Né i Ss. Padri hanno parlato a caso, ma fondati sulle Divine Scritture, poiché il Signore troppo chiaramente in tanti luoghi ci assicura, ch’Egli non lascia d’assisterci colla sua Grazia, se vogliamo avvalercene a perseverare essendo giustificati, o a convertirci se siamo peccatori: Sto ad ostium et pulso, si quis mihi aperuerit, intrabo (Apoc. 3. 20). Ben argomenta su questo testo il Bellarmino, dicendo che il Signore, sapendo già che l’Uomo non può aprire senza la sua Grazia, invano busserebbe alla porta del di Lui cuore, s’Egli non gli avesse già prima conferita la grazia di aprire quando vuole. E ciò appunto insegnò san Tommaso spiegando lo stesso testo; disse che Iddio a ciascuno dà la grazia necessaria alla salute, per corrispondere se vuole: Deus voluntate sua liberalissima dat eam (scil. gratiam) omni praeparanti se (Apoc. 3. Ecce sto ad ostium, et pulso). Et ideo gratia Dei nulli deest, sed omnibus, quantum in se est, se communicat. Soggiungendo in altro luogo: Hoc ad Divinam providentiam pertinet, ut cuilibet provideat de necessariis ad salutem. Sicché, come scrisse sant’Ambrogio, il Signore bussa alla porta, perché vuol veramente entrare; ma intanto non entra, o pure non resta nelle Anime nostre, perché noi gl’impediamo l’entrata, o pure entrato ne lo discacciamo: Quia enim venit, et januam pulsat, vult semper intrare; sed in nobis est quod non semper ingreditur, non semper manet. Quid est quod debui ultra facere vineae meae, et non feci? An expectavi ut faceret uvas, et fecit labruscas? (Is. 5. 4). Dice il Bellarmino su questo passo: Si non dedisset facultatem ad faciendas uvas, quorsum diceret Dominus, Expectavi? E se Dio non desse a tutti la grazia necessaria per salvarsi, non avrebbe potuto dire agli Ebrei: Quid debui ultra facere? perché avrebbero potuto quelli rispondere, che in tanto non han dato frutto, perché è mancato loro l’aiuto a ciò necessario. Lo stesso dice il Bellarmino nel luogo citato su quelle parole di Gesù Cristo: Quoties volui congregare filios tuos... et noluisti? (Matt. 23. 38). Quomodo voluit (domanda il suddetto Cardinale) ut quaeratur a nolentibus, si eos non juvit ut possint velle? Suscepimus Deus misericordiam tuam in medio templi tui (Psal. 47. 10). Commenta san Bernardo: In medio enim Templi misericordia est, non in angulo aut diversorio, quia non est personarum acceptio apud Deum; in communi posita est, offertur omnibus, et nemo illius expers, nisi qui renuit. An divitias bonitatis ejus... contemnis? ignoras quia benignitas Dei ad poenitentiam te adducit? (Rom. 2. 4). Ecco che il peccatore per sua malizia non si converte, disprezzando le ricchezze della Divina Bontà che lo chiama, e non lascia di muoverlo colla sua grazia a convertirsi. Dio odia il peccato, ma nello stesso tempo non smette di amare l’Anima peccatrice, mentre ella vive su questa Terra, con darle l’aiuto necessario a salvarsi. Parcis autem omnibus, quoniam tua sunt, Domine, qui amas animas (Sap. 11. 28). Dal che si vede, dice il Bellarmino, che Dio non nega la grazia di resistere alle tentazioni a qualunque peccatore ostinato ed accecato che sia: Auxilium ad novum peccatum vitandum semper omnibus adest vel immediate, vel mediate (cioè per mezzo dell’Orazione), quo possint a Deo majora praesidia impetrare, quibus adjuti peccata vitabunt. A ciò fa ancora quel che dice il Signore per Ezechiele: Vigo ego, dicit Dominus Deus, nolo mortem impii, sed ut convertatur impius a via sua, et vivat (Ez. 33. 11). Lo stesso dice san Pietro: Patienter agit propter vos, nolens aliquos perire, sed omnes ad poenitentiam reverti (Petr. 3. 9). Se dunque Iddio vuole che tutti attualmente si convertano, necessariamente deve supporsi, che a tutti dia la grazia che loro bisogna per attualmente convertirsi. So bene esservi Teologi, i quali sostengono, che Iddio a certi peccatori ostinati neghi anche la grazia sufficiente; e tra l’altre si avvalgono d’una dottrina di san Tommaso, il quale dice: Quamvis autem illi, qui in peccato sunt, vitare non possint per propriam potestatem, quin impedimentum gratiae praestent vel ponant, ut ostensum est, nisi auxilio gratiae praeveniantur, nihilominus tamen hoc eis imputatur ad culpam, quia hic defectus ex culpa praecedente in eis relinquitur, sicut ebrius ab homicidio non excusatur, quod per ebrietatem committit, quam sua culpa incurrit. Praeterea, licet ille qui est in peccato, non habeat hoc in propria potestate, quod omnino vitet peccatum, habet tamen potestatem nunc vitare hoc vel illud peccatum, ut dictum est; unde quodcunque committit, voluntarie committit, et ita non immerito sibi imputatur ad culpam. Da ciò vogliono, che il Santo intenda dire, che alcuni peccatori possono bensì evitare i peccati in particolare, ma non tutti i peccati, perché in pena dei peccati prima commessi sono privati d’ogni grazia attuale. Ma rispondiamo che in questo luogo san Tommaso non parla della grazia attuale, ma dell’abituale, o sia santificante, mancando la quale il peccatore non può mantenersi per lungo tempo senza cadere in nuovi peccati, secondo quanto insegna in più luoghi. E che lo stesso intenda nel passo di sopra riferito, si vede chiaramente dal contesto delle parole che ivi premette, e che bisogna più distesamente registrare per intendere vero sentimento del Santo. Primieramente il titolo del citato Capo 160 è questo: Quod homo in peccato exsistens sine gratia peccatum vitare non potest. Ecco che il titolo medesimo spiega non intendere altro il santo Dottore, se non che il medesimo che ha detto negli altri luoghi riferiti. ...

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