Occorre incominciare spiegando che cosa si debba intendere col nome di re. In tutte le cose ordinate a un fine nelle quali si può procedere in modi diversi, si richiede qualcuno che diriga, per opera del quale si pervenga direttamente al fine dovuto. Infatti una nave che, sotto la spinta di venti diversi può muoversi in diverse direzioni, non giungerebbe al fine stabilito, se non fosse diretta verso il porto dall’attività del timoniere. Ebbene anche l’uomo ha un fine al quale è ordinata tutta la sua vita e la sua attività, dal momento che egli è un essere che agisce con intelligenza, la cui caratteristica è chiaramente l’agire per un fine. Ora, gli uomini tentano di raggiungere il loro fine in modi diversi; e questo è dimostrato proprio dalla diversità delle loro inclinazioni e delle loro azioni. Quindi l’uomo ha bisogno di qualcuno che lo diriga verso il suo fine. Certamente in ogni uomo è insito per natura un lume di ragione naturale, dal quale nelle sue azioni può essere diretto verso il fine. E certamente, se l’uomo vivesse da solo, come molti animali, non sarebbe necessario che un altro lo dirigesse verso il suo fine, ma ciascuno sarebbe re a se stesso sotto l’autorità di Dio sommo Re, perché attraverso il lume della ragione dategli da Dio dirigerebbe se stesso nelle sue azioni. Invece l’uomo di sua natura è un animale sociale e politico fatto per vivere insieme agli altri anche più di qualsiasi altro animale; e questo risulta in modo evidente dalla sua necessità di ordine naturale. Infatti agli altri animali la natura fornisce cibo, rivestimenti di peli, armi di difesa come denti, corna, unghie o, almeno, la velocità per fuggire. La natura dell’uomo invece è tale da non avere nessuna di queste cose: al loro posto gli è data la ragione, per mezzo della quale può procurarsele tutte con l’opera delle sue mani. Ma a far questo un solo uomo non basta. Infatti un uomo non potrebbe vivere da solo, senza che gli venga a mancare qualcosa di necessario. Dunque l’uomo per natura vive in società con gli altri. Di più: Gli altri animali distinguono istintivamente ciò che a loro è utile o nocivo, come per esempio la pecora sa per istinto che il lupo le è nemico. Alcuni animali conoscono istintivamente certe erbe medicinali ed altre necessarie per la loro vita. L’uomo invece di ciò che è necessario alla sua vita ha una conoscenza naturale generale, dal momento che - per mezzo della ragione - dai principi generali è capace di giungere alla conoscenza delle singole cose necessarie alla vita umana. Non è possibile però che un uomo da solo con la sua ragione conosca tutte queste cose. Dunque agli uomini è necessario vivere in società in modo che l’uno sia aiutato dall’altro e ognuno con la ragione si occupi di cose diverse, per esempio chi di medicina, chi di una cosa e chi di un’altra. Questo è dimostrato chiaramente dal fatto che sia proprio dell’uomo l’uso della parola, per mezzo del quale ciascuno può esprimere completamente il suo pensiero agli altri. Gli altri animali invece si comunicano sommariamente le proprie passioni, come il cane che con il latrato esprime l’ira, ed altri animali le proprie passioni in modi diversi. L’uomo dunque è più comunicativo che non qualsiasi altro animale gregale quali la gru, la formica e l’ape. E Salomone nell’Ecclesiaste (IV, 9), riflettendo su questo dice: «È meglio essere in due piuttosto che soli. Due hanno il vantaggio della reciproca società». Se è dunque naturale per l’uomo vivere in società, è necessario che fra gli uomini ci sia un qualcosa che governi il popolo. Infatti, quando gli uomini sono in molti, se ognuno provvedesse soltanto a ciò che gli serve, il popolo si frantumerebbe nei suoi componenti, qualora non ci fosse qualcuno che si occupasse anche del bene comune; così come il corpo dell’uomo e di qualunque altro animale si dissolverebbe, se nel corpo non ci fosse una facoltà coordinatrice generale rivolta al bene comune di tutte le membra. Riflettendo su questo Salomone (Prov. XI, 14) dice: «Dove manca un reggitore il popolo si disperderà». E ciò si spiega in conformità con la ragione: l’individuale e il comune non sono infatti la stessa cosa. Come individuali le cose sono diverse, in quanto comuni sono unite tra loro. Ora, cose diverse devono avere cause diverse. È dunque necessario che, oltre a ciò che spinge al bene di ciascuno, ci sia qualcosa che si occupi del bene comune. Per questo in ogni complesso di cose ordinato ad un unico fine si trova un qualcosa che regola qualcos’altro, Infatti tutti i corpi secondo un certo ordine della divina provvidenza sono retti dal primo corpo, cioè dal corpo celeste, e tutti i corpi sono governati dalla creatura razionale. Nel singolo uomo, poi, l’anima regge il corpo e tra le parti dell’anima l’irascibile e il concupiscibile sono retti dalla ragione. Ugualmente tra le parti del corpo ce n’è una, che sarà il cuore o la testa, la quale muove tutte le altre. Dunque è necessario che in ogni moltitudine ci sia un principio reggitore. Ma quanto è ordinato a un fine può esservi indirizzato rettamente e non rettamente. Perciò anche il governo dei popoli può essere e retto e non retto. Ebbene, ogni cosa è indirizzata rettamente quando è condotta a un fine conveniente, non rettamente quando è condotta a un fine non conveniente. (Attenzione, qui san Tommaso non sta facendo un discorso di opportunismo, ndR). Diverso però è il fine conveniente a una moltitudine di persone libere e a una moltitudine di schiavi. Infatti è libero «colui che è padrone di sé», invece è schiavo chi appartiene ad un altro. Se dunque una moltitudine di uomini liberi è ordinata dal reggitore per il bene comune della moltitudine, il governo sarà retto e giusto, quale conviene a uomini liberi. Se invece il governo è ordinato non al bene comune ma al bene privato del reggitore, sarà ingiusto e perverso, onde anche il Signore minaccia tali governanti dicendo, per bocca di Ezechiele (XXXIV, 2): «Guai ai pastori che pascevano se stessi (come a dire che hanno cercato i propri interessi): i pastori non devono forse pascere i greggi?». Perciò come i pastori debbono cercare il bene del gregge, così i governanti devono cercare il bene del popolo loro soggetto. Dunque: se c’è il governo ingiusto di uno solo che cerca nel governo i suoi personali vantaggi e non il bene della moltitudine a lui soggetta, questo reggitore si chiama tiranno, nome derivato dalla forza, perché opprime con la forza e non governa con la giustizia; perciò presso gli antichi qualunque potente si chiamava tiranno. Se poi c’è il governo ingiusto non di uno solo ma di diverse persone, però poche, si chiama oligarchia, cioè predominio di pochi; e questo si ha quando pochi con la ricchezza opprimono la plebe, differenziandosi dal tiranno solo per il fatto di essere in diversi. Infine, se il governo ingiusto è esercitato da molti, si chiama “democrazia”(*), cioè predominio del popolo; e questo si ha quando il popolo dei plebei con la potenza del numero opprime i ricchi. In questo modo infatti tutto il popolo diventa un tiranno. Nella stessa maniera poi si deve distinguere il buon governo. Se infatti a governare è una moltitudine, si usa parlare di Politici, come quando una moltitudine di guerrieri domina in una città o in una provincia. Se poi governano pochi e virtuosi, questo tipo di governo si chiama Aristocrazia, cioè «governo ottimo» o degli ottimi, che per questo sono chiamati «ottimati». Infine, se il governo giusto appartiene a uno solo, questi propriamente si chiama Re come accennano quelle parole del Signore per bocca di Ezechiele (XXXVII, 24); «Il mio servo Davide sarà re sopra tutti e sarà il solo pastore di tutti loro». E da questo si rileva chiaramente che è proprio del regime regale che ci sia uno solo a comandare e che sia un pastore il quale cerca il bene della moltitudine e non il suo personale vantaggio. Dal momento però che all’uomo è necessario vivere in società perché da solo non basta a provvedere le cose necessarie alla vita, una società sarà tanto più perfetta quanto più sarà di per sé sufficiente alle necessità della vita. Ebbene, in ogni singola famiglia si riscontra una certa sufficienza rispetto a una sola cosa necessaria per la vita, ossia a quanto riguarda gli atti naturali della generazione e nutrizione della prole e di altre cose di questo tipo; in ogni singolo villaggio poi ci sarà sufficienza per quanto riguarda una sola arte; invece in una città, che è una comunità perfetta, ci sarà sufficienza di tutte le cose necessarie alla vita; ma ancora di più in una provincia per tutte le necessità della guerra e del reciproco aiuto contro i nemici. Perciò chi governa una comunità perfetta, cioè una città o una provincia, è chiamato per antonomasia re. Invece colui che governa una casa viene chiamato padre di famiglia, ma non re; pur avendo una certa somiglianza col re, cosicché gli stessi re talvolta sono chiamati padri dei popoli. Da quello che abbiamo detto emerge che il re è colui che regge per il bene comune il popolo di una città o di una provincia; per questo Salomone nell’Ecclesiaste (V,8) dice: «Il re domina su tutto il territorio che gli è soggetto».

Da San Tommaso d’Aquino, De regimine principum ad regem Cypri, Principi non negoziabili sulla società e sulla politica, Libro I, Capitolo I, È necessario che gli uomini, vivendo in società, siano governati diligentemente da qualcuno.

[(*) Sulla democrazia, onde evitare equivoci o grossolane strumentalizzazioni delle parole dell’Aquinate, rimandiamo allo studio delle Encicliche teologico-politiche del tomista Papa Leone XIII, ndR].