Che volete dire con questo? Voglio dire, che l’omicida privato ferisce alcune parti della società, senza le quali può rimanere il tutto; ma il rivoluzionario mena sul capo della medesima società, da cui dipende la tranquillità, la sicurezza, la vita in generale di tutti: quegli viola l’ordine pubblico, questi lo distrugge.
Eppure essi si spacciano per nostri liberatori? Ci liberano in vero d’ogni protezione salutare, d’ogni sicurezza domestica, di ogni ordine civile; e non ci lasciano che un timore universale sulla propria vita, sulla famiglia, sui beni, sulla religione, e su quanto ci può essere caro. Bisogna temere dalla mattina alla sera d’ogni parola, che si lasci sfuggire, d’ogni gesto inconsiderato, d’ogni sguardo meno conforme alla rivoluzione: un semplice sospetto, anche insussistente, bene spesso decide delle nostre sostanze e della vita ancora.
Ma non è poi la libertà tutto il fine delle loro macchinazioni, o per dir meglio, non è la stessa cosa libertà e rivoluzione? Sì certamente, ma solo per quel pugno di scellerati, che ordisce e compie l’infame eccesso: a costoro è libero di fare e disfare; far tutto il male, e disfare tutto il bene. Cioè rovesciare le leggi più salutari, che a custodia dell’onestà, dell’ordine e della perfezione sociale furono già poste dal senno e dalla vigilanza di ottimi reggitori; lasciare libero il corso ad ogni sorta di dottrine e di libri, che facciano scempio delle massime dei costumi, e della Fede; distruggere i migliori stabilimenti, che la pietà generosa dei legittimi Principi aveva eretti a decoro della città, a vantaggio dei cittadini, a pro della Religione; infamare gl’istitutori della gioventù e proscrivergli; soffocare nell’animo dei giovani ogni seme di cristiana virtù e di dipendenza sì domestica come civile, ed innestarvi al contrario i germogli dell’indifferenza, del disprezzo della Religione, del mal costume, della temerità, dell’orgoglio, e di tutti quei vizi, che sono più valevoli a perpetuare le tempeste, l’ondeggiamento, le sciagure dei popoli; spogliare il pubblico erario; invadere i diritti di proprietà, specialmente ecclesiastica; perseguitare gli uomini dabbene; abbandonare all’arbitrio dei malintenzionati; aizzare contro di loro le passioni della marmaglia più rea; e così insultare i ministri della Religione, profanare le chiese, atterrare le croci, disturbare con onta pubblica le sacre funzioni, conculcarne la maestà, i riti autorevoli, il divino carattere; stampare insomma nel corpo politico sì riguardo alla morale, come riguardo agl’interessi terreni, piaghe profonde da non saldarsi, se non dopo lunga stagione, e a costo di universali gravissimi patimenti. Libertà di fare e disfare, far tutto il male e disfare tutto il bene: ecco per i rivoluzionari la libertà, la qual è, appunto, la stessa cosa che rivoluzione.
E per gli altri? Per gli altri tutta la libertà si riduce al disprezzo della Chiesa e di quella famiglia, che prima legittimamente dominava. Ciascuno è libero di oltraggiare con impudenza sfrontata la memoria e gli atti di chi rappresentava nel governo temporale lo stesso Dio. E ciò vuol dire, che ciascuno è libero di precipitare sé, e di trarre molti altri all’inferno con maggior impeto e senza ritegno.
Questioni V - VIII. Dal Catechismo cattolico sulle rivoluzioni, S. Sordi, De Agostini, Torino, 1854. SS n° 2, p. 5