•Poiché, come abbiamo detto, la funzione del re è quella di ricercare il bene della comunità, è chiaro che il suo compito sarebbe troppo gravoso, se a lui non ne venisse nessun bene personale. Bisogna dunque considerare in che cosa consista il giusto premio di un buon re.

• Ad alcuni dunque è parso che non sia altro che l’onore e la gloria; perciò anche Cicerone (De Repub.) afferma che «il principe della città deve essere alimentato di gloria»; e Aristotele sembra concordare con tale opinione (Ethica), «poiché il principe a cui non bastano l’onore e la gloria, di conseguenza diventa tiranno». Infatti è insita negli animi di tutti la ricerca del bene personale. Dunque, se il principe non sarà contento della gloria e dell’onore, cercherà piaceri e ricchezze e così si darà a rapinare e a danneggiare i sudditi.

• Ma se accettiamo questa opinione, vengono molte incongruenze. In primo luogo sarebbe svantaggioso per i re sopportare tante fatiche e preoccupazioni per un compenso così fragile. Infatti nelle cose umane niente sembra più fragile della gloria e dell’onore nella considerazione degli uomini; poiché essi dipendono dalle opinioni degli uomini, di cui nulla è più mutevole nella vita; e perciò il profeta Isaia (XX) chiama «fiore di fieno» la gloria di questo tipo. Inoltre il desiderio di gloria umana toglie la magnanimità. Infatti chi cerca il favore degli uomini deve asservirsi alla loro volontà in tutto ciò che fa e dice; e così, nel cercare di piacere agli uomini, diventa schiavo di tutti. Perciò lo stesso Cicerone (De Officiis) afferma che bisogna guardarsi «dal desiderio della gloria . Esso toglie infatti la libertà dell’animo, verso la quale deve essere indirizzato ogni sforzo degli uomini magnanimi». Ora, niente più della magnanimità si addice al principe, che viene creato per fare il bene (più grande). Il premio della gloria umana non è perciò proporzionato alla funzione del re.

• Inoltre stabilire un simile premio per i prìncipi è dannoso alla comunità: infatti è dovere dell’uomo buono disprezzare la gloria come gli altri beni temporali. È proprio dell’animo forte e virtuoso disprezzare la gloria e la vita per la giustizia; cosicché accade in questo qualcosa che desta meraviglia: siccome la gloria segue gli atti virtuosi, ma la gloria stessa secondo virtù deve essere disprezzata, l’uomo è reso glorioso proprio dal disprezzo della gloria, secondo la sentenza di Fabio Quintiliano che dice: «Chi avrà disprezzato la gloria avrà quella vera».

• E Sallustio disse di Catone: «Quanto meno ricercava la gloria, tanto più la conseguiva». Gli stessi discepoli di Cristo si esponevano come ministri di Dio «per la gloria e l’ignominia, per l’infamia e la buona fama».

• Perciò la gloria, che gli uomini buoni disprezzano, non è un premio adatto all’uomo virtuoso. Se dunque si stabilisse come premio per i prìncipi soltanto questo bene, ne conseguirebbe che gli uomini virtuosi non accetterebbero il principato; oppure, qualora lo accettassero, resterebbero senza premio.

• Di più: dal desiderio di gloria provengono mali pericolosi. Molti, infatti, cercando smodatamente la gloria, nelle imprese guerresche, rovinarono se stessi e i propri eserciti e ridussero la libertà della patria in potere del nemico. Ecco perché Manlio Torquato, uccise il suo figlio che contro al suo comando, provocato dal nemico, con giovanile ardore aveva combattuto; e lo uccise quantunque avesse vinto, affinché l’esempio di tale presunzione non producesse danno maggiore dell’utilità che arrecava la gloria di aver vinto il nemico.

• Inoltre, il desiderio della gloria ha un altro vizio connaturale, vale a dire la finzione. Poiché infatti è difficile — e pochi ci riescono — conseguire le vere virtù, alle quali soltanto è dovuta la fama, molti, desiderosi di gloria, diventano simulatori di virtù. Perciò, come dice Sallustio, «l’ambizione costringe molti uomini a diventare falsi»: nel cuore tengono chiusa una cosa, sulla lingua ne hanno pronta un’altra; ed hanno più apparenza che buona volontà». Anche il nostro Salvatore chiama ipocriti, cioè simulatori, quelli che fanno le buone opere per essere visti dagli uomini. Come dunque è pericoloso per la società se il principe cerca piaceri e ricchezze, perché diventa rapinatore ed oppressore, ugualmente è pericoloso quando è attratto dal premio della gloria, perché può diventare presuntuoso e simulatore.

• Ma, a ben comprendere le affermazioni riferite dei sapienti, risulta che essi stabilirono come premio per il principe l’onore e la gloria non nel senso che il buon re debba tendere soprattutto a questo, ma nel senso che è più tollerabile se ricerca la gloria che se desidera il danaro o insegue il piacere. Infatti questo vizio è abbastanza vicino alla virtù; poiché la gloria che gli uomini desiderano non è nient’altro, come dice Sant’Agostino, che il giudizio di uomini capaci di giudicare altri uomini rettamente.

• Il desiderio di gloria infatti ha una qualche parvenza di virtù, perché almeno ricerca l’approvazione dei buoni e cerca di non dispiacere loro. E siccome sono pochi quelli che pervengono alla vera virtù, sembra più tollerabile che venga scelto per il governo chi, temendo almeno il giudizio degli uomini, si astiene dal male manifesto. Poiché colui che desidera la gloria, o cammina per la vera via con opere di virtù sforzandosi di essere approvato dagli uomini, o almeno vi aspira con inganni e finzioni. Se invece chi vuole dominare, in mancanza del desiderio di gloria, non teme di dispiacere a coloro che giudicano rettamente, per lo più cerca di ottenere ciò che vuole con aperte scelleratezze; perciò nei vizi della crudeltà e della lussuria supera le bestie, come fu manifesto nell’imperatore Nerone; il quale, come dice Sant’Agostino, fu tanto lussurioso da non aver nulla di virile, e tanto crudele da non aver nessun gesto di mitezza.

• Questo poi è già stato espresso bene da ciò che Aristotele ha detto del magnanimo nell’Etica, affermando che questi non cerca l’onore e la gloria come qualcosa di grande, quasi fosse di per sé un premio bastevole alla virtù, ma perché dagli uomini non vuole di più. Fra tutti i beni terreni, infatti, il più importante sembra consistere in questo, che a un uomo sia resa testimonianza della sua virtù dagli altri uomini.

Da San Tommaso d’Aquino, De regimine principum ad regem Cypri, Principi non negoziabili sulla società e sulla politica, Libro I, Capitolo VII, Qui il santo dottore spiega quale sia il fine che deve spingere il re a ben governare.