L’Incarnazione è l’unione di Dio con l’uomo, è l’assunzione della natura umana da parte della Persona del Verbo, per unire l’uomo con Dio mediante la grazia. Dio si annienta per divinizzarci; discende per farci ascendere. Se si prescinde dai concetti illustrati - vale a dire dall’ordine soprannaturale, dalla nostra divinizzazione e storicamente dalla caduta dell’uomo - non si capisce ciò che è stato il fatto dell’Incarnazione, - di questo «parentado» cioè, come la definisce santa Caterina, tra la divinità e l’umanità, per riparare la morte dell’uomo e per elevarlo soprannaturalmente alla vita divina. Quali furono, dunque, i motivi dell’Incarnazione? Rispondere in modo perfetto a questa domanda non è possibile, perché, quando noi parliamo di Dio, non dobbiamo dimenticare la debolezza della nostra ragione. La beata Angela da Foligno giustamente osserva che in Dio non c’è una perfezione staccata da ogni altra perfezione, ma v’è un’armonia e fusione di tutte le perfezioni. La Potenza, la Giustizia, la Misericordia si armonizzano fra loro e la parola che meglio riesce a sintetizzare questa Vita divina è l’Amore. Solo alla luce dell’Amore si può tentare di discorrere dell’Incarnazione. Per amore, Dio ci aveva creati; per amore, ci aveva elevati allo stato soprannaturale; per amore, il Figlio di Dio si fece uomo per divinizzare i figli degli uomini. Dio ha amato tanto il mondo - dice l’Apostolo san Giovanni - da darci il suo Unigenito, perché tutti coloro che crederanno in Lui non periscano, ma abbiano la vita eterna. Ed i Padri ad una voce, mentre non esitano a proclamare che Dio si è fatto uomo, perché l’uomo divenisse un Dio e fosse divinizzato dalla grazia zampillante da quell’unica sorgente che è Gesù Cristo, pongono a principio di ogni spiegazione l’Amore e la Bontà infinita di Dio. Storicamente, questa esplicazione dell’amore divino, questa pioggia della divina bontà, si riversò su un’umanità decaduta, cosicché scopo dell’Incarnazione - di fatto - non fu soltanto l’elevazione dell’uomo all’ordine soprannaturale, ma altresì la riparazione del peccato, e la grazia di Cristo fu quindi grazia riparatrice. L’amore di Dio per noi risolve il problema che per l’uomo sarebbe stato insolubile. Da una parte la giustizia divina esigeva una riparazione della colpa; dall’altra la debolezza umana si trovava impotente a soddisfare in un modo adeguato, poiché essendo la colpa - come vedemmo - d’una gravità infinita, non poteva essere compensata dall’uomo, i cui sforzi danno sempre un risultato naturale e finito. Intervenne allora la Misericordia: Dio volle aiutare l’uomo, volle dargli il perdono. Egli poteva redimerci in mille modi; ma il suo Amore ne scelse uno - l’Incarnazione - in cui la giustizia sarebbe stata perfettamente soddisfatta e la misericordia avrebbe avuto la sua manifestazione più grande. Gesù Cristo ha dato al Padre una riparazione di un valore infinito per i nostri peccati; per Lui la giustizia e la misericordia si abbracciarono l’una con l’altra, avvinte dall’Amore. Col Verbo Incarnato, perciò, - come si esprime Santa Caterina - noi abbiamo «la navicella per trarre l’anima fuori dal mare tempestoso, e condurla al porto della salute». In tal modo l’Amore infinito del nostro Dio scrisse il suo poema, il suo «libro sul legno della Croce, non con l’inchiostro, ma col sangue, con le parole delle dolcissime e sacratissime piaghe di Cristo. E chi sarà quel grande idiota, di sì basso intendimento, che non le sappia leggere?». Finalmente l’amore spiega perché la riparazione di Gesù Cristo sia stata compiuta con la Passione e la Morte di Croce. Per sé, come avvertimmo, ogni minima azione o sofferenza, ogni più leggera umiliazione, anche un solo desiderio del Cuore di Cristo sarebbe bastato a riscattarci, essendo ogni atto Suo di un pregio infinito. Ma il Padre, per far risplendere sempre più l’amore del Figlio Suo, volle che nel Sangue di Gesù noi fossimo santificati e reclamò come espiazione del peccato le pene, la passione e la morte di Cristo. Solo quando dall’alto della Croce Gesù poté esclamare: «tutto è consumato, consummatum est», solo allora la soddisfazione è stata completa e l’opera di salvezza venne condotta a termine. Il dolce Verbo - scrive ancora Santa Caterina - come aquila che sempre s’affissa al sole, riguardò nel sole dell’eterna volontà del Padre; «come ebbro d’amore del Padre eterno e della salute nostra, prese il giogo dell’obbedienza, e per compierla bene, si satollò di obbrobri, di scherni e di improperi. Colui che sazia ogni anima, soffrì la sete; per vestirci della grazia divina si spogliò della vita del corpo suo, e si fece bersaglio sul legno della santissima Croce». E proseguiva la Santa: «Da qualunque lato mi volgo, trovo ineffabile amore». L’amore fece discendere «l’altezza della Deità a tanta bassezza quanta è la nostra umanità [...] L’amore lo fece abitare nella stalla in mezzo agli animali. L’amore lo fece satollare d’obbrobri. E, per amore, il dolce Gesù sommamente si dilettò di portare la croce di molte tribolazioni [...] L’amore lo fece correre con pronta obbedienza fino all’obbrobriosa morte della Croce». «Chi l’ha tenuto fermo in Croce? Non chiodi, né Croce, né pietra, né terra, tenne ritta la Croce, perché non erano sufficienti a tener ritto l’Uomo-Dio; ma l’amore che aveva all’onore del Padre ed alla nostra salute». È ciò che Cristo stesso aveva detto: «Nessuno ha amore più grande di chi dà la vita per i suoi amici».

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