Dalla conclusione della ricerca: «Ecco (qui esposte) le ragioni che ci vietano di credere assolutamente esaurita in senso negativo la questione angosciosa del delitto propriamente rituale». Mons. Umberto Benigni (Sodalitium Pianum), copia anastatica di «Storia Sociale della Chiesa» 5/7, ed. C.L.S., Verrua Savoia, 2018, volume IV, tomo 1, dalla pagina 369 alla pagina 387.
Dura da secoli la polemica intorno all’esistenza ed alla natura del cosiddetto «delitto rituale» ebraico per versare il sangue di cristiani specialmente fanciulli: ai nostri giorni [l’Autore scrive negli anni ‘20] il processo Beylis ha dato occasione ad un rinnovamento delle polemiche da una parte e dall’altra. Siccome il «delitto rituale» si afferma nel medioevo, è qui il caso di parlarne anche per i periodi susseguenti.
[Per il delitto rituale e per il suo ambiente ispiratore, cfr. Paepstliche (Die).,. Blutbesch.; M. Stern, Urk. Beitr.; H. L. Strace:, Das. Blut.; D. Chwolson, Die Blutank.; citati da P. Vernet, Ce que les papes, ecc. Cfr. anche Roccadadria, Nella tribù, ecc.; E. Picard, La synthèse, ecc.: Il processo Beylis (fine del 1913) produsse una grande fioritura di articoli prò e contro l’accusa generale, nei quali può trovarsi qualche nota storica e documentale da apprezzarsi. Notevole a favore dell’accusa, quello dei «Cahiers Romains» riprodotto da vari giornali (v. la «Croix» di Parigi 14 novembre 1913, e del «Diario de Barcellona» 7 novembre); contro l’accusa quello della «Neue Eresie Presse» di Vienna (4 novembre). Di valore storico è il sovraccennato di Vernet].
Avanti tutto bisogna fissare la natura e le caratteristiche del delitto in questione. Perchè un delitto sia «rituale», deve essere non solo prodotto da una determinante d’indole religiosa, - dall’odio contro fedeli di altra credenza —, ma deve rivestire le forme o le mentalità di un rito. E tale è precisamente il discusso «delitto rituale» cui si attribuisce di essere determinato dall’inveterato odio israelitico contro i cristiani, ed estrinsecato con certe circostanze che rilegano il crimine ad una forma od almeno ad una mentalità rituale.
Così sarà un delitto almeno implicitamente rituale quello per cui un cristiano è martoriato dagli ebrei durante la Settimana Santa, in commemorazione d’odio della Passione di Cristo; tanto più se tale assassinio sarà consumato con atti riproduttivi della flagellazione, coronazione, crocifissione, ecc. del Redentore, e se si farà con la sacrilega, ma purtroppo reale persuasione di far cosa accetta a Dio, come Gesù aveva predetto.
Sarà delitto pienamente rituale se si userà il sangue od un viscere del martire per qualsiasi uso delle cerimonie ebraiche ufficiali o superstiziose, ovvero per uno scopo qualsiasi di propiziazione religiosa. Non lo sarebbe invece (per esporre tutte le ipotesi) se si estraesse quel sangue o quel viscere per farne un farmaco, - secondo le superstizioni della millenaria e cosmopolitica medicina empirica e ciarlatanesca, senza, supponiamo, il movente o concomitante d’un odio religioso.
Dicevamo che è rituale l’accusa formale nel caso nostro. Il Chwolson [o. c., ed. ted. 1901, pp. 6-7, 178-210] ha classificato come segue gli ipotetici usi rituali del sangue cristiano versato dagli ebrei:
1. Il sangue è mescolato agli azimi pasquali od al vino che si beve nei due primi pasti della vigilia di pasqua; 2. Il sangue è mescolato all’uovo che il rabbino dà a mangiare agli sposi ebrei, mentre ricevono la benedizione nuziale; 3. Il sacerdote israelita se ne tinge le mani quando si appresta a benedire il popolo nella sinagoga; 4. I rabbini, nella festa dei purim, mandano ai membri della loro comunità un alimento preparato con sangue cristiano; 5. Il sangue cristiano è versato come sacrificio gradevole a Jahveh, giacché dopo la distruzione del tempio non è più possibile compiere gli antichi sacrifici della Legge; 6 Un fanciullo cristiano è ucciso in sostituzione dell’agnello pasquale; 7. Gli ebrei, a pasqua, tingono le loro porte col sangue cristiano in analogia al sangue dell’agnello con cui i loro antenati tinsero, come narra la Bibbia, le loro porte all’uscire dall’Egitto; 8. Quando un ebreo è moribondo, gli si applica sul volto il sangue cristiano od un panno tinto di quel sangue, ed a voce bassa gli si dice nell’orecchio: «Se il Cristo a cui credono ed in cui sperano i cristiani, è il vero Messia promesso, possa il sangue di un fanciullo cristiano, innocente ucciso, servirti per la vita eterna»; 9. Per usare il sangue come sopra, nel Venerdì Santo si crocifigge un fanciullo cristiano per rappresentare la crocifissione di Cristo e farne un atto di solidarietà (cfr. Vernet, o. C., pp. 418-9).
Tali sono le accuse, vere o false, portate da secoli sulla materia in questione.
Quello che è interessante in tale elenco è che il delitto «rituale», come tale, non è necessariamente e sempre un crimine d’odio. Esso può essere ispirato dal desiderio superstizioso di aver un mezzo efficace per certi scopi religiosi, sino a supporre in esso una efficacia di salvazione spirituale. Per quanto possa sembrare assurdo a chi conosce soltanto superficialmente la credenza ufficiale ebraica, è un fatto che in certe sètte ebraiche l’idea di una tal quale efficacia redentrice nel sangue di Cristo, e perciò dei cristiani, esiste, sia pure in un senso meramente superstizioso e, diremmo quasi, teurgico [Nel sopracitato libro di Roccadadria (libro di volgarizzazione ma redatto sulle fonti rabbiniche) ciò è esaurientemente spiegato nei capp. XVI e XVIII (pp. 199 ss., specialmente dalla 213). Del resto, è indiscutibile il fatto che, ab antiquo, l’ebraismo è diviso in sette, alcune delle quali diversificano grandemente fra loro]. Nessuna contraddizione fra il sentimento d’odio degli ebrei contro Cristo ed i suoi, e la superstizione di credere all’efficacia del sangue cristiano, e quindi l’uso di questo. Difatti non solo non v’è antitesi materiale chè se si tratta di odio nel primo caso, non si tratta certo di ... amore nel secondo; ma soprattutto è chiaro che la superstizione suddetta non è comune alla massa ebraica, e quindi v’è diversità d’ambiente tra l’odio uccisore e la superstizione omicida.
Basta rammentare quella che rimonta ai tempi della protostoria, quando bere il sangue di un valoroso nemico ucciso, era creduto un mezzo sicuro per trasfondere nel vincitore quel valore. Oggi ancora presso gli esquimesi mangiare il fegato della persona assassinata salva l’assassino dall’ombra vendicatrice della vittima. Ora non è meno noto di qual cumulo di superstizioni insane e odiose sia piena la vita talmudica degli ebrei.
Ciò per il «ritualismo» del discusso delitto. Quanto all’essere questo, o no, un delitto «ebraico», è evidente che come non potrebbe dirsi tale un delitto commesso da un individuo israelita per proprio conto e, come volgarmente dicesi, di sua testa; - così potrà dirsi «ebraico» qualunque delitto commesso da ebrei quando questo, in un modo od un altro, - direttamente o indirettamente purché efficacemente - sia ispirato dallo spirito non solo dell’insegnamento ufficiale, ma dall’intera vita vissuta religiosamente e socialmente dal popolo talmudico.
Poste queste premesse, diamo l’elenco dei più noti «delitti rituali» attribuiti agli ebrei nel corso dei secoli, quali risultano dai cronisti, dai processi, ecc. del tempo [Roccadadria, pp. 225-36, il quale cita le fonti dell’elenco, tra cui il libro pubblicato in traduzione italiana: II sangue cristiano nei riti ebraici della moderna sinagoga (Prato, Giacchetti, 1883). Riproduciamo le note di quell’elenco con le relative citazioni delle fonti come vi si trovano (salva qualche precisione di citazioni, nomi, ecc. fatta da noi currenti calamo), giacché per noi non è questione di narrare o provare i singoli casi di vero o creduto «delitto rituale», bastando al nostro assunto di discutere la cosa nel suo complesso. Del surriferito elenco citiamo solo i dati dal medioevo in poi, di quei fatti che presentano un tipo rituale, e non altri. Vedemmo nel volume precedente le stragi e le crocifissioni inflitte dagli ebrei ai cristiani della Palestina bizantina in occasione delle incursioni persiane o delle sollevazioni locali. Il detto elenco comincia coll’anno 425: ad Imm, fra Aleppo ed Antiochia, un fanciullo cristiano è crocifisso dagli ebrei (Baron, Ann., ad an., n. 49)].
Elenco. 1071. A Blois (Francia) un bambino cristiano è dagli ebrei crocifisso e gettato nel fiume: processo e condanna dei colpevoli (M. Q. H., VILI Scr. VI, p. 520); 1114. A Norwich (Inghilterra) Guglielmo fanciullo dodicenne è attirato in una casa ebrea, e completamente dissanguato (Bolland., vol. III di marzo, p. 588; e M. G. H., ib.); 1160. A Glocester (Inghilterra), gli ebrei crocifiggono un bambino (ib.); 1179. Il fanciullo Riccardo è immolato, il Giovedì Santo, nel castello di Pontoise; processo e riconoscimento del martirio; Riccardo onorato come santo a Parigi (Bolland., ib., p. 591); 1181. In questa città il fanciullo Rodberto è immolato dagli ebrei nelle feste di Pasqua ; segue il processo ed il riconoscimento del martirio (Pagi, H. E., anno 1181; Boll. 25 marzo, p. 589); 1225. A Monaco di Baviera, una donna vende un fanciullo agli ebrei che lo uccidono dissanguandolo (Michelbeck., Gesch. Freising., II, p. 94); 1235, 1.° decembre. Ad Erfurt (Germania) uccisione rituale di un bambino (Desportez, p. 66). A Norwich, per le feste di Pasqua, gli ebrei rubano un fanciullo per crocifiggerlo (Huiltard-Bréholles, Grande Chronique, III, 86); 1236. Presso Hagenau (Alsazia) tre fanciulli settenni immolati dagli ebrei (Richehii, Gesta Senonen. in M. G. H., Scr. XXV, p. 324); 1339. A Londra omicidio rituale commesso dagli ebrei (Mathaei Paris. Chron. Maj., IV, 433); 1244. Nella stessa città un fanciullo cristiano martirizzato dagli ebrei, e venerato come santo nella chiesa di San Paolo (Baron., An. 1244, n. 42). 1250. In Aragona (Spagna) un fanciullo settenne crocifisso durante la pasqua ebraica (Joh. De Lent, De pseudo-messiis, p. 33). - A Saragozza (Spagna) crocifissione del fanciullo Domenico de Val, riconosciuto per martire (Blancas Araz. Comment.). - Verso lo stesso anno ad Orsona di Castiglia (Spagna) un rabbino attira in sua casa un fanciullo cristiano e l’uccide (Desportez, 68); 1255. A Lincoln (Inghilterra) il fanciullo Ugo rubato dagli ebrei, viene nutrito fino al giorno del sacrificio pasquale: allora è crocifisso alla presenza di molti ebrei venuti da varie parti dell’Inghilterra (Bolland, vol. VI di luglio, p. 494); 1257. A Londra fanciullo cristiano immolato (Cluverii Epitome hist. p. 541); 1260. A Weissenburg (Germania) fanciullo ucciso dagli ebrei (Ann. Colmar, in M. G. H., Scr. XVII, p. 1914); 1261. A Pfortzheim (Baden) bambina settenne strozzata, dissanguata e poi gettata in acqua dagli ebrei (Bolland., vol. VI di aprile, p. 838).
Prosegue. 1279. A Northampton (Inghilterra) crocifissione di un fanciullo cristiano (Desportez, p. 67). - 2 aprile: a Londra altro delitto rituale; processo e punizione dei colpevoli (Florentii Worcesterien. Chron., p. 222); 1282. A Monaco di Baviera gli ebrei comprano un bambino e lo uccidono ritualmente (Rader, Bavaria Sancta, II, p. 315); 1283. A Magonza (Germania), un bambino venduto dalla balia agli ebrei ed immolato (Acta Colmar, in M. G. H., Scr. XVII, 210; Baron. n. 61); 1285. A Monaco di Baviera fanciullo cristiano dissanguato per fare di quel sangue un rimedio per gli ebrei; scoperto il delitto, tumulto del popolo che brucia la casa ove gli ebrei si erano rifugiati (Rader, Bav. Sacra. II, p. 331: M. G. H., Scr. XVII, 415); 1286. A Oberwesel sul Reno, il fanciullo Guarniero (Wernher) quattordicenne martirizzato per tre giorni con ripetute incisioni (Bolland., vol. II d’aprile, p. 697; M. G. H., Scr. XVII, 77; Baron. a. 1287, n. 18); 1287. A Berna, il giovinetto Rodolfo ucciso dagli ebrei per la pasqua (Bolland., vol. II d’aprile); 1292. A Colmar (Alsazia) uguale sorte di un fanciullo (Ann. Colmar., II, 30); 1293. A Krems (Bassa Austria) fanciullo spedito ad ebrei di Brünn per essere immolato, come avviene; processo e punizione di alcuni rei; altri si salvano col denaro (M. G. H., Scr. XI, 658); 1294. A Berna altro sacrificio di fanciullo cristiano (Ann. Colm., II, 32); 1302. A Remken (Germania) idem (Ann. Colm., II, 39); 1303. A Weissensee di Turingia (Germania) Corrado figlio di un soldato, dissanguato dagli ebrei con incisioni alle vene (Baron., Ann., n. 64); 1320. A Prey uccisione di un inserviente al coro del duomo, ucciso da un ebreo (Desportez, p. 72); 1321. Ad Annecy (Savoia) uccisione d’un giovane chierico: espulsione degli ebrei (Dionysii a S. Martino, Gallia christ., II, p. 723); 1325. A Praga (Boemia) uccisione rituale d’un cristiano (Baroni, Ann., n. 15); 1331. Ad Ueberlingen (Germania) bambino ucciso e poi gettato in un pozzo (Ioh. VitoduraniI, Chron.); 1345. A Monaco il fanciullo Errico crudelmente martirizzato; venerato dalla Chiesa come Beato (Rader, o. c., p. 351); 1380. Ad Agenbach nella Svevia (Germania) giudei sorpresi nell’atto d’immolare un fanciullo rubato ai genitori (Mart. Crusii Ann. Svev., III parte, libro V); 1401. A Diessenhofen nel Württemberg, fanciullo di quattro anni comprato per tre fiorini e dissanguato dagli ebrei. Processo e dichiarazione del reo confesso: ogni sette anni gli ebrei abbisognano di sangue cristiano; un altro dichiarò che il sacrificando doveva essere meno che tredicenne; un terzo che si servivano di quel sangue per la pasqua, facendolo in parte seccare per ridurlo in polvere per servirsene ad usi religiosi (Question juive, pp. 59-60); 1407. Quivi un altro fanciullo ucciso: sommossa popolare ed espulsione degli ebrei (ib.); 1410 In Turingia (Germania) cacciata degli ebrei per simili delitti contro fanciulli cristiani (Baron., Ann., n. 31).
Ancora. 1429. A Ravensburg (Germania) Ludovico di Bruck, giovinetto cristiano, sacrificato dagli ebrei mentre serviva a tavola nel tempo tra la pasqua e la pentecoste; il corpo del martire viene trovato e venerato dai cristiani (Baron., Ann., n. 31; Bolland., voi. III d’aprile, p. 978); 1453. A Breslavia (Slesia) bambino rubato, ingrassato e ucciso dagli ebrei (Desportez, p. 76); 1454. In Castiglia (Spagna) un fanciullo cristiano fatto a pezzi ed il suo cuore cotto per cibo [O per medicina? Nota di Mons. Benigni]. Questo ed altri fatti contribuirono all’espulsione degli ebrei dalla Spagna nel 1459 (Simone Habiki, cit. nell’op); 1457. A Torino un giudeo è colto nell’istante in cui scannava un fanciullo cristiano (ib.); 1462. Presso Innsbruck (Tirolo) il fanciullo Andrea (poi venerato come Beato) nato a Rinn, viene dissanguato dagli ebrei (Bolland., voi. III di luglio, p. 462); 1468. A Sepulveda nella Vecchia Castiglia, il rabbino Salomon Pecho, nel Venerdì Santo, fa crocifiggere una donna cristiana (Colmohares, Hist. de Segovia); 1475. A Trento il celebre martirio del beato Simoncino; processo di cui esiste la relazione originale [Possono vedersene importanti estratti nella stessa op. del Roccadadria, pag. 213 e ss.], dalla quale risulta che gli ebrei di Trento rei di quell’assassinio ne rivelarono molti altri commessi da loro e dai loro correligionari, a scopo rituale, in varie parti d’Italia (specialmente Lombardia e Veneto), Germania, Polonia, ecc.; 1480. A Treviso delitto simile a quello di Trento (Baron., Ann. p. 569). - A Motta di Venezia fanciullo immolato, il Venerdì Santo (Bolland., vol. II d’aprile); 1485. A Marostica (Vicenza) il beato Lorenzo assassinato dagli ebrei il Venerdì Santo 5 aprile [Probabilmente per spillarne sangue. Nota di Mons. Benigni]; 1486. A Ratisbona sei fanciulli vittime degli ebrei (Rader, op. cit., III, 174); 1490. A Guardia presso Toledo (Spagna) un fanciullo crocifisso (Bolland., vol. I d’aprile, 3); 1494. A Tyrman (Ungheria) fanciullo rubato e dissanguato (Bolland., vol. II d’aprile, 838); 1502. A Walskirch (Alsazia) un fanciullo di quattro anni, venduto da suo padre agli ebrei per dieci fiorini col patto che gli fosse restituito vivo dopo averne cavato sangue, ma gli ebrei lo dissanguarono tanto che ne morì (Bolland., vol. II d’apr. 830). [Nota di Mons. Benigni. Questo fatto è suggestivo. Gli ebrei avevano intenzione, probabilmente, di ucciderlo come fecero, anche prescindendo dalla determinante del loro odio. Se si trattava di usare quel sangue per sortilegio, sacrificio, medicina magica, ecc., quel sangue non aveva valore se non di un «sacrificato», secondo uno dei principi fondamentali dell’occultismo. A confrontare le parole sopracitate (cit. di Chwolson, n. 8): «... possa il sangue d’un fanciullo cristiano innocente ucciso, servirti per la vita eterna»]; 1505. A Budweis (Boemia) fatto simile (Hefele, Scriptores, I, 138).
Conclusione dell’elenco. 1510. Gli ebrei confessano di aver torturato con aghi sette fanciulli cristiani (Baron. Ann. n. 41); 1520. A Tyrnavia (Nagy-Szombta in Ungheria) ed a Biring due fanciulli dissanguati; cacciata degli ebrei dall’Ungheria (Bolland. vol. II d’aprile, 839); 1540. A Sappenfeld (Baviera), il quattrenne Michele torturato dagli ebrei durante tre giorni (Rader., o. c., II 331; III, 179); 1547. A Rave (Polonia) il figlio di un sarto sacrificato da due ebrei (Simone Habiki o. c.); 1569. A Witow (Witowice? Witoslaw?) in Polonia il duenne Giovanni venduto per due marchi all’ebreo Giacomo di Leizyka, è crudelmente ucciso: simili fatti in Polonia, a Bielko e altrove (id.); 1574. A Punia (Lituania) la settenne Elisabetta assassinata dall’ebreo Gioacchino Smierlowicz il Martedì di Passione; il suo sangue è raccolto in un vaso (id.); 1575. Il bambino Michele de Jacobi ucciso; gli ebrei sfuggono al castigo (Desportez, 83); 1590. A Szydlon (Polonia) trovasi il cadavere d’ un fanciullo scomparso, dissanguato con incisioni e punture (id.); 1592. A Vilna (Lituania) il settenne Simone ucciso con più di 170 punture: venerato come Santo (Bolland., III vol. di luglio); 1595. Agostino fanciullo venduto agli ebrei per essere dissanguato (ib.); 1597. Presso Srialow, fanciullo ucciso del cui sangue gli ebrei aspergono la nuova sinagoga per consacrarla (ib.); 1598, 25 marzo. A Podlag il quattrenne Alberto rubato ed ucciso dagli ebrei (Boll., 835); 1650, 11 marzo. A Caaden, Mattia Tillich di 5 anni e mezzo è assassinato (Tentzel, genn. 1694: egli cita altri simili fatti avvenuti nella Stiria, Carinzia, Carniola, ecc.); 1655. A Tunguch (Germania), fanciullo assassinato (id., giugno 1693); 1669. A Metz (Lorena), un fanciullo di tre anni rubato dall’ebreo Raffaele Levi e crudelmente assassinato: fu ritrovato il cadavere orrendamente mutilato: processo nel 1670; per sentenza del parlamento di Metz il reo fu arso vivo il 16 giugno 1670 (Fr. X. de Feller, Journal histor. et litter. redatto dal 1774 al 1794; ad an. 1788, n. 428); 1720. Un giudeo ruba un fanciullo; ma, inseguito, è costretto a rilasciarlo (Zachar., Vita del b. Andrea di Rinn, iv.); 1730. A Meppen presso Merano (Tirolo) si trova un fanciullo ucciso, del quale delitto la pubblica opinione accusa gli ebrei (Diss. Ap., 3-4); 1764, 19 giugno. Scomparsa del fanciulletto Giovanni Balla; se ne ritrova il cadavere con i segni tradizionali della uccisione rituale. («Un deputato ungherese:» Tisza Eszlar, p. 108); 1775. In Polonia gli ebrei sono accusati d’aver rinnovato il delitto rituale (Feller, o. c., 18 gen. 1778); 1778 circa. Lo stesso Feller ricorda un fatto simile avvenuto allora a Torn presso Liegi [Deve essere Thorn del Limburgo (Olanda): nota di Mons. Benigni]; 1791. A Tasnad (Transilvania) uccisione rituale di Andrea Takals (Desportez, 180); Circa questo tempo si ha memoria di simili uccisioni ad Holleschau (Moravia) e Woplawicz (id., 88).
Ci asteniamo di qui segnalare altri fatti avvenuti nel sec. XIX [Registrati nell’o. c., pp. 233-5; per il sec. XX il processo Beylis, nel 1913, fu tale che ne risultò evidentemente il soffocamento con denaro e minacce, qualunque fosse la materiale criminalità del fatto]. L’elenco da noi è stato riportato come esiste tradizionalmente e, beninteso, col beneficio dell’inventario.
Tale è l’esposizione della natura e della storia del delitto rituale, senza della quale è facile equivocare in tale materia. Veniamo alla sua critica.
A noi basta porre queste osservazioni fondamentali: 1.° Che la vita vissuta dall’ebraismo, regolata dalla lettera e dello spirito del Talmud, abbia respirato un’aria d’odio implacabile contro i cristiani, sarebbe assurdo il negarlo. Noi stessi, lungo i secoli sin qui percorsi, ne abbiamo registrato le prove esaurienti. Questa lotta mortale non ha mai cessato dai giorni in cui il Calvario era ancor tinto del sangue divino, e già l’apostolo Giacomo e il diacono Stefano avevano versato il loro, e poi per i secoli sino ad oggi. La forma poté, dové modificarsi attraverso le epoche; ma se i James Darmstetter avvelenano con la penna e non col farmaco quali i Sedecia medievali, l’odio e l’assoluta mancanza di scrupoli nell’estrinsecarlo sono gli stessi. Quale meraviglia adunque se sopratutto in tempi di maggior rudezza e ferocia, per fatto specialmente di certe sette ebraiche più fanatiche, il delitto religioso a forma più o meno rituale, sia avvenuto ripetutamente? 2. Mettiamo senza sforzo che fra tanti crimini denunziati, parecchi non siano provati, anzi improbabili almeno nel senso materiale, cioè che non potranno mai materialmente o giudizialmente essere provati; ma, dall’altra parte, è possibile di seriamente ed onestamente sentenziare che tutti e singoli quei fatti la cui registrazione comincia storicamente dal 425 ed arriva fino ai nostri tempi, siano tutti falsi? Molti di quelli dettero luogo a regolari processi; tutti i processi meritano in massa la incredulità del lettore? Credat haec judaeus Apella, avrebbe detto Orazio. In quel lungo elenco vi sono fatti caratteristici che hanno tutta la figura della realtà: come quello del 1502 in cui il padre affamato di denaro vuol vendere un po’ di sangue, ma non la vita, del figlio; ed il rabbino (seppur non voleva ucciderlo) avaro del denaro dato e del sangue comprato, ne estrae tanto che la vittima ne muore.
La stessa tattica della difesa ebraica ha sentito il peso schiacciante di quella montagna di fatti che si accumulano per sedici secoli; perciò si volge a schermaglie diversive. Una di queste, tentata a tempo del processo Beylis, ha meritato l’onore di studi storici; ed anche noi ce ne occuperemo qui brevemente perchè la questione rientra nella politica sociale dei Papi. «Come! hanno esclamato gli avvocati d’Israele, come si può ammettere il delitto rituale, mentre questo è stato negato ripetutamente da pontefici come Innocenzo IV, Gregorio X, Martino V, Nicolò V, Sisto IV, Paolo III e Clemente XIV?».
La realtà è molto semplice e ci dispensa anche dall’avanzare una pregiudiziale de jure, cioè che, se quei Papi avessero dichiarato non credere all’esistenza del delitto religioso od anche rituale degli ebrei, il loro giudizio avrebbe tanto peso quanto le ragioni che li avrebbero addotti a quella opinione. Difatti è evidente che la materia (cioè il fatto materiale se gli ebrei abbiano mai ucciso cristiani per odio religioso ed a scopo rituale) non rientra nel loro ministero apostolico, tranne che in un caso poco propizio per gli ebrei: quando i Papi concedono l’onore degli altari a qualche vittima del delitto ebraico. Insomma, un Papa parla da pontefice quando dice: «Si veneri il tale come martire, perchè fu ucciso dagli ebrei in odio alla fede cristiana»; ma quando egli dicesse di non credere al delitto rituale ebraico, parlerebbe da uomo che vale, nel caso, quanto la sua personale scienza ed esperienza, ed il suo personale criterio. Ma, lo ripetiamo, ci basta constatare di fatto che nessuno di tutti quei Papi ha negato il delitto religioso ebraico. E la documentazione è esauriente. Seguiamola rapidamente sulla traccia dello studio sopracitato del Vernet.
Innocenzo IV: tre o quattro sono i documenti autentici di questo Pontefice, il primo che si sappia essersi occupato del delitto rituale. Primo documento: la sua Bolla del 28 maggio 1287 a Giovanni di Bernin Arcivescovo di Vienne sull’accusa di delitto rituale portata contro gli ebrei di Valréas che avevano reclamato a lui. Nella prima parte della Bolla il Papa espone il ricorso di quegli israeliti che lamentavansi di essere, in occasione dell’accusa di aver essi crocifisso una bambina, oppressi in ogni modo dal vescovo di Saint-Paul-Trois-Chàteaux, dal conestabile di Valence e da varii nobili della provincia. Nella seconda parte della Bolla il Papa ordina all’Arcivescovo, che, se non vere le cose esposte dai ricorrenti, impedisca ai suddetti signori di opprimerli, li compensino degli eventuali torti fatti ad essi, e li lascino tranquilli nelle rispettive terre dei detti signori; che se invece il delitto fosse vero, dovrebbe essere punito: «Nolentes (Nos) eos, occasione premissorum quae, si forsan verae essent, incorrecta non deberent nec possent aliquatenus remanere, inde-bitis molestiis agitari...» (Reg. Inn. IV, n. 2816, ed. E. Berger Paris 1882, I pp. 220-1). Secondo documento: altra Bolla dello stesso giorno e per la stessa destinazione. Protesta contro le crudeltà (spogliazioni, mutilazioni, emissioni) commesse in quella occasione contro i suddetti ebrei: nessun giudizio sull’accusa della crocifissione della bambina (n. 2834, p. 424). Terzo documento, uno dei cavalli di battaglia dei difensori. È la Bolla del 5 luglio 1247 all’Episcopato di Francia e Germania. In essa il Papa avrebbe detto che falsamente si accusano gli ebrei di mangiare un cuore di fanciullo cristiano per la loro pasqua: «falso imponunt». Ma è un mero giuoco. Quelle parole sono il riassunto della esposizione fatta dagli ebrei, non è il giudizio del Papa. Questi dice: gli ebrei d’Alemagna ci hanno inviata una commovente supplica dicendo che alcuni falsamente li accusano, ecc.; ora egli non vuole ingiustizie: se si son commesse ingiustizie contro gli ebrei - « quidquid … inveneritis temere attentatum» - si cessi, e non più si molestino ingiustamente. Quarto documento del 25 settembre 1253: «Abbiamo decretato che … nessuno li rimproveri di usare sangue umano nei loro riti, atteso che nell’Antico Testamento è ad essi prescritto - per non parlare di sangue umano - di astenersi da qualsiasi sangue. Siccome a Fulda e in varii altri luoghi, molti giudei sono stati uccisi a causa di una suspicione di questo genere, noi proibiamo formalissimamente per mezzo delle presenti che ciò accada più per l’avvenire» (Il documento è riprodotto nei M. G. H., VI Epp. s. XIII e regg. pp. rr., II pp. 297-8, Berlino 1887).
L’originale di tale Bolla è nell’archivio di Praga e servi agli Statuta judaeorum promulgati il 25 marzo 1254 da Ottocaro II re di Boemia (cfr. Stern, o. c., n. 212; Strack, o. C., pp. 180, 186). Ma la sua autenticità non è sicura per la buona ragione che un documento così importante non si trova nei Registri ufficiali di quel Pontefice. E se pur fosse autentica, essa mostra Innocenzo IV non credere che gli ebrei mangiassero carne cristiana e bevessero sangue cristiano; e ciò egli non crede per la semplice ragione che l’Antico Testamento proibisce agli ebrei l’uso del sangue. Quella opinione dunque vale quanto questa ragione. In ogni modo egli non crede ad un determinato scopo del delitto rituale, l’antropofagia. Ritiene che certi signori abusino di simili accuse per fare man bassa sulle persone e sui beni degli ebrei; ed egli lo proibisce. Aggiungiamo pure ch’egli non fosse portato a credere in blocco ai delitti rituali e simili. Ma il meno che si possa dire è questo: Innocenzo IV non dichiara i giudei innocenti, permanentemente e in massa, da delitti di odio religioso contro i cristiani.
Tanto più ciò è da dirsi perchè il Vicecancelliere della Santa Chiesa, Marino d’Eboli, preparava in quel tempo il Formularium, cioè le minute delle lettere ed altri atti di cancelleria, come abbiamo visto Bernard Guy fare per l’Inquisizione. Si tratta della riproduzione di documenti autentici ai quali si tolgono i nomi proprii e si conservano come schemi di minute pei casi analoghi. Ora nel Formularium suddetto troviamo una formola per il nostro caso: Contra judaeos crucifigentes puerum. E la minuta è analoga al pensiero di Innocenzo IV in quanto a tale martirio non attribuisce lo scopo di mangiare il cuore o bere il sangue del fanciullo cristiano, sibbene il fine di recare nuova ingiuria a Cristo nel suo innocente fedele. Per Innocenzo IV va aggiunta la ovvia osservazione che erano ancora mancati i casi di regolari e controllati processi come quello di Andrea da Rinn (1462) e quello di Simoncino da Trento (1475) che s’imposero anche al dubbio sistematico del Cardinale Ganganelli, come vedremo or ora.
Gregorio X - con la Bolla del 7 ottobre 1272 - stabilisce che la testimonianza di cristiani contro gli ebrei non valga se almeno un giudeo non faccia testimonianza con loro. «Perchè avviene qualche volta che cristiani perdano i loro figli, e che gli ebrei siano accusati dai loro nemici di rubare e uccidere fanciulli cristiani, e di servirsi del loro cuore e del loro sangue pei sacrificii; che i padri di fanciulli cristiani od altri cristiani, rivali degli ebrei, nascondano quei fanciulli per poter accusare gli ebrei ed estorcere loro denaro per mezzo di vessazioni; ed affermino falsissimamente che gli ebrei hanno rubato ed ucciso quei fanciulli per servirsene del cuore e del sangue di questi per i sacrifizii, mentre che la loro legge proibisce ad essi precisamente ed espressamente di mangiare e bere il sangue, e perfino mangiare la carne d’animali che non hanno le unghie fesse. Un gran numero di ebrei è stato parecchie volte preso e imprigionato contro giustizia in occasione di simili imputazioni. Noi decretiamo che i cristiani, in tale caso, non debbano essere intesi contro gli ebrei; che gli ebrei così incarcerati sotto un frivolo pretesto siano resi alla libertà e non siano più catturati sotto quel frivolo pretesto, a meno che, il che noi non crediamo, essi siano presi in flagrante delitto» (Stern, n. 1; Straok, p. 181).
Bella riedizione, riveduta ed aumentata, della presunta Bolla d’Innocenzo IV di cui ora parlammo. Anche questo nuovo documento non figura nei Degesta officiali di Gregorio X; se ne ha un tardivo riassunto in una lettera del conte di Savoia, 20 luglio 1329 (di cui la copia è all’archivio di Torino) ed una copia del XVI sec. ad Innsbruck. Ma questa volta l’ebreo ispiratore ha troppo contato sul successo della presunta Bolla d’Innocenzo, ed ha calcato troppo la mano, segno digitale molto israelitico. Difatti come può credersi che un Papa, ed un Papa del Medioevo, stabilisca questa strabiliante norma di diritto: per un’accusa contro gli ebrei, non vale la testimonianza di cristiani ma solo quella di ebrei (giacché ciò significa il dire: se non si unisce loro un israelita): e per l’accusa di un delitto che solo segretissimamente si può organizzare o compiere, non si procederà all’arresto se non quando l’ebreo sarà colto sul fatto ... No, chi ha scritto quel documento non fu il Papa, ma un rabbino.
[Dalle numerose note: Gregorio X ha ordinato nel 1274 non una bolla ma la copia di quella del suo antecessore. Ed è probabilissimamente giuocando su tale fatto, che il falsario ha composto l’apocrifa Bolla gregoriana con elementi innocenziani come la citazione dell’Antico Testamento].
Già le cosiddette Bolle d’Innocenzo IV e di Gregorio X Ci mostrano la mano ebraica che, in epoca favorevole - per la difficoltà di controllo - ai falsi documentarii, inventava la propria giustificazione ponendovi il sigillo di San Pietro. Di questo sforzo israelitico per farsi del Papa un impressionante difensore, con ogni mezzo purché non onesto, abbiamo ora la prova solenne dataci da un Pontefice.
Martino V. Siamo in piena Rinascenza, momento buono per gli ebrei che avanzavano già visibilmente verso l’odierna egemonia mondiale. Non è dunque più il caso di falsificare Bolle; si tenti di estorcerne d’autentiche. La Roma che presto vedrà la congiura dell’Accademia e degli Abbreviatori e la simonia borgiana, è buon terreno per l’israelita medico ed astrologo, il quale cerca qualcuno con maggior ricchezza d’influenza che non di scrupoli, per strappare al Papa una Bolla judeofila.
La Bolla del 20 febbraio 1422 narra avere gli ebrei presentato al Pontefice i loro lamenti perchè certi predicatori insegnavano esser proibito ai cristiani, sotto pena delle censure, di aver relazioni con loro; perchè circolavano rumori odiosi, dovuti ai pregiudizi od alla malizia, accusanti gli ebrei di avvelenare le sorgenti in tempo di mortalità e di mescolare sangue cristiano ai loro azimi; il popolo, così eccitato, li maltrattava. Esposto ciò, Martino V proibisce ai predicatori di emettere le suddette proibizioni; anzi: «Noi vogliamo che i cristiani trattino gli ebrei con umanità e dolcezza, e non li offendano nelle loro persone e ne’ loro beni; che ebrei e cattolici possano aver mutue relazioni e farsi un reciproco scambio di servigi». Inoltre, egli riconfermava i privilegi ebraici e determinava i loro giudici ordinari.
Come nota il Vernet (p. 424), Martino V non parla del delitto rituale ma dall’insieme mostra di non crederci. Noi diremo che la Bolla così benevola (più per il tono generale che per le disposizioni prese una ad una) verso Israele, non osa ripetere il vacuo argomento delle false Bolle d’Innocenzo IV e di Gregorio X contro il delitto rituale. Quello che fa impressione nella Bolla non è certamente l’ordine di non eccitare le masse contro il ghetto e di trattare con carità cristiana il prossimo circonciso - tutte cose conformi alla morale cristiana e perciò degne dell’insegnamento pontificio -, ma il tono troppo difensivo, quasi dichiarante l’innocenza sociale d’Israele fino a raccomandare, indirettamente, gli affari del commercio e della banca ebraica.
Ma tutto è spiegato ... da Martino V. Con la sua Bolla del 1° febbraio 1423, cioè appena un anno dopo, il Papa dichiara di ritirare la Bolla precedente perchè egli l’aveva ordinata e pubblicata importunato e circonvenuto, sicché la Bolla precedente gli era stata estorta. E la spinta antisemita dell’opinione pubblica era tale, che la ridata libertà ai predicatori poté essere abusata da alcuni; onde nuove pressioni ebraiche e nuova Bolla del 13 febbraio 1429 con cui si proibisce ai predicatori di abusare della predicazione contro gli ebrei, ed al popolo di maltrattare questi ingiustamente: e nulla di più equo di ciò. Il 2 novembre 1447, Martino V accordò la sua protezione agli ebrei maltrattati; in tale documento egli segnala la falsa accusa che gli ebrei non potessero non celebrare, e di fatto non celebrassero certe feste religione senza avere il fegato od il cuore d’un cristiano.
Basta aver considerato serenamente i precitati documenti per constatare le varie persone morali che intervengono in tali vicissitudini. L’una, la Sinagoga, ci mostra la versatile quanto tenace pressione sulla Santa Sede per averne documenti che servissero a sua giustificazione, giocando abilmente sulle espressioni e trasportando arbitrariamente a tesi assolute e generali le parole papali che riguardavano fatti e questioni occasionali. Per avere tali documenti da sfruttare la Sinagoga adopra ogni mezzo, dalla falsificazione della Bolla di Gregorio X all’estorsione di quella di Martino V. Dall’altra parte la Chiesa, memore sempre della carità e del perdono insegnati da Cristo, cerca di calmare gli animi esacerbati, e coglie volentieri, a tale scopo, punti particolari da negare: esempio tipico, fra tanti, quello di Martino V che smentisce l’accusa specifica: esser necessario per il rito ufficiale di certe feste ebraiche il fegato od il cuore dì un cristiano - affermazione che, posta così, è evidentemente falsa quanto anodina per la questione fondamentale del delitto ebraico. In mezzo a queste due dramatis personae si muovono l’ingenuità degli uni, l’astuzia degli altri, l’opportunismo di terzi, oltre - e non sono da prendere a gabbo - certi momenti politico-economici in cui si trova impigliato un regime e chi lo impersona, momenti che impongono atti di prudenza politica.
[Dalle numerose note: Soltanto come parallelo storico a meglio comprendere col fatto odierno i fatti antichi, rammentiamo il colpo di mano fatto da notabili ebrei nel 1913 in occasione del processo Beylis. Si domandò dai capi ebrei con grande formalità alla Santa Sede se erano autentiche la nota Bolla d’Innocenzo IV e la relazione del cardinale Ganganelli di cui ora c’intratterremo. La Santa Sede rispose - per la Bolla innocenziana, rimettendosi al giudizio degli storici competenti, - e per il rapporto Ganganelli, che, consultato l’archivio, si era verificata l’autenticità di quello. La risposta testuale della Santa Sede fu pubblicata dalla stampa di quel tempo; onde non v’è dubbio sulla portata del documento pontificio. È d’una evidenza solare ch’esso non entrava affatto nella questione del delitto rituale: anche se la Bolla innocenziana fosse vera, essa (lo abbiam visto) non dirime la questione per il passato e tanto meno per l’avvenire cioè per processi come quelli dei beati Andrea da Rinn e Simoncino da Trento; e quanto al rapporto Ganganelli, esso è l’esposizione del giudizio personale di un porporato (e non già di un papa) che negando essere provati tanti delitti rituali, conveniva nella realtà storica di quelli dei due Beati suddetti. Ebbene, quella risposta della Santa Sede fu subito sfruttata dagl’interessati per ostentarla come una nuova conferma (sic) della negazione assoluta della esistenza del delitto rituale da parte della Santa Sede. E la campagna fu tale, da farvi cadere dei buoni cattolici, incorreggibili nella loro parte di dupes. Un buon giornale cattolico di Parigi (ci si perdoni quest’altro particolare, ma esso dà la misura esatta del successo di tante campagne ebraiche), pubblicò un articolo ditirambico il quale concludeva come Israele dovesse avere imperitura gratitudine per Pio X distruttore per sempre della leggenda del delitto rituale che pesava da secoli sulla Sinagoga. Proprio così. E chi sa quanti buoni lettori del buon giornale ne avranno accettato candidamente il punto di vista. Un tale fatto, compiutosi sotto i nostri occhi, ci fa ben comprendere quanto possa essere avvenuto intorno alle sopradescritte Bolle, apocrife od autentiche, da Innocenzo IV a Martino V: l’insistente furberia ebraica, certe debolezze personali e di ambiente ed un certo candido ottimismo nel mondo cattolico sono fenomeni fissi come certi personaggi della commedia classica che cambiano di nome e di panni, secondo le varie commedie, ma il loro tipo, la dramatis persona, resta sempre la stessa].
Ed ora sopravviene la questione del delitto rituale di cui fu vittima il già nominato beato Simoncino da Trento. Sisto IV intervenne ripetutamente in tale questione, con Lettere del 10 ottobre 1475. Egli sospende il culto già prestato al martire fanciullo «per judaeos, ut dicitur, interfecto» perchè, a suo giudizio, ancora nulla era definitivamente constatato in proposito: il Papa si pronunzierebbe dopo il rapporto del commissario da lui mandato a Trento. Dopo il processo fatto da Giovanni Hinterbach Vescovo trentino, concludente per il delitto rituale, il commissario pontificio istituì un secondo processo, concludendo che la cancelleria del tribunale vescovile aveva commesso dei falsi. Viva agitazione contro questa dichiarazione in cui l’opinione pubblica dové scorgere i trenta denari. Allora il Papa ordinò un terzo processo a Roma dopo del quale egli purgò con dichiarazione del 20 giugno 1478, il processo vescovile dalla calunnia del commissario, dichiarando quel processo «rite et recte factum»: ma non approvò ancora il culto del beato Simoncino. Paolo III, favorevole (come altri Papi della Rinascenza) agli ebrei, pubblicò la Bolla del 12 maggio 1540 ove dichiarò aver saputo con rincrescimento, da un ricorso degli ebrei d’Ungheria, Boemia e Polonia, che questi erano vittime di nemici fanatici o cupidi dei loro beni, i quali li accusavano di delitti enormi e specialmente di quello rituale.
Ma la rivendicazione del martire trentino s’imponeva a tutti i diversivi escogitati dalla Sinagoga; e nel 1584 si pubblicava, per ordine di Gregorio XIII, il Martyrologium Romanum (controllato dal competentissimo Baronio) ove si legge al 24 marzo: «Tridenti, passio sancti Simeonis pueri a judaeis saevissime trucidati, qui multis postea miraculis coruscavit». Così gli stessi tentativi per soffocare il processo di Trento confortano la solidità storica del fatto sancito da Roma. Con la Bolla dell’8 giugno 1588, Sisto V ratificò per la città e diocesi di Trento, il culto reso al beato Simone in seguito alla domanda del clero trentino il quale aveva rammentato come Simone fosse stato martirizzato dagli ebrei nella nota forma per derisione del Crocifisso.
Come per il b. Simone, la Chiesa Romana rivendicò il martirio del b. Andrea da Rinn. Benedetto XIV ne confermò il culto per la diocesi di Bressanone (ufficio e messa, il 15 dec. 1753; indulgenza plenaria ai visitatori delle reliquie nel giorno della festa, 13 gen. 1754). - E come nel suo «De servorum Dei beatif., etc.» aveva già ammesso la realtà dei delitti perpetrati dai giudei in odio a Cristo ed alla fede cristiana [O. c. libro I, XIV, 4; III, V, 6; IV, parte 2.a, XVIII, 16; ed. Prato 1839-41, t. I, p. 84, III, 132, IV, 575 (nota di Vernet)], - così nella sua Bolla sul martire di Rinn («Beatus Andreas», 22 feb. 1755) quel Papa, tanto erudito quanto poco portato al cosiddetto fanatismo, dichiara apertamente di ritenere storici i fatti «de puero aliquo, majori hebdomada, ab hebraeis in contumelia Christi necato ; tales namque sunt bb. Simonis et Andreae, nec non pene multorum ex iis quos auctores commemorant, puerorum neces» (Bullarium, t. IV. p. 114).
E qui giungiamo al Cardinale Ganganelli, futuro Clemente XIV. Nel 1756 gli ebrei di Polonia, accusati di un delitto rituale e perciò malmenati, domandarono a Benedetto XIV di far egli il loro processo. Il Papa rimise la cosa al S. Officio; e gli ebrei ebbero la fortuna di avere per relatore il Cardinale Ganganelli uomo alienissimo dal suddetto «fanatismo». Difatti il cardinale relatore presentò il 21 marzo 1758 al tribunale del S. Officio un rapporto in cui di tutti i delitti rituali imputati sin allora agli ebrei, egli non riteneva per veri che quelli di Rinn e di Trento, le cui vittime furono uccise «in odio alla fede cristiana». L’originale esiste nell’archivio del S. Officio [Episodio curiosissimo di questo rapporto, di per sé segreto come tutte le carte del S. Ufficio: non se ne era mai trovata copia, finche l’ebreo dott. Berliner la trovò … presso la comunità ebraica di Roma. Poi Stern ne trovò copia presso gli ebrei di Mantova, e i documenti allegati li rinvenne presso gli ebrei di Verona. Evidentemente erano riusciti ad averne la copia da qualche addetto al servizio del cardinale Ganganelli]. La sentenza della S. Sede, 24 sett. o dec. 1759, adottò giuridicamente la conclusione del cardinale relatore. Cosicché quel momento storico della secolare polemica, sul quale tanto chiasso fece la difesa ebraica del 1913, ha un punto fuori contestazione: perfino Benedetto XIV ed il cardinale Ganganelli hanno creduto storico il martirio dei beati di Rinn e di Trento.
Clemente XIII a due riprese si mostrò contrario alla credenza del sangue cristiano mescolato alla pasta dei pani azimi (9 febbraio 1760 e 21 marzo 1763). Pio VII, il 24 nov. 1803, confermò un Decreto della S. Congregazione dei Riti concedente alla Chiesa di Saragozza l’ufficio e la messa del fanciullo martirizzato dagli ebrei, Dominguito de Val, sopra accennato. Il 12 maggio 1807 ne confermò il culto, approvando «lezioni» proprie all’ufficio del Beato, nelle quali si narra che il settenne Domenico, nel 1250, fu ucciso dagli ebrei in odio alla fede, crocifiggendolo ad un muro con chiodi e trapassandolo con una lancia. Il 7 ag. 1807, nuova Bolla per elevare di grado liturgico la festa del B. Domenico. Lo stesso Pontefice autorizzò il culto del fanciullo Cristoforo della Guardia (vedasi l’elenco surriferito) martirizzato dagli ebrei con i supplizi della Passione, come narrasi nell’«ufficio» suo inserito nel breviario dell’Ordine trinitario. Il Papa autorizzò un «officio» proprio per la diocesi di Toledo, cui apparteneva Guardia. Nel 1867, sotto Pio IX, la S. Congr. dei Riti autorizzò il culto del b. Lorenzino di Marostica nella diocesi di Vicenza martirizzato il Venerdì Santo 5 aprile 1485 (vedasi l’elenco). Tale è la serie degli Atti pontifici intorno al delitto ebraico. Sarebbe insano quanto riprovevole negare queste patenti deduzioni conclusionali.
1. La S. Sede, come tale, non ha mai fatto una dichiarazione negante assolutamente il fatto del delitto rituale in qualsiasi senso. Gli stessi documenti che rifiutano il delitto rituale nel caso specifico dell’uso del sangue o di un viscere di cristiano, lo fanno da un punto di vista speciale, cioè o per la ragione astratta che la legge mosaica proibisce l’uso del sangue (la sola conclusione logica è dunque: se gli ebrei lo usassero, agirebbero contro la legge mosaica), oppure negando che gli ebrei non possano fare a meno di quel sangue o viscere per certe loro feste, e che realmente non ne facciano a meno.
2. Ripetutamente, solennemente, la S. Sede ha riconosciuto la realtà storica del delitto implicitamente rituale, cioè dell’assassinio di un fanciullo cristiano in occasione della Settimana Santa, la ripetizione dei supplizii della Passione di Cristo sul corpo del fanciullo, ecc., per fatto di «alcuni giudei», senza che si accusi del delitto tutta quanta la comunità ebraica, la quale in via ordinaria si contenta di dissanguare la borsa dei cristiani, ed organizzare sotto mano ed applicare anche palesemente i massacri cosiddetti rivoluzionarli contro i cristiani, - il che fu magistralmente riassunto dal “chiaroveggente” Pio V nella bolla «Hebraeorum gens» del 26 feb. 1569: «Cognitum satis et exploratum habemus quam indigne Christi nomen haec perversa progenies (degli ebrei) ferat; quam infesta omnibus sit qui hoc nomine censentur; quibus denique dolis illorum vitae insidietur» (M. Bull. Rom. 2.a ed., Lione 167, t. II, p. 277, citaz. di Vernet). E tale mentalità ed opinione della Roma papale apparirà ad ogni onesto e competente studioso come il verdetto della storia.
Conclusione
E del delitto pienamente rituale - uso del sangue o di un viscere cristiano - che cosa resta per la storia? Ci sarebbe caro, per onore della umanità, il poterlo negare positivamente; ma di contro ci stanno due gravi fatti. L’uno è la millenaria accusa dell’opinione cristiana. È facile dire che anche i primi cristiani furono accusati dai pagani di sacrificii umani, ecc. Oltreché quell’assurda accusa si spiega benissimo in un travisamento (ridicolo per noi, facile per quei pagani) del linguaggio cristiano intorno al sacrificio della Messa, sta il criterio fondamentale che in siffatte questioni non può valere la pura e semplice analogia materiale. Ogni caso fa da sé. Ed il caso nostro attraversa i secoli più diversi ed arriva ai nostri giorni col rapporto del conte di Durfort-Civrac al console di Francia, nel 1826, sui fatti di Lattakieh, col processo di Damasco del 1839, ecc. Tutto, tutto falso nel senso rituale che c’interessa? Speriamolo; non possiamo asserirlo. Intanto constatiamo che l’argomento della proibizione del sangue, fatta dall’, non varrebbe per concludere al fatto della nostra questione; la superstizione talmudica ha troppo cambiato ed aggiunto al ceremoniale (nel largo senso della parola) ebraico, per poter far valere l’argomento.
Il secondo fatto che spiegherebbe l’uso del sangue e del viscere almeno a scopo estrarituale, ci viene offerto da certi dati che si adombrano anche nel rapidissimo ed incompleto elenco che sopra abbiamo trascritto. Per esempio l’accusa del 1285 del bambino dissanguato dagli ebrei di Monaco per farne un «rimedio», fa pensare all’antica medicina superstiziosa (fino dalla protostoria noi troviamo lo stregone che è medico) quale venne dall’Oriente barbarico fino al mondo greco-romano. Certi «rimedii» (come per la lebbra guaribile con un bagno di sangue umano) arrivano ai secoli di piena civiltà classica: la falsa leggenda del battesimo romano di Costantino Magno ci racconta ch’egli malato di lebbra fece invano il bagno di sangue innocente, perché Dio gli aveva preparato la guarigione col battesimo di Papa Silvestro. Se tale leggenda è falsissima in sé, essa ci mostra che anche dopo Costantino si credeva alla cura medica dei bagni di sangue.
Gli ebrei medievali ereditarono la medicina orientale e la sua figlia la greco-romana; essi furono i medici riputatissimi del medioevo come furono altresì i professionisti dell’astrologia, dell’alchimia, dell’occultismo, il quale ama il sangue umano. Le ricette magiche a base di questo abbondavano per fatturazioni, divinazioni, ritrovamenti dei misteri della natura, ecc...
Quale meraviglia, dopo ciò, che dei medici-stregoni ebrei, cioè medici astrologi-alchimisti, usassero per le loro tregende il sangue umano? Non ci meraviglieremmo se la storia ci mostrasse qualche cristiano, pazzo criminale, che allora avesse commesso simile enormità. Se questa fosse più frequente tra gli ebrei, ciò si spiegherebbe appunto per la loro specializzazione in quelle «arti»; ed allora si comprenderebbe la realtà sceverata dalla leggenda; e l’analogia dell’accusa pagana contro i cristiani tornerebbe qui opportuna, giacché l’analogia in tale caso sarebbe non solo materiale ma morale. Come i pagani udendo confusamente, e grossolanamente fraintendendo, il frasario cristiano del «sacrificio» del Golgota ripetuto nella Messa, e del «cibo» e della «bevanda» eucaristici, credettero al delitto rituale ed all’antropofagia cristiana, così il fatto ripetuto di sangue estratto dagli ebrei a bambini cristiani (v’è nei casi citati dall’elenco, perfino un padre cristiano che vende agli ebrei il sangue del figlio, purché glielo rendano vivo), venuto a cognizione della massa, fu da questa interpretato come delitto rituale nel noto senso, mentre lo era in un altro. Tanto più che la scelta di bambini cristiani da dissanguare era naturale per gli ebrei, i quali come non volevano sacrificare i loro, così tanto più volentieri lo facevano coi figli degli abborriti cristiani.
Si noti bene che tale ipotesi, giustificabile dall’ambiente assoluto e comparato, servirebbe a dare spiegazione meno odiosa all’uso del sangue cristiano per conto degli ebrei, uso che - lo ripetiamo - sarebbe arduo assolutamente negare dopo tante accuse precisate attraverso i secoli, varie nel senso (qualche volta è confessato lo scopo del «rimedio», altre volte è posta l’accusa diretta del rito) ma tutte convergenti al fatto materiale dell’uso ebraico del sangue cristiano. Ecco le ragioni che ci vietano di credere assolutamente esaurita in senso negativo la questione angosciosa del delitto propriamente rituale.
Mons. Umberto Benigni (Sodalitium Pianum), copia anastatica di «Storia Sociale della Chiesa» 5/7, ed. C.L.S., Verrua Savoia, 2018, volume IV, tomo 1, dalla pagina 369 alla pagina 387. Riposi in pace …