• Ma c’è anche un’altra ragione per cui un dominio viene talora permesso da Dio. La desumiamo dalla Scrittura, anche se non contrasta con i pareri dei filosofi e dei sapienti di questo mondo. È quella che Sant’Agostino illustra nel diciannovesimo libro del De civitate Dei. In quel luogo egli dimostra che la schiavitù fu introdotta a causa del peccato. Perciò anche la Sacra Scrittura dice: «Fa regnare il malvagio per i peccati del popolo» (Giobbe, 34, 30). E questo appare chiaramente dal fatto che nei primi tempi coloro che nel mondo esercitarono il dominio furono uomini iniqui, come narra la storia. Caino, per esempio, Nembrot, Belo, Nino e sua moglie Semiramide che dominarono nella prima e nella seconda età del mondo.
• La ragione poi per cui costoro ebbero il dominio si può desumere o dai sudditi, o dai dominanti stessi: perché i tiranni sono lo strumento della giustizia divina per punire i delitti degli uomini, come il re degli Assiri per il popolo d’Israele, e il re dei Goti, flagello di Dio per l’Italia, come racconta la storia. Lo stesso fu Dionigi in Sicilia: sotto il suo dominio il popolo fu reso schiavo, e infine da lui rimesso in libertà, come narra Valerio Massimo nel quarto libro. E in quale maniera il re degli Assiri fosse destinato a punire i delitti del popolo è mostrato dal profeta Isaia: «Assur è la verga del mio furore, egli è il mio bastone; in mano a lui la mia collera. Io lo manderò alla nazione perfida e contro il popolo della mia indignazione; e gli ordinerò di saccheggiare e di depredare e di calpestarlo come il fango delle piazze» (Isaia, 10, 5 segg.). E tutte queste cose si avverarono quando Gerusalemme fu assediata dai Caldei, presa e incendiata da Nabucodonosor re degli Assiri, i suoi prìncipi catturati col re Sedecia, al quale furono cavati gli occhi e i figli uccisi, come è raccontato alla fine del quarto Libro dei Re: da ciò risulta sufficientemente chiaro come Dio punisca i peccatori per mano dei tiranni. Perciò si può concludere che essi sono strumento di Dio come i demoni, il cui potere è considerato dai sacri dottori sempre giusto, anche se la volontà loro è sempre perversa. E questo ce lo mostra anche il governo tirannico in sé, perché non è ordinato se non a gravare e molestare i sudditi. È proprio del tiranno infatti cercare soltanto la propria utilità e il proprio comodo, come abbiamo detto prima e come insegna Aristotele nell’ottavo libro dell’Etica, dove afferma che il tiranno si comporta coi sudditi come il padrone con gli schiavi e come l’artigiano con l’organo, ossia con lo strumento. Ora, questo è una sofferenza per i sudditi e contrario alla natura del dominio, come sopra abbiamo dimostrato. Ma anche se si esamina la cosa in rapporto ai regnanti, appare chiaro che un tale dominio può essere concesso da Dio, in primo luogo come nel caso già contemplato; oppure perché Dio dispone per i sudditi un destino migliore, cioè perché il principe, benché peccatore, è portato ad agire secondo la volontà di Dio, come dice Isaia (45, 1) riguardo a Ciro re dei Persiani: «Così dice il Signore a Ciro mio unto, che ho preso per la destra per assoggettare a lui le nazioni e far voltare le spalle ai re; aprire davanti a lui le porte e schiudere i serrami». E questo si adempì, come insegna la storia, quando, prosciugatisi improvvisamente l’Eufrate ed il Tigri che attraversavano Babilonia, entrò in città e uccise il re Baldassarre con la sua gente, e distrusse la città stessa, trasferendone il dominio ai Medi, sui quali allora regnava Dario, parente di Ciro, come scrive Giuseppe. Dio aveva predisposto così perché Ciro si era mostrato umano nei confronti dei fedeli Giudei che erano tenuti prigionieri in Assiria e che egli rimandò liberi in Giudea con i vasi del tempio, comandando di riedificare il tempio stesso. Egli, a causa di queste opere buone e virtuose, ottenne il dominio di tutto l’Oriente, come sopra abbiamo visto.
• Baldassarre invece fu ucciso, come appare dalle parole di Daniele: «Non conservasti umile il tuo cuore, ma ti sei levato contro il Dominatore del Cielo; i vasi della sua casa furono portati davanti a te e in essi tu e i tuoi nobili e le tue mogli e le tue concubine avete bevuto il vino.... mentre al Dio che ha in sua mano il tuo alito e tutti i tuoi destini non hai reso gloria. Per questi motivi dunque sono state mandate da lui le dita della mano che vergò lo scritto qui davanti tracciato» (Daniele, 5, 22-24). E quello che apprendiamo dalla divina sentenza contro di lui, dopo fu provato dal verificarsi del fatto. Infatti la storia di Daniele narra che mentre Baldassarre, re dei Babilonesi, persisteva nell’offendere Dio, come risulta da ciò che abbiamo detto, di fronte alla tavola dove banchettava vide le dita di una mano che scrivevano sulla parete: ed egli rimase terrorizzato da quella scrittura, come se fosse l’annuncio della sua morte. Racconta infatti il libro di Daniele che, dalla visione dello scrivente, di cui non vedeva se non le dita della mano, il volto del re restò atterrito e i pensieri lo turbavano, le compagini dei suoi reni si dissolvevano e le sue ginocchia si percuotevano a vicenda: e tutte queste cose erano indizi del suo grandissimo timore e del giudizio che ci sarebbe stato contro di lui. Ma siccome il re non riusciva a capire quella scrittura, fu chiamato Daniele, il quale nelle tre parole comprese ed annunziò la sua morte imminente. Le tre parole erano: Mane, Thecel, Phares. Mane: «Dio ha contato il tuo regno e lo ha fatto terminare», cioè lo ha posto sul limitare, come la somma già contata, che viene tolta e separata dalla massa del denaro. Thecel: «Sei stato pesato sulla bilancia, e sei stato trovato mancante», perciò sei meritevole di morte. Phares: «Il tuo regno fu diviso e dato ai Medi e ai Persiani», come abbiamo visto prima. E da tutte queste cose si è capito con sufficiente chiarezza che quelle parole non hanno propriamente un significato secondo una qualche lingua, ma secondo una predisposizione divina, come un fatto qualsiasi, nel quale un Profeta comprende la volontà di Dio a nostro riguardo. Si può dunque concludere che Dio in quella scritta espresse la sentenza contro il re di Babilonia, che per i suoi peccati meritava la morte e la perdita del regno, secondo le parole della Scrittura: «Da un popolo all’altro si trasferisce il regno a causa delle ingiustizie e delle frodi» (Ecclesiastico, 10, 8).
Da San Tommaso d’Aquino, De regimine principum ad regem Cypri, Princìpi non negoziabili sulla società e sulla politica, Capitolo VII del Libro III: Come Dio talora permetta certe dominazioni per la punizione dei malvagi, e come un tale dominio sia quasi uno strumento della giustizia divina contro i peccatori.