù Cristo affidò agli Apostoli la Sua dottrina perché la custodissero, spiegassero, diffondessero tra tutti gli uomini e la tramandassero nel tempo; affidò il Sacrificio del Nuovo Testamento, quello della Croce, perché fosse perpetuato e rinnovato nella Santa Messa; affidò i Sacramenti perché fossero amministrati per la santificazione delle anime; affidò il potere di governare la Chiesa, perché tutti i fedeli potessero credere alla dottrina ed osservare la legge di Cristo ed avessero i mezzi soprannaturali necessari per onorare Dio e per santificare se stessi nei Sacramenti. La Chiesa è fondata sul primato degli Apostoli nell’insegnamento, nel governo e nella carità. Per questo la Chiesa si chiama apostolica.

• ... e governata dai loro successori. Gesù Cristo fondò la Chiesa per tutti gli uomini di tutti i tempi. Quindi il primato nella dottrina, nel governo e nella carità non doveva cessare con la morte di san Pietro e degli altri Apostoli, ma trasmettersi ai successori di Pietro (i sommi Pontefici) e degli Apostoli (i Vescovi) in tutti i tempi, senza interruzione, fino alla fine dei secoli, finché vi saranno uomini da salvare.

• La Chiesa cattolica di Roma è apostolica. È fondata su Pietro e gli altri Apostoli, fecondata dal sangue di Pietro e Paolo, martirizzati e sepolti nella città eterna. A san Pietro, Vescovo di Roma e Pontefice di tutta la Chiesa, nel primato della fede, del governo e della carità, successe san Lino, il secondo anello della gloriosa catena che unisce San Pietro a Pio XII gloriosamente regnante (Passo tratto dalla Spiegazione del Catechismo di san Pio X del Sac. C. T. Dragone, con Imprimatur, edizioni Paoline, 1956,  ed. Terza, pag. 143), attraverso la serie ininterrotta dei Pontefici di Roma. Agli altri Apostoli successero i Vescovi, in dipendenza dal Vescovo di Roma, Successore di san Pietro e Vicario di Cristo. La Chiesa cattolica di Roma è l’unica che discenda direttamente da san Pietro, con una successione ininterrotta. Nessuna delle “chiese separate” è apostolica.

• Come possono essere apostoliche le sette protestanti, sorte dopo la rivolta di Lutero nel secolo XVI? Se la Chiesa di Roma era apostolica, separandosi i protestanti perdettero la nota dell’apostolicità; se non era apostolica, non lo sono nemmeno le “chiese protestanti”, che sorgono millecinquecento anni dopo gli Apostoli. Lo stesso si deve dire delle “chiese separate” d’Oriente. La “chiesa nestoriana” risale alla ribellione di Nestorio ed alla sua condanna (431); quella “monofisita” è di poco posteriore e risale all’eresia di Eutiche; la “chiesa russa” risale a Pietro il Grande (1689-1726); quella “greca” al 1833; quelle “bulgara, rumena e jugoslava” sono posteriori. L’unica “chiesa scismatica” che potrebbe vantare una parvenza di apostolicità è quella di Costantinopoli, la cui Sede episcopale è assai antica. Ma prima di Fozio era soggetta a Roma ed al suo primato. E anche dato, ma non concesso, che sia restata apostolica, avrebbe cessato di esserlo alla caduta di Costantinopoli (1453) sotto i Turchi, i quali, da quel giorno assegnarono la sede patriarcale al miglior offerente. Un esempio. I missionari sono i continuatori del ministero apostolico. Le “chiese separate ”d’Oriente non hanno missionari. Quelle “protestanti” invece hanno numerose missioni, ricche, ben attrezzate, sovvenzionate dalle potenze occupanti i territori di missione. Eppure le missioni cattoliche, con mezzi esigui, senza appoggi ed aiuti, ottengono frutti molto maggiori, nonostante siano perseguitate, osteggiate, spogliate dagl’indigeni e dai bianchi colonizzatori.

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Dio talvolta fa «sentire» la sua presenza in modo più vivo, specialmente alle anime favorite del dono della contemplazione. Santa Margherita Maria Alacoque attesta: «Io vedevo il mio Dio e lo sentivo vicinissimo a me. Udivo la sua voce, e tutto ciò molto meglio che con i sensi corporali. Infatti avrei ben potuto distrarmi dall’impressione dei sensi, ma non potevo opporre alcun impedimento a queste altre sensazioni, che mi s’imponevano in modo irresistibile. Quando ero sola non osavo sedermi per la presenza di questa Maestà». Giuseppe, figlio di Giacobbe, condotto schiavo in Egitto ed invitato dalla padrona a commettere un brutto peccato, le disse recisamente: «Come posso io commettere questo male e peccare contro il mio Dio?». Altra volta, di fronte allo stesso invito, fuggi di casa. Si lasciò accusare falsamente e gettare in prigione, piuttosto di peccare alla presenza di Dio (cf. Gn. c. 30). L’ebrea Susanna, messa nell’alternativa di peccare o di essere accusata e condannata a morte, disse: «E’ meglio per me cadere nelle vostre mani senza peccato, che peccare al cospetto di Dio». Accusata falsamente e condannata a morte, venne salvata da Dio all’ultimo momento con l’intervento del profeta Daniele, che smascherò i calunniatori e li fece condannare a morte (cf. Dn. c. 13). Pensieri tratti da Padre Dragone, Commento al Catechismo di san Pio X, ed. CLS, Verrua Savoia.

Tutto ciò che vi è di bello, di buono, di perfetto nelle creature è anche in Dio ed in sommo grado. Le creature sono la scala per cui dobbiamo salire a Dio, con la conoscenza e l’amore. Isaia in una visione contemplò Dio perfettissimo circondato dagli angeli che cantavano: Santo, Santo, Santo è il Signore Dio degli eserciti; tutta la terra è piena della sua gloria (v. Is 6, 1-4). Il beato Contardo Ferrini sapeva elevarsi dal creato al Creatore con grande facilità. Per lui l’universo era «il poema di Dio» che canta l’onnipotenza, la sapienza e la bontà divina. Scrisse ad un amico: «Vieni con me; ti farò conoscere le mie montagne. E là parleremo di Dio. Com’è bello su una vetta solitaria avvicinarsi a Dio e contemplare nella natura selvaggia e rude il suo sorriso eternamente giovane!». Anche il tempo avverso lo elevava a Dio. «L’Ascensione, la gioiosa festa del sursum corda, qui è stata turbata da un cielo coperto di nere nubi. Meglio ancora. Così penso di più che tutto passa, che tutto ciò che è terrestre non è nulla, che non dobbiamo trovare il nostro riposo in nulla. Penso al giorno senza sera, al cielo che non avrà nubi». Le creature possono essere perfette, ma non perfettissime, perchè non sono in grado di avere tutte le perfezioni, nè di averne alcuna in sommo grado. Solo Dio è perfettissimo, perchè: 1) ha tutte le perfezioni degli esseri creati. — Nelle creature ammiriamo molte qualità o perfezioni, come la bellezza, la bontà, la scienza, la potenza. Ma chi ha dato queste perfezioni? Dio, che necessariamente possiede ciò che dà; 2) in Lui vi sono tutte le perfezioni possibili. — Dio può creare infiniti altri uomini e mondi più perfetti di quelli esistenti. In Lui vi sono quindi tutte le perfezioni che potrebbe comunicare agl’infiniti esseri creabili. Le nostre perfezioni non sono senza difetto e senza limiti. Sono difettose: non conosciamo tutto e quel poco che conosciamo, lo conosciamo male: la nostra potenza non può fare tutto. Sono inoltre limitate nel numero. Infatti non possediamo molte perfezioni, come l’eternità di origine, l’immortalità, ecc. Dio non solo ha, possiede le perfezioni, ma è tutte e ciascuna delle sue perfezioni. Non solo è buono, sapiente, potente, cioè dotato di bontà, sapienza, potenza, ma è la stessa bontà, la stessa sapienza, la stessa potenza e ciascuna delle sue perfezioni, che s’identificano con Lui. Pensieri tratti da Padre Dragone, Commento al Catechismo di san Pio X, ed. CLS, Verrua Savoia.