Non è raro il caso di qualche ottimo galantuomo che, sentendo entusiasticamente discorrere di alta montagna, di escursioni, di vette, di valanghe e di tormenta, si è persuaso d’essere un alpinista nato e si è cullato nel sogno di poter d’un tratto raggiungere le cime più eccelse. La realtà è diversa: per conquistare le altezze, bisogna non solo allenarsi, possedere un buon alpen-stock, trovare una guida sicura, ma occorre munirsi di perseverante tenacia. I panorami superbi ed, in genere, la poesia della montagna sono riservati alle forti volontà, che non indietreggiano dinanzi al sacrificio, né cedono le armi davanti agli ostacoli od ai pericoli. In breve: l’alpe non è creata per le talpe. Iniziando la nostra ascesa, è doveroso che io ricordi un simile avvertimento al lettore, e subito lo alleni all’arduo, ma promettente cammino, con una lezione, che sembrerà a prima vista dura, arida, senza visioni attraenti ed è, invece, l’unica via per chi vuol salire in alto. Chi non sapesse centellinare parola per parola questo capitolo, si rassegni a restare pur giù nella valle, nel letto comodo della sua poltroneria. È il capo più difficile e più necessario di tutto il volumetto; e quantunque il suo pieno significato non potrà esser colto se non quando si sarà giunti al termine del libro, tuttavia è necessario impadronirsi di esso come di un alpen-stock, o, se si vuole, di una guida; occorre, meglio ancora, tanto per abbandonare il paragone dell’alpinismo, considerare queste pagine come un germe, che poi adagio adagio si svolgerà. Che importa se il germe è nel terreno oscuro e se bisogna faticare un pochino per studiarlo? Con un leggero sforzo d’attenzione, potremo ben imprimere nella mente nostra la differenza essenziale che ce tra l’ordine naturale e l’ordine soprannaturale ed incominceremo ad intravedere, sia pur da lontano, la vetta baciata dal sole, che ci invita con voce suadente. Definizione dei due ordini. Innanzi tutto, cosa intendiamo dire con queste espressioni: «l’ordine naturale» e «l’ordine soprannaturale»? 1. - Ogni cosa ha la sua natura. Il legno ha la natura di legno. L’inchiostro ha la natura d’inchiostro. Il gatto ha la natura di gatto. Una rosa ha la natura di rosa. Un uomo ha la natura di uomo. La natura, in altre parole, è ciò per cui un essere è quello che è e non è un altro essere. Se questo uomo, invece di avere la natura umana, avesse la natura di asino, sarebbe un asino e non un uomo; ed anche nel linguaggio familiare, quando diamo dell’asino ad una persona, noi la insultiamo appunto perché le diciamo implicitamente: tu hai la natura di uomo, ma susciti l’impressione che tu abbia la natura di asinello dalle lunghe orecchie! La natura, dunque, è ciò che costituisce un essere nel suo grado e gli concede di agire in un modo determinato. La natura di gatto costituisce questa cara bestiolina nell’ordine dei gatti, non dei cavalli o dei papaveri, e fa sì che essa miagoli, prenda topi e via dicendo. L’universo creato, conservato e governato da Dio, ossia la grande natura, non è altro se non il complesso di tutte le nature particolari, rette e congiunte fra loro secondo determinate leggi, che si chiamano appunto leggi di natura. Abbiamo così quel mirabile ordine, che ci strappa un grido d’ammirazione ogni volta che volgiamo uno sguardo al cielo stellato, o ad un giardino sorridente nel fremito della primavera. Ecco l’ordine naturale, dove ogni fenomeno - anche se è per noi doloroso, come potrebbe essere un terremoto - è un momento dello sviluppo universale, che si compie secondo la volontà o la permissione di Dio. 2. - Per capire, ora, ciò che è l’ordine soprannaturale, ricorriamo ad un esempio, preavvertendo che i paragoni non corrono mai con cento piedi. Ho qui dinanzi a me un calamaio, ripieno di inchiostro. V’intingo la mia penna e scrivo una terzina dantesca. Io distinguo subito due cose ben diverse: l’inchiostro ed il pensiero che ho scritto. L’inchiostro ha le sue leggi, rispondenti alla sua natura. Ed io posso esaminarlo molecola per molecola, per ricercare il modo della loro connessione; posso chiedermi quale storia ha quest’inchiostro e quale fu la sua origine. Tutto ciò non è confondibile con le leggi del pensiero, con la storia e le vicende o con la poesia di Dante. Non mi frullerà mai nel cervello la pazza idea che il pensiero di Dante non sia altro che inchiostro: una cosa è l’inchiostro ed un’altra cosa, ben differente, è il pensiero. Tuttavia, dall’istante in cui io con quest’inchiostro ho scritto la terzina, pur essendo essenzialmente diversi, l’inchiostro è unito col pensiero; esso è stato elevato ad un altro grado, che è proprio non più della materia, ma dello spirito. L’inchiostro nero, o rosso, non aveva nessuna esigenza ad esprimere il pensiero di Dante, appunto perché ciò non era richiesto dalla sua natura; tuttavia, quando io lo adopero per stendere le lettere che compongono le parole dei versi danteschi, non viene menomato nei diritti della sua natura, anzi viene innalzato ad una maggiore dignità. In altri termini: il pensiero non è l’inchiostro, supera l’inchiostro, ma non lo contraddice. Non c’è opposizione tra inchiostro e segno del pensiero, quantunque tra inchiostro e pensiero vi sia differenza di natura, né ogni macchia d’inchiostro dica un pensiero. Che se, dopo d’aver steso in carta i versi del sommo Poeta, qualcuno si avvicinasse alla carta stessa, la scrutasse e volesse pretendere di limitare la sua disamina all’inchiostro nero o rosso, sarebbe libero di farlo: egli si restringerà nella sua ricerca all’ordine materiale dell’inchiostro, lo analizzerà scientificamente, ci darà la descrizione esatta del modo col quale la penna lo ha lasciato scorrere sulla carta e così via; ma non pretenda di aver esaurito la realtà. Quell’inchiostro oramai non è più solo inchiostro; è stato elevato ad un altro grado ed esprime il pensiero di Dante. Facciamo la facile applicazione. Noi, come uomini, abbiamo la natura umana, con tutte le leggi e le esigenze di questa natura, come l’inchiostro ha la natura d’inchiostro, con tutte le sue leggi e le sue esigenze. Noi, come uomini, non abbiamo nessun diritto e nessuna esigenza ad una dignità e ad una grandezza superiori alla natura d’uomo, come l’inchiostro non ha nessuna esigenza ad esprimere il pensiero di Dante. Dio, però, per sua bontà, può elevare l’uomo ad una dignità e ad una grandezza eccedenti, superiori, non richieste dalla natura umana, - come io, ad esempio, posso con l’inchiostro stendere la terzina del grande Poeta. Se Dio fa questo, non esiste più soltanto un ordine naturale, nel quale l’uomo ha la sua natura umana, con l’attività sgorgante da essa; non esistono più solo - nel paragone - le leggi dell’inchiostro e la sua storia materiale; esiste altresì un ordine soprannaturale, ossia - come dice la parola sopra - superante le esigenze ed i diritti della natura nostra di uomini. L’ordine soprannaturale, evidentemente, è diverso dell’ordine naturale, ma non viene in opposizione con questo, come il pensiero è diverso dell’inchiostro, ma non si oppone ad esso ed ha anzi la potenza di usarne come un segno. Ebbene, Dio, che non era obbligato ad elevarci all’ordine soprannaturale, di fatto - come esporremo - ci ha innalzati; e per capire, sia pure pallidamente, in qual modo col povero inchiostro dell’umana natura il Divino Artista abbia scritto il poema del suo Amore soprannaturale, non abbiamo altro che da descrivere con la massima chiarezza ciò che sarebbe stato l’uomo nell’ordine naturale (l’inchiostro nel calamaio), e ciò che è l’uomo nell’ordine soprannaturale (l’inchiostro sulla carta scritta).

L’ordine naturale e l’ordine soprannaturale. Definizione dei due ordini. Da Il Sillabario del Cristianesimo, mons. F. Olgiati, Vita e Pensiero, Milano, 1942. SS n° 6, p. 3 - 4