Mi trovavo ospite in una residenza missionaria, sperduta tra selve di cocchi, incorniciata in un favoloso scenario di Oriente. Stavo godendomi sulla riva del fiume la fresca brezza che spirava dal mare. Ad un tratto, levando gli occhi, scorsi una piroga che si dirigeva faticosamente verso di me. Attraccò alla sponda poco lungi dall’imbarcatoio. Ne scese un uomo sparuto, macilento, dall’aspetto sofferente e il corpo grossolanamente fasciato. Si fermò sulla riva a chiedere con voce lamentevole l’elemosina per il compagno immobilizzato nella barca. Erano due lebbrosi. Vincendo un naturale senso di ripugnanza mi accostai a quei disgraziati. Sdraiato sul fondo sconnesso della barca giaceva un povero essere: magro, stecchito, sfinito dal male, avvolto in fetidi stracci. Il terribile male lo aveva completamente sformato; più che un uomo sembrava un mostro. Le mani erano ridotte a due informi moncherini, i piedi mancavano di tutte le falangi, il naso era quasi completamente corroso e la bocca ridotta a un ammasso di carne purulenta e puzzolente. Stavo per allontanarmi raccapricciato, inorridito, quando vidi giungere il missionario. Si accostò fin quasi a sfiorare quei ruderi umani, porse loro con dolce sorriso l’elemosina e prese a parlar loro di un regno che non avrà più fine, di un regno ove anche i corpi dei lebbrosi risorgeranno perfetti, gloriosi... Un sorriso ingentilì, forse per la prima volta, il viso di quei poveri tapini. Come avete fatto a resistere, Padre? — chiesi quando quei due disgraziati si furono allontanati. Sono abituato a questa malattia e anche ad altre peggiori... — Come?! ci sono malattie ancora più terribili della lebbra? — Si, mio caro: il peccato in un’anima!
Un giorno Dio manifestò miracolosamente a Santa Caterina la bellezza e la grandezza d’un’anima in grazia di Dio. La Santa la trovò così splendente e sfolgorante che la scambiò per Dio stesso e stava per prostrarsi ad adorarla. Entrato il peccato, quella sovrumana bellezza si muta in ripugnante deformità: l’anima diviene come un cadavere in decomposizione, brulicante di vermi. Nerone in una notte perdè giuocando un milione di sesterzi. La madre Agrippina per fargli comprendere l’enormità della perdita gli fece trovare al mattino sopra il tavolo tale somma in monete d’oro; — Ecco — gli disse — ciò che ti è costato il piacere di questa notte!
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Per inviare una donazione Cliccare qui. «Nessuno al mondo vorrà mai ammettere di essere avaro! Tutti negano di essere contagiati da questo tarlo che inaridisce il cuore. Chi adduce a scusa il pesante fardello dei figli, chi la necessità di crearsi una posizione solida... Quelli poi che sono avari più degli altri, non ammetteranno mai di esserlo, e il bello è che, in coscienza, sono proprio convinti di non esserlo! L’avarizia è una febbre maligna, che più è forte e bruciante e più rende insensibili» (San Francesco di Sales, «Filotea»). Per scaricare il PDF cliccare qui.
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