Non è anche direttamente contraria una tal clemenza al fine del reggimento? Fine proprio de’ governanti è la salvezza pubblica e la pubblica felicità, in quella guisa che fine proprio del capitano è la vittoria, del piloto la sicurezza della nave, del medico la sanità del corpo. Come dunque sarebbe inumanità nel medico lasciar perire l’infermo per non tagliare un dito, nel piloto lasciar sommergere la nave per non gettare una merce, nel capitano perdere l’esercito per non punire una mano di soldati ribelli; così sarebbe inumanità assai maggiore nel Principe, se lasciasse pericolare tutto il regno per risparmiare un pugno di scellerati.

Non potrà dunque un Sovrano far grazia a veruno? Vi ho già detto, che può benissimo quando però la grazia fatta ai privati non ridonda a pregiudizio del pubblico (S. Thom. Summa Theol., sec. sec. q. 67, art. 4). Ora trattandosi dei sovvertitori dell’ordine pubblico, in nessun tempo fu mai sperabile di poter loro far grazia, se non a spese della pubblica felicità; ma particolarmente nell’età nostra, in cui a forza di grazie siam giunti a vedere le pubbliche calamità moltiplicate incessantemente su tutti i punti del globo minacciare persino l’esistenza di tutte ormai le nazioni.

Ciò nondimeno è pur vero che Dio perdona, e che i Principi non potrebbero scegliersi miglior esemplare. Ma è vero insieme, che Dio comandò già nell’esodo ( c. 22), che si togliessero di vita i malfattori: maleficos non patieris vivere; è vero che nel Deuteronomio (c. 19), ordinò, che l’omicida si desse a morte senza pietà: morietur, nec misereberis eius; è vero che nel Deuteronomio medesimo (c. 13), decretò che il sovvertitore della vera religione fosse inesorabilmente tolto dal mondo: neque parcat ei oculus tuus, ut miserearis et occultes eum, sed statim interficies; è vero che fece legge di non perdonare nemmeno alle intere città, ove fossero ree di tanta colpa: statim percuties habitatores urbis illius in ore gladii, et delebis eam, ac omnia quae in illa sunt (Ibid., c. 13, v. 15). Per ultimo dall’essere il Principe ministro di Dio deduce san Paolo il diritto e l’obbligazione, che ha non della clemenza, ma della spada: si autern malus feceris, time; non enim sine causa gladium portai: Dei enim minister est, vindex in iram ei qui male agii (Ad Rom. 13). E san Pietro assicuraci, che i Dominanti hanno ricevuto appunto da Dio la missione, non di assolvere, ma di fare la dovuta vendetta: subiecti estote... sive Regi... sive Ducibus, tanquam ab eo missis ad vindictam malefactorum (II Petri, c. 2). ...

Questioni XXXVII - XXXIX. Dal Catechismo cattolico sulle rivoluzioni, S. Sordi, De Agostini, Torino, 1854. SS n° 11, p. 6