Il primo mezzo è lo studio delle antiche lingue orientali e della cosiddetta arte critica. Essendo oggi tenuta in grande conto ed onore la conoscenza di entrambe le discipline, ne consegue che il clero che ne sia fornito, con una scienza più o meno profonda secondo i luoghi e gli uomini con cui abbia a che fare, meglio potrà sostenere il suo prestigio e il suo ufficio, dovendo egli «farsi tutto a tutti» [1 Cor. 9,22], sempre pronto a «dar soddisfazione a chiunque domandi ragione della speranza che è in lui» [1 Pt. 3,15]. È dunque necessario per i docenti di sacra Scrittura e conviene ai teologi la conoscenza profonda delle lingue nelle quali i Libri canonici furono originariamente composti dagli agiografi. Sarà pure ottima cosa se i discepoli della Chiesa coltiveranno tali lingue, specialmente coloro che aspirano ai gradi accademici in teologia. Occorre anche curare che nelle accademie, cosa che lodevolmente si fa già in molte di esse, si impartiscano lezioni anche di altre lingue antiche, specialmente semitiche, e di quelle materie che con esse hanno relazione, soprattutto per coloro che vengono designati per l’insegnamento delle sacre Lettere. Questi poi, per lo stesso motivo, dovranno essere più dotti e più esercitati nella vera scienza dell’arte critica. Ingiustamente infatti, e con danno della religione, si introdusse l’artificio coonestato (Dare parvenza di onestà a ciò che in realtà è disonesto, utilizzando argomentazioni cavillose o false, ndR) dal nome di alta critica, secondo la quale, in base a sole ragioni interne, come essi dicono, dovrebbero scaturire l’origine, l’integrità, l’autorità di ogni libro. È chiaro, invece, che nelle questioni storiche, come sono l’origine e la conservazione dei libri, valgono sopra tutte le testimonianze storiche, e che queste soprattutto debbono essere raccolte ed investigate con la maggior diligenza possibile; mentre le ragioni interne, il più delle volte, non sono poi di così grande importanza da poter essere chiamate in causa, se non per una certa conferma delle altre.

Agendo diversamente ne conseguiranno di certo grandi inconvenienti. I nemici della religione, infatti, prenderanno sempre più ardire nell’assalire e combattere l’autenticità dei Libri sacri: quello stesso genere di critica più sublime ch’essi praticano, si ridurrà infine a tal punto da lasciare che ognuno segua, nell’interpretazione, la propria propensione, la propria opinione pregiudicata. Di qui ne viene che non si otterrà né il lume richiesto per l’intelligenza delle sacre Scritture, né alcun vantaggio per la dottrina, ma al contrario apparirà quel sicuro contrassegno di errore, che è la varietà e la dissomiglianza dei modi di pensare, come già ne fanno fede gli stessi principali assertori di questa nuova scienza. Di qui pure ne verrà che, essendo i più impregnati di una vana filosofia e delle dottrine del razionalismo, non esiteranno a rimuovere dai sacri Libri profezie, miracoli, e tutto ciò che supera l’ordine naturale. Prosegue ...

 Leone XIII, «Providentissimus Deus». Difesa contro gli errori moderni. Integrità dei libri sacri