Io non saprei concepire una vita senza preghiera: uno svegliarsi al mattino senza incontrare il sorriso di Dio, un reclinare la sera il capo, ma non sul petto di Cristo. Queste espressioni di Contardo Ferrini riassumono il programma d’una giornata cristiana. Appena nella pace dell’aurora si aprono gli occhi, subito bisogna inviare un saluto al Dio del Tabernacolo. Michele Montaigne racconta che suo padre, quando egli era piccolo, lo faceva svegliare al suono di una arpa, perché l’animo fosse ripieno d’armonia, ed armoniosamente passasse tutta la giornata. Anche noi, se al mattino mandiamo, al primo destarci, un pensiero al Cuore che racchiude melodie del cielo, avremo bene orientato la navicella della nostra attività giornaliera. A somiglianza dell’oratore greco, che, sulla piazza di Atene, prima di aprire le labbra, si faceva dare da un artista la nota musicale, per parlare ai suoi concittadini con voce bella e graziosa, noi dal divino Artista chiediamo nel sorriso dell’alba la nota che ci accompagnerà durante le ore della giornata. Chi acquista la dolce consuetudine di inaugurare il suo mattino con un pensiero al Signore, comprende la squisita poesia dei monasteri di Palestina al tempo di san Girolamo, quando lo studioso di Betlemme aveva abituato le vergini a salutare il risveglio mattutino col grido dell’Alleluja (lode al Signore!). Del resto, anche oggi, il dolce suono delle campane squillanti dell’Ave Maria, non ci invita forse a scuotere il nostro torpore ed a volare nei cieli di Dio? E subito, a questa prima “telefonata”, un’altra ne segue: l’offerta delle azioni giornaliere al Cuore di Cristo Gesù, secondo il metodo santo, oggi così diffuso e praticato, per merito di quella provvida associazione che è «l’Apostolato della preghiera». Non è di san Giovanni Crisostomo il paragone delle azioni nostre con le lettere? Osservava l’eloquente Padre della Chiesa: se voi scrivete una lettera e non vi ponete l’indirizzo, è impossibile che essa venga recapitata a destinazione. E soggiungeva: anche ognuno dei nostri atti che compiremo durante il giorno, è simile ad una lettera; poniamoci, dunque, preventivamente l’indirizzo: «a Dio»; offriamoli, cioè, a Lui; ed allora man mano che noi scriveremo le lettere nostre, l’Angelo buono che ci accompagna le porterà a Gesù e gli sussurrerà: «Sono destinate a Te». Santa Gertrude, la grande mistica benedettina del secolo XIII, mi suggerisce un pensiero ancor più bello. Ella considerava il Cuore di Gesù come un turibolo, pieno di carboni ardenti; ed in esso s’immaginava di gettare le proprie azioni, quasi fossero un granello di incenso, destinato ad esser trasformato divinamente in una nube di preghiera, accetta al Padre. «Nel turibolo d’oro del nostro divin Cuore - diceva - dove arde a gloria nostra il soave profumo dell’eterno amore, io lancio il mio cuore, come un minuscolo grano d’incenso, desiderando con tutto l’ardore della mia anima, che, quantunque vile ed indegno, il soffio dello Spirito Santo lo accenda della sua vita». Non è forse questo il mezzo sicuro per conservare per l’eternità la nostra operosità caduca, che sembra inesorabilmente rapita dall’onda veloce del tempo? Il bravo “telefonista”, mentre si veste, pensa al Tabernacolo e recitando le orazioni del mattino, - non importa se brevi, - le pronuncia tenendosi in unione con Gesù. Povere orazioni, quelle brontolate, in fretta, alla sciamannata, e ridotte non solo ai minimi termini - e magari ad un gesto che vorrebbe essere, nell’intenzione dell’autore, un segno di Croce, - ma non accompagnate nemmeno da un palpito del cuore! Chi non sa telefonare, purtroppo agisce così con Dio, ossia lo tratta nel modo più sconveniente ed indecoroso che si possa pensare. Siamo sinceri: non v’è un uomo a questo mondo verso il quale voi usiate così pochi riguardi come fate con Dio! Se non altro, quando parlate con una persona, state attenti a quel che dite. Soltanto con Dio le regole della buona educazione si aboliscono! Il vero cristiano, invece, va in strada; passa per una piazza; e, cammin facendo, senza che nessuno se n’accorga, manda una “telefonata” al Tabernacolo lontano. Vi meravigliate di questo? Eppure, se sapeste quante anime giovanili oggi pregano per le vie d’Italia! (era l’anno 1940, ndR). Attraversano le nostre città, le nostre borgate od i villaggi; sono a volte abbigliate con decoro, a volte sono vestite poveramente; sono operai, studenti, professionisti, impiegate o signorine, contadinelle o mamme di famiglia. Voi non l’avete mai sospettato, perché nulla all’esterno vi tradisce ciò che mormora il loro cuore. Sotto il cielo della nostra Italia, tanto spesso profanato dalla volgarità della bestemmia, s’innalza tacita e gentile la voce dei cuori cristiani. Provatevi e constaterete come è facile e bello, fra il rumore assordante e la febbre dei traffici, fra il grido degli strilloni e la minaccia dei veicoli, inviare dalla strada al Gesù delle nostre chiese un saluto, anche un semplice saluto. Si entra in chiesa e talvolta si lascia la testa... fuori di essa. Io non voglio perdere tempo nel fotografare il contegno di molti nella casa di Dio. Certe Messe, la cui assistenza consiste nello star là impalati accanto ad una colonna, sospirando il momento della benedizione finale, passando in rivista tutte le persone presenti nel tempio, magari con un giudizio critico e comparativo delle loro diverse toilettes, non sono forse le Messe domenicali di moltissimi cosiddetti buoni cristiani, praticanti, esatti nei loro doveri religiosi? All’opposto, chi ha appreso l’arte “del telefono”, appena varcata la soglia interna del tempio, lancia uno sguardo al Tabernacolo. Là sono già arrivati tanti saluti, tante occhiate espressive dell’anima, tanti fremiti! Egli prende l’acqua santa e, come nota Ernesto Hello, a somiglianza del profeta Davide, esclama: «Signore, la mia anima si rivolge a Te, come una terra senz’acqua». Non è forse bella la stilla di rugiada, che nel mese di maggio cade su un filo d’erba e risplende, indorata dal sole? Anche la goccia dell’acqua benedetta, con la quale ci segniamo entrando in Chiesa, brilla sulla fronte nostra, se noi la illuminiamo con la luce di Dio. Simbolo della rugiada di celesti favori, segno della purificazione interiore che si opera in noi se il dolore delle colpe veniali lo accompagna, il nostro gesto di croce non è più un puro atto materiale, ma si traduce in una “telefonata”, o, meglio, nel principio d’una “telefonata”, che continua durante il tempo in cui restiamo in chiesa, durante la Messa o la Visita o la funzione liturgica a cui partecipiamo. Perché parecchi si lamentano che in chiesa non sanno pregare? La ragione è semplicissima: non sono “telefonisti” fuori di chiesa. Chi, fuori del tempio, sa “telefonare” a Cristo Gesù, quando si trova accanto all’altare non ha più gravi difficoltà da superare per discorrere col Re e con l’Amico del suo cuore, che si immola al Padre, e se ne sta dietro ai bianchi veli di un’Ostia ed alla porticina di un Ciborio (Tabernacolo, ndR). Il tempo che si trascorre in chiesa è limitato: bisogna, poi, attendere alle proprie occupazioni, ai propri doveri, al lavoro. Ed il “filo telefonico” sempre ci accompagna e sempre dobbiamo trarne vantaggio. San Bernardo ha enunciato la dottrina che ogni lavoro nostro dev’essere una preghiera: ed il superficialismo spalanca tanto di occhi e chiede: «Dobbiamo forse sempre pregare?» Rispondiamo: certo; non è forse scritto nel Vangelo: «È necessario pregare sempre?». Ma, dunque, dovremo stare tutto il giorno in ginocchio? Anche nelle officine? E nei campi? E nelle Banche? Ed il Parlamento?... Ah, no, buona gente! Ci mancherebbe altro! «Non colui che dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli; ma chi fa la volontà del Padre», chi compie cristianamente il suo dovere, - ci avverte Gesù . La mamma di famiglia che stesse dinnanzi agli altari assorta in preghiera durante numerose Messe e lasciasse a casa i suoi figliuoli incustoditi, non avrebbe l’approvazione di Dio. Ed allora?... Allora col “telefono” tutto è risolto. Il cristiano, in grazia, che lavora, ha un’attività - come vedremo in seguito - santificata, divinizzata; se, poi, egli all’inizio della sua fatica e di quando in quando rivolge un pensiero al Signore, offrendogli tutto ciò che egli compie, perché la sua attività la esplica secondo il volere di Dio, non vi accorgete che in questo caso il lavoro stesso assume una fisionomia nuova e si tramuta in una preghiera? Non sapete che la stessa “telefonata” mattutina, l’efficacia cioè di quella retta intenzione iniziale, se non è ritratta, influisce su tutta la giornata e santifica ogni azione? Mida, il figlio di Gordio, antico re dei Frigi nella Tracia, aveva ottenuto dal “dio” di convertire in oro tutto ciò che toccasse: il “telefonista” cristiano, che vuol moltiplicare i suoi meriti ed acquistarne sempre di nuovi e di maggiori, ha la possibilità di trasformare in oro ogni sua azione, ogni stilla di sudore, ogni sacrificio, ogni sforzo, ogni dolore. Se nell’ambiente, ove si trova, echeggia un’imprecazione od una bestemmia, egli oppone silenziosamente una “telefonata riparatrice”. Se commette uno sbaglio, cerca di ripararlo ed offre le stesse sue deficienze involontarie all’Unico che sa compatire. Se deve prendere il treno e mira i fili del telegrafo tesi lungo la strada ferrata, si rammenta che Lorenzo Perosi sui quei fili immaginava di porre le note musicali del suo genio d’artista; ed egli pone altre note, le note d’amore per il suo Dio. Ogni campanile che scorge, ogni chiesa che vede, è un invito a “telefonare”. Assidendosi a tavola, non dimentica la parola già ricordata di san Paolo ed anche in quest’occasione ricorda il suo Signore ed imita santa Teresa del Bambino Gesù, che in refettorio immaginava di essere seduta e di mangiare in mezzo alla Sacra Famiglia di Nazareth. Insomma, sempre si ricorda di Dio. Parla, ride, si diverte, tiene una conversazione, ma in pari tempo telefona. Se la belva della passione ruggisce nel suo petto, egli sa come chiamare in aiuto l’Alleato che non tradisce. E quando, infine, alla sera si reca al riposo, vola al Dio che ha allietato la sua giornata operosa e lo prega così: «Custodiscimi, o Signore, come la pupilla dei tuoi occhi; proteggimi sotto l’ombra delle tue ali». Anche dal suo letto egli grida attraverso il suo “filo telefonico”: «Visita, o Signore, questa casa; allontana da essa tutte le insidie del Nemico; i tuoi Angeli buoni, che la abitano, custodiscano me ed i miei cari nella pace; e sopra di noi aleggi sempre la Tua benedizione».

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