• Come la buona e onesta vita che qui gli uomini vivono è ordinata alla vita beata che speriamo nel cielo, così qualsiasi bene particolare che l’uomo si procura - ricchezze, guadagno, salute, eloquenza, o erudizione - è ordinato, come a suo fine, al bene della moltitudine.
• Se dunque, come è stato detto, colui che ha la cura del fine ultimo deve comandare su quelli che hanno la cura di ciò che è ordinato al fine, e dirigerli col proprio comando, è chiaro da quanto abbiamo detto, che il re, come deve essere soggetto al potere e al governo espressi dalla funzione sacerdotale, così deve presiedere a tutte le cariche umane e ordinarle col comando del suo governo. Chiunque poi ha l’incombenza di compiere qualcosa che sia ordinata a un’altra, come a fine, deve badare a che la sua opera sia adatta al fine. Il fabbro, per esempio, fabbrica la spada in modo che sia adatta alla battaglia e il costruttore deve disporre la casa in modo che sia adatta per abitazione.
• Ora, il fine della vita onesta che qui viviamo è la beatitudine celeste; perciò rientra nei compiti del re curare la vita onesta della moltitudine, perché concorre al conseguimento della beatitudine celeste, comandando le cose che portano alla beatitudine celeste e proibendo, per quanto è possibile, quelle che le sono contrarie. Quale sia poi la via della vera beatitudine, e quali siano le cose che la ostacolano, si conosce dalla legge divina, il cui insegnamento rientra nel compito dei sacerdoti, secondo quanto dice Malachia (11, 7): «Le labbra del sacerdote custodiranno la scienza e dalla sua bocca cercheranno la legge». E così nel Deuteronomio (XVII, 18) il Signore comanda: «Dopo che il re si sarà seduto sul trono del suo regno scriverà per sé su un volume - il Deuteronomio - di questa legge, secondo l’esemplare del sacerdote della tribù di Levi, e lo avrà con sé, e lo leggerà tutti i giorni della sua vita, affinché impari a temere il Signore suo Dio e a custodire le sue parole e le sue cerimonie prescritte dalla legge».
• Un re quindi ben istruito nella legge divina deve avere questo impegno precipuo: che la moltitudine a lui soggetta viva onestamente. E questo impegno abbraccia tre compiti: in primo luogo instaurare una vita onesta nel popolo; in secondo luogo conservarla; in terzo luogo farla progredire verso il meglio.
• Ora, per il ben vivere di ogni singolo uomo si richiedono due cose: una principale, che è l’operare secondo virtù (la virtù infatti è quella disposizione per cui si vive bene); l’altra, secondaria e quasi strumentale, è la sufficienza dei beni corporali, l’uso dei quali è necessario agli atti della virtù. Si noti però che l’unità dell’uomo singolo è causata dalla natura, mentre l’unità della moltitudine, che si chiama pace, deve essere procurata dalla solerzia di chi governa. Perciò per costituire il ben vivere della collettività si richiedono tre cose. Primo, che la moltitudine sia costituita nell’unità della pace. Secondo, che la moltitudine unita nella pace sia indirizzata a compiere il bene. Come infatti l’uomo non può fare niente di bene quando non sia presupposta l’unità delle sue parti, così la moltitudine degli uomini cui manchi l’unità della pace mentre combatte contro se stessa è impedita di compiere il bene. Terzo, si richiede che ad opera di chi governa ci sia sufficienza delle cose necessarie a ben vivere. Una volta poi che il re ha instaurato la vita onesta nella moltitudine, ne consegue che egli si adoperi per la sua conservazione.
• Ebbene, tre sono le cose che non lasciano durare il bene pubblico. La prima di esse viene dalla natura. Infatti il bene di un popolo non deve essere instaurato solo per un certo tempo limitato, ma in modo tale che sia in un certo senso perpetuo. Ma gli uomini, dal momento che sono mortali, non possono durare in perpetuo; e nella loro vita non hanno sempre lo stesso vigore; perché la vita umana è soggetta a molte variazioni; cosicché gli uomini non sono adatti a compiere gli stessi incarichi nello stesso modo per tutta la vita. Il secondo impedimento alla conservazione del bene pubblico, proveniente dall’interno, consiste nella perversione delle volontà, le quali o sono pigre nel fare quelle cose che lo Stato richiede, o peggio, sono contrarie alla pace della moltitudine, perché, trasgredendo la giustizia, perturbano la pace altrui. Il terzo ostacolo alla conservazione dello Stato è causato poi dall’esterno, quando un’aggressione dei nemici toglie la pace e talvolta distrugge dalle fondamenta il regno, o la città.
• Or dunque per queste tre cose il re deve provvedervi in tre modi. Primo, deve attendere alla successione degli uomini e alla sostituzione di quelli che presiedono ai diversi incarichi. Imitando così il governo divino il quale, per le cose corruttibili che non possono durare sempre, provvede in modo che si succedano per generazione le une alle altre, così da assicurare almeno l’integrità dell’universo. Parimenti il bene del popolo viene conservato dalla cura del re, in quanto questi provvede con sollecitudine che altri succedano al posto di quelli che vengono meno. Secondo, deve provvedere con le sue leggi e i suoi ordini, con castighi e con premi, ad allontanare i sudditi dall’iniquità e ad incitarli ad opere virtuose prendendo esempio da Dio che ha dato agli uomini una legge, retribuendo quelli che la osservano col premio, e quelli che la trasgrediscono con il castigo. Terzo compito del re è la difesa dei sudditi curandone la sicurezza contro i nemici. Infatti non servirebbe a nulla evitare i pericoli interni, se non ci si potesse difendere contro quelli esterni.
• Così dunque per la formazione di una buona collettività spetta al re una terza incombenza, cioè l’essere sollecito del progresso: il quale risulta quando nelle singole cose predette si corregge quanto c’è di disordinato, si suppliscono le deficienze, e si ha cura di perfezionare quanto può essere migliorato. Cosicché l’Apostolo stesso (ai Corinzi) ammonisce i fedeli affinché aspirino a grazie sempre migliori.
• Queste dunque sono le cose pertinenti alla funzione del re; e di esse è necessario trattare una per una con maggior diligenza.
Da San Tommaso d’Aquino, De regimine principum ad regem Cypri, Princìpi non negoziabili sulla società e sulla politica, Libro I, Capitolo XV, Come si richiede che il re disponga i sudditi a vivere secondo virtù per il conseguimento del fine ultimo, così pure si richiede per i fini intermedi. Quali siano le cose che dispongono al ben vivere e quali indispongono. Rimedi che il re deve opporre a questi ostacoli.