Leggiamo: «Se volete fare penitenza solo quando non potete più peccare, è il peccato che abbandona voi, non voi che abbandonate il peccato» (Homil. XLI inter L), diceva sant’Agostino. Alla morte i peccatori periranno, dice il Salmista (Psalm. XXXVI, 20). Periranno, perché Dio li abbandonerà. Né state ad opporre che, in tal caso, l’invocazione di Dio e la penitenza del peccatore in punto di morte si dovrebbero chiamare inutili e troppo tarde; poiché l’invocazione di Dio e la penitenza, per quanto tarde, non sono mai inutili in questa vita, quando siano sincere; ma piuttosto bisogna dire che raramente sono sincere quelle che sono tarde. Difatti può bene, in fin di vita, un peccatore qualunque, anche incredulo, empio e indurito, invocare Dio; ma che cosa è una tale invocazione? Essa ha comunemente lo scopo di chiedere la remissione della pena, non il perdono della colpa. Il peccatore non ha altro in mente, che di sottrarsi alla morte; ecco perché non è esaudito: il suo peccato non gli è rimesso, perché egli non domanda tale remissione. Allora è impenitente. Non chiedendo il perdono della colpa, non ottiene né quello della pena, né quello della colpa e muore da reprobo (...). E poi invoca egli Iddio veramente di buon animo? (...) Si pente egli di vero cuore? (...) Ha egli sincera volontà, qualora ottenga guarigione, di non più offendere Dio in quelle cose in cui l’ha fino allora offeso? (...) Ordinariamente tutto questo gli manca e, mancando queste condizioni essenziali della contrizione, l’impenitenza è reale (...). «Il peccatore morrà nell’ingiustizia che ha commesso», dice Ezechiele (XVIII, 26). Questo vuol dire che il peccatore indurito ed impenitente morrà nel suo peccato e sarà riprovato (...). Ma di questo indurimento e di questa riprovazione, si deve attribuire la causa non a Dio, ma al peccatore, come apertamente proclama Osea: «La tua perdita, o Israele, è opera delle tue mani» (XIII, 9). Non Dio, ma tu medesimo, o peccatore, metti ostacolo al tuo avviamento per la strada della salute; poiché da una parte tu fai e vuoi fare quello che Dio vieta e detesta; dall’altra, né adempi né vuoi adempire quello ch’Egli ama e comanda. Ora se tu non facessi quello che Dio abomina, egli verrebbe a te; la giustizia che punisce, non precede il misfatto o il peccato, ma lo suppone e lo segue (...). Peccatore, tu morrai in terra contaminata, dice il profeta Amos (VII, 17); cioè in un corpo brutto di peccati, macchiato dal vizio. «Voi mi cercherete e non mi troverete, disse Gesù Cristo, mi cercherete e morrete nel vostro peccato» (Ioann. VII, 34 - VIII, 21). Voi mi cercherete male e perciò non mi troverete e, non trovandomi, morrete nel vostro peccato (...). «I peccatori, come osserva san Gregorio, avrebbero voluto, se fosse stato in loro potere, vivere sempre per poter sempre peccare; ed infatti non cessando mai dal peccare finché vivono, lasciano apertamente arguire dalla loro condotta, che desiderano di vivere per sempre nel peccato». Se in fine di vita cessano di peccare, non è la loro volontà, ma la morte che li impedisce dal perseverare nel male.

I Tesori di Cornelio Alapide.