Ora si consideri un poco la libertà di parola e ciò che piace esprimere per mezzo della stampa. È appena il caso di dire che questa libertà non può essere un diritto se non è temperata dalla moderazione ed esorbita oltre la misura. Infatti il diritto è una facoltà morale: come dicemmo e come dovremo più spesso ridire, è assurdo pensare che essa sia concessa dalla natura in modo promiscuo e accomunata alla verità e alla menzogna, alla onestà e alla turpitudine. La verità e l’onestà hanno il diritto di essere propagate nello Stato con saggezza e libertà, in modo che diventino retaggio comune; le false opinioni, di cui non esiste peggior peste per la mente, nonché i vizi che corrompono l’animo e i costumi, devono essere giustamente e severamente repressi dall’autorità pubblica, perché non si diffondano a danno della società. Gli abusi dell’ingegno sregolato, che si risolvono in oppressione delle moltitudini ignoranti, devono essere repressi dall’autorità delle leggi non meno che le offese recate con la forza ai più deboli. Tanto più che una gran parte di cittadini non può affatto – o talvolta lo può con estrema difficoltà – guardarsi dai sofismi e dagli artifici dialettici, soprattutto se blandiscono le passioni. Concessa a chiunque illimitata libertà di parola e di stampa, nulla rimarrà d’intatto e d’inviolato; non saranno neppure risparmiati quei supremi e veritieri principi di natura che sono da considerare come un comune e nobilissimo patrimonio del genere umano. Così oscurata a poco a poco la verità dalla tenebre, come spesso accade, facilmente prenderà il sopravvento il regno dell’errore dannoso e proteiforme. Perciò quanto più la licenza avrà spazio, tanto maggiore danno avrà la libertà; tanto più sarà ampia e sicura la libertà, quanto più efficaci i freni alla licenza. Invero, ove natura non si opponga, è concesso, su questioni opinabili permesse da Dio alla discussione degli uomini, esprimere liberamente ciò che piace e ciò che si sente; infatti una tale libertà non conduce mai gli uomini a conculcare la verità, ma semmai ad indagarla ed a rivelarla. Su quella che è chiamata libertà d’insegnamento occorre esprimere un giudizio non diversamente motivato. È fuor di dubbio che solo la verità deve informare le menti, poiché in essa sono posti il bene, il fine e la perfezione degli esseri intelligenti; quindi la dottrina non deve insegnare altro che la verità, tanto a chi la ignora quanto a chi la conosce, in modo che al primo rechi la conoscenza del vero, nell’altro la conservi. Per questo motivo è stretto dovere degli insegnanti svellere l’errore dalle menti e con validi argomenti sbarrare la via alle opinioni fallaci. Pertanto appare del tutto contraria alla ragione e predisposta a pervertire totalmente le menti quella libertà, cui si riferisce il nostro discorso, in quanto essa pretende per sé il diritto d’insegnare secondo il proprio arbitrio; licenza che il pubblico potere non può accordare alla società senza venir meno al proprio dovere. Tanto più che l’autorità dei maestri ha molta influenza sui discepoli, e raramente l’alunno può giudicare in modo autonomo se sia vero ciò che il maestro insegna. Perciò occorre che anche questa libertà, per essere giusta, sia circoscritta da precisi confini, affinché non accada impunemente che l’arte di insegnare si trasformi in veicolo di corruzione. Inoltre la verità, a cui deve unicamente mirare la dottrina degli insegnanti, è di due specie: naturale o soprannaturale. Le verità naturali, quali sono i principi di natura e quelli che da essi la ragione deduce, sono come il patrimonio comune del genere umano. Su di esso, come su solidissime fondamenta, poggiano la morale, la giustizia, la religione e la stessa coesione della società umana, e perciò nulla vi è di tanto empio e di tanto stolidamente inumano, quanto permettere che quel patrimonio sia violato e dilapidato impunemente. Né va conservato meno devotamente il prezioso e santissimo tesoro di quelle realtà che conosciamo per rivelazione divina. Con numerosi e limpidi argomenti che gli Apologeti usarono spesso, si possono stabilire certi punti essenziali che sono quelli divinamente rivelati da Dio: l’Unigenito Figlio di Dio si è incarnato per rendere testimonianza alla verità; da Lui è stata fondata una società perfetta, quale è la Chiesa, di cui Egli stesso è il capo e con la quale promise di rimanere fino alla consumazione dei secoli. Tutte le verità che Egli ha insegnato volle affidate a questa società perché le custodisse, le difendesse, le divulgasse con legittima autorità; ad un tempo prescrisse a tutti i popoli di ascoltare la parola della sua Chiesa come fosse la propria: chi agirà diversamente, si perderà nell’eterna dannazione. Per questo motivo risulta evidente che Dio è il migliore e più sicuro maestro per l’uomo, fonte e principio di ogni verità; che l’Unigenito, in unione col Padre, è la via, la verità, la vita, la vera luce che illumina ogni uomo; al suo insegnamento devono essere docili tutti gli uomini: «E saranno tutti discepoli di Dio» (Gv. 5,45). Ma Dio stesso volle la Chiesa partecipe del divino Magistero in materia di fede e di morale, rendendola infallibile per sua divina grazia; perciò la Chiesa è la più alta e sicura maestra dei mortali e in essa è presente l’inviolabile diritto alla libertà d’insegnamento. In realtà, vivendo della sapienza di origine divina, la Chiesa nulla ritenne più importante che l’adempiere santamente la missione a lei affidata da Dio: più forte delle difficoltà che l’assediavano da ogni lato in nessun momento cessò di combattere per il libero esercizio del proprio Magistero. In questo modo la terra, respinta la miserabile superstizione, fu rinnovata alla luce della sapienza cristiana. La stessa ragione insegna chiaramente che le verità rivelate da Dio e le verità naturali non possono ovviamente essere tra loro contrarie; per questo motivo deve essere falso tutto ciò che con esse non concorda; perciò il divino Magistero della Chiesa è tanto lontano dall’ostacolare l’impegno di apprenderei progressi delle scienze o dal ritardare in alcun modo l’avanzamento di una più civile umanità, ma piuttosto è portatrice d’intensa luce e di sicura tutela. La stessa Chiesa giova non poco alla perfezione della libertà umana, avendo presente quella sentenza di Gesù Cristo Salvatore per cui l’uomo è reso libero dalla verità: «Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv. 8,32). Pertanto non vi è motivo per cui la vera libertà debba indignarsi o la scienza degna di questo nome debba dolersi delle leggi giuste e necessarie che secondo i concordi dettami della Chiesa e della ragione debbono regolare l’apprendimento umano. Anzi la Chiesa, mentre agisce soprattutto a tutela della fede cristiana, si adopera altresì per favorire e far progredire ogni forma di umano sapere, come la realtà stessa dimostra diffusamente. Infatti è onesto di per sé e lodevole e desiderabile il decoro della cultura; inoltre l’erudizione che derivi da un sano raziocinio e che corrisponda alla verità oggettiva, serve non poco ad illuminare quegli articoli di fede in cui crediamo perché dettati da Dio. Davvero sono dovuti alla Chiesa questi grandi benefici: l’aver nobilmente conservato i monumenti dell’antica sapienza; l’aver aperto ovunque istituti scientifici; l’aver sempre incoraggiato il progresso intellettuale, alimentando con grande zelo quelle stesse arti medesime per le quali soprattutto si distingue la civiltà contemporanea. (Prosegue ...)

 Papa Leone XIII. Che cos’è la libertà. Introduzione dalla Lettera Enciclica «Libertas» del 20 giugno 1888