L’iniquo pontefice (Caifa, ndR), non trovando testimoni per condannare l’innocente Signore, cercò dalle di lui stesse parole trovar materia di dichiararlo reo; onde l’interrogò in nome di Dio: Adiuro te per Deum vivum, ut dicas nobis, si tu es Christus Filius Dei. Gesù, udendo scongiurarsi in nome di Dio, dichiarò la verità, e rispose: Ego sum; et videbitis Filium hominis sedentem a dextris virtutis Dei, et venientem cum nubibus cœli. Caifa in sentir ciò si lacera le vesti e dice: A che servono più testimoni? Avete intesa la bestemmia che ha detta? Tunc princeps sacerdotum scidit vestimenta sua, dicens: Blasphemavit: Quid adhuc egemus testibus? Indi domandò agli altri sacerdoti: Quid vobis videtur? E quelli risposero: Reus est mortis. Ma questa sentenza fu già prima data dall’eterno Padre, quando Gesù offerissi a pagare la pena dei nostri peccati. Gesù mio, vi ringrazio ed amo. Pubblicata l’iniqua sentenza, tutti in quella notte si affaticano a tormentarlo: chi gli sputa in faccia, chi lo percuote coi pugni, e chi gli dà più schiaffi, deridendolo come falso profeta: Tunc expuerunt in faciem eius, et colaphis eum cæciderunt; alii autem palmas in faciem eius dederunt, dicentes: Prophetiza nobis, Christe, quis est qui te percussit? E, come soggiunge san Marco, gli coprono il sacro volto con un panno rozzo, e così poi a vicenda lo percuotono. Ah Gesù mio, quante ingiurie avete sofferte per me, per soddisfare all’ingiurie che ho fatto a voi! V’amo, bontà infinita. Mi dolgo sommamente di avervi così disprezzata. Perdonatemi e datemi la grazia di esser tutto vostro. Io tutto vostro voglio essere, e voi l’avete da fare. Voi ancora me l’avete da ottenere colle vostre preghiere, o avvocata e speranza mia Maria.

[Tratto da: «Delle cerimonie della Messa», par. II, § 2, Considerazione II per il lunedì, pp. 800 e 801].

In altro luogo spiega ancora sant’Alfonso: Calvino (oppone all’autorità dei, ndR) Concilj, l’iniquità del Concilio di Caifas, che fu ben generale di tutti i prìncipi dei sacerdoti, ed ivi fu condannato Gesù Cristo come reo di morte. Dunque ne deduce che anche i Concilj ecumenici sono fallibili. Si risponde che noi diciamo infallibili i soli Concilj generali legittimi, ai quali assiste lo Spirito Santo; ma come può dirsi legittimo ed assistito dallo Spirito Santo quel Concilio, ove si condannava come bestemmiatore Gesù Cristo, per avere attestato di esser figlio di Dio, dopo tante prove che Egli ne aveva date di esser tale? E dove si procedeva con inganni subornando i testimonj, e si operava per invidia, come conobbe lo stesso Pilato? Sciebat enim quod per invidiam tradidissent eum.

[Tratto da: «Storia delle Eresie», confutazione XI, § 8, Dell’autorità de’ Concilj generali, n° 80].

In questo capitolo di «Storia delle Eresie», sant’Alfonso sta confutando gli errori di Lutero e di Calvino circa l’autorità dei concilii generali e l’infallibilità della Chiesa. La sua premessa è la seguente: La Chiesa poi c'istruisce per mezzo dei concilj ecumenici; e perciò la perpetua tradizione di tutti i fedeli ha tenute sempre per infallibili le definizioni de' concilj generali, e per eretici coloro che a quelle non han voluto sottoporsi. Tali sono stati i Luterani e i Calvinisti, dicendo che i concilj generali non sono infallibili. Ecco come parlava Lutero, e nell'articolo 30 fra gli articoli 41 condannati dal papa Leone X.: Via nobis facta est enervandi auctoritatem conciliorum, et iudicandi eorum decreta, et confidenter confitendi quidquid verum videtur, sive prolatum fuerit, sive reprobatum a quocunque concilio. Lo stesso scrisse Calvino, e questa falsa opinione è stata poi abbracciata dagli altri Luterani e da' Calvinisti; mentre anche Calvino con Beza, come scrive un autore, dissero che tutti i concilj, per santi che siano, possono errare in ciò che spetta alla fede. All'incontro la facoltà di Parigi, censurando l'articolo 30 di Lutero, dichiarò: Certum est concilium generale legitime congregatum in fidei et morum determinationibus errare non posse. Ed in verità è troppa ingiustizia il negare l'infallibilità de' concilj ecumenici: poiché essi rappresentano la Chiesa universale; sicché se potessero errare in materia di fede, potrebbe errare tutta la Chiesa, ed in tal caso potrebbero dire gli atei che Dio non ha provveduto abbastanza all'unità della fede, alla quale era tenuto a provvedere, volendo che da tutti una sola fede si tenesse. Fine delle citazioni.

Breve commento. Contro il dogma cattolico, contro la dottrina, qui ricordata e brevemente spiegata da sant'Alfonso, oggigiorno i cosiddetti "tradizionalisti" del modernismo, ossia i moderni pragmatisti e fallibilisti, negano l'infallibilità della Chiesa nelle definizioni dei Concilii universali. Essi sostengono, con Lutero e Calvino, che la Chiesa, riunita in un legittimo ed autorevole Concilio universale, possa definire in errore, così da deviare l'intera Chiesa dalla vera fede. All'atto pratico, i mentovati "tradizionalisti" ritengono che si debba necessariamente ricorrere alla loro guida, al loro aiuto, in pratica alla loro "consulenza", per sapere se la Chiesa, riunita in un legittimo ed autorevole Concilio universale, abbia definito correttamente, oppure no. La loro regola prossima di fede, come si evince, non è più il Magistero della Chiesa, bensì la loro propria opinione o valutazione. Dunque, stando a questa pretesa, ogni cattolico, che intenda professare la vera fede, dovrebbe ricorrere alla "consulenza" dei cosiddetti "tradizionalisti" del modernismo, mentre non dovrebbe ricorrere alla Chiesa, in quanto fallibile. Deduciamo l'evidente pretesa di infallibilismo che si arrogano, solo per se stessi, i cosiddetti "tradizionalisti" del modernismo. Altresì essi dichiarano di poggiare questa usurpazione di infallibilità sulla "dottrina tradizionale" che, in realtà e come abbiamo potuto constatare, sostiene l'esatto contrario.

A cura di CdP

La duplice suprema potestà in terra, dalla Sicut universitatis