Limbus. I teologi in tendono per  Limbo due diversi luoghi sotterranei. Il primo è quello in cui le anime dei Patriarchi, dei Profeti, dei giusti tutti dell’Antica alleanza o Testamento, morti nella fede del futuro Salvatore e nella carità, sicure della loro liberazione e della beata gloria celeste riposavano quietamente e senza dolore, aspettando il compimento dell’opera dell’umana redenzione, e che non potevano entrare in Paradiso e nel Cielo, prima che Gesù Cristo con la sua Risurrezione e Ascensione ne aprisse le porte, dove non poteva entrare nessuno prima di lui. Questo luogo chiamasi nella Sacra Scrittura Seno di Abramo e questo è propriamente quell’inferno dove l’anima di Gesù Cristo discese dopo la morte e si trattenne fino alla sua Risurrezione, per consolare quei santi, per annunziare il fine della loro schiavitù, e assicurare loro che li avrebbe condotti seco in trionfo nel Cielo. Zaccaria, IX: «(…) e tu stesso, mediante il sangue del tuo Testamento, hai fatto uscire i tuoi ch’erano prigionieri».

Secondo l’opinione di Sant’Agostino, «Epistola 164», cap. 2, p. 3, Gesù Cristo in questa sua di scesa liberò dai tormenti del Purgatorio anche quelle anime, che secondo la Sua sapienza e giustizia giudicò degne di èssere liberate. Si chiamò questo  Limbo il Seno di Abramo, perchè Abramo fu il più accetto a Dio fra tutti gli altri Patriarchi, e costituito altresì padre di tutti i credenti; di maniera che coloro i quali imitano la sua fede e la sua obbedienza verso Dio, dicesi che riposano nel Seno di Abramo, cioè nel luogo in cui riposava egli medesimo prima, ed in quello (il Paradiso, ndr.) in cui riposa ancora in oggi cogli altri santi.

Non si legge il nome di  Limbo, né nella Sacra Scrittura, né negli antichi Padri, ma soltanto quello di Inferni, Inferi, i luoghi bassi. Dicesi nel «Simbolo», che Gesù Cristo descendit ad Inferos; San Paolo, Eph. IV, 9, dice che Gesù Cristo «discese nelle parti inferiori della terra». Nella stessa maniera si sono espressi tutti i Padri. In questo senso è vero il dire che i buoni e i malvagi erano agl’Inferi quando vi discese Gesù Cristo; non segue però che tutti fossero stati nello stesso luogo, molto meno che tutti abbiano sofferto gli stessi tormenti.

Nella sera del Venerdì santo 1846, per la solenne adunanza d’Arcadia in Roma, monsignor Antonio Cioja, commendatore emerito di Santo Spirito, reggente della cancelleria etc… tolse ad argomento della prosa, la discesa di Gesù Cristo all’Inferno. Con bella erudizione e con vivacissime poetiche immagini riferendo il pieno ed esatto adempimento di tutto ciò che i Profeti avevano vaticinato intorno al venturo Messia, dimostrò come l’Uomo-Dio dopo di essere spirato sulla Croce, vincitore della colpa e della morte, si presentasse in terribile aspetto ai demonii, che lo riconobbero pel Verbo divino rivestito di carne umana: e come poi passando a rallegrare di sua sospirata presenza le anime dei santi Padri nel Limbo, le conducesse con esso Lui in trionfo, e della Sua beatifica visione le rendesse perpetuamente felici.

Nella parabola del ricco empio, san Luca XVI, 26, si dice che tra il luogo dov’erano Abramo e Lazzaro, e quello in cui pativa l’empio ricco, vi era un immenso vuoto che impediva di poter passare da un luogo all’altro. Anche i Padri hanno avuto la cura di distinguere espressamente queste due parti degli Inferi. Vedi Petavio, «Teologia dogmatica», tom. IV, 2 p. 1, 13, c. 18, § 5. Questo primo luogo - il Seno di Abramo, ndr. - chiamasi ancora Limbus patrum. II secondo luogo, che chiamasi  Limbo o Limbus puerorum, è quello in cui vanno i bambini morti senza battesimo, i quali non possono entrare nel Cielo a motivo del peccato originale. Pensano alcuni teologi che i fanciulli morti senza battesimo siano nel  Limbo o nello stesso luogo dove le anime dei Patriarchi attendevano la venuta di Gesù Cristo: ma questa congettura non può accordarsi col sentimento di Sant’Agostino e degli altri Padri, i quali sostennero, contro gli eretici Pelagiani, che tra il soggiorno dei beati e quello dei dannati non vi è alcun luogo di mezzo pei fanciulli; per altro poco importa, dice il Bergier, in qual luogo sieno questi fanciulli, purché non soffrano il castigo e i supplizi dei reprobi.

Deve tenersi per fede cattolica, che i fanciulli che muoiono senza il battesimo, sono assolutamente privati perpetuamente della celeste e della naturale beatitudine; così san Roberto Bellarmino, «Controversie» t. IV, cap. 4, della perdita della grazia e stato di peccato, 1. V, cap. 2; così il Concilio di Firenze, «Decreto d’unione». La “dannazione” di essi (dei bambini morti senza battesimo, ndr.) certamente consiste nella privazione della beatifica visione di Dio, della beatitudine soprannaturale, di ciò che propriamente dicesi Paradiso. La Chiesa ha sempre inteso così queste parole di Gesù Cristo: «Chi non rinascerà per mezzo del l’acqua e dello Spirito Santo, non può entrare nel regno dei cieli», san Giovanni e. III, 3 seg.. A tale privazione, che si dice pena di danno, va di conseguenza quella della beatitudine naturale.

La beatitudine naturale dell’anima importa il perfezionamento dell’intelletto, per cui si rende capace di aver perfetta cognizione di tutte le verità naturali e specialmente di Dio, come autore della natura, onde a Lui stia naturalmente unita la volontà. Non potendo le anime dei bambini (morti senza battesimo, ndr.) conseguire questo perfezionamento per via di studio e di fatica, non resterebbe che averlo per mezzo della scienza divinamente infusa. Ma questa non può ottenersi da quelle anime, le quali, attesa la macchia abituale del peccato originale, sono, come vogliono le parole di san Paolo agli Efesini, II, v 3, per natura figli dell’ira, e rimangono abitualmente in uno stato di avversione negativa a Dio, come esprimesi san Roberto Bellarmino. Fino a qual punto Dio faccia conoscere a quelle anime la grandezza del bene di cui son private per sempre, e fino a qual grado soffrano pene per tal privazione, dicono i teologi essere questo un segreto per noi. Secondo le loro opinioni, possiamo a ragione credere che ne siano assaissimo meno afflitte di quelle che ne sono prive per colpa personale. Parimenti se le anime di quei fanciulli vadano anche soggette a pene di senso, come quella del fuoco, o siano queste più o meno intense, dichiarano i teologi che la Chiesa non lo ha deciso, e permette che ciascuno si attenga a quella opinione che gli sembra più plausibile.

Molti santi Padri, con san Tommaso distint. 39, q. 2, art. 2; e molti celebri scrittori, con Papa Innocenzo III, lib. III decret., tit. De baptis., cap. majores; Papa Benedetto XIV, De festis, lib. I, cap. 8, n. 12; e Jacques Bénigne Bossuet lett. 201 a Papa Innocenzo XII, tengono la sentenza negativa (= le anime dei bambini morti senza battesimo non sono soggette a pene di senso, ndr.) che è la più comune. Anche sant’Agostino, benché alcuni abbiano creduto che opinasse per la pena del senso, esprime sentenza dalla quale si può dedurre ch’egli s’indusse a tenere l’opinione negativa, dicendo nel lib. V, cap. 8 «Contro Giuliano»: «Chi dubiterà che i fanciulli non battezzati sieno per essere in una dannazione più leggiera di tutte? Benché io non possa definire quale e quanta sarà, non ardisco però dire che ad essi torni meglio il non avere esistenza, che averla nello stato in cui sono». Il godimento della visione beatifica di Dio, da cui procede anche il perfezionamento delle facoltà spirituali, non è dovuto certamente ad alcun uomo per ragione di sua natura, ma è una liberalità del tutto misericordiosa di Dio, meritataci da Gesù Cristo. Chi per il solo peccato di origine, attesa la mancanza del battesimo, ne resta privo, soffre veramente la perdita di un bene immenso, ma dalla parte di Dio non riceve alcuna ingiustizia. Concludono i teologi, che la censura che si volesse portare su questa massima, non sarebbe a buona ragione contro la Chiesa che la ritiene e la insegna, ma ricadrebbe sopra Dio che l’ha rivelata. Vedi Pompeo Sarnelli, «Lettere ecclesiastiche», tom. III, lett. XLIII, Del peccato originale; e de’ bambini che muoiono con esso.

Sul  Limbo dei fanciulli, e differenti opinioni sullo stato di essi, si può consultare Domenico Bernini, «Historia di tutte l’eresie», secolo V, cap. I. Da ultimo Papa Pio VI nella condanna delle proposizioni contenute negli atti e decreti del Sinodo di Pistoia, dichiarò falsa, temeraria, ingiuriosa alle scuole cattoliche, la sentenza della pena di quelli che muoiono col solo peccato originale. Della massima cattolica sullo stato degli infedeli dopo la morte; e quale sia il senso di questa massima cattolica: fuori della vera Chiesa non vi è salute, se ne tratta agli articoli Infedele e Settario. [Massima spiegata con erudizione e semplicità da Papa Pio IX nella «Quanto conficiamur», ndr.]. Del resto il nome di  Limbo, per indicare il soggiorno particolare delle anime, fu consacrato nel linguaggio dei teologi dopo san Tommaso d’Aquino.  Limbo è messo come l’orlo o l’appendice dell’Inferno, Limbus inferorum, dal Du Cange (Charles du Fresne, ndr.) nel «Glossarium». Il Macri dice che limbus era quel pezzetto di drappo che solevasi cucire nella parte anteriore e posteriore del camice, ed anche nell’estremità delle maniche, usanza che si osserva ancora nella Chiese romana, ambrosiana ed altre, ed in molti ordini e congregazioni religiose.

Dal «Dizionario di erudizione storico ecclesiastica», volume XXXVIII, pagine 215-218, Gaetano Moroni Romano, Venezia, 1846.